Tra
le braccia del destino.
Bastano
due parole pronunciate nel modo più sensuale possibile, ad
annientare il suo controllo. Buffy Summers è ancora convinta
di
odiare Spike, forse lo sta usando per scopi non propriamente nobili,
si sta servendo di lui come se stesse soddisfacendo la voglia del
momento. Aspetterà che la suola invecchi e diventi
inutilizzabile,
poi lo butterà. Dovrebbe vergognarsi, davvero.
Eppure sente
che c'è qualcos'altro che altera il suo sistema nervoso
– e anche
quello cardiaco, deve ammettere – ma non riesce a dar una
definizione a questa tripudiante emozione. Allora si limita ad agire
d'istinto, come un qualunque essere umano; le labbra di Spike non
sono dolci, non hanno il sapore di qualche frutto zuccheroso. Sanno
di morte, sangue, sanno dell'odore di quella cripta arredata in modo
spartano. Ma ormai è abituata a vivere con quell'odore,
è usuale
sentirlo addosso ogni notte, quando il suo petto s'adagia con cautela
sopra il suo seno, il respiro diventa un tutt'uno col suo e in un
attimo volano in una dimensione diversa, dimenticandosi di essere un
vampiro e una cacciatrice.
Non
è colpa sua se il nemico è sexy,
se ogni sua fibra lotta per
non notarlo – dal semplice taglio di capelli, all'espressione
da
vero duro, fino al lungo giubbetto di pelle corredato alla perfezione
con gli anfibi. In fondo, non
le importa.
Vada
pure con un'altra – come quella poco di buono che aveva
portato con
sé al matrimonio di Xander – se ne farà
una ragione, ne trova
mille come lui. Suo malgrado, è costretta a contraddirsi
immediatamente: per quanto strafottente, stronzo, bastardo ai limiti
del paranormale, privo della più misera dignità,
non lo
cambierebbe. Non saprebbe da dove iniziare, è
così lunga la lista
di difetti che, con il tempo, si sono rivelati pregi, che non ha
più
pallida idea di cosa modificare in lui; perché è
così che l'ha
conosciuto: un'anima oscura, tormentata, priva di pace.
Probabilmente
le cose sarebbero andate diversamente se l'avesse conosciuto da
un'altra prospettiva, un'angolazione diversa da quella che è
abituata a vedere. William l'osserva, un misero istante, e non
vede la cacciatrice: è una donna, un'umana forse meno umana
degli
altri ma con lo stesso livello di fragilità di un qualunque
essere.
Percepisce le sue paure, il suo timore, la sua ansia – la
responsabilità del mondo sopra le spalle – e,
anche se non
l'avrebbe mai ammesso, comprende quelle angosce, in quanto le vive
anche lui. La fragilità è una semplice patina,
un'invisibile guscio
che si tende ad ignorare; presto o tardi, però,
verrà fuori, nei
modi più svariati. Allora cercheremo di combatterla in ogni
modo,
ma tanto prenderà il sopravvento e quanto
più la feriamo, tanto
più quella ci ferisce.
È
uno scontro corpo a corpo, l'esteriorità e
l'interiorità
dell'anima, l'Io che combatte con un altro io sconosciuto. Sono tanti
– troppi – i pensieri che sconvolgono la sua mente
ogni giorno,
non riesce nemmeno a concepire d'esserci arrivata con le sue sole
forze a creare un ragionamento tanto intricato. Le nostre paure di
notte si fanno più grandi, come spettri che escono
improvvisamente
da sotto il letto o scheletri che sbucano fuori dall'armadio; ogni
cosa sembra acquistare una certa importanza sotto il protettivo
riflesso della luce lunare, ogni raggio che ci viene donato dalla
maestà luna è una nuova riflessione. I problemi
si moltiplicano,
c'è quell'attimo di smarrimento, in cui si lotta con le
proprie
forze affinché tutto quel che ci succede non sembri reale,
ma solo
frutto di fantasia. Mera illusione, ma a noi piace illuderci: ci
piace vivere di fantasia.
Probabilmente
anche a Buffy piace giocare con
l'illusione e credere che il suo
odio per quell'essere ripugnante – a ben guardare, non
così tanto
– sia reale, mentre invece c'è un motivo di fondo
se ogni sua
frustrazione ricade su di lui, se il suo istinto comanda la via del
peccato, se lui diventa il solo oggetto del desiderio. E quanti
motivi potrebbe darsi per non andare da lui? Tanti,
una
moltitudine. Ma tra le sue
braccia, stretta nell'abbraccio freddo
del vampiro, avverte per un attimo la felicità invaderla
tutta. Non
deve concedergli spiegazioni, non gli è lecito sapere il
motivo di
così tanto interesse; e per quanto l'odio sia un baratro
senza
fondo, l'amore – l'altra faccia della medaglia. Opposta ma di
eguale intensità – ripaga ogni debito, ogni
rancore.
Spike
le struscia le coperte contro, mentre muove a ritmo incalzante le due
gambe, al fine di penetrarla in modo da farsi sentire; è
costretta
ad aggrapparsi ad un lembo del lenzuolo, a morsicare le labbra per
non gemere subito dopo, ed è un misto di emozioni che non sa
decifrare. È solo
sesso, si era giustificata
chissà quante
volte. Ma il sesso è un momentaneo periodo di
serenità,
un'apparente felicità; il suo periodo durava addirittura da
troppo
tempo, il limite consentito era stato di gran lunga superato. Forse
avrebbe dovuto rivedere i suoi parametri e dar una denominazione
più
corretta a quella parola; era il momento di chiamarla relazione,
per quanto fosse all'oscuro di tutti.
In
quel momento il sorriso sghembo sulle labbra di Spike si trasforma in
un vero ghigno, poi, un attimo di assoluta goduria, quando dolcemente
il suo corpo entra direttamente in contatto con quello della
cacciatrice, sentendo nella propria carne quanto più di
intimo ella
possieda.
Buffy
non lo vuole ammettere, ma Spike è l'unico che l'ha
conosciuta
davvero: ha scavato nel suo intimo – e non si intende solo
fisicamente – e ha trovato vizi e virtù, ha amato
i suoi pregi e i
suoi difetti, incondizionatamente. Mai era stato così,
perché in
precedenza aveva sempre cercato di mostrare il meglio di sé,
tentando di oscurare il peggio, come se fosse un essere umano
perfetto... Ma la perfezione è solo una maschera, un'orrenda
e, a
tratti, macabra maschera che ci impedisce di essere umani,
limitandoci, in un certo senso. Con lui non doveva essere perfetta,
non aveva bisogno di usare quei tranelli per adescarlo; semplice
gioco di sguardi, occhiate d'intesa, attrazione fatale. Quelli erano
stati ingredienti oltremodo scoppiettanti. Buffy esala un ultimo
respiro, prima di gettare il capo sul guanciale e il corpo in balia
del nulla, tra le braccia di Morfeo. Sente i respiri ansimanti del
vampiro, il suo corpo freddo – una lastra di ghiaccio
– che va a
cozzare accidentalmente
accanto al proprio: un tentativo di
abbraccio che fallisce, in quanto Spike ritira le mani, come se
improvvisamente si fossero scottate.
E
forse si sono davvero scottate. Davvero,
forse non c'è più nulla da fare, sono sue
anche quelle. Ma noi non apparteniamo a nessuno, se non al destino,
che, per quanto li ha voluti nemici, li ha costretti amanti.
«Spike,
puoi abbracciarmi.»
E
il destino, in fondo, non è poi così crudele....
Nonostante tenti
di esser sadico, talvolta.
~
Fine.
Probabilmente
è inutile lottare per le Spuffy, in quanto non è
finita come volevo
io – nonostante quell'addio che mi rimarrà sempre
nel cuore – ma
io continuo a dire che sarebbero stati davvero perfetti, una coppia
unica. È una di quelle coppie che mi fa più
sognare, non so perché:
forse non lo vedo il classico amore, forse la presenza di un
anti-romanticismo tra i due me li fa apprezzare
ancora di più. Odio
e amore, completamente.
Li
adoro, punto.
Spike
e Buffy per me sono una delle coppie più perfette,
checché se ne
dica ù_ù. Per quanto riguarda la trama, forse
è leggermente
spinta, ma ho puntato più alle riflessioni e alla
fragilità
dell'animo umano. Il perché del titolo è presto
detto: il destino
gira intorno ai due in modo imperscrutabile e li spinge ad amarsi ed
odiarsi con la stessa intensità (e se questo non
è AMMORE
*__*).
Detto
ciò, mi eclisso,
alla
prossima Spuffy!
† Kiki.
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