CAP.25
BELLA
«Tieni» Helèna mi porge il cappotto e la
borsa.
Li afferro di malavoglia, ma senza protestare.
Sarà una cosa
breve, mi ripeto.
Non più di
mezz’ora, al massimo.
Cerco di infilare il braccio nella manica dell’indumento, ma
la borsa mi rende il movimento difficoltoso. Troppo rallentata nella
mente e nei gesti, o forse semplicemente troppo svogliata per compiere
anche un solo movimento in più, ci riprovo sempre con
l’oggetto in mano ottenendo solo di far cadere il copri abito
a terra.
Sento il sospiro della mia amica.
Si chiana a raccogliere il cappotto al mio posto, mi sfila dolcemente
la borsa dalle mani e mi aiuta ad indossarlo: «Ecco. Mi
raccomando cheta il tuo entusiasmo, però !»
aggiunge sarcastica.
Le lancio un’occhiata di scuse. Mi dispiace non riuscire a
dimostrarle come vorrei la gratitudine che provo per lei, per quello
che sta facendo per me.
Continuo a non parlare.
Il nome di Alice è stata l’unica parola che sono
riuscita a pronunciare cinque giorni addietro.
Poi, sono ritornata nel silenzio.
Farlo non è un capriccio, né un modo per
isolarmi. Credo sia una difesa inconscia del mio corpo
–psicologia da strapazzo, penso - come zio Jim ha suggerito
ad Helèna in una delle telefonate di routine che lei si
ostina a fare per sentirsi più tranquilla.
Credo anche che, sempre zio Jim, abbia dato alla mia amica
l’idea che adesso sta traducendo in realtà.
Uscire.
Ha cominciato a macchinare il giorno dopo che è venuta Alice
al dormitorio.
Il mattino, con la scusa di dover far prendere aria alle lenzuola, di
dover rifare il letto e di dover sistemare la mia
“postazione”, mi ha piazzata su una poltroncina
accanto alla finestra. Ostinatamente ho tenuto gli occhi incollati al
pavimento per tutto il tempo.
Il giorno dopo, ha adottato la stessa tattica. E c’ha messo
il doppio del tempo, cambiando di nuovo le lenzuola perfettamente
pulite, e lisciando e tirando ogni angolo del copriletto in tutte le
posizioni possibili. In quell’occasione mi sono concessa il
lusso di lanciare uno sguardo ai viali del college, per poi, riportarlo
caparbiamente in terra, dopo aver scorto una ragazza con una zazzera
scura e scomposta di capelli, simile – ma forse
più chiara- a quelli di Alice.
Il terzo giorno, Helèna ha alzato il materasso pulendo con
cura certosina ogni gancio della rete di metallo. Sono stata sulla
poltrona per un’ora e mezza. Per sessanta minuti ho guardato
il pavimento, negli altri venticinque ho contemplato un passerotto che
tentava di sistemare il suo nido su un ramo di pino completamente
innevato giusto di fronte alla finestra, nei restanti cinque ho
lanciato qualche occhiata sfuggente al via vai di studenti imbacuccati
fino alla punta di capelli nel viale sottostante.
Ho riconosciuto Joshua che entrava nell’edificio principale.
L’ho capito dal modo in cui si sistemava gli occhiali in un
gesto nervoso, e ripetitivo. Lo faceva spesso anche quando studiavamo
insieme.
Il quarto giorno, cioè ieri, da quando è filtrata
un po’ di luce dalla finestra Helèna si
è messa all’opera.
Non ho nemmeno aspettato che mi aiutasse, come suo solito, a sistemarmi
sulla poltrona. Mi sono alzata da sola e sono andata in bagno. Mi sono
lavata e ho tolto il pigiama a beneficio di un paio di pantaloni grigi
da camera e una felpa larga di Helèna, indumento,
quest’ultimo, rigorosamente off-limits nel mio armadio grazie
alla personal shopper della mia vita passata.
Considerare quella di prima come la “mia vita
passata” mi è di lievissimo conforto. So che
c’è stata, so che non l’ho immaginata. E
questo mi impedisce di impazzire dal dolore. E, poi, so che Alice non
mi vuole lasciare, che mi considera ancora sua sorella.
Anche se … No.
Pensare è vietato e non me lo posso concedere. Sono
già un peso morto per la mia amica … sentirmi
male, avere una crisi di panico … non posso davvero
permettermelo.
Quindi, niente pensieri.
E niente parole.
Non sono ancora pronta a riascoltare il suono della mia voce, cammino
su un filo troppo sottile per poter rischiare di smuoverlo anche con un
lievissimo spostamento d’aria. Fosse anche solo quella che
esce dal mio corpo per emettere un suono, oltre a dover inevitabilmente
respirare.
Perché io devo respirare per forza … giusto?
Quando sono uscita dal bagno, Helèna era immersa con la
testa nel nostro armadio. Aveva già messo fuori tutta le mie
cose, radunandole sul mio letto –intuii per paura che mi ci
fiondassi dentro – e stava tirando fuori le sue.
Quando aveva lanciato uno sguardo al mio abbigliamento per poco gli
occhi non le uscivano dalle orbite e aveva mormorato, quasi a se
stessa: «Se ti vedesse ridotta in questo stato mi ucciderebbe
davvero. E forse, farebbe anche bene.»
L’avevo guardata leggermente accigliata e lei aveva chiarito
meglio il concetto:«Tua sorella» scandì
piano, poi con un gesto aveva indicato i miei abiti «se ti
vedesse conciata in questo modo, mi ucciderebbe. Non che abbia bisogno
di qualche altro motivo per farlo. E, in effetti, credo che ci sia
andata davvero vicina la scorsa volta …»
rabbrividì al ricordo.
Aveva continuato a fissarmi sovrappensiero.
Avrei voluto chiederle scusa. Avrei voluto dirle che avevo davvero
apprezzato il coraggio con cui aveva affrontato Alice. Ma preferii il
silenzio.
D’un tratto s’era girata e aveva afferrato una
maglietta dal mio letto. L’aveva distesa davanti a
sé – davanti a me – e osservata con
sguardo critico.
Aveva fatto la stessa cosa con quasi tutte le altre. Ne aveva messa una
sulla sedia della scrivania insieme ad una gonna ampia, lunga poco
sotto il ginocchio.
Stranamente non aveva detto più nulla.
Aveva scartato gli abiti più aderenti, lasciando fuori
qualcosa di più comodo. Doveva anche essersi accorta che la
mia pancia non era propriamente ciò che ci si aspetterebbe
da una donna incinta di non più di un paio di mesi, ma non
aveva mai fatto alcun accenno a questa cosa. Mai. E, ammettendo pure
che non c’avesse fatto particolarmente attenzione grazie alla
mia abilità
di mimetizzarla in ogni modo, non mi illudevo sul fatto che presto non
ci sarebbero state scappatoie.
Prima o poi sarei dovuta andar via dal dormitorio, dal college, e,
forse, anche da Hanover.
Stamattina, prima che riuscissi a mettermi seduta in poltrona,
Helèna mi ha raggiunta alla porta del bagno con
gli indumenti che aveva poggiato ieri sulla sedia.
Me li ha allungati con uno sguardo supplichevole: «Indossali,
ti prego» ha detto.
L’ho guardata. E ho capito.
Voleva che uscissimo da questa stanza e, sebbene la ritenessi una
pessima idea, non ho avuto il coraggio di rifiutare.
Non mi ha mai chiesto nulla. Ha sopportato i miei silenzi, mi ha fatto
da infermiera, ha affrontato Alice. E non mi ha mai chiesto nemmeno una
piccola spiegazione.
Quando mi sono rifugiata in bagno con gli abiti appallottolati nelle
mani, non ha esultato.
L’ho sentita solo sciogliersi e cominciare a tessere le lodi
del negozio di articoli per neonati e premaman poco distante da
Dartmouth. Le sue chiacchiere hanno accompagnato la mia vestizione.
«Il negozio è qui vicino, non ci impiegheremo
più di mezz’ora … Ti farà
bene prendere un po’ d’aria … hai
bisogno di qualche cosa di più adeguato da indossare
… e, comunque, non ci vorrà più di
mezz’ora … lo so che porta male fare acquisti
precoci per il nascituro, ma io sono sempre un po’ sua zia,
giusto? … Vedrai, ti divertirai … E, poi, fra
mezz’ora al massimo saremo di ritorno …»
Queste alcune delle frasi che giungevano alle mie orecchie attraverso
la porta del bagno.
La sua eccessiva loquacità e il fatto che ci infilasse
spesso le parole “mezz’ora al massimo”
erano decisamente molto indicativi. Non solo era entusiasta, ma anche
molto nervosa. Forse si aspettava un secco rifiuto senza alcuna
possibilità di replica.
Oppormi avrebbe richiesto un tale sforzo da parte mia che la
consideravo una cosa improponibile. In fondo cosa mi costava mettere
una gamba avanti l’altra? Non mi era richiesta alcuna altra
interazione, non dovevo colloquiare, fingere di essere contenta di fare
shopping, dovevo solo trascinarmi in un negozio, afferrare i primi due
stracci che mi capitavano davanti e tornare in camera.
Facile. Avrei accontentato Helèna, acquietato il mio senso
di colpa. E poi, come Helèna aveva ripetutamente
sottolineato, non c’avremmo impiegato più di
mezz’ora.
Entriamo da Dolly’s e immediatamente sento una vertigine
schiaffeggiarmi in pieno il viso. Sarà per la
vastità del locale, l’altezza del soffitto, le
luci troppo luminose. Sarà che sono quasi due settimane che
non faccio che stare a letto in una piccola stanza. Fatto sta che una
sola occhiata agli stand con sopra i minuscoli abitini, in tutte le
gradazioni dei colori pastello, è sufficiente a procurarmi
un subitaneo senso di nausea.
Che ci faccio io in un posto come questo?
Dal soffitto pendono aeroplanini e piccole mongolfiere. In ogni angolo
ci sono cartonati di personaggi delle fiabe. Donne che sfoggiano con
orgoglio pancioni di tutte le dimensioni seguite a vista dallo sguardo
compiacente dei propri compagni si affaccendano tra espositori di
microscopici calzini e file di ripiani contenenti
l’impossibile per il proprio bebè.
Da ogni parte dolcezza, gioia e allegria.
Che ci faccio io in un posto come questo? Mi domando ancora, sentendomi
a disagio e puntando gli occhi a terra. Anche la moquette è
allegra. Verde chiaro, pulitissima. Sembra di camminare su un prato a
primavera.
Helèna si lascia andare a gridolini di gioia afferrando tra
le mani un cappellino rosa più piccolo del mio palmo e
mostrandomelo estasiata.
Me lo allunga e io lo afferro automaticamente.
La osservo mentre lei si allontana tra due scaffali poco distanti
contenenti dei completini rosa, evidentemente per femminucce.
Guardo il cappellino nelle mie mani e cerco di convincermi che dentro
di me porto un esserino su cui quel cappellino potrebbe stare bene.
Osservo le altre donne. I loro abiti, i loro gesti, il modo in cui
hanno il capo alzato e sfidano il mondo … Si sentono padrone
di quel mondo in cui nascerà il loro bambino, si sentono
agguerrite, sanno che lo plasmeranno affinchè diventi il
posto giusto per accogliere il loro tesoro più prezioso.
Saranno madri. E si sentono madri.
Io non mi sento così. Il miei occhi guardano sempre in
basso, dalla mia bocca non escono i commenti estasiati alla vista di
questa o quella cosa deliziosa. I miei abiti poggiano su un corpo
smagrito in cui la pancia è la sola cosa bella che vedo, ma
che nascondo agli occhi di tutti.
L’ho nascosta anche ai miei?
Mi sforzo di ricordare quando è stata l’ultima
volta che ho toccato il mio ventre. Stamattina. L’ho lavato,
l’ho asciugato, l’ho coperto con i vestiti che mi
ha dato Helèna. Ma l’ho anche accarezzato? La
nebbia che mi avvolge non mi permette di rammentarlo, ma giurerei di
non averlo fatto.
Mi sento afferrare delicatamente per un braccio e la mia amica mi
spinge verso un bancone dietro cui c’è una
commessa dall’aria affabile e gentile che mi sorride.
La fisso di rimando con la mia espressione vuota.
Senza mostrarsi curiosa o invadente, la signorina mi squadra
velocemente e comincia a disporre uno sull’altro degli abiti
che trovo vagamente osceni. Sembrano tutti sformati.
Mi ritrovo in un camerino con tre di questi completi scelti da
Helèna e dalla commessa. Meccanicamente mi spoglio e indosso
il primo.
E’ di un lilla chiarissimo, la stoffa è leggera e
morbida. Mi volto automaticamente verso lo specchio a parete del
camerino e, per la prima volta davvero, mi guardo da capo a piedi.
L’abito mi scivola addosso con delicatezza, si adatta
perfettamente alle forme del mio corpo. A tutte le forme.
E la mia pancia si vede. Anzi, l’abito la mette
sfacciatamente in risalto. Resto incantata, gli occhi catalizzati sul
ventre.
Sono incinta.
Aspetto un bambino.
Da Lui.
Chiudo gli occhi e, forse per la prima volta, consapevolmente mi
accarezzo la pancia. Le dita della mia mano sono fredde, ma attraverso
la stoffa non sento differenza di temperatura. Forse … forse
non c’è. Forse anche l’esserino che sta
crescendo dentro il mio corpo è freddo … freddo
come Lui.
«Bella?» la voce di Helèna da dietro la
porta mi fa sussultare. Sfilo velocemente l’abito e rimetto i
miei vestiti, senza misurare gli altri due. Esco e il lampo di
preoccupazione nello sguardo di Helèna va via
immediatamente, per far spazio al sollievo. Scuoto leggermente il capo
porgendole gli abiti che non ho provato e trattengo tra le mani quello
lilla. Lei capisce e poggia gli indumenti che le ho passato sul bancone.
«Non vuoi provare qualcos’altro? Ci sono delle
camicette davvero deliziose lì dietro» dice
accompagnando le parole con un gesto della mano, ma io abbasso gli
occhi.
Mi poggia, quindi, una mano sul braccio all’altezza
dell’omero e mi accarezza con dolcezza: «Sei
stanca?» mi chiede e sento nel suo tono un vago senso di
colpa.
Annuisco lievemente e so di non dire una bugia. Credo di averne
abbastanza per oggi. Ho voglia di rimettermi a letto.
C’abbiamo impiegato un po’ più di
mezz’ora - l’orologio sulla cassa indica che sono
le dieci e trenta - ma non importa.
Usciamo con due pacchetti che Helèna si è
ostinatamente impuntata a pagare e a portare. In uno
c’è l’unico abito che ho provato. In un
altro una tutina. Giallo polvere. L’ha scelta lei mentre io
la guardavo, assente.
E’ come se la consapevolezza della presenza di questo bambino
mi colpisca ad ondate. Non riesco ad immaginarlo, forse non voglio.
Forse ho soltanto paura di farlo.
Perché fantasticare su di lui comporterebbe includere anche
colui che so di non poter più includere nella mia vita. E
adesso non posso proprio permettermelo. Non sono ancora pronta ad
affrontare questo tipo di pensieri.
La giornata è fredda. Mi stringo nel cappotto.
Helèna affretta il passo, mi lancia un’occhiata e
chiama un taxi. Mi siedo dietro, mentre lei prende posto davanti, di
fianco al tassista. Il tragitto è breve, non siamo molto
distanti dal campus, ma credo che non voglia che mi stanchi troppo.
Arriviamo quasi sotto il portone del dormitorio.
Apro la portiera appena sento che l’auto si ferma, mentre
Helèna si attarda a pagare la corsa.
Ho messo giusto il naso fuori dall’abitacolo che mi blocco
all’istante.
Proprio davanti l’edificio principale – circa a
trenta metri di distanza dall’auto - ondeggiano con grazia ed
eleganza una zazzera scura e una massa inconfondibile di capelli
rossicci tutti in disordine.
E in mezzo a loro … una folta chioma bionda.
EDWARD
Ritornare a casa non mi è mai costato tanto quanto in questo
momento. Nemmeno quando, in preda alla mia “ribellione
giovanile”, ho girovagato per un paio d’anni alla
ricerca di uno scopo per la mia esistenza dannata, per poi
ritornare da Carlisle ed ammettere di aver sbagliato. Nemmeno in
quell’occasione ebbi mai timore di incontrare lo sguardo di
disapprovazione di mio padre. Sapevo che mi avrebbero accolto, di nuovo.
Adesso … invece. Adesso non sono in cerca di perdono, e non
avrei mai potuto essere sincero. So che la mia presenza sarà
fonte di sofferenza e non posso far nulla per evitarla.
Per la mia famiglia, per Bella.
La situazione in cui io e lei ci troviamo è spinosa. Pensare
che tutto si sarebbe potuto risolvere senza danni era solo pura
illusione e non l’ho mai creduto possibile. Ma avevo supposto
… sperato,
che l’unico a risentirne sarei stato solo io.
Ora, mi rendo conto, soffriranno tutti. Carlisle ed Esme perderanno una
figlia, Alice, Emmett e Jasper una sorella, Rose … perfino
Rose, sarei pronto a scommettere, resterà male in cuor suo,
lei che tanto si era opposta a Bella, ma che aveva nel tempo imparato
ad apprezzarne silenziosamente l’onestà e la
bontà d’animo. Ma più di tutti,
soffrirà la stessa Bella nel dover comunicare, sempre che
decida di farlo e non preferisca il silenzio, la fine della nostra
unione.
Conoscere la verità, forse è l’unico
modo onesto per lasciare che tutti se ne facciano una ragione. E che,
finalmente, Bella venga lasciata in pace a vivere la propria vita.
Ma il pensiero dell’imbarazzo che tutto ciò
provocherà in lei mi turba. Io non voglio che si senta in
colpa per volermi lasciare o per il fatto che lascerà la sua
recente famiglia. Non voglio che senta di dovere delle scuse a
qualcuno, non c’è nulla di cui rammaricarsi, e lei
non ha nulla da farsi perdonare.
A conti fatti, sono io il cattivo.
E’ così che deve essere. E’
così che deve continuare
ad essere.
Non mi illudo sul fatto che il nostro non sarà un incontro
piacevole: è più che probabile che lei
non mi faccia nemmeno aprir bocca.
In tal caso … in tal caso l’accetterò.
E’ il minimo, dopo il modo spaventoso in cui l’ho
trattata e le risparmierebbe tutto il calvario di una spiegazione.
Forse, in cuor mio, spero davvero che lo faccia.
Esco dalla Volvo e già trovo Alice ad aspettarmi appena
fuori il parcheggio del college. E’ ancora furiosa con me. In
primis per il mio comportamento con Bella, ma anche per averla messa in
imbarazzo con Andrea. Per la felicità di Rose, la
studentessa italiana ha preferito cercare una sistemazione al college.
Nessuno ha avuto nulla da ridire, nemmeno la stessa Alice che si
è profusa in infinite scuse con la ragazza per il
comportamento più che discutibile del suo fratello più
affascinante, che da quel momento in poi, è
diventato il più menefreghista, vanitoso, pieno di
sé, irrispettoso, incivile latin lover
dell’intero complesso universitario.
Andrea, con più perplessità che fastidio si
è facilmente adattata al cambio di sistemazione. Come era
intuibile, non ricorda bene l’accaduto tra noi. Sa solo che
c’è stato un certo tipo di approccio da parte mia,
ma non ne riesce a definire completamente i dettagli. Non ricorda quasi
nulla di ciò che è successo alla Rauner. Da quando
mi sono avvicinato a lei a quando è arrivata Alice conserva
una memoria confusa, fatta di frammenti di immagini e sussurri. Mi sono
soffermato poco sui suoi pensieri, limitatamente alle ore che
trascorriamo in aula.
I contatti tra lei e mia sorella, infatti, restano inalterati per
ciò che riguarda il corso universitario che seguiamo e al
progetto di scambio culturale cui entrambe partecipano. Il mio ritorno
al college comporta anche il fatto che devo restare a contatto con loro
due per qualche ora al giorno.
Ma mi dico che è solo un accenno del castigo che merito e
che è davvero un piccolo prezzo da pagare se la ricompensa
è poter parlare con Bella.
Anche solo per un’ultima volta.
Ormai sono trascorsi cinque giorni da quando sono ritornato al college.
Bella non l’ho ancora incontrata. So che
è qui, ma non sono più entrato nella sua stanza
da quando Jasper è venuto a parlare con me al motel.
Si è deciso che l’avvicini. Se Dio
vorrà, le potrò anche parlare.
Ascolterò dalla sua stessa voce la verità, se
vorrà rivelarla. Scrutarla di notte, ormai non ha
più giustificazioni apparenti. Io non sono più
nessuno nella sua vita per poter rubare per me il tempo che Bella
dedica al sonno.
Quel tempo, ormai, non mi appartiene più. Forse non mi
è mai appartenuto e non l’ho mai capito, se non
adesso.
E poi, non sono ritornato per riconquistarla. Io devo lasciarla andare,
non tormentarla anche nel sonno.
Cinque giorni. Cinque giorni … e ancora non sono riuscito a
trovare le parole più adatte per parlarle.
Bella, la mia famiglia
vorrebbe delle spiegazioni da noi ... Stringo le labbra
all’assurdità dei miei pensieri, mentre altri, ben
più fastidiosi bussano alla mia mente.
Ho provato a chiamarla
ancora, ma non mi risponde. Pensa Alice dispiaciuta, ma
con un filo di irritazione. Il suo dispiacere va oltre la situazione in
sé. Bella non le ha voluto parlare quando è
andata al dormitorio lo stesso giorno in cui Jasper è venuto
da me. Si è accorta che era sveglia e ne è
rimasta profondamente turbata.
Sente che in parte la colpa dell’accaduto è anche
un po’ la sua, del fatto che non riesce più a
vedere con chiarezza gli eventi che accadranno nella vita di Bella. Ha
cercato nella maniera più petulante che conosce di
strapparmi qualsiasi informazione utile, una confessione, un accenno di
spiegazione. Al mio atteggiamento sfuggente ha opposto una
determinazione implacabile. Ma i buchi nelle sue visioni restano, forse
anche più di prima. E la sua frustrazione aumenta.
Sarà la più ostinata da convincere, una volta che
Bella dirà di volere andarsene via.
Alice mi affianca mentre incedo con passo sicuro per il vialetto di
ghiaia ai cui lati si accumula la neve.
Edward, così
non va. Dobbiamo andare al dormitorio. Sento che qualcosa ci sfugge.
Noi dobbiamo obbligarla a tornare!
Mi blocco e lei mi imita dopo un secondo.
«Non se ne parla, Alice. Noi non la costringeremo a fare
qualcosa che non vuole» osservo con freddezza.
Stringe le labbra stizzita. Sì,
ma se tu non avessi fatto quel teatrino, adesso non si rifiuterebbe di
parlarmi! Almeno chiamala! Magari se lo fai tu, risponde.
Pensa lei esasperata.
Magari no.
Penso io di rimando. E un’intensa sensazione di delusione mi
colpisce all’idea di provocare disgusto nella mia amata con
una mia telefonata inopportuna. Farlo sarebbe come imporle la mia
presenza con la forza, obbligarla a rivolgermi la parola.
Ma cosa pretendi,
Edward? Che vedendoti passeggiare per il campus, si fiondi tra le tue
braccia e ti implori di tenerla con te?! Continua Alice
come una mosca fastidiosa che ti ronza nell’orecchio
insistentemente.
Riprendo a camminare, senza degnarla di una risposta.
No, che non pretendo che mi si avvicini. E’ proprio questo il
punto. Voglio che si senta libera di ignorarmi, se lo desidera.
A metà tragitto per l’edificio principale
incontriamo Andrea. Ci osserva attentamente e, ignorando lo sguardo che
mi rivolge, cerco di tenerla fuori dalla mia testa. Se è
vero che non ricorda molto di ciò che è successo,
è anche vero che la situazione ha suscitato la sua
curiosità.
Cosa spinge un uomo sposato a cercare la compagnia di una ragazza che
non è sua moglie? Cosa è successo tra loro?
Queste, solo alcune delle domande che affiorano nella sua testa quando
mi guarda. Quando le siamo abbastanza vicini, Alice le sorride e lei la
ricambia con una mezza smorfia. Anche di questo mia sorella si sente in
colpa: se non si fosse fatta coinvolgere nel progetto dalla Watsford,
Alice pensa che non sarebbe accaduto nulla.
Io so, invece, che si sarebbe solo prolungata l’agonia di
Bella. Chissà quanto tempo le ci sarebbe voluto per capire
che nella sua vita merita di meglio che avere uno come me al suo fianco!
Sorrido amaramente, mentre ci avviciniamo all’edificio
principale, diretti alla nostra aula. Alice conversa distrattamente con
Andrea, io ne approfitto per scostarmi a lato di quest’ultima
e mettere un po’ di distanza tra me e mia sorella che, si
ostina a bombardarmi con i suoi pensieri molesti. E’
già mattino inoltrato, gli studenti camminano
frettolosamente alla volta delle rispettive destinazioni. I loro
pensieri uniti a quelli di Alice mi infastidiscono e mi concentro per
tenerli fuori dalla mia mente. Di recente, specie a casa, mi capita
sempre più spesso di doverlo fare e ormai mi viene quasi
spontaneo creare il vuoto nella mia testa. Sono qui con il corpo, al
loro fianco, mentre i miei pensieri sono occupati da ben altre
immagini, a profondità ben diverse.
Svoltiamo nel vialetto che porta all’ingresso principale
proprio nel momento in cui un taxi sfila dolcemente nel viale a fianco
al nostro, prendendo la diramazione opposta. Saliamo le scale, ma
d’un tratto mi blocco come colpito da una sensazione che non
riesco a definire completamente.
E’ una senso di disagio, uno strano presentimento …
Mi volto un attimo e faccio spaziare lo sguardo velocemente nel mio
raggio visivo registrando milioni di particolari in pochi istanti:
studenti, volti che non conosco, operai su una scala che sistemano un
lampione al fianco di un‘aiuola, un inserviente spinge cumuli
di neve ai lati dei vialetti, un taxi che rallenta nei pressi del
dormitorio a trentacinque metri di distanza da qui, forme e colori di
ogni oggetto che il mio sguardo riesce a sfiorare più o meno
consciamente.
Apparentemente, nulla di strano.
Edward, che
c’è? Pensa Alice allarmata. Scuoto la
testa, ma ancora non riesco a staccare lo sguardo, come se una forza
sconosciuta mi attirasse prepotentemente.
Poi, il viso di Andrea mi si para davanti: «Ehi
bell’addormentato! Non ho intenzione di far tardi. Sono quasi
le undici.»
La osservo come se fosse un’aliena e devo avere davvero
un’espressione terrificante, perché indietreggia
di un passo sbilanciandosi sul gradino dietro di lei. Le afferro un
braccio automaticamente un attimo prima che rotoli indietro e lei si
aggrappa alla mia spalla con un movimento istintivo.
«Umh … grazie» dice un po’
confusa, trattenendo un secondo la presa su di me per riprendere
stabilità.
Le lascio il braccio praticamente subito e non le rispondo nemmeno.
Mi volto e varco l’ingresso principale.
NOTA
DELL’AUTRICE: Innanzitutto CALME! Il cappy non si conclude
così, prevede un altro BPov, ?Pov e un EPov. Potevo mai
postarveli tutti insieme? Nu, vi rispondo io. Comunque il 26
vedrà la luce a breve, promesso.
Riponete le accette e
sedate i bollenti spiriti … mani mozze e arti sanguinolenti
non sono previsti in questa storia XD
Alcune delle risposte ai
vostri commenti sono piuttosto lunghette, anche per questo ho tagliato
il cappy a metà. Inoltre è necessaria una
spiegazione tecnica (servirà per il prox cap) che, me
tapina, ho omesso di darvi, ma che avrei dovuto specificare. Comincio
proprio da questa.
----------inizio
spiegazione tecnica----------
Molti di voi si sono
posti una domanda più che lecita: Ma Alice non avrebbe
dovuto vedere qualcosa, sentire il battito del bambino di Bella? A
maggior ragione, non avrebbe dovuto sentirlo Edward che si avvicina al
letto di Bella da una settimana?
Cercherò di
rispondervi in maniera chiara, però seguitemi. -.-‘
Allora normalmente il
battito fetale si avverte intorno alla quarta settimana di gestazione.
Le immagini del bambino e il suono del suo cuore vengono rilevati
tramite un apparecchio che si chiama ecografo il cui funzionamento si
basa sugli ultrasuoni.
Gli ultrasuoni sono delle
onde longitudinali di piccola lunghezza d’onda e frequenza
elevata, non udibili dall’orecchio umano. Diciamo udibili da
un orecchio vampiro. Vengono emessi e registrati
dall’ecografo. Diciamo che un vampiro è come un
ecografo (ù.ù)
Mi perdoneranno gli
esperti in fisica per la mia spiegazione banale, ma penso che essere
più particolareggiata in questa sede non sia utile.
Gli ultrasuoni si
propagano con una certa velocità, ma per farlo hanno bisogno
di un mezzo (ad esempio il corpo umano). A seconda del substrato, a
seconda della sua densità e delle forze di coesione delle
sue molecole, ci sarà una diversa velocità di
propagazione dell’onda al suo interno.
C’è un parametro che si chiama Impedenza Acustica
che rappresenta la resistenza intrinseca della materia ad essere
attraversata dagli ultrasuoni. Essa condiziona la loro
velocità di propagazione nella materia ed è
direttamente proporzionale alla densità del mezzo. Diciamo
che la pelle dei vampiri ha la massima impedenza acustica.
Ogni volta che gli
ultrasuoni incontrano un substrato, a seconda della sua Impedenza
acustica, il fascio viene in parte
riflesso (torna indietro) ed in parte rifratto
(cioè assorbito dai tessuti sottostanti). Il fascio riflesso
viene chiamato anche eco e da origine alle immagini.
Entrando nello specifico
il battito fetale viene rilevato per un effetto chiamato Doppler, per
il quale servono delle frequenze moooolto minori rispetto a quelle che
servono per rilevare le immagini. Per intenderci è
più facile sentire il battito del bambino che vedere il pupo
nel monitor.
Ora, se Edward avesse un
cuore che batte e io (!!!!) mettessi una penna ecografica sul suo
torace
(Gesùùùùùù!!!!!!)
non riuscirei a vedere o sentire nulla, perché gli
ultrasuoni non passerebbero attraverso la sua pelle che ha la massima
impedenza acustica. Verrebbero, cioè totalmente riflessi
senza poter assolutamente penetrare. Se gli ultrasuoni non passano, non
vedo perché il semplice rumore del battito prodotto dal suo
cuore dovrebbe passare dall’interno del suo corpo
all’esterno. Anche se avessi un superudito, non lo potrei
percepire. Ma il bimbo è (teoricamente) solo mezzo vampiro,
la sua pelle potrebbe avere un minore valore di impedenza acustica. Il
suo cuore potrebbe sentirsi. Si, ma la placenta che accoglie il bimbo
di Bella è tutta pelle di vampiro 100% original (:D). Quindi
niente entra (ecografo completamente cieco) e niente esce (il battito
non supera la placenta).
Dunque, se nemmeno un
ecografo (per il quale si dispone di potenze molto alte) può
registrare immagini o suoni provenienti dal feto (almeno ciò
è quello che ricordo da BD o che io ho recepito
così), nemmeno Alice e Edward sentono il terzo battito.
Questa è la
mia versione e la versione ufficiale per “In the arms of the
angel”.
Per i meno esigenti posso
addurre una spiegazione più banale, ma forse meno
soddisfacente, almeno per ciò che riguarda Alice.
Alice va al dormitorio
per incontrare Bella. Non dovrebbe sentire solo un terzo battito, ma ne
sente moooolti di più: quelli di tutti gli altri studenti
che vivono lì. Potrebbe realizzare che un altro battito
viene dall’interno della stanza. Ma perché,
c’è qualche regola che impedisce ad
Helèna di avere ospiti nella sua stanza?
D’accordo, direte voi. Ma non vede? No, vi
rispondo. Alice non vede Bella, né quello che la coinvolge.
E il bimbo potrebbe anche distorcere la sua sensibilità
percettiva (come veggente ad Alice vengono le emicranie) e uditiva.
Ma Edward? Non nota che
ha il pancione? No, Bella ha una pancia di “quattro
mesi” non una di nove e sta sotto le lenzuola raggomitolata.
Avrà anche la supervista, ma non ha ancora la vista a raggi
X. Ma non sente il battito? No, la versione ufficiale è
quella che ho dato prima.
Spero di essere stata
esauriente/convincente/verosimile.
Ovviamente mi riferisco
alla mia storia e rispetto i diversi punti di vista che ho avuto modo
di apprezzare in altre ff che toccano lo stesso argomento. So
che fra voi lettori ci sono persone che frequentano medicina, fatemi
notare se ho scritto caSSate, plis. Io non sono un tecnico per la
diagnostica delle immagini, ma sono del campo sanitario, potete anche
essere più specifiche, so che ci capiremo XD
--------fine
spiegazione tecnica--------
:si asciuga il sudore:
Passo alle risposte ad personam, scusate per la secchezza di alcune e
per i papielli di altre. Non sono indice di minore o maggiore
gradevolezza da parte mia, vi assicuro.
Checca Cullen:
Si prostra davanti al Rosso Montepulciano…mia cara :*** ma
quale commento al vetriolo! :adora il vetriolo: GraSie cara, gentile
come sempre…ma non essere blasfema…nulla
è come i Cullen *.*
cloe cullen:
Ciao cara! Sicchè sei una zietta a tempo pieno!!!!
Bello e lodevole da parte tua dare una mano a tua sorella :)
So cosa significa accudire un bimbo piccolo (anche più di
uno, in realtà :P), quindi hai tutta la mia comprensione :)
Baci e grazie per la tua recensione XD
piccolinainnamora:
Grazie! Sei davvero gentile a leggerti e a commentare così
tanti capitoli in poco tempo. Mi spiace, ma prima di così
non riesco a postare…purtroppo ho una giornata abbastanza
piena e non sono ancora riuscita ad allungarla almeno a 36 ore :P Baci
garakame:
Ciao, spero che “spiazzata” sia positivo :P Spero
anche di riuscire a riabilitare Ed ai tuoi occhi nei prossimi capitoli.
Baci :)
Confusina_94:
Bacioni anche a te! Spero che la mail ti sia arrivata :)
Mirya: Ciao
Mirya! Innanzitutto grazie. Per aver letto finora (spero anche poi),
per aver scelto di commentare e per averlo fatto senza la dote (?,
dipende dai punti di vista) della sintesi. Devo ammettere di aver
dovuto leggere la tua recensione due volte. E non perché
fosse poco chiara, ma perché lo è stata fin
troppo. Come molte, la folgorazione da libri della Meyer mi ha scavato
una voragine dentro che necessita di essere riempita di tanto in tanto
e, da qui , nasce il mio modo di giocare con i suoi personaggi. Ho
scelto di inserirli in questa realtà perché ho
sempre pensato che fosse davvero un peccato che Bella perdesse
l’esperienza del college, una di quelle che io ricordo con
più piacere (leggici pure “vecchia”, se
vuoi, io preferisco “vissuta”). Il carattere di
questi due testoni non poteva discostarsi dai personaggi di zia Stephe.
Sono suoi, in tutto. Lo prendo come un complimento il fatto che nella
mia storia rimangano infantili e insicuri così come zia
Stephe l’ha dipinti. Entrambi. Sono due adolescenti (Edward
forse più di Bella, perché era un adolescente
della prima metà del 1900 e si ritrova a fare i conti con
l’amore per la prima volta dopo 100 anni in una
realtà totalmente diversa. Nel suo tempo sarebbe
già stato uomo, ma in quello di Bella, dove tutto
è accelerato, lo potremo definire inesperto) che
dell’amore non sanno nulla, che commettono cose meravigliose
come gli errori e i gesti istintivi, un po’ plateali se
vogliamo, ma totalmente esenti dal vizio della maturità.
Certo che non sono maturi. Se lo fossero stati non sarebbe in questa
sezione che avrei postato questa fic. Probabilmente non sarebbe stata
nemmeno questa la storia. Ma, ti dirò, non ci trovo nulla di
male. Al contrario. La dolce impulsività dei personaggi, le
loro debolezze, i loro difetti, parlano di un’innocenza che
appartiene a loro e (ahimè) non a NOI. L’analisi
che hai fatto è sicuramente accurata ed esatta. Loro non
sanno amare. Almeno non ancora. Io ho cominciato a farlo solo da poco
(non siamo vecchie cara, anche io ho passato la trentina, diciamo che
siamo un po’ più
…”vissute”?! Ecco ;) ). E non me ne
faccio una colpa se tante (ma davvero TANTE) volte ho amato
egoisticamente, ho fatto delle caHate che a ripensarci me faccio
più rossa di un gambero, ho elemosinato un gesto
d’amore o una carezza. Per cominciare ad imparare ad amare io
sono passata attraverso un lavoro davvero duro di consapevolezza di me
stessa. Come Bella, io sono stata insicura, debole, succube. E ho amato
anche chi non l’avrebbe in realtà meritato. Ma uno
non può amare solo i meritevoli, gli altruisti e i buoni.
Quella sì che è fortuna sfacciata. Anche se
Edward non è il paladino, non credo che Bella lo ami solo
perché è figo. Ma credo che sì, lo
ami. E che il suo amore sia distorto
dall’insicurezza per se stessa. E’ probabile che
Edward, anziché aiutarla nell’accettazione di
sé, agisca in senso contrario, ma chi non l’ha mai
fatto? Io almeno un centinaio di volte. Ho pensato di far bene, secondo
il mio metro di giudizio, peccando di arroganza (spero di non andare
all’inferno!), ma spesso ho cercato di far valere il mio
pensiero su quello altrui. Che abbia sbagliato, è stato
anche vero, ma non sempre. Ma io ho più di
trent’anni. Non meno di 20. Alla loro età, mi era
concesso di poter “sbagliare” in quel modo, non
vedo perché dovrei affermare che il loro è un
errore. Per come la vedo io è un’esperienza.
E’ attraverso
esperienze come queste che oggi io la penso come te.
Edward che ritiene che
l’umanità di Bella sia uno svantaggio, scusami, ma
non lo condivido. Non mi pare di aver mai scritto nemmeno un rigo in
tal senso. Se ho lasciato intendere una cosa del genere mi scuso
formalmente, perché non era intenzionale. Io penso che sia
stupendo il modo in cui in ogni istante lui lotti con se stesso proprio
nella speranza di preservare l’umanità di Bella.
Sarà insicuro, sarà un cretino egoista, un
ignorante del comportamento umano (e di sua moglie in particolare), ma
lasciare il campo a chi potrebbe conservare quella stessa
umanità di cui sopra, farsi da parte, pur desiderando ancora
EGOISTICAMENTE la sua donna, cercare di liberarla da quello che
–lui crede – sia il senso di colpa per dovergli
rivelare di volere un altro … scusami di nuovo, ma io qui ci
vedo dell’altruismo. E ci vedo amore.
Edward è
“magnificamente imperfetto”. Ed è un
personaggio carismatico, affascinante e coinvolgente proprio
perché nonostante i suoi 100 anni, nonostante la sua
bellezza, nonostante tutta la sua “fighezza”
(concedimi l’espressione orrenda) è proprio pieno
di tutti i difetti di ogni uomo, se non qualcuno in più
anche. E non credo affatto che l’avrei adorato se, invece di
dire a Bella:«Odiami. E sii felice», avesse
detto:«Tesoro, potresti, per favore, spiegarmi il motivo per
cui le tue labbra erano vicine a quelle del tuo professore?»
Se agiscono
d’impulso, sbagliano, si feriscono, si tendono fin quasi a
spezzarsi e tuttavia stanno ancora insieme, si cercano, si pensano
… qui, di nuovo, io ci vedo amore.
Cito: “...
reale capacità di comprendersi, accettarsi nei difetti,
ascoltarsi nei momenti bui, starsi accanto in modo complementare.
Niente di perfetto, ma qualcosa di meravigliosamente
imperfetto.”
Cara, carissima Mirya
… non mi sembra che si possa aspirare a qualcosa del genere
senza dire di tendere alla perfezione. Non è assolutamente
“meravigliosamente imperfetto”. E’ per
questo, per la tua visione matura dell’amore che non puoi
fare a meno di giudicare i nostri due giovani eroi. Perché
loro sbagliano. Mentre secondo te non dovrebbero. Ma loro hanno 18-20
anni. NOI ne abbiamo qualcuno in più.
NOI abbiamo vissuto una
delle esperienze più sconvolgenti e nello stesso tempo
più responsabilizzanti della vita: diventare madri. Da qui
“reale capacità di comprendersi, accettarsi nei
difetti, ascoltarsi nei momenti bui, starsi accanto in modo
complementare” assume un senso e un significato davvero
importante. E’ giusto ed io la penso come te. Ma non
è questo il metro di giudizio che devi usare con quei due
là (i nostri giovani eroi).
Sii indulgente nei loro
confronti.
Loro non sanno ancora
amarsi … e sarà bello per NOI poter assistere
alla loro evoluzione, alla loro crescita, al raggiungimento della loro
consapevolezza e del loro essere “una per
l’altro”. Ci sto lavorando. La storia non
è ancora finita. Se è vero che nella vita si
sbaglia, è anche vero che è bello poter dare a
volte un’altra possibilità. Nella mia storia, loro
l’avranno.
Da inguaribile romantica
quale sono io (e spero sarò sempre), ti dico che
l’amaro in bocca ci vuole. Serve per assaporare con
più gusto il dolce.
E se anche loro (o adesso
stiamo parlando di NOI?) un giorno dovessero ri-ferirsi, pensi che solo
per questo motivo possiamo dire che non c’è stato
il lieto fine?
Io penso di no. E, poi, a
me la parola FINE non m’è mai piaciuta.
Per quanto riguarda il
tuo piccolo dubbio sulla gravidanza, ho dato la spiegazione nelle note
generali.
Ti faccio i miei auguri
per il recente acquisto della tua famiglia. So cosa significa scrivere
e ritagliarsi uno spazio in queste circostanze, io per altro ho
già bissato, quindi, posso capirti ancora di più.
Grazie dei pensieri che
hai voluto condividere con me. Spero di essere riuscita a
chiarire come il mio intento non sia stato quello di
smantellare la tua recensione, ma piuttosto di darti la soddisfazione
che meriti per aver impiegato un po’ del tuo tempo a leggere
e commentare il frutto del mio cervellino allucinato.
Ti saluto con affetto :)
LOVA: E
sì, in effetti Edward è un po’
teatrale… e non hai ancora visto niente…! Baci XD
Mgt88: mmmm
GRAZIE XDDDD!! Ma niente rigiri, solo puro SADISMO 100% XD
SweetCherry:
Grazie, soprattutto per il fatto che cerchi di non chiedermi quando
posto -.-‘ Io per prima vorrei essere più veloce,
ma se vedeste in che condizioni scrivo, mi direste” Cara
M.Luisa, ma chi caSSo te lo fa fare?” Faccio del mio meglio,
e so che lo sapete *.* Grazie ancora, baci
angteen:
GraSie cara, gongolo quando siete così
“ripetitive” XD Bacioni
harley1958:
Ciao cara, ma Ed se n’è accorto che Bella
è anemica e che i suoi globuli bianchi sono alle
stelle…è che non sa il motivo…inoltre
non ha ancora incontrato Helèna da quando
quest’ultima ha saputo che Bella è incinta XD Baci
grepattz:
Alice merita un premio…Jazz tutto infiocchettato nel suo
letto (o pavimento o quello che vogliono loro…) !! Baci cara
XD
LittleCullen:
Francesca carissima XD Nella nota generale ho cercato di dare risposta
anche alle tue perplessità. Spero di essere stata chiara.
Sono nel campo sanitario, sì. Ma non volevo essere troppo
tecnica, spero di essermi riuscita a spiegare abbastanza. Se hai altre
perplessità chiedi pure. XD
piemme Grazie
davvero :ditini: Continua a seguirmi, fra poco ci saranno
novità succulente…XD
arual93: E
anche qui siamo un po’ di
passaggio…l’azione ci sarà. Presto.
Promesso XD
superlettrice:
Sei siciliana!!!! Dimmi di sì, la mia nonna è di
Messina e io adoro la Sicilia e i siciliani XDDD Per i tuoi
dubbi…ne ho risolti un po’ nelle note generali?
keska:
Cherì *.* Siamo rovinate…speriamo in un ospedale
per veder comparire Carlisle con il camice
svolazzante…povere noi! E, sì Alice è
stata grande e Jazz…mmmm è il mio punto debole,
lo ammetto XD Bacioni mia adorata :)
ginny89potter:
Sicura sicura che non si può scendere più in
giù, Martina? O.o Mi affido alla tua fantasia…so
che non mi deluderai XD. Grazie delle tue minacce su
twitter…ma mi cogli sempre all’ora de pranzo o
cena, quando sto a magnà!!! Non riesco mai a replicare. Io
c’ho famiglia, nun te scordare questo particolare :))) Prima
o poi ti becco, non dubitare XD
kikkikikki:
Grazie tesora!!! Sei quasi più cattiva di me…:)
Quasi. Aspetta e vedrai :si sfrega le mani: nei prox capitoli ho in
mente delle kikke (!) davvero terrificanti Mhuahuahauhauah
VampGirl:
Irina, Bella l’abbiamo fatta uscire, anche se era meglio che
se ne restava in camera, no?! Il capitolo non si conclude
così, il prossimo spiega di più. Grazie per i
complimenti *.*
mine: Grazie
:si commuove: gongolo compulsivamente quando dici che sei stata felice
di vedere il mio aggiornamento. Thanks XDD Cattivella anche tu, eh?
rodney:
BHUAUAUAUAUAUAHUAHUAHAUAH il paladino senza cavallo!! :rido fino al
2999: Simona tu mi farai scoppiare qualche capillare nel cervellino
allucinato… Bella diventerà una battona e Edward
una draquine XD
sily85:
tesoro…vi stavo facendo perdere il sonno con il
teaser…però siete state brave, bravissime! Le mie
feste sono andate bene…stancanti, ma serene. Grazie mia cara
e un bacione con schiocco *.*
tsukinoshippo:
Che dire, mi fai diventere di tutte le sfumature
dell’arcobaleno con i tuoi complimenti. Grazie Cam (:***) sei
la mia spalla su cui mi poggio nei momenti difficili e non. Che potrei
dirti? Ogni tuo commento è così preciso,
chiaro…Concordo su Jazz, lo ammetto, dopo Ed è il
mio preferito. E ti spoilero che avrà una parte nel prossimo
capitolo. Ora mi fermo, sennò ti mando anche quello e allora
mi bannerai dalla tua rubrica mail! A presto Baci *.*
alicecullen_robert:
Oh grazie mia cara! La recensione più lunga per me!!! Spero
di non deluderti per i prossimi capitoli, perché, purtroppo,
la mia mente allucinata funziona in modo un po’ contorto e
non seguo mai dei fili convenzionali…Baci XD
yle94:
nu, ci vuole ancora un pochetto affinchè si sistemi
qualcosina… Bacioni XD
lisa76: mmmmm
calma e sangue freddo. Se non fosse così, la parola The end
già l’avrei messa assieme al fiocco (rosa o blu?)
Baci XD
Piccola Ketty:
Nuuuu non come Beautiful!!! Da quando ho cominciato ad avere un
po’ di sale in zucca non l’ho più
visto…spero che non farete la stessa cosa anche voi con la
mia ff!!!! Baci cara *.*
erika1975:
Yes… “l’amore è irrazionale.
Più ami qualcuno, più perdi il senso delle
cose” … credo calzi a pennello,
zìzì. Baci XD
Il teaser … :si nasconde: era la pecora Dolly --->
Dolly’s negozio in cui si recono Bella e Helèna.
Lo so,mi state bestemmiando in sanscrito -.-
Detto ciò,
piccola comunicazione di servizio a cui penso sia giusto mettervi al
corrente. Sto scrivendo il continuo della OS “Una sera, per
caso…”. Purtroppo questo significa che ho meno
tempo e devo sacrificare qualcosa. Non riuscirò a rispondere
sempre alle vostre meravigliose recensioni, lo farò
più saltuariamente, ma mi sembra corretto informarvi.
Altra comunicazione (ma
quanto rompi oggi!!): è nato un blog mooolto carino e ben
fatto. Vengono segnalate le ff che gli stessi lettori ritengono
più interessanti. Dateci un’occhiata e commentate!
Le ragazze che lo curano sono molto in gamba e serie. Qui il link.
Credo che sia tutto.
:coro di ola da parte dei lettori:
Grazie
M.Luisa
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