CAP.26
BELLA Elisa
– Eppure sentire
Avevo
ragione. Il mio primo , primissimo pensiero.
Uscire non poteva che
essere una pessima idea.
Lo shock iniziale, viene immediatamente sostituito
dall’istinto e, con uno scatto, porto indietro la testa
richiudendomi la portiera contro.
Edward, Alice … qui, a pochi metri di distanza da me.
Sono ancora qui, ad Hanover.
Lui è
ancora qui.
Sollievo, gioia … e, poi … paura, dolore.
Roteo il busto quel tanto che mi permetta di poterli osservare e mi
appiattisco contro la portiera. Sono ancora nel mio raggio visivo. Li
vedo, li vedo. Mi danno le spalle, ma sono loro. Inconfondibili nella
solita grazia, la solita eleganza e fluidità nei gesti.
Stanno solo camminando, come è possibile che anche nel
compiere un movimento così banale, siano perfetti comunque?
Ma per una volta, i miei occhi non vengono irrimediabilmente
risucchiati dalla loro spietata bellezza, e si soffermano sulla ragazza
che cammina in mezzo a loro.
E’ lei?
Quella della Rauner?
Mi stupisco di non ricordare dei dettagli così importanti.
Forse perché in quel frangente, nulla avrebbe potuto
distogliere i miei occhi da altri due, ambrati,
cristallizzati nella più gelida delle sfumature dorate che
abbiano mai assunto.
Sembra lei. Era bionda.
Era bionda?
Stringo gli occhi, deglutisco.
Continuano a camminare, salgono i pochi gradini che li separano
dall’ingresso principale.
Stanno per entrare, fra poco non li vedrò più.
Riporto lo sguardo su di lui, spingendo la mia mente da umana a fare
uno sforzo incredibile, affannandomi per fotografare questo momento e
conservarlo per la mia solitudine.
Quanti secondi sono passati? Dieci, venti? Quanti?
Quanti me ne restano? Pochi,
penso con amarezza. Troppo
pochi.
Spalanco gli occhi, come se aprendoli di più riuscissi a
vedere meglio, ad incamerare più dettagli, a rubare qualche
fotogramma essenziale che, in seguito, mi pentirei dolorosamente di non
essere riuscita a cogliere se solo avessi prestato più
attenzione.
Mi rendo conto che stanno per sparire dalla mia visuale e scelgo
volontariamente di prestare la mia attenzione solo a lui.
Lui, che fino a pochi giorni fa ho creduto essere mio.
Lui, che ha giurato di amarmi.
Lui, che avrei giurato mi amasse sopra ogni cosa.
No, Bella. Risposta sbagliata. Tu hai sperato che ti
amasse, ma, in fondo, non hai sempre saputo di non essere abbastanza
per lui? Di non avere abbastanza fascino, resistenza fisica,
intelligenza, prestanza, grazia … di essere, insomma, solo e
ancora un’umana imperfetta?
Sì, Bella. Risposta esatta. Tu questo
l’hai sempre saputo. E dal saperlo al vederlo
c’è stato proprio il breve spazio di quel bacio.
Prendo un breve respiro e mi piego leggermente con il busto in avanti,
corrugando la fronte, gli occhi si abbassano. Il ricordo è
un pugno allo stomaco e mi fa male, male come se lo vivessi di nuovo.
Ma testarda, rialzo di nuovo lo sguardo sul mio angelo.
Cosa sento? Cosa provo? Lo amo di meno?
No, dannazione! Perché non riesco ad odiarlo?
Perché non mi giro, non spezzo questo filo che,
disperatamente, cerco di allungare fino a lui?
Perché mi rifiuto di accettare ciò che
è successo? Perché lo osservo ancora e ancora ho
un moto di speranza dentro?
Si ferma. E, mantenendo rigido il busto, volta il capo.
Verso di me.
Spalanco gli occhi, ma non mi muovo, non sbatto nemmeno le palpebre.
Trattengo il respiro, perfino.
Pochi secondi, poi mi pare muoversi, scuote la testa forse.
E, poi, non lo vedo più. Biondi capelli si frappongono nella
mia visuale, mentre il mio corpo vorrebbe urlare con la voce che non ho
più.
Quando la vista mi si annebbia, capisco che devo respirare. Lo faccio,
ma i miei respiri sono veloci, brevi e affrettati, mentre con la bocca
lievemente aperta i denti stringono forte il labbro inferiore.
Quando la sua
mano le afferra il braccio e lei gli si aggrappa alla spalla, sento
mille piccoli brividi partire dal centro del mio corpo e arrivarmi fino
alla punta delle dita, portando via con loro la sensibilità
di ogni centimetro della mia pelle.
La bocca mi si secca d’un tratto e l’aria che entra
mi graffia la gola.
Un attimo. Un attimo, e non ci sono più.
Continuo a fissare l’ingresso dell’edificio,
perché l’aria che adesso occupa lo spazio dove
prima c’era lui sarà ancora impregnata del suo
dolcissimo odore, e non voglio perdermi nemmeno questa illusione.
«… Bella?»
Quando qualcosa mi scrolla per la spalla, mi lascio scuotere come una
bambola di pezza, ma non mi volto, gli occhi ancora immobili
«Bella, perché fai così?»
Così?
Così come?
E’ poca la forza che mi costringe a girare il viso, ma sono
preoccupati gli occhi che incontrano i miei.
E quando ne perdo il contatto e vedo che si abbassano su un punto al
lato del mio viso, percepisco con chiarezza il cambio di espressione.
Ormai sono brava nel capire queste cose solo dagli occhi.
Terrore.
Ecco cosa c’è ora negli occhi di Helèna.
«Oddio! Ma che hai fatto?! Bella? BELLA?» la sua
mano si alza fino al mio viso, la sua voce si alza progressivamente di
tono.
Quando ritrae la mano verso di sé, verso il suo viso, il suo
palmo riluce di qualcosa di umido e brillante.
Di rosso.
Rialza lo sguardo su di me, spaventata ancora di più se
possibile, e i suoi occhi si fissano sulle mie labbra.
«Smettila. SMETTILA!» la fronte è
aggrottata, le mani le tremano.
Un'altra voce, pesante, strascicata.
«Signorina? Che succede?»
E’ il tassista. E mi stupisco di quanto tutti i dettagli
intorno a me siano così chiari e nitidi. Forse, non sono poi
così inutile come umana.
Helèna riporta di nuovo gli occhi nei miei occhi e con la
voce tremula, ma piena di panico mi supplica:«Ti prego
… ti prego, non fare così», prende un
profondo respiro, chiude gli occhi, poi li riapre cercando di
recuperare il controllo :«Bella, stai sanguinando».
E mi mostra la sua mano intrisa del mio sangue.
Le fisso le dita, rosse e lucenti.
Sento un gorgoglio strano agitarmi la pancia e mi stupisco di non
avvertire alcun senso di nausea alla vista del liquido brillante.
Poi uno schiocco, un rumore secco come di un ramo che si spezza parte
dal mio torace, si propaga velocemente. Il mio cervello lo registra
distintamente un attimo prima che mi manchi il respiro completamente.
E un dolore potente, immenso invade il mio corpo.
Spalanco la bocca e gli occhi simultaneamente distorcendo
l’intero viso in una smorfia grottesca e premendomi una mano
giusto sotto il seno.
Ma la voce non riesce ad uscire, l’aria non riesce ad entrare
e, un secondo prima di perdere conoscenza, penso che sto per morire.
HELENA
«Si sbrighi!» grido secca al tassista, mentre il
pover’uomo, con la fronte imperlata dal sudore è
aggrappato con entrambe le mani al volante e credo stia già
spingendo l’auto alla massima velocità consentita.
«Signorina! Sto andando più veloce che
posso!» risponde lui un po’ esasperato, ma
chiaramente anche spaventato.
Bella è immobile tra le mie braccia. Quanto tempo
è che ha perso conoscenza? Dieci minuti? Di più?
Cerco di asciugarle un rivolo di sangue che le cola ancora sulla
guancia tirandolo via con la mano. Non faccio che imbrattarle ancora di
più il viso, ma non riesco a farne a meno.
Oddio, oddio
… Muoviti cazzo, muoviti! Vorrei urlare sulla
testa del tassista, ma mi impongo di mantenere un barlume di
lucidità. In ospedale ci devo portare Bella, non finirci
insieme a lei per un incidente frontale.
Perché non sono un medico? Perché non so cosa
fare, come aiutarla?
Sta male, respira appena, si è morsa la bocca fino a
sanguinare.
Nel momento in cui ho cominciato a sentire dei mugolii sommessi in auto
ho creduto che si trattasse della radio. Ma quando mi sono voltata, mi
sono accorta che era lei. Si lamentava, come se stesse provando dolore.
E non appena l’ho girata verso di me …
Chiudo gli occhi cercando di scacciare l’immagine della mia
amica con la parte inferiore del viso ricoperta di sangue e
le accarezzo piano i capelli.
Starai bene, starai bene
… in ospedale sapranno cosa fare, sapranno prendersi cura di
te … penso disperata.
Un pesante senso di colpa si somma alla preoccupazione per lei.
Devo chiamare i suoi familiari. Questo non è uno scherzo.
Bella è incinta, lo sanno? Come ho fatto a credere che
stesse pian piano migliorando?! Non parla da due settimane, mangia
appena … E forse, forse nasconderle le telefonate
di sua sorella non è stata un’idea così
brillante.
Ma ho creduto di far bene, di proteggerla. Perché
è da quando doveva parlare con suo marito che Bella si
è ridotta così.
Cosa faccio? Che dirò loro? A sua sorella Alice?
Mi ucciderà, avrebbe voluto farlo quando è venuta
al dormitorio, gliel’ho letto su quello splendido viso che
avrebbe desiderato farmi scomparire con enorme piacere.
Chiamo Edward? E se faccio un casino? Non l’ho mai nominato
in sua presenza, ma non ci vuole uno psicologo per capire che
è accaduto qualcosa di grave tra loro due …
Sì, ma adesso? Vale ancora tutto ciò adesso?
Bella sta male, ha bisogno di aiuto … Scuoto piano il capo.
Li chiamo,
decido.
E proprio in quel momento il taxi si ferma all’ingresso del
Pronto Soccorso dell’ Union Hospital.
Non appena il tassista mi apre la portiera vedo con sollievo due
infermieri avvicinarsi rapidamente, il passo sicuro. Uno dei
due spinge una barella.
«Cosa è successo?» mi chiede con fare
professionale il primo e lancia un’occhiata a Bella tra le
mie braccia, ma senza toccarla.
Mi accorgo di tremare solo quando la voce mi esce balbettante:
«E’ … è incinta
… era … eravamo in auto … ha preso a
lamentarsi e …»
«E’ caduta?» chiede lui osservando il
sangue sul viso di Bella. Deglutisco e cerco di ritrovare una parvenza
di calma nella voce «Si è morsa le
labbra».
Devo essere chiara e
coincisa. Devo mantenere la calma. Penso disorientata.
«Jimmy, vieni qui!» grida all’altro che,
in realtà è proprio dietro di lui.
«Dammi una mano, mettiamola sulla barella» e due
grosse mani me la sfilano con incredibile delicatezza dalle braccia.
«Ginecologia, subito». E si allontanano a tutta
velocità.
Li seguo immediatamente, ma devo tenere il passo rapido,
perché i due corrono quasi. Le hanno messo su una coperta,
ma è comunque distesa e posso vedere con chiarezza quella
pancia che in due settimane ha cercato con ogni sforzo possibile di
nascondere. Non mi ero mai accorta che fosse così evidente,
eppure viviamo nella stessa stanza. Sembra che sia cresciuta a vista
d’occhio. Sembra davvero una donna incinta di quattro mesi,
mentre so che non dovrebbe esserlo che da un paio.
O almeno credo.
La testa di Bella si muove a destra e a sinistra seguendo gli scossoni
che gli infermieri, loro malgrado, sono costretti a farle prendere
manovrando quell’inquietante lettino con le ruote.
Mi accorgo che mi stanno chiedendo qualcosa in maniera concitata, ma
non ho afferrato. Uno dei due mi lancia un’occhiata seccata e
ripete scandendo più forte:«A che mese
è?»
«Secondo … credo» dico e poi aggiungo
:«Ma le ultime analisi erano errate, e …
non ne sono sicura»
«Lei è una parente?» mi chiede mentre
continuiamo a camminare per dei corridoi infiniti.
«Un’amica» preciso e non appena apre una
porta con uno strattone, fa passare la barella e mi si para davanti
:«Mi dispiace. Entrano solo i familiari».
Sgrano gli occhi e scuoto vigorosamente la testa: «La prego,
la prego! Ha solo me!» mento spudoratamente e sarei disposta
a gettarmi ai suoi piedi, pur di restare al fianco di Bella.
Mi guarda per un secondo, poi emette un sospiro e dice
:«D’accordo. Ma solo perché è
sua sorella».
Annuisco velocemente e scivolo attraverso la porta aperta.
Appena entro mi accorgo che Bella è già stata
presa in consegna da una donna con lo sguardo determinato. Poche parole
con gli infermieri che ci hanno accolto al Pronto Soccorso e subito con
voce imperiosa chiama due nomi: «Ricky! Stanza 4. Marge, il
dottor Heinz. Subito!»
La stanza dove portano Bella è piena di macchinari di ogni
genere. Attorno a lei la donna e gli altri due si muovono precisi. Una
le misura la pressione, mentre l’altro avvicina una siringa
al suo braccio libero.
Sento che la testa mi gira e la signora più autoritaria deve
accorgersene perché mi guarda per un lungo istante
aggrottando le sopracciglia:«Non mi svieni, vero?»
chiede sbrigativa.
Scuoto la testa con forza e quando lei annuisce noto il cartellino che
sventola in bella mostra sul suo petto.
“E.Stock-Caposala”, riporta la scritta.
Ascolto le loro parole secche, per me prive di senso, che si scambiano
concitatamente e di nuovo uno strano senso di conforto mi avvolge.
Non sto capendo nulla, ma la loro aria professionale, sicura, mi
tranquillizza un pochino. Queste sono persone competenti, sanno cosa
devono fare. E Bella starà bene.
«Ehi, piccola?» la voce della caposala si fa
improvvisamente dolce mentre si rivolge alla paziente distesa sul
lettino. Le prende con delicatezza il viso in una mano, tenendolo fermo
e fissandolo con attenzione.
Oh Dio, quanto
è pallida! Mi accorgo osservandolo insieme a
lei qui da dove mi trovo io.
La signora stringe le labbra e sbraita rivolta all’infermiera
che sta staccando il bracciale per la misurazione della
pressione:«Il dottor Heinz l’hai
chiamato?»
La ragazza abbassa gli occhi :«Sì signora Stock,
ma è ancora in sala operatoria» ripone
l’apparecchio che ha usato su un carrello al suo fianco e
aggiunge:«Provo ancora?»
Intanto l’altro infermiere si avvicina con una specie di
computer con un grosso monitor sopra. E’ già
acceso, ma lo schermo è completamente nero, solo una
mezzaluna grigia lo divide nella porzione inferiore.
Conosco quest’apparecchio. Abby è stata sottoposta
a questo esame diverse volte quando era incinta di Holly. Serve per
vedere il bimbo di Bella, per accertarsi che stia bene, e che il suo
cuore batta.
«Chiama Joan, allora» risponde lei, poi rivolta a
me:«Come si chiama?» e fa un cenno con il capo
verso il lettino in direzione di Bella.
«Bella … » sussurro con un filo di voce.
La caposala si china verso di lei e le parla a poca distanza
direttamente sul viso. Intanto la osserva : «Bella?
Bella?» nessuna risposta.
«Bella, riesci a sentirmi? Sei in ospedale. Riesci a
svegliarti, Bella?» ancora nulla.
Le alza le palpebre una ad una velocemente e poi si rivolge
all’infermiere che le ha appena effettuato il prelievo:
«Registra i suoi dati Ricky. Io vado direttamente dal dottor
Joan» e con uno schiocco secco si sfila i guanti in lattice
per poi gettarli in un contenitore giallo.
Ricky ha già preso un registro e ha cominciato a scrivere
velocemente. Io osservo Bella immobile nel lettino e mi sento
sommergere dall’angoscia.
Non si sveglia
… non si è ancora ripresa …
penso confusa.
Noto appena la caposala che mi passa davanti e l’infermiere
che mi ripete, probabilmente per l’ennesima volta, una stessa
domanda. Il suo tono è infastidito dalla mancanza di
lucidità e prontezza della mia mente. Saranno scene che si
ripetono spesso, penso distrattamente. Chissà quante volte
sono costretti a replicare lo stesso atteggiamento …
familiari confusi, non cooperativi, forse in crisi isterica, cedimenti
di nervi …
E i miei? Quanto resisteranno i miei nervi?
«Nome. E. Cognome» scandisce lui.
«Isa … Isabella. Swan» dico, ma poi un
pensiero mi colpisce e aggiungo :«Mi scusi, Cullen. Cullen
è il suo cognome …». Quando verranno i
suoi familiari in ospedale è probabile che chiedano di
Isabella Cullen e non Swan. E, poi, mi sento meglio a sottolineare il
suo legame con la sua famiglia … mi da
l’impressione che lei non sia sola, che
c’è qualcuno che si occuperà di lei
… la sua famiglia.
La sua famiglia! Devo
chiamarli!!
Mi volto per uscire dalla stanza con il capo chino e le mani in borsa
alla ricerca del cellulare, ma mi scontro con una schiena, immobile
sull’uscio della porta.
«Oddio, mi scusi!» mi affretto a dire alla caposala
che intanto si è girata con uno sguardo perplesso e gli
occhi spalancati. Anche le sue narici sono spalancate. Sembra un toro
pronto a combattere nell’arena.
«Come ha detto che si chiama la ragazza?»
«Isabella Cullen»
La signora si avvicina al letto in due falcate e fissa Bella come se la
vedesse per la prima volta. Le scosta i capelli dal viso con
delicatezza e mormora qualcosa a se stessa che non riesco a sentire.
Poi si gira e rivolta ai due infermieri, dice tetra: «Che
nessuno osi toccare questa ragazza.»
«Chirurgia. Chiamate immediatamente il dottor
Cullen.»
EDWARD
Due ore.
Due ore a lezione in compagnia di Alice e con il chiacchiericcio
mentale di Andrea sono peggio dell’intera vuota
eternità che si stende davanti ai miei occhi.
La studentessa italiana ha la capacità di passare con
incredibile velocità da un pensiero all’altro
sugli argomenti più disparati come se fosse una trottola
impazzita. Chiuderla fuori dalla mia testa è diventata una
necessità, oltre che un vero piacere.
Diversamente da quanto posso dire di Alice. Oh, sì
… avrei tanto voluto mantenerla fuori dai mia mente, ma mia
sorella mi conosce e sa cosa serve per attirare la mia attenzione.
Appena vuole parlarmi, con i suoi pensieri attira la mia attenzione
rievocando un ricordo legato a Bella. Sa che le immagini mi raggiungono
comunque, ma sa anche che scelgo io quali approfondire e lei conosce
sempre il modo per trovare un canale preferenziale.
Non appena leggo nella mente della Watsford che sta per accomiatarsi
dall’aula, mi alzo dalla mia poltroncina e afferro il blocco
con gli appunti, senza aspettare che il pensiero si traduca in parola.
Senza dire nulla, mi avvio all’uscita sotto i colpi di un
nuovo attacco mentale di mia sorella.
“Bella seduta
sul suo letto, le gambe acciambellate sotto di sé, una
matita tra le labbra e un libro aperto davanti.”
E’ il ricordo che Alice ha “ingenuamente”
richiamato alla sua mente.
Vuole che vada al dormitorio e che le chieda espressamente di parlare.
So che probabilmente ha ragione, forse la mia è solo paura.
Ma adesso mi chiedo di cosa.
Che non voglia parlarmi? Probabile e più che lecito che lo
faccia.
O magari, è paura di star male nel divenire
consapevole che la mia lontananza può davvero averle giovato
… Sarebbe solo la conferma di quanto sia stato deleterio
nella sua vita finora.
Fuori dall’aula trovo Jazz che mi osserva con uno sguardo
compassionevole.
Lo so,
pensa. E’
insopportabile quando fa così.
Mio malgrado sorrido. Jasper ha percepito la mia stizza e la
determinazione di sua moglie. Di sicuro legge molto meglio
di me. Forse è più abile nel farlo,
forse è più facile per lui di quanto non sia per
me.
O, forse, più semplicemente la sa molto più lunga
di me.
Si mette al mio fianco e camminiamo per il corridoio in silenzio.
Percepisce il mio stato d’animo turbato, ma non cerca di
modularlo e di questo gli sono grato. Non si impone ai miei pensieri
con pensieri suoi e anche di questo sono sollevato. Jasper è
un’oasi nel deserto. Stargli vicino è confortante
comunque, anche se non fa nulla per influenzare le emozioni di chi gli
sta intorno in questo senso. A prescindere dal suo potere Jasper sa
quando è il momento di parlare e quando è quello
di restare in silenzio.
La sua è una predisposizione innata.
Per questo appena siamo fuori e nota l’uomo che ci
è appena passato davanti con la testa immersa in un libro,
non ha bisogno di concentrarsi sulle mie emozioni.
Gli basta cogliere la mia occhiata appena accennata per avere
l’esatta percezione della tempesta che mi si scatena dentro.
E non lo fa grazie al suo potere. Lo fa come uomo con secoli di
esperienza alle spalle.
Lo scatto secco che sento con chiarezza proviene dal mio corpo.
E’ il rumore scaturito dal movimento della mia mascella che
ha portato i denti a serrarsi con forza.
Dovrei distogliere gli occhi dalla sua schiena, ma non posso. Continuo
a fissarlo e sento l’odio montarmi dentro.
Ma sono ancora abbastanza lucido da capire che in realtà si
tratta di un sentimento più strisciante, più
subdolo, più logorante.
Gelosia.
Il tocco di una mano sulla mia spalla mi chiarisce che sono al limite
con il controllo delle mie emozioni, ma evito di incontrare gli occhi
dorati di mio fratello.
Poi, il buio nella mia mente e un flash subito dopo. Jazz stringe la
presa su di me impercettibilmente, ma so che ha già capito
dalle emozioni che stiamo entrambi provando, che Alice è in
preda ad una delle sue visioni.
Sento la presa allentarsi sul mio corpo fino a scomparire del tutto e
con la coda dell’occhio lo vedo tornare rapidamente indietro,
dirigendosi verso sua moglie, immobile con gli occhi vacui proprio
all’ingresso dell’aula.
Una stanza
d’ospedale, lo studio di Carlisle, il telefono sulla sua
scrivania …
Afferro il cellulare giusto un attimo prima che vibri, lo porto
all’orecchio e dopo aver avviato la conversazione, sussurro
piano: «Carlisle» senza attendere di ascoltare la
conferma vocale di colui che so essere dall’altro capo del
telefono.
«Edward, è il caso che tu venga in
ospedale» il suo tono ha quasi del funesto. Carlisle non
parla mai così. Mai. Nemmeno se si trova davanti ad una
catastrofe.
Deglutisco e la certezza che davvero trattasi di qualcosa di enormi
proporzioni, mi colpisce in tutte le sue implicazioni.
Carlisle è
turbato e io dovrei andare in ospedale. Da qui a capire
che lì c’è Bella è questione
di millesimi di secondo.
Tuttavia, qualcosa di umano deve esserci ancora sepolto dentro di me,
perché mi ritrovo a soffiare il nome della mia amata sul
microfono del telefonino :« Bella».
Non sto chiedendo e non ho bisogno di conferme, ma mio padre aggiunge
con tono più secco: «Edward devi venire al
più presto» e chiude la comunicazione.
Gli occhi scendono automaticamente su Eric Jensen che ormai
è già ad una discreta distanza da me.
Solo un attimo, e la vista mi si borda di rosso.
JASPER
Frappormi tra Alice ed Andrea è questione di
pochi attimi. La ragazza non si è ancora resa conto che
Alice si è fermata tre passi dietro di lei e che
è immobile come una statua. Appena le passo davanti colgo il
suo sguardo e lo imprigiono nel mio in pochi secondi, mi concentro
giusto appena il minimo e le dico:«Scusaci Andrea, io ed
Alice abbiamo da fare una commissione».
Lei annuisce confusa e continua a camminare mezza inebetita.
Appena sono vicino a mia moglie le faccio scivolare un braccio alla
vita e la sospingo con delicatezza lontano dall’aula, verso
l’esterno. Alice si fa trascinare senza opporre resistenza.
Mi fermo appena poco dopo l’uscita e mi posiziono di fronte a
lei in un angolo, proteggendola con il mio corpo da sguardi indiscreti.
Nei pressi dell’uscita le occhiate degli studenti sono meno
attente, tutti si affrettano verso l’esterno e io ed Alice
sembriamo solo due innamorati che si scambiano sguardi languidi.
Edward è immobile anch’egli, nella stessa identica
posizione in cui l’ho lasciato prima.
Accarezzo la fronte di Alice con la mano libera, mentre
l’altra è ancora intorno alla sua vita per
sostenerla. Quando le sue visioni sono così improvvise, le
causano sempre dolore. Non l’ha mai detto, non
s’è mai lamentata, ma so che a volte ne resta
molto scossa. Esserle vicino mi conforta, ma non mi è
permesso interferire con le sue emozioni.
E’ una delle poche eccezioni al mio potere. Se Alice non
è cosciente, io non posso fare nulla.
Passano tre infiniti secondi e il suo sguardo si schiarisce. Il suo
petto si abbassa ed emette un breve sospiro.
Ma il sollievo è di brevissima durata, perché si
irrigidisce di nuovo e spalanca gli occhi cristallizzandoli in
un’espressione impaurita.
No, no. Terrorizzata.
Un soffio leggero come brezza di mare esce dalle sue labbra portando
con sé una sola parola: «Edward
…» prima che una valanga di odio mi investa in
pieno.
Barcollo impercettibilmente sotto questa spinta prepotente e mi volto
verso mio fratello, seguendo la direzione dei suoi occhi. Puntano sul
professore di Bella. Ma ciò che mi spiazza completamente
è la ferocia che gli leggo dentro.
Ashram
- Maria and the violin's string
Sforzandomi di mantenere un passo al limite della corsa umana lo
affianco giusto un secondo prima che raggiunga l’uomo di
spalle che sta camminando tranquillamente, ignaro di tutto.
Ma Edward è il vampiro più veloce che conosca e
non mi stupisco affatto di ritrovarmelo ad un passo più
avanti, senza che me ne renda nemmeno conto. Il movimento è
rapidissimo, invisibile per qualsiasi occhio umano. Si sposta a scatti
fulminei, nemmeno io riesco a seguirlo.
Ma se lui è più veloce, io sono di certo il
più esperto. So dove vuole arrivare e decido di cambiare
tattica. Invece di fermare lui, mi posiziono ad un passo dalle spalle
del professore.
Incontrare lo sguardo impazzito di mio fratello, mi fa capire che non
riuscirò ad impedire l’inevitabile.
Ragiono velocemente e con freddezza. Devo limitare i danni.
Quando il pugno di Edward si alza mi concentro come non mai, e isolo il
movimento fotogramma per fotogramma. L’angolazione del
braccio, la posizione del suo busto, la potenza che
scaturirà dall’inclinazione che sta imprimendo
alla spalla unita alla velocità che la
caratterizzerà e cerco di anticiparne la mossa.
Ma proprio un attimo prima, forse avvertendo inconsciamente una
sensazione di pericolo, il professore si volta indietro, appena in
tempo per vedere la mia testa e il pugno si Edward che si sta
abbattendo sul suo viso.
Punto i piedi a terra e alzo contemporaneamente la mia mano, certo di
essere riuscito a calcolare con esatta precisione la direzione del
colpo. Quando il mio palmo si chiude sul pugno di mio
fratello esulto dentro di me, e carico tutta la forza che posseggo nel
respingerlo.
Nel tentativo
di respingerlo.
Le mie scarpe stridono sulla ghiaia del vialetto e mi portano indietro
di qualche passo spinti dall’unica variabile di cui non avevo
tenuto la giusta misura: la furia di mio fratello.
Il colpo di Edward viene rallentato dalla mia mano, ma raggiunge
ugualmente il viso del professore. Tecnicamente sono le mie nocche
quelle che gli fracassano la mascella sotto la spinta del suo pugno.
Il corpo del professore fa un mezzo volo all’indietro e
l’uomo stramazza in terra con un tonfo. Ma Edward ormai
l’ho afferrato e seppure sento che per poco non mi abbia
staccato l’intero braccio, stringo la presa con decisione.
Se mi sfugge non riconosceranno il corpo di questo Jensen nemmeno dai
denti.
Smetto di respirare nello stesso istante in cui sento aleggiare
nell’aria odore di sangue. E non mi volto neppure per
accertarmi da quale parte del viso del professore provenga.
E’ un miracolo che il viso ce l’abbia ancora.
Ma registro distrattamente il respiro affannoso dell’uomo, il
battito accelerato del suo cuore e il gemito di dolore che gli esce
strozzato dalla gola.
«Cosa … cosa le hai fatto?» Edward
sibila con la voce vibrante di rabbia rivolto all’uomo
riverso in terra. Poche volte l’ho visto così
fuori controllo.
Intanto diversi paia d’occhi si sono già
catalizzati su di noi. Uno studente si avvicina al professore esitante,
lanciando delle occhiate insicura alla nostra volta.
«Professore … chiamo, chiamo la
polizia?» dice a voce abbastanza bassa, credendo di essere
udito solo da lui.
Non stacco gli occhi da Edward e mi concentro per agire il
più in fretta possibile. Nello stato di agitazione in cui si
trova mio fratello rischio di impiegarci troppo tempo e la cosa mi
spaventa. Lancio uno sguardo fugace alle sue spalle e cerco Alice. La
cerco inconsciamente perché sento di aver bisogno della sua
presenza, della sua conferma.
La vedo a due passi da noi. Cammina rapida e decisa. In un attimo
è al fianco di Edward e gli posa una mano sul braccio,
mentre io sposto la presa sul polso. Un’occhiata al viso
concentrato, ma tranquillo di mia moglie, mi suggerisce che lui non ci
sfuggirà.
«No, no. Sto bene» gracchia Jensen.
«Ma sta sanguinando!» lo studente spaventato. Ormai
un folto gruppetto ci si è fatto intorno cercando di
cogliere dettagli succulenti.
Alice sposta il suo sguardo sul viso di Edward, capisco che gli sta
parlando mentalmente.
Ma lui guarda ancora l’uomo in terra con rabbia, con
disprezzo. Le sue emozioni sono ancora turbinose, ingestibili.
«Mi chiedevo quando sarebbe successo» dice Jensen e
capisco che si sta rivolgendo a mio fratello.
I suoi occhi si stringono, lo sguardo si affila. Gli sta leggendo la
mente.
«Credo proprio di meritarmelo» aggiunge il
professore, al che mi volto un attimo e lo guardo.
Si è messo seduto e si tiene la guancia con la mano. Parla
con difficoltà, sento che prova molto dolore, ma non
è confuso, né stupito. Si aspettava una reazione
simile da Edward. Sangue gli cola dal naso e gli impasta la bocca. Ma
almeno è vivo.
«Lei non c’entra niente» continua
imperterrito e sono ad un passo dall’intimargli di tacere se
ci tiene a restare con tutti i pezzi del suo corpo ancora attaccati
l’uno all’altro.
Ma un lieve cambiamento nelle emozioni di Edward mi dissuade
dall’intervenire.
Si sta calmando. Con lentezza e difficoltà, ma sta
recuperando il controllo.
E, poi, nel suo animo, ma soprattutto nel suo viso, leggo nuove
emozioni farsi strada dolorosamente.
Lo stupore e la
consapevolezza.
NOTA
DELL’AUTRICE: Questa volta niente rispostine ad personam
…ù.ù, un ringraziamento generale per le meravigliose recensioni e un credit a Keska per aver
permesso al mio cuore di gioire delle musiche di Ashram. Grazie :)
Inizio con il ringraziare di vero cuore coloro che hanno risposto su fb
al mio appello. Questo capitolo è qui grazie a voi e alla
vostra solidarietà.
Per chi non lo sapesse
posto qui una versione modificata (of course!) della bastard- note
incriminata … leggetela, anche se la conoscete
già ù.ù
“Nostra Signora
degli Agnelli si è pronunciata!
Per chi non
l’avesse ancora fatto andate al seguente link
.
Per chi non lo sapesse
(!!) l’Agnella è una talentuosa autrice di ff,
nonché un genietto malefico.
La sua lodevole
iniziativa ha permesso di raggiungere a tutt’oggi un
contributo di circa cinquecento euro per aiutare i disagiati del terremoto
di Haiti, per un totale di 150 donatori.
Dobbiamo
fare di più.
Ho scoperto nel tempo che
il popolo di internet può essere molto generoso e molto
solidale. Questo suo invito alla donazione coniuga l’utile al
dilettevole.
Suggerisco caldamente la
lettura delle sue ff (le trovate qui
) e la condivisione della sua iniziativa.
In
“palio” ci sono:
·
Un extra HOT di “Vicini” (inedito)
·
Un capitolo di “Ridi Pagliaccio” (inedito)
·
Un capitolo di “Ricominiciare” (inedito)
Ma per ricevere questi
“regali” è necessario raggiungere due
tappe: la prima è rappresentata dai 150 donatori, la seconda
dai 250 donatori. La prima tappa è stata raggiunta stasera,
e con essa è arrivato anche questo capitolo di “In
the arms of the angel”.
Ci resta la seconda.
Avete già
donato?
Bravi, bravissimi!!
Possiamo,
però, far girare la voce: familiari, amici, conoscenti
… suggerite loro di donare!!!
E’ facilissimo.
Basta un semplice SMS (anche vuoto) al 48541 (Vodafone, TIM, Telecom
Italia) oppure al 48540 (3, Wind) per donare due euro, oppure
consultate questo sito per effettuare un bonifico. Una
volta inviato l'sms o fatto il bonifico, contattate Alessia via
Facebook (Alessia Amazzone) o Twitter (@alessiaesse) ed inviatele una
foto della ricevuta bancaria o una foto del display del cellulare che
prova l'invio.
:sgranocchia
un funghetto allucinogeno:
Sì, ma tu che c’entri, cara M.Luisa?
L’Agnella va
sostenuta, nel bene e nel male (ù.ù) …
Io alzo la posta in palio
ancora di
più.
Non appena
l’Agnella twitterà il raggiungimento dei 200
donatori posterò su fb un’anteprima di una
SORPRESA.
Al tweet del 250°
donatore, vi regalerò la SORPRESA.
Per ora non vi dico di
più.
Anzi, vi dico
DONATE E SUGGERITE AGLI ALTRI DI FARLO.
Per chi avesse
difficoltà ad inviare le foto direttamente
all’Agnella, può farlo attraverso me, su fb o
su twitter .
Siete ancora qui?
Su, su …
afferrate il cellulare … “
Aggiungo solo una cosa.
Haiti è devastata. La situazione peggiora ora dopo ora. Il
mio morale sale un pochetto ogni volta che l’Agnella mi
aggiorna sull’aumento del numero di donatori. Questo
significa che il mio cuoricino si anima e scrivo con più
impeto (e più velocità). Spero VIVAMENTE che il
traguardo prossimo venga raggiunto presto … e nel frattempo
chissà, potrei anche postare il cap.27 PRIMA dei miei
consueti 10 giorni di pausa tra un aggiornamento e un altro
… diciamo insieme al raggiungimento del 200°
donatore?! O.o
DO-NA-TE.
Grazie miei cari e a
presto :************
M.Luisa
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