New
Hope
Quinn si sedette
sull’unica poltrona rimasta libera, in casa di Jeph, dove si stava svolgendo una
festicciola tranquilla.
Jeph e Branden erano
stravaccati sul divano addossato al muro a ridere con altri amici, quelli più
cari. La musica era abbastanza alta, e gli dava leggermente fastidio, ma non
avrebbe comunque detto nulla. Sembravano tutti così allegri, spensierati.
Jeph aveva deciso di dare
quella festa per tirare su il loro morale, per fargli fare un bel sospiro di
sollievo, perché il peggio era passato, il pericolo era
passato.
Ora Bert stava bene, non
c’era più da preoccuparsi.
Sospirò e prese un sorso
dalla sua Red Bull. Gli alcolici erano proibiti, dato che la festa era per
Bert.
Bert che però era chiuso
nella camera da letto di Jeph da praticamente l’inizio della sua festa.
Quinn si era accostato più
volte alla porta, ma non aveva mai avuto il coraggio di bussare, o aprire. Forse
era stanco a causa della terapia che stava subendo. Forse aveva solo bisogno di
star solo.
Allora era tornato in
soggiorno e si era seduto, in attesa, ma nulla era successo.
Bert non era uscito dalla
camera.
Iniziò a preoccuparsi. E
se era svenuto? Se si era sentito male?
Gli fece quasi male il
petto, a causa del cuore che batteva freneticamente.
Terrorizzato.
Era
terrorizzato.
Non c’era nulla da fare.
Nessuna festa avrebbe potuto rincuorarlo.
Stava per perderlo. Era
stato sul punto di perderlo.
Di perdere tutto quello
che avevano costruito insieme.
Lasciò la sua lattina per
terra, accanto alla poltrona, e si alzò velocemente tornando alla
porta.
Provò a tirare giù la
maniglia, ma essa si mosse a vuoto. Si era chiuso a
chiave.
Il panico si fece strada
dentro di lui.
Bussò con forza sulla
porta, questa volta senza un attimo di esitazione.
- Bert! Bert, apri! –
urlò.
Per un attimo sentì le
voci provenienti dal soggiorno zittirsi, ma poi la voce di Jeph che gli invitava
ad andare fuori, per un minitorneo a ping-pong.
Non ci pensò troppo. Bert
non rispondeva, e l’ossigeno faticava ad arrivare ai suoi polmoni. Il battito
impazzito del suo cuore gli riempiva le orecchie.
- Bert! Apri! – provò
ancora, sbattendo ancora contro la porta.
Finalmente la serratura
scattò e la porta si aprì, mostrando Bert assonnato e
confuso.
- Quinn, che hai da
urlare? – gli chiese, con voce roca, passandosi una mano nei capelli
disordinatissimi. I suoi occhi blu erano gonfi di sonno.
Quinn si fiondò nella
stanza, abbracciandolo e quasi tirandolo su da terra, mentre Bert, con gli occhi
spalancati per la sorpresa, rimaneva a braccia aperte.
- Mi hai spaventato! Dio Bert, non puoi
chiuderti a chiave! – si allontanò e lo prese per le spalle, puntando i suoi
occhi lucidi, su quelli ancora sorpresi del cantante.
- Cosa sarebbe successo se
ti fossi sentito male eh? Sei un incosciente! –
Ebbe l’istinto di
schiaffeggiarlo. Di punirlo per averlo fatto preoccupare.
Di punirlo per averlo
fatto aspettare, impotente, seduto su quelle sedie di plastica scomodissime, che
un medico venisse a dargli notizie.
Si, Quinn si era sentito
impotente. Avrebbe voluto fare qualcosa, ma non c’era assolutamente nulla che
lui potesse fare, per far star meglio Bert, per fare in modo che anche lui si
sentisse meglio.
L’unica cosa che aveva
potuto fare era piangere e pregare.
Pregare che lui si
salvasse, perché era troppo giovane per morire.
Quel Dio che aveva
iniziato a pregare, come poteva essere tanto egoista da prenderlo con se?
Con quale coraggio avrebbe
potuto portarlo via da lui?
E il suo cuore si era
spezzato in mille pezzi.
Aveva guardato con occhi
pieni di lacrime quel medico uscire da una sala tutta bianca e dire a quella
donna, quell’uomo, quei ragazzi, che non c’era stato nulla da fare, vostro
figlio, vostro fratello, il vostro amico…è morto. Aveva visto il loro
dolore.
La loro impotenza davanti
a quanto gli stava capitando.
Aveva riflettuto tanto
Quinn, seduto da solo sulle panche di legno scuro della cappella
dell’ospedale.
Cosa avrebbe fatto se
l’avesse perso? Come l’avrebbe affrontato?
Non lo sapeva. Non aveva
trovato una risposta, forse perché non c’era.
Non c’era un perché, non
c’era una spiegazione. Aveva solo pregato.
Perché non sapeva se quel
Dio di cui tutti parlano, esiste davvero. Non sapeva se era tutta una grande
superstizione sopravvissuta ai secoli, o se è davvero nostro padre.
Nostro padre che ha
sacrificato suo figlio per amor nostro.
Non lo sapeva, e sapeva
che non l’avrebbe mai saputo.
Ma aveva bisogno di
crederci.
Aveva bisogno di credere
che c’è del buono nel mondo, che anche se tante cose brutte succedono a chi meno
se lo merita, c’è sempre speranza.
Speranza di guarigione.
Speranza di felicità. Speranza in un futuro. Speranza di
vita.
Speranza, quella parola
c’era stata nella sua mente. Una luce quando tutto sembrava buio e
tetro.
Perché Bert era la sua
forza, quello che gli permetteva di andare avanti.
Poi c’era stato un
peggioramento. Il medico iniziava ad essere un po’ imbarazzato, a non riuscire a
trovare le parole.
Quinn si era ritrovato con
il cuore spezzato.
Valeva poi la pena avere
speranza? In un mondo in cui tutto sembra così instabile?
Dove tutto potrebbe finire
da un momento all’altro?
Non ci aveva mai pensato
Quinn.
Non aveva mai pensato al
fatto che non è una sicurezza, quella di morire a novant’anni, con gli acciacchi
dell’età e tutti i ricordi di una vita alle spalle.
La morte può prenderci
ovunque, in qualsiasi momento, quando meno ce
l’aspettiamo.
Anche quando ci sembra che
la vita sia appena cominciata. Anche quando sentiamo il cuore scoppiare di gioia
di vivere e voglia di amare.
Brutale e fredda, non
lascia nulla dietro di se, se non lacrime e dolore.
Poi la cura ha iniziato a
far effetto.
Bert stava migliorando,
pian piano. Ci sarebbero voluti lunghi mesi di terapia. Ma alla fine se la
sarebbe cavata, avrebbe avuto la meglio e avrebbe continuato a
vivere.
Quinn aveva speranza in
questo.
E ora Bert era li, vicino
a lui, tra le sue braccia.
Che sorrideva, e lo
prendeva in giro con lo sguardo.
- Ehi, non essere
paranoico ora. Sto bene. Mi sono solo addormentato. –
Quinn abbassò lo sguardo
ed annuì, facendo un sospiro di sollievo.
- Si, scusa. Hai ragione.
Se sei stanco torna a dormire, io vado di la con gli altri. – disse, e fece per
allontanarsi e lasciare Bert al suo riposo.
Però il cantante lo
bloccò, prendendolo per il polso, e lo tirò in camera con se, chiudendosi la
porta alle spalle.
Bert gli prese il viso tra
le mani, dolcemente, e cercò i suoi occhi.
- Quinn, guardarmi. Sto
bene. Non devi più preoccuparti. – gli disse, con un sussurro
morbido.
Il biondino sospirò, e
distolse nuovamente lo sguardo.
- Lo so. Lo so scusa, hai
ragione. Sono ancora un po’ teso. – rispose, a bassissima
voce.
Bert annuì lentamente – Lo
vedo. – disse, poi sorrise – Ma rilassati ora. Non ho intenzione di andarmene
tanto presto. – aggiunse, con tono ironico.
Quinn allora alzò di
scattò la testa, rivelando i suoi occhi lucidi e gonfi di
lacrime.
- Ma tu non puoi decidere
nulla Bert! Nessuno di noi può! Ed è tutto così maledettamente ingiusto! –
scoppiò, mentre i suoi occhi non riuscivano più a trattenere le
lacrime.
Bert perse il sorriso, ma
Quinn non lo vide né sorpreso né smarrito.
I lineamenti del suo viso
si erano induriti, solo per sembrare più decisi e forti.
Lo sapeva Bert, sapeva
tutto.
Ci aveva pensato anche
lui, notte e giorno, rinchiuso da quelle coperte che sembravano essere più forti
di qualsiasi gabbia di metallo.
Lo riprese per le spalle,
e lo guardò negli occhi.
- Lo so Quinn. È ingiusto,
ma è così. Ed è per questo che dobbiamo vivere ogni giorno come se fosse
l’ultimo. Ed è quello che farò Quinn. – sorrise
leggermente.
- Mi alzerò tutti i giorni
con la voglia di vivere. Farò in modo di non avere rimpianti. Farò quello che mi
rende felice. Starò con le persone che amo. Non perderò più un solo attimo della
mia vita. E voglio che anche tu faccia lo stesso. – sollevò una mano dalla sua
spalla e gli asciugò, con il dorso dell’indice, le lacrime che ancora bagnavano
il suo viso.
- Dobbiamo continuare ad
avere speranza, Quinn. – sussurrò, guardandolo ancora negli
occhi.
Il ragazzo tirò su col
naso e annuì, rasserenato dal fatto di vedere il luccichio degli occhi di Bert.
Erano pieni di vita.
Lo abbracciò e Bert si
lasciò stringere.
- Si, continuare ad avere
speranza. –
Ciao. Non so bene cosa dire.
Ho avuto paura di non
riuscire più a scrivere, dato che appena mi mettevo davanti ad una fic da
completare, non ci riuscivo. Non riesco a fare un po’ di cose,
ultimamente.
Come ascoltare una canzone
degli Avenged, aprire la loro cartella su efp e quella su mio computer con tutte
le foto e i cd.
Allora ho aperto una nuova
pagina di word, perché ho pensato così tanto in questi giorni che avevo bisogno
di liberare un po’ la mente.
Ho pensato che per
spiegare al meglio le varie cose su cui avevo riflettuto e le rispettive
risposte a cui ero arrivata, la situazione migliore fosse
questa.
Bert e Quinn durante la
malattia di Bert, intendo.
Spero di non aver fatto
risultare tutto confuso e poco comprensibile. Se così fosse, mi dispiace.
Non c’è molto di slash,
cioè, se voi volete vederli come coppia per me va benissimo.
Ma può essere visto anche
come una panoramica sul loro rapporto, non so, fate voi.
Forse mi è venuta un po’
troppo ottimista. Cioè, io non è che sono proprio così ottimista. Anzi, forse è il
contrario.
Ma avevo bisogno del lieto
fine. Perché dato che a volte la vita non c’è lo da, io me lo
prendo.
Lo creo con le mie mani e
con la speranza.
E infine, per Jimmy, anche
se l’ho detto e scritto tante volte. Mi mancherai, ci
mancherai.
Ti voglio bene e rimarrai
per sempre nei miei ricordi. Nel mio cuore.
Valeria
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