Il
mio bastardo opportunista
A volte mi chiedo come la vita mi abbia portato ad essere quello che
sono ora.
Ripensandoci, da bambina ero viziata, egoista, paurosa e timida. Ora
sono un’adulta, anche se ho solo 17 anni. Mi batto per il
bene dei miei sottoposti, non temo di entrare nel mezzo di una
battaglia se serve per salvare un mio mercenario e, anche se malamente,
riesco ad esternare i miei sentimenti con maggiore facilità.
Eppure lo sono ancora, viziata. Da ognuno di loro.
Però .. ho sempre sentito il bisogno di
qualcos’altro. La mia famiglia, per quanto possa continuare
ad illudermi, non riesco proprio a rimpiazzarla.
Sistemo meccanicamente la cravatta scura intorno al mio collo.
Abbottono annoiata la camicia, sistemando il colletto. Raccolgo
velocemente i miei lunghi capelli chiari nella solita pettinatura e,
sedendomi sul bordo del letto, infilo le calze senza prestare troppa
attenzione che siano dritte.
La gonna color cachi sale velocemente sulle mie gambe snelle, guidata
dalle mie mani. Le scarpe le infilo mentre indosso la giacca.
Lo specchio mi riflette con regolarità, come ogni altra
mattina. Tuttavia, non riesco a dire se ci sia qualcosa di strano in
me. Tutto
mi sembra stonato.
La porta si apre silenziosamente e il corridoio è deserto,
in silenzio. Davanti a me l’alternativa di voltare le spalle
e scappare da tutt’altra parte. Ora nessuno mi noterebbe.
Ma credo che non ce la farei mai.
Un passo dopo l’altro mi incammino, lenta e mesta, come se il
mio procedere fosse dettato da una forza maggiore. Sento la pressione
del momento, gli sguardi rivolti a me di chi incontro, il rimbombo
delle campane in lontananza. Deve essere strano incontrare per la
strada di una città come Portsmouth una ragazzina vestita
come in un film poliziesco.
Percepisco tutto, tranne quello che si dice intorno. La gente parla,
ride o sorride, piange o si dispera, resta in silenzio e cammina
veloce, va lenta e annoiata. Io non sento nulla più.
Nemmeno so perché abbia ordinato di non farmi venire a
prendere. Forse qualcuno al mio fianco mi avrebbe fatto compagnia.
No
Sarebbe stato solo un peso aprire le labbra e salutare o fare
conversazione.
Dopo poco tempo, o forse ne è passato di più,
arrivo alla meta: una chiesetta stile occidentale, in un zona un
po’ fuori mano, si staglia su una piccola strada di
periferia. Il suo color avorio sporco è in armonia con le
case giallastre attorno, e il vialetto di ciottoli grigiastri richiama
il color nero sbiadito della strada.
Ci sono molte persone li fuori. Moltissime se calcoliamo il numero
esiguo che immaginavo.
La signorina Kaname è l’unica che si limita ad
osservarmi senza lasciar trasparire nessun sentimento.
La vedo indugiare appena su di me. Forse è la sola che ha
notato quanto sia sbagliata la mia presenza lì. Ha osservato
la mia cravatta mal allacciata così come la giacca, la gonna
spiegazzata e le calza al contrario, le scarpe sporche e la coda
cadente. Le occhiaie. Gli occhi stanchi e vuoti. La pelle pallida e il
rimpianto riflesso sull’intero volto.
Perché lo capisco così chiaramente?
Perché solo guardando lei vedo il mio riflesso.
È bianca e stanca, come me.
L’abito nero che indossa le ricade in modo rigido sui
fianchi, innaturale.
Le mani le tremano, come le mie.
I capelli sciolti sono crespi e in disordine.
L’unica particolare, quello che fa la differenza,
è che tra le sue lei tiene la mano di quel mercenario a cui
deve la vita.
Io…. mi accontento del piccolo fiore bianco sporco che un
tempo era una rosa profumata.
Provo invidia. Rabbia. Sentimenti che non mi appartengono.
So che in fondo lei sta meglio di me. La vedo felice, anche se recita
la parte ora.
E poi vedo lui, nella sua serietà statuaria, più
umano nel stringere la mano alla ragazza. È lui che devo
incolpare per questo, no?
Vorrei chiedergli se sta meglio ora, se è felice di averla
ritrovata. So che la risposta sarebbe affermativa.
Vorrei poterlo colpire per farlo sentire in colpa. Lui ha privato me di
quell’unica persona che ancora mi rendeva normale.
Sono una bugiarda.
Mento a me stessa anche adesso.
Non sono mai stata normale. Non ho mai avuto una famiglia normale,
né amici normali.
Mio fratello era un terrorista, io ero una Wisphered, quelli che mi
circondavano nel tempo libero erano militari o, come la signorina
Kaname, persone speciali quanto me.
In verità… non riesco a provare rancore verso di
loro.
Mi limito ad annuire, per mostrargli che sono ancora lucida, solo
questo.
Non avrei poi molto da dire. Di certo “grazie”
sembrerebbe assurdo.
“Capitano! Le porgo le mie condoglianze!” solo la
voce cupa e sincera del mio vice mi distoglie per un attimo dal mio
nervosismo rabbioso.
“Signor Mardukas..” sussurro lentamente,
sforzandomi di guardarlo negli occhi. Ha il solito berretto, la solita
posizione rigida, il saluto militare perfetto.
Annuisco anche a lui, in silenzio.
“Tessa..” Melissa si avvicina rilassata. Stringe
tra le mani un mezzo di rose rosse fresche. Weber-san la segue
docilmente.
“Stai bene?”
Mi da fastidio sentire quella domanda ora.
Si, sto bene…dovrei
rispondere.
No, sto male…vorrei
urlare.
Ma solo annuisco, per l’ennesima volta, e so che a lei
basterà quello.
La chiesa è piena, anche se so perfettamente che sono qui
solo per me.
Nonostante le pareti fredde, il venticello leggero che preannuncia
l’inverno e gli abiti leggeri, percepisco il calore di chi mi
sta attorno.
La bara scura si staglia rigida e perfetta sull’altare,
davanti a un sacerdote.
Sento qualcuno chiedere: “Perché una chiesa
cristiana?” e chi risponde prontamente: “Erano
italiani..” con ovvietà. Non mi preoccupo di
pensare che non è del tutto corretto.
Il fatto è che quella chiesetta è vicina al
cimitero dei nostri genitori. Io vorrei essere seppellita li un
giorno…ma forse, mio fratello avrebbe voluto il mio opposto,
come è sempre stato nella nostra vita.
Sposto lo sguardo attorno… è tutto
così bello…
C’è più amore fra i miei compagni di
sempre. Melissa stringe la mano a Weber-san. La signorina Kaname si
rilassa sulla spalla di Sagara-kun. Il mio addetto al timone sorride
bonariamente a una donna che so essere sua moglie. Mardukas seduto al
mio fianco andrà a trovare le sue nipotine dopo la
cerimonia. Potrei continuare all’infinito..
Ma vedo, in un angolo remoto e scuro della struttura, una
serie di volti pallidi.
Hanno tutti un nome nella mia testa, hanno tutti un loro modo di
parlare e sorridere, hanno tutti una famiglia che io ricordo. Sono quei
volti bianchi e trasparenti che mi ricordano quel sentimento di rancore
e disapprovazione che ho provato fino a pochi giorni fa verso quel mio
unico fratello.
E sono ancora li, quei visi, che mi fissano, mi scrutano, sembrano
chiedermi il perché del mio sentimento di pentimento per la
morte di Leonard. E io….non so rispondere.
Era mio
fratello…
Mio gemello…
Il famigliare a me
più prossimo..
L’unico verso
cui io abbia mai provato un sento di ammirazione mista a
inferiorità.
Come posso stare lì, seduta tranquilla, ed odiarlo?
Non posso
farlo…
Sento l’eco della voce del padre in lontananza.
Vedo su quell’altare una serie di ghirlande, di fiori, di
vasi… le rose rosse spiccano su tutto.
Sopra la bara, proprio sopra il telo che la ricopre, riconosco lo
stesso mazzo che Melissa portava poco prima.
Gli occhi mi si inumidiscono, tanto che vedo tutto
sfuocato…e mi pare fuoco ora, quel colore.
Sembra avvolgere l’intero corpo di mio fratello, sembra
stringerlo in una morsa invincibile.
Tremo e sento brividi lungo la schiena.
Sbatto le palpebre ripetutamente per levarmi dagli occhi quella
visione.
Mi spaventa…
Dico no… ma nessuno se ne accorge.
Le fiamme…penso…lo stanno divorando.
-Lo meritava- dice qualcuno che solo io posso sentire.
Forse hai ragione
-Ho sempre ragione-
Non sempre!
-Ora si..-
Era mio fratello..
-Questo non gli ha impedito di tentare di ucciderti-
Si è sempre
ricordato di me…solo non sapeva come dimostrarlo..
-Dovresti provare più rispetto per i morti-
Lui
è morto.
-…per i tuoi
morti..-
Sono stati
vendicati… penso debolmente, malinconica.
-Dovresti essere contenta allora- mi rimprovera quella presenza.
Era mio fratello…ribatto,
e non ho più nulla da aggiungere.
Stringo convulsamente le mani attorno a quell’unico oggetto
che tengo ora appoggiato sulle ginocchia.
E poi.. mentre ormai fermare le mie lacrime sembra impossibile, mentre
sento il mio contegno sgretolarsi, mentre un petalo cade a terra,
secco, io mi alzo.
I miei passi riecheggiano nell’aria, con un rumore per me
assordante.
Mi avvicino a quell’involucro che so essere
vuoto…il suo corpo è stato distrutto…
Il colore del legno visto da vicino mi sembra falso, fastidioso.
Quel rosso terribile che lo circonda… quel rosso, lui…
Mi inginocchio, stanca. Mi lascio andare ai piedi di quel macabro
contenitore.
Tocco con una mano il bordo della cassa. È fredda…
La mia mano sudata crea in me una strana sensazione a contatto con
quella superficie.
L’altra la tengo appoggiata contro il mio petto,
meccanicamente stretta attorno alle piccole spine della rosa.
Non sento se mi pungono.
Non sento le gocce di sangue cadere.
Non sento il dolore…
Ma riconosco una mano, una stretta gentile e quell’abito nero.
“Lui odiava le rose rosse..” balbetto,
singhiozzando rumorosamente.
Non mi importa della sala lugubre che mi fissa, né del
sacerdote fermo a pochi metri, né dei sentimenti
contrastanti che provo.
Sento solo una voce e, per un attimo, non capisco se quelle parole
vengono dette davvero o no.
“Lo so..” mormora cauta quella persona al mio
fianco. “Lo so..” ripete sicura, prendendo con
delicatezza il mazzo rosso sopra il legno e spostandolo a terra.
Poi mi tende le mani e mi fa alzare, come fossi una bambola incapace di
muoversi.
Istintivamente apro le dita e lascio che quel mio fiore appassito si
posi dove avrebbe dovuto sempre stare.
Il bianco risalta intensamente sopra il tessuto scuro.
E mi sembra un particolare puro in mezzo a tutte quelle fiamme che lo
avvolgono ancora.
Mi sembra che proprio quei pochi petali possano purificare
l’intero altare.
Mi sembra che solo quella piccola rosa bianca, che non
durerà un altro giorno, sia realmente quello che lui avrebbe
voluto.
“Come lo sapeva, signorina Kaname?!” chiedo con
quella lucidità che ho riconquistato.
“Non lo sapevo… l’ho solo
percepito!” la sento appena spaventata dalle sue stesse
parole. La risonanza non c’è
più…i nostri sussurri, l’intelligenza,
le capacità mostruose che avevamo…andati, per
sempre.
“Credo sia un effetto collaterale..” si sforza di
commentare.
Faccio per annuire, ma trovo più appropriato parlare con
quella ragazza, incurante degli occhi fissi su di noi.
“Ogni anno portava sulla tomba dei nostri genitori un mazzo
di rose bianche… in qualche modo, riusciva a farmelo sapere
attraverso la risonanza e io…portavo le mie
rosse!” spiego a bassa voce, in modo pacato e abbassando gli
occhi tristemente.
Mi fa male quel ricordo. Terribilmente. Erano i nostri unici momenti.
Non avevo il suo numero, il suo indirizzo.. nulla.
Nemmeno sapevo cosa avesse fatto in quegli anni, come fosse la sua
casa, se avesse mai provato affetto per qualcuno.. niente.
“Ti voleva bene..” parole vuote, insensate.
Così false.
Le mie labbra tremano. Vorrei dire che non era così, che il
suo affetto per me era vuoto, infantile, essenzialmente legato al mio
potenziale. Ma non ne ho voglia… sono davvero stanca di
parlare.
“I morti non hanno onore né
dignità!” ripeto la frase che lui un tempo mi
disse con un tono ironico.
Tutto questo basta per
smentirla, no?
Prima di voltarmi lancio un ultimo sguardo a una piccola foto che
spicca su un leggio.
Sorride lui, in modo cinico e distaccato, anche attraverso il vetro
fine del porta immagine.
I suoi occhi sono gelidi, di quella limpidezza che mette paura.
I suoi capelli sembrano brillare al raggio di luce che colpisce
l’immagine.
Il solito bastardo opportunista, penso.
E mi sfugge quel sorriso sincero che mi tenevo dentro.
Nonostante
tutto… era mio fratello…
“Qualche
problema?” la voce serena di Sousuke arriva cristallina alle
orecchie di una Kaname raggiante.
“Nessun
problema!” ribatte tranquillamente lei, come d’
abitudine.
Poi distoglie lo sguardo
da lui e lo punta sulla schiena della giovane Teletha Testarossa, ferma
davanti a tre lapidi grigie.
“Bastardo
opportunista eh?” sussurra e, sorridendo rilassata, si
allontana con i capelli lisci al vento e la mano stretta attorno a
quella rosa bianca che anche lei aveva portato.
Piccola nota:
la frase “I morti non hanno onore né
dignità” è stata direttamente presa dal
prologo del romanzo “Tsudou on my on”, pronunciata
dallo stesso Leonard.
I nomi li ho tenuti originale dalla prima serie, altrimenti, forse
più giusti, sarebbero stati Teresa e Leonardo.
La città nominata, Portsmouth, è davvero quello
dove, stando ai romanzi, si trovano le tombe dei genitori dei due
fratelli.
Ovviamente l’avvenimento è frutto della mia
fantasia. La storia reale non è ancora finito quindi non si
sa se davvero Leonard muoia o no, né tanto meno se
gli altri abbiano il lieto fine.
Ora passo a ringraziare
la giudice del contest per il suo giudizio…ne sono
immensamente onorata visto che questa storia è stata scritta
e poi inviata in un pomeriggio per una mia illuminazione…fa
incredibilmente piacere essere arrivata 7° e che i punteggi
siano stati alti.
Ti
ringrazio…e ringrazio in anticipo anche chi la
commenterà!
Ecco però il
commento e le valutazioni ottenute:
Una storia davvero ben scritta. Ho apprezzato moltissimo le tue
capacità descrittive, grazie alle quali sei riuscita a far
entrare il lettore - perlomeno me! - all'interno della storia. Mi sono
quasi vista passare davanti il volto sfatto, smunto, spento e stanco di
Tessa. Devo dire che, per davvero, è stata tra le storie le
cui descrizioni più ho adorato. E devo dire che, per il
resto, sono tutti punteggi estremamente alti. Nessun errore sintattico
od ortografico, se non per qualche sì senza l'accento. Per
il resto, non c'è altro. L'elemento roseoso è
molto buono ed è abbastanza chiaro come la storia ruoti
tutta intorno a questi fiori. Poi mi è piaciuto anche il
modo in cui hai sottolineato la differenza che c'è fra
Leonard e Tessa con il loro amare due colori diversi di rose. Molto
brava, devo dire! Ancora complimenti per le descrizioni, sono rimasta
veramente a bocca aperta. ^^ Spero tanto parteciperai a un altro mio
contest!
- 9 punti alla grammatica;
- 8 punti all'originalità;
- 9,5 punti per lo stile;
- 8 punti per l'utilizzo dell'elemento roseoso;
- 4 punti al giudizio personale
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