0_Freddo, inutile inverno (Prologo)
Era una fredda giornata invernale.
La neve fioccava imperturbata fin dal primo mattino, quando aveva iniziato a cadere, leggera.
Le strade di East City erano tutte
coperte da un manto d'un candido bianco, che dava all'intera
città un tocco magico, quasi fiabesco.
Per tutti gli abitanti, l'inverno era
il periodo migliore dell'anno: i panorami che offriva la città
innevata attiravano migliaia di turisti da tutta Amestris, soprattutto
durante le vacanze di Natale.
Tuttavia, esistevano anche le eccezioni, quelle eccezioni che, secondo proverbio, confermavano la regola.
E lì, una di quelle rare eccezioni era proprio il colonnello Roy Mustang, l'Alchimista di Fuoco: lui odiava l'inverno.
- A che diamine serve l'inverno? A
niente! Nevica e fa sempre freddo, tanto che la sera non si può
nemmeno uscire a cena!! - si lamentò il colonnello, stringendosi
nella sua giacca.
- Signor colonnello... le spiacerebbe
lavorare, oltre che lamentarsi? - lo rimbeccò il tenente,
guardandolo minacciosa dalla sua postazione dietro la scrivania.
- Ok, tenente Hawkeye... - rispose Mustang, obbediente.
Ma la sua attenzione si
soffermò sul paesaggio invernale al di fuori della finestra,
dove i bambini si divertivano per le strade giocando con la neve.
- Non riesco a capire come fa a
piacere così tanto quell'orribile acqua ghiacciata caduta dal
cielo... è sconcertante! - esclamò il colonnello, preso
da un attacco di rabbia.
- COLONNELLO!! - gridò Riza, ormai costretta ad urlare per fargli recuperare la ragione.
- Scusi... - mormorò il moro, abbassando gli occhi sulla scrivania, riprendendo in mano la penna.
Ricominciò a lavorare,
maledicendo tra sé e sé l'inverno e il freddo e la neve
che non gli permettevano di uscire la sera, a meno che non volesse
buscarsi un raffreddore.
Non aveva mai potuto sopportare le
temperature troppo basse: insomma, era l'Alchimista di Fuoco! Lui e il
freddo andavano d'amore e d'accordo come cane e gatto.
Si strinse ancora nella sua beneamata giacca, l'unica che poteva proteggerlo dal micidiale freddo che assediava l'ufficio.
"Ma perché ci siamo ritrovati
con questo freddo qui dentro?!" pensò, amareggiato "Ah...
già..." ricordò, poi: arrivati al momento di dover
accendere i riscaldamenti, il Quartier Generale si era ritrovato con
gli impianti guasti.
Così, per quella "fortunata"
coincidenza, lui era costretto a dover andare a lavorare con due
maglioni sotto l'uniforme e la giacca sopra.
E ancora, incredibile ma vero, sentiva freddo.
Rabbrividì.
- Colonnello... sta bene? - domandò il tenente, guardandolo, apprensiva.
- Eh? No, sto bene... - replicò lui.
Lei lo guardò ancora alcuni istanti, prima di ritornare ai suoi compiti.
Lui sospirò, affranto: Dio, quanto odiava l'inverno.
E il freddo.
Posò di nuovo la penna e strofinò le mani tra loro, cercando di scaldarle: temeva che congelassero sul serio.
All'improvviso, il tenente si alzò.
Roy spostò lo sguardo su di lei: - Che succede, tenente? - domandò.
La donna gli rivolse uno sguardo neutro.
- Il mio turno è finito per
oggi... devo andare a consegnare questi documenti prima di uscire... -
disse, raccogliendo le carte che aveva sulla scrivania.
- Oh... - fu l'unica risposta che seppe dare il colonnello.
Era un peccato che in quei giorni i
turni del tenente fossero più brevi del consueto: forse era
perché, abitando all'altro capo della città, impiegava
più tempo ad arrivare a casa, dato anche il brutto tempo.
O forse aveva qualche impegno.
O forse perché lavorava sempre tanto e così gli ultimi giorni le abbreviavano i turni.
Alla fine pensò che non erano affari suoi, anche se un po' di curiosità c'era.
- Allora... a domani... - disse lui, sorridendole, vago.
Il tenente gli rivolse un'ulteriore occhiata, prima di avviarsi verso la porta.
- ... e mi raccomando, signore: prima
di andare, deve assolutamente finire di firmare quei fogli... - lo
redarguì la bionda, una volta giunta sull'uscio.
Uscì, lasciandosi alle spalle un imbarazzato silenzio.
Il colonnello riprese a lavorare, a
sua insaputa tenuto d'occhio dal resto della squadra, che se la rideva
sotto i baffi pensando a cosa sarebbe potuto succedergli se non avesse
ubbidito al tenente.
In quel momento, qualcuno bussò alla porta.
Mustang rialzò gli occhi dalla scrivania, speranzoso: che fosse il tenente?
- Avanti! -.
- Eeeeehi, Roy!!! -.
Le sue speranze si infransero quando vide chi aveva bussato.
Abbassò lo sguardo di nuovo, demoralizzato: - Hughes... - mormorò.
- Be', che è quella faccia? Non sei contento di vedermi? - chiese il tenente colonnello.
"Francamente... no!" avrebbe voluto rispondergli, ma si limitò a sospirare.
- Che cosa c'è? - chiese invece.
- Dai, animo!! Che ne dici di andare a mangiare un boccone insieme? Almeno stacchi un po'! - propose Maes.
- Uhm... - mormorò Roy: in
effetti, sarebbe stato un modo come un altro per allontanarsi un po' da
quell'ufficio che iniziava a sembrargli una galera e anche
perché, camminando, si sarebbe scaldato un po'.
"Ma se poi se ne esce con le sue
maledette foto di famiglia giuro che lo faccio alla griglia!"
pensò tra sé e sé il colonnello, alzandosi.
- Va bene... - acconsentì.
Aggirò la scrivania e
attraversò l'ufficio, mandando sfavillanti occhiate di minaccia
ai subordinati, nelle quali era insito un unico messaggio, ben chiaro:
"smettete di lavorare e vi incenerisco!".
Uscirono in corridoio, quindi si diressero verso la sala mensa.
Hughes, durante tutto il tragitto,
che stranamente percorse in silenzio, esaminò l'amico, il modo
di camminare, l'espressione, la postura, tutto insomma.
Ne dedusse infine che c'era qualche cosa che gli premeva e che gli dava da pensare non poco.
Che cosa fosse quel tal pensiero,
ancora non lo sapeva, ma era deciso quanto mai a scoprirlo, a qualunque
costo: che razza di amico sarebbe stato, altrimenti?
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