Yeah, Hinata_Dincht is back! Ecco qui la storia che ha partecipato al contest multifandom "Fan Fiction per i Within Temptation" dopo un'attenta ed accurata revisione (nella quale sono stata fortemente aiutata dalla giudice).
Pubblico con un ritardo spaventoso, ma
(qualcuno disse) meglio tardi che mai.
°°°
Cado,
rimbalzo, fluttuo e mi
allungo.
Tutto
ciò che vedo è bianco, di
un candore eccezionale che mi fa prudere gli occhi. Non riesco nemmeno
a
sbattere le palpebre, riesco soltanto a fissare ancora quel bianco
tranquillo
in cui sono immersa. Sfioro con una spalla una bolla enorme, della
trasparenza
e della consistenza di una medusa, e sono spinta leggermente indietro,
catturata nuovamente in questo gioco infinito di capriole, voli e
cadute.
L’assenza
di rumori è piacevole,
è come se le mie orecchie ferite fossero state anestetizzate.
Tutto
ciò che sono è bianco su bianco,
tutto ciò che produco sono movimenti silenziosi, tutto ciò che ho nella
mente è
questa infinità di bolle trasparenti che stanno intorno a me.
<<
Così hai smesso di
lottare...>>
Mi
stringo a
me stessa quando la voce arriva ai miei
timpani. Quando sfioro una bolla, questa mi passa una scossa dolorosa,
la prima
vera sensazione da quando sono qui, la prima volta che metto in moto i
miei
pensieri.
Ma
io ho mai iniziato a lottare?
La
risposta è semplice: sì.
La
mente mi si affolla
improvvisamente di pensieri, parole e volti, ma sono tutti sfuocati; e
comunque
sia, io non voglio niente di tutto questo. Voglio solo il bianco. La
tranquillità. Il nulla.
<<
Mi hai lasciato qui,
indietro. È stato crudele, sai?>>
NO!
Le
bolle si fanno vicine, mi
soffocano con la loro presenza e mi comprimono, mentre strozzo urla di
dolore.
Il bianco è troppo oppressivo, fa male, brucia. Stringo gli occhi,
cercando di
scansare le bolle bianche con calci, pugni, graffi, ma sono scivolose
sui miei
palmi e dopo poco tornano a travolgermi. Serro le labbra, mugolando
infastidita.
Voglio
il buio.
E
d’improvviso il mio desiderio
viene accolto. Sento una strana sensazione di vuoto nello stomaco e i
piedi
saldamente fissati a terra. Sbatto le palpebre per abituarmi al buio
pesto che
ora circonda i miei sensi, ma temo che non mi ci abituerò affatto.
Il
paesaggio, se così si può
chiamare, è cambiato; cammino su una superficie liscia e scura, che
potrebbe
sembrare una lastra di vetro se non fosse per la sua compattezza, in
una notte priva
di luce. Oppure così mi pareva.
Ora
che osservo meglio, ad ogni
passo che muovo una stella si accende in lontananza, come se sulla
lastra
fossero piazzati milioni di interruttori-mine, che quando vengono
pestati si
innescano, facendo nascere un nuovo astro in un punto a caso nel cielo.
Socchiudo
la bocca, stupita. Le
stelle mi hanno sempre affascinata: di tanto in tanto, prima
mi stendevo a terra sull’erba fresca di rugiada e, con il
naso all’insù ed il dito puntato al cielo, cercavo di dare un senso
alla loro
disposizione. Ora, invece, sembrano essere state lanciate a manciate da
una
mano enorme, il tutto casualmente.
Lasciando
che i miei occhi si
spostino dalle stelle alla lastra infinita davanti a me, continuo a
camminare,
tranquilla come sempre. Forse sarei un po' ansiosa in una situazione
normale.
Ma
di che situazione normale sto
parlando?
Questa
è forse “anormale”?
Continuo
a camminare, pensierosa.
È l’unica cosa che posso fare, effettivamente: andare avanti e
accendere ancora
queste stelle che sembrano i punti di domanda che spuntano nella mia
mente.
Cerco
di scavare nella mia testa,
di ricordare cosa fossi prima della dimensione ( Dimensione? Sì, sia
questa che
quella piena di bolle lo sono. Non sono il mondo reale) bianca, ma
incontro
resistenza: è come se le mie sinapsi fossero assopite e la mia mente
immersa in
un sogno.
Sogni...
sì, ne facevo.
Era
frustrante, mi sentivo più
impotente in un incubo che nella realtà; spesso morivo per mano di
qualche
mukenin: mi sembravano talmente forti da essere invincibili, e quando
mi
svegliavo, osservando il mio viso madido di sudore in uno specchio, mi
dicevo
che, sì, probabilmente anche nella realtà sarei morta se ne avessi
incontrato
uno. Quasi certamente non sarei nemmeno riuscita ad attivare il
byakugan dalla
paura. L’immagine sfuma nella mia testa insieme all’amarezza.
Ma
io ne ho già incontrato uno,
di mukenin.
E
rischiai di morire.
Mi
scagliai addosso a quel tipo
come una sciocca, senza un minimo di piano. E per cosa, poi?
Un
ragazzo biondo appare
nella mia mente e saltella da un angolo all’altro, senza che io possa
ignorarlo. Quando cerco di mettere a fuoco il ricordo, l’immagine
scompare
dalla mia testa proprio come era venuta.
Lascio
perdere gli scherzi
prodotti dalla mia psiche, accontentandomi di aver scoperto chi ero.
Ero
una ninja.
E
anche abbastanza scadente, a
giudicare dai ricordi che scorrono come lacrime nella mia testa,
messasi a
funzionare senza che io me ne accorgessi.
Il
ragazzo biondo prende di nuovo
il sopravvento nella mia mente, ma subito un forte dolore offusca il
suo
sorriso, costringendomi a
fermare il mio
cammino, sotto gli occhi di tutte queste stelle che mi osservano
accasciarmi a
terra da sopra un piedistallo, senza fare nulla.
Distesa
in posizione fetale sulla
lastra scura, lascio che il mio respiro torni normale, trattenendo i
pensieri
in un angolo della mente. È ancora troppo presto per risvegliare i
ricordi,
penso.
<<
So quello che hai fatto.
>>
La
stessa voce di prima torna ad
assillarmi, con prepotenza; eppure sembra che stavolta provenga dalle
stelle,
che si illuminano seguendone il tono.
Che
cosa ho fatto? Sentiamo,
Stelle. Ditemelo, su.
<<
Ma io ti ho perdonato. A
me non frega proprio un cazzo
di quello che hai fatto. Però torna qui, ti prego.>>
Questa
volta urlo. Le parole mi
frullano per la testa, si sfregano e si scontrano fra di loro
provocando un
incendio doloroso, che mi ruba il fiato. È come se quella voce, ogni
volta che
si fa sentire, mi prendesse la testa e me la sbattesse contro qualcosa
di duro.
Cosa
ho fatto, cosa ho fatto,
cosa ho fatto?
Stringo
le dita intorno alle
tempie mentre i miei occhi, spalancati nel buio, cercano un appiglio
nelle
stelle, invano.
Sporco.
Sangue. Capelli.
Le
mie mani, sporche di sangue,
che accarezzano capelli non miei.
La
mia anima, sporca, che si
macchia.
Sporco,
sangue, capelli, sporco,
sangue, capelli.
E
poi tutto diventa sporco,
sporco, sporco.
L’incendio
si propaga dentro la
mia testa, bruciando le immagini opache,
lasciando niente altro che cenere; e la cenere vortica, spinge, soffia
contro
la mia testa, e sembra quasi che voglia farla scoppiare. Di colpo, una
stella
implode davanti a me, e la sua mole lievita, lievita fino a prendere il
sopravvento sulla mia visuale.
Un
forte crepitio che, ne sono
sicura, non previene dall’incendio della mia testa, ma dalla grande
stella
davanti a me, copre i ricordi della voce, terrorizzandomi più di quanto
credessi possibile. Seppure io cerchi di indietreggiare e scappare, la
lastra
di vetro scompare improvvisamente sotto i miei piedi, ed il solito
sfarfallio
dovuto al vuoto mi stringe alla bocca dello stomaco, stravolgendomi. E
poi
cado, inesorabilmente attratta dalla stella.
“
Questa volta è veramente la
fine.”
Questo
è l’ultimo pensiero,
mentre un bagliore rosso mi
avvolge e copre l’eco ovattata del mio urlo.
Dopo
alcuni secondi (o forse
minuti, ore, giorni; chi può dirlo?), però, la consapevolezza di essere
ancora
viva mi colpisce insieme al sentore di essere distesa su qualcosa di
fresco e
pungente.
Apro
gli occhi, focalizzando
davanti a me un’ape che cerca curiosa fra i petali di un fiore giallo.
Con
un po’ di sforzo (credo che
si possa definire più psicologico, che fisico), faccio leva sulle
ginocchia per
alzarmi in piedi.
Scuoto
un po’ i miei vestiti, e
mi guardo intorno meravigliata: cosa può esserci di più bello di una
radura in
mezzo ad un bosco pullulante di armoniose
farfalle?
Tutto
intorno a me è silenzio, ma
non è poi così male: prima, ero sempre stordita dalle urla di mio padre
e gli
insulti di mio cugino; persino il silenzio di mia sorella, carico di
sguardi indifferenti,
assordava i
miei timpani.
Faccio
un giro su me stessa,
gustandomi con gli occhi il turbinio di colori. Le labbra si piegano in
un
sorriso quando una farfalla si ferma sull’indice.
Questi
animaletti mi rammentano
un volto: Shino (credo fosse un mio compagno di squadra), un ragazzo
dal
sorriso raro e dagli atteggiamenti un po’ distaccati, era in completa
simbiosi
con qualsiasi insetto. Aveva sempre creduto che alla fin fine ognuno di
noi è
una farfalla: chi è ancora nel bozzolo, chi è già pronto a librarsi per
morire
poco dopo. Quando parlava così mi lasciava sempre un sorriso tenero
sulle
labbra, facendomi volteggiare fra fantasie e oscuri pensieri infantili.
Quando
morì in missione, mi si
crepò il cuore.
Al
suo funerale
piansi, ma ricordai le sue
parole e capii che lui il suo tempo per volare
l’aveva avuto, e l’aveva
usato per difendere il nostro villaggio. Toccava a me.
Quando
torno a guardare la
farfalla sul mio dito, questa flette le ali e torna a nascondersi tra
il nugolo
delle sue compagne. Credo che abbia sentito la mia amarezza e abbia
deciso di
vivere il resto della sua breve vita nell’aria spensierata; come posso
darle
torto?
Faccio
qualche passo, ma sono
costretta a portare una mano davanti agli occhi per non rimanere
accecata dai
raggi del sole.
Il
sole. Prima lo paragonavo sempre al ragazzo biondo che
mi ossessiona.
I
suoi capelli erano oro colato,
il suo sorriso erano caldi raggi, la sua tenacia era fuoco ardente. Fin
da
quando lo conobbi, seduto su un’altalena a dondolarsi sconsolato, ebbi
un moto
d’affetto per lui; poi, all’accademia per ninja le nostre strade si
divisero:
lui con la sua squadra, io con la mia. Quando ci rincontrammo
all’esame, fu lui
a spronarmi. Da
allora in poi mi allenai, ed il motivo per una volta non era mio padre,
era
lui. Era per dimostrargli che sarei diventata forte, che l’avrei difeso
anche a
costo della mia vita.
Ed
ecco che i miei ricordi
scorrono verso un passato più recente dei miei tredici anni, e mi
rivedo lanciarmi
verso quel mukenin per salvare quel ragazzo, gridando ai quattro venti
che
l’amavo. “Io ti amo, Naruto Uzumaki!”. Devono essere state più o meno
queste le
parole che si persero nell’aria prima che io fossi ferita quasi a
morte.
Quando
lui tornò al villaggio
dopo lo scontro, da vincitore ovviamente, ad accoglierlo non fui io,
come avrei
desiderato, ma Sakura Haruno. Lei, che l’aveva sempre rifiutato,
maltrattato e
pestato. Devo dire che, anche se non è nel mio carattere,
quell’abbraccio che
si scambiarono mi lasciò un senso di delusione, per quanto fosse
sterile.
Gioivo perché Naruto era tornato a casa, ovvio, ma la gelosia si era
insinuata
nel mio cuore senza che io me ne fossi accorta. Perché era Sakura a
ricevere
tutte quelle attenzioni? Non l’avevo mai vista come una rivale,
piuttosto come
una possibile aiutante per confessare il mio amore a Naruto. E invece
no. Era
lei quella che dovevo temere di più.
Comunque
le mie parole, il mio
amore ed il mio atto coraggioso si persero nel vento e non vennero
ascoltati.
Mai. Che cosa triste.
Senza
nemmeno rendermi conto ho
iniziato a piangere.
Tiro
su con il naso, asciugandomi
gli occhi con il palmo della mano. Rivolgo ancora l’attenzione al sole,
ma i suoi raggi sono pallidi e il calore non riesce a raggiungere la
mia
pelle.
<<
Sentivo che c’era
qualcosa che andava storto.>>
Ancora
quella voce che si prende
gioco della mia testa.
-
Smettila, vattene via- mormoro,
scuotendo il capo per scacciare le parole.
<<
Eri sempre distrutta e
nervosa; non sorridevi più.>>
Ero
sempre distrutta... Perché lo
ero?
Nervosa...
sì, pure quello. Nella
mia vita non ero mai stata nervosa, ero sempre stata tranquilla, posata
ed
educata; eppure...
<<
Non eri pronta a reggere
quella situazione da sola.>>
Non
ero pronta a reggere cosa?
Le
tempie mi pulsano furiosamente
nel tentativo di ricordare.
Tra
le gocce di nebbiolina che
appanna la mia mente si fanno strada delle immagini e mi sforzo per
focalizzarle. Un mal di testa pungente prende a pulsare forte, ma
stavolta non
mi arrenderò: ormai voglio sapere. Stringendo i denti mi concentro e li
vedo:
Naruto e Sakura. Sorridenti. Vicini. Legati. Che si amano.
La
bocca si fa asciutta ed il
respiro corto.
<<
Capisco che ora tu abbia
paura di uscire dal tuo rifugio. Capisco che cerchi un modo per
scappare dai
tuoi demoni.>>
I
miei demoni? Naruto e Sakura.
Loro
che pungolano con le loro
risate contente il mio corpo disperato. Loro due che tornano come una
maledizione ad occupare i mie pensieri. Naruto e Sakura che con la loro
felicità si prendono gioco della mia tristezza. Peggio della propria
tristezza
è la felicità altrui, d’altronde.
Ho
bisogno di lavarmi la faccia,
di schiarirmi le idee.
Muovo
qualche passo nella radura
e solo ora mi accorgo che è innaturalmente scura e silenziosa. Le
farfalle se
ne sono andate ed il sole si è nascosto dietro alle nuvole.
Sull’orlo
delle lacrime, corro
all’interno della boscaglia ma, per quanto io corra, il pensiero di
Naruto e
Sakura mi perseguita. Non mi sento nemmeno affaticata quando sbuco in
un’altra
radura al cui centro vedo un piccolo specchio d’acqua.
Cado
in ginocchio sulla sponda
verde di muschio e immergo le mani dentro il laghetto per poi portarle
al viso.
Sakura
Haruno.
Sporco,
sangue, capelli, sporco,
sangue, capelli.
Apro
gli occhi e guardo il mio
riflesso sull’acqua, cacciando un grido.
Sulla
superficie del lago non
vedo i bianchi e dolci occhi di Hinata Hyuga, né il suo sorriso
generoso;
osservo terrorizzata il viso di un
mostro, coperto di sangue e capelli insozzati, incontrando i suoi occhi
di
assassina.
Assassina,
assassina, assassina.
Questo
dice la mia immagine.
Ed
ecco che la terra sotto di me
inizia a tremare borbottando, e tutto ciò che mi attornia inizia a
sibilare:
assassina. Gli alberi, le foglie, l’erba, il lago, l’acqua; tutto mi
sputa in
faccia ciò che ho fatto, ed ora il mio animo non può più negarlo.
Ho
ucciso Sakura Haruno.
Una
sera andai a bussare a casa
sua; dovevo avere una faccia del tutto stravolta, ma lei, come sempre
premurosa, mi aveva fatto entrare con un’aria preoccupata. Mi aveva
fatta
sedere su una poltrona e mi aveva dato le spalle per prepararmi un tè
caldo.
Le
chiesi la data delle nozze.
Si
voltò sorpresa, dicendomi che
lei e Naruto non ne avevano ancora parlato, ma che si sarebbero sposati
al più
presto.
Abbassai
lo sguardo, mentre il
mio spirito mi diceva di sgozzarla immediatamente e la mia coscienza di
ritirarmi prima che fosse troppo tardi.
"Come
mai", le chiesi, "come mai al
più presto?".
Mi
lanciò un’occhiata
e potei notare il suo
imbarazzo.
Lasciò
passare un po’ di secondi
in cui l’unico rumore fu il gorgoglio dell’acqua nel bollitore.
"Aspettiamo
un bambino", mi disse.
Un bambino.
Vent’anni,
con un bambino in
arrivo ed il marito perfetto. Il marito che si sarebbe fatto in quattro
per te,
che ti avrebbe difeso fino alla morte, che ti avrebbe amato fino a
consumarsi.
In
quel momento la mia coscienza
cadde, e la furia ebbe il sopravvento: mi gridava nei timpani che
quella stronza
mi aveva preso tutti i sogni, aveva
avuto tutto ciò che avrei dovuto avere io, mi aveva rubato la vita.
Mi
alzai dalla poltrona e mi
avvicinai con il kunai già pronto in mano. Si era voltata, sì, e mi
guardava
terrorizzata mentre io ridacchiavo in preda alla pazzia.
“Hinata”,
mi chiamò più volte. “Che hai, che hai?”, mi chiese.
Avevo
un male d’amore.
Non
servì a nulla la sua forza
sovrumana in quel momento. Penso che nessuno si sarebbe mai aspettato
una tale
azione dalla piccola, innocente
Hinata.
E
mentre la sgozzavo, glielo
gridai in faccia più volte che quella vita doveva essere mia.
“Mia
solo!”,
urlai.
Urlai.
Io che non riuscivo a
mantenere il tono di voce abbastanza alto da essere udito, urlai.
Si
sfiorò la pancia con una mano,
prima che i suoi occhi diventassero vitrei.
E
poi scoppiai a piangere. La
presi e, nel buio della casa, la tenni in grembo, accarezzando i suoi
magnifici
capelli di quel rosa così innaturale.
Quando
Sai entrò in casa, trovò
il pavimento schizzato di sangue, il corpo di Sakura e me; o, per
meglio dire,
il mio involucro ormai vuoto.
Urlò,
chiamò la sua compagna si squadra.
Anche lui era malato d’amore, potevo vederlo nei suoi occhi. Sai, il controllato Sai, mi strappò Sakura dalle
braccia, piangendo sul suo cadavere mutilato.
Mi
rannicchiai in un angolo
vicino al tavolo, ascoltando stordita i lamenti di Sai.
Poco
dopo arrivarono alcuni ANBU;
portarono via il cadavere di Sakura ( i
cadaveri, dovrei dire), scortarono fuori Sai e mi controllarono.
Dissero
qualcosa sul mio stato
confusionale, e sulla fortuna che avevo avuto a non essere trovata da
Naruto,
che sicuramente mi avrebbe ucciso; in quel momento, qualcosa di
perverso si
accese in me, qualcosa come una fantasia romantica in cui Naruto mi
ammazzava.
Devo dire che non mi sarebbe dispiaciuto. Ma quel qualcosa si spense
subito,
quando mi trascinarono fuori dalla casa.
I
ricordi sfumano, si mescolano e
si confondono urlandomi dietro “Assassina! Infanticida!”.
Si
susseguono volti familiari
nella mia mente, tutti che mi squadrano disgustati. Non posso nemmeno
evitare
di guardarli:
sono nella mia mente.
<<
È andato tutto
storto.>>
Tutto
storto.
Ora
capisco chi erano i miei veri
demoni. Una donna e un bambino che rimarranno per sempre con me.
<<
Lascia perdere il
rimorso, Hinata. Torna qui, io ti ho perdonato. Scusami se non ci sono
stato.
Ora sono qui. >>
Di
colpo vengo attraversata da un
brivido e riemergo nel mio corpo.
Sono
distesa, ho un piede
intorpidito e le punte delle dita gelate. Intorno a me c’è un rumore di
vestiti
che strusciano l’uno contro l’altro e di leggeri lamenti. Un odore
piacevole di miele mi punge il naso e
qualcosa di bagnato mi rotola sulla guancia.
-
Quando ho capito di averti
lasciata sola, mi sono sentito una merda.
Soprattutto perché sapevo di amarti ancora.-
Trattengo
il fiato, come colpita
da un pugno. Il silenzio cade nella stanza, mentre qualcosa di caldo si
intrufola nella mia mano.
-
Hinata, mi puoi perdonare se
provo ancora ad amarti?-
Aspetto
qualche secondo prima di
sbattere le palpebre ed accogliere la realtà nella mia mente.
Kiba
è qui di fianco a me,
inginocchiato al mio capezzale.
Soffoco
un singhiozzo quando vedo
la sua faccia contrita sopra di me, in lacrime. Muovo leggermente la
mano,
senza accorgermene, e subito lui spalanca gli occhi grondanti.
-
Hinata.-
mormora fra le labbra, attaccate dal pianto.
Non
so perché ma mi sembra mio
dovere sorridergli e tranquillizzarlo, come se fosse lui quello che ha
ucciso
due persone, ma soprattutto una compagna.
Si
illumina per un attimo,
asciugandosi le lacrime con il dorso della mano, ma subito torna a
guardarmi
gravemente.
-
Sei tornata.- dice alla fine,
sforzandosi di sorridere.
Annuisco,
stringendogli la mano.
Sapevo
che la voce nella mia
mente aveva un che di famigliare. Sapevo che era qualcuno che
conoscevo. Kiba è
stato il mio cicerone verso la realtà.
-
Che è successo?- chiedo, ma la
mia voce esce a rantoli dalle labbra, così cerco di schiarirmi la gola,
invano.
-
È successo tutto quindici
giorni fa. Non ti sei più svegliata da quel momento.- spiega,
accarezzandomi la
mano; - Domani ti dovrebbero giustiziare.- aggiunge con voce spezzata,
stringendomi forte le dita fra le sue, calde.
Sorrido
amaramente, girandomi a
fissare qualcosa che non sia il viso afflitto e disfatto di Kiba.
-
Ti porterò via. Scapperemo
insieme.-
afferma con la sua solita
sicurezza, ridestandomi.
-
Non credo sia una buona idea.-
cerco di contraddirlo.
-
Ti porterò via con la forza.-
ringhia.
Non
può farlo. Non deve.
-
Ti giudicheranno mio complice.-
-
Non m’importa!- esclama con la
sua ostinatezza.
-
E Hanabi? La lasci così?-
domando, cercando di farlo ragionare.
-
Le ho già parlato.-
Lo
dice abbassando lo sguardo.
Bugia. Non le ha ancora parlato.
-
Ok.-
sospiro infine. Me ne andrò con il ragazzo di mia sorella, scappando al
mio
giudizio.
Si
alza con aria risoluta.
-
Aspetta.-
lo richiamo. – Naruto...?- Non ho nemmeno il tempo di finire la
domanda che già mi borbotta cupamente un “distrutto”.
Mi
perdo nei miei pensieri, ma
prima di tornare in quelle dimensioni della mia mente, la mano di Kiba
mi
invita a sollevarmi. E quando mi reggo in piedi e attraverso la porta
della mia
dimora, penso che forse ho ritrovato la forza di lottare; oppure, cosa
molto
più probabile, così facendo riconfermo la mia viltà fino alla fine,
preferendo una
vita disgraziata ad una morte, per quanto poco dignitosa. E quello che
mi fa
soffrire di più è che, con me, sto trascinando Kiba.
Perdonami
se puoi, Kiba.
***
Passeggia
avanti e indietro per
la stanza, accarezzando con le dita affusolate una lettera. Ne rilegge
ancora
il contenuto, passando gli occhi nivei fra le righe frettolose.
Poi
l’accartoccia e la getta nel
caminetto crepitante.
La
porta si apre di colpo ed
entra un ragazzo col fiato corto e gli occhi grandi per l’agitazione.
-
Hinata non è più nella sua
camera!- esclama allarmato.
Hanabi
finge di esserne sorpresa,
e porta la mano davanti alla bocca.
-
Neji... Dobbiamo chiamare gli
ANBU!- esclama.
Il
ragazzo annuisce, ed esce
dalla stanza correndo.
Hanabi
richiude la porta, senza
fretta.
Torna
davanti al fuoco e guarda
le fiamme sfaldare completamente la lettera che le ha lasciato il suo
ragazzo;
Hanabi pensa che non dirà a nessuno che lui e sua sorella sono diretti
a Nord,
né che hanno intenzione di nascondersi per un po’ nel Paese del Suono.
Hanabi
ama profondamente Kiba. E
per quanto la sua natura sia orgogliosa e vendicativa, la cosa più
importante è
quel sentimento.
Ma
perché lo fa per sua sorella?
Sospira.
Forse
lo fa semplicemente perché
tutto quello che è stato fatto non ha più importanza.
Tutto è stato perdonato.
°°°
Credits:
La canzone (Forgiven dei Within Temptation),
da cui ho preso
ispirazione per questa fan fiction, non è di mia proprietà; i
personaggi del
manga\anime Naruto non sono di mia proprietà. Sia la canzone che i
personaggi
appartengono ai rispettivi autori.
Grammatica: 3,5/5
Stile: 7/10
Trattazione dei personaggi /IC: 7,5/10
Attinenza alla canzone: 8,5/10
Originalità: 10/10
Giudizio personale: 4,5/5
-2 punti per aver inserito spoiler
nonostante fosse
vietato nel bando.
Totale: 39
Gli errori di grammatica presenti ne testo sono
costituiti
da errori di distrazione e errori di punteggiatura, purtroppo hai
spesso
dimenticato la punteggiatura alla fine delle frasi o dimenticato di
mettere
almeno tra virgolette le parole testuali dette da Sakura: non stavi
parafrasando le sue parole, le stavi proprio ripetendo, per cui almeno
le
virgolette erano necessarie. Per il resto niente di grave. Per lo stile
direi
che la storia si legge di filato e riesce a catturare molto. Si
desidera
proprio capire cosa c'è alla fine. Purtroppo alcune frasi non sono
proprio
riuscita a capirle, per esempio “cercando di dargli un appiglio alla
ragione”.
Sinceramente non l'ho capita.
Viste però le parolacce che hai inserito e
(soprattutto) le
scene un po' cruente ti consiglierei di alzare il rating ad arancione.
Passiamo alla caratterizzazione dei personaggi.
Mi hai
rappresentato una Hinata lontana dallo stereotipo timida e impacciata
dandomi
una Hinata adulta, in profonda crisi per via di ciò che deve
sopportare.
Diciamo che dalle mie parti si direbbe che è “uscita completamente di
testa”
per il dolore. Sì, in effetti in certi casi si possono commettere anche
crimini
orribili per cui te l'ho data per buona, detto questo la
caratterizzazione che
le hai dato è decisamente forte e in un certo qual modo fragile. Molto
interessante, comunque. 9
Voce fuori campo e compagno: Kiba. Sì, ha avuto
un posto
abbastanza di rilievo che penso di doverlo valutare... Direi che hai
centrato
il suo IC per quanto non so se ce lo vedrei ad abbandonare Hinata. 7
Tutti gli altri: sei rimasta abbastanza IC,
soprattutto con
Sakura, un po' meno con Hanabi e Neji (che tuttavia hanno apparizioni
anche
minori). 6
L'attinenza alla canzone è buona, le frasi di
Kiba
richiamano continuamente il testo della canzone.
E la tristezza che emana da questa canzone si
sente anche
nella storia.
Voto pieno per l'originalità, non avevo mai
letto niente di
simile, figurarsi poi su Hinata!
Per quel che riguarda la fine di Sakura
scommetto che volevi
fare leva sul fatto che non mi piace! E invece mi è dispiaciuto
parecchio per
lei... Poverina. No dai scherzo! (Cioè, mi è dispiaciuto davvero,
quello sì.)
Che dire, molto coinvolgente e particolare. “Interessante” direi... Bel
lavoro!
Meno due punti per non avere rispettato il
bando del
contest. Hai inserito spoiler nonostante fosse vietato nel bando,
Naruto in
questo momento è arrivato al numero 45 e il “Ti amo” da te citato e lo
scontro
con Pain compaiono solo nel 47. Figurarsi poi l'abbraccio con Sakura.
Ho tolto due punti al risultato finale.
Ok,
sono arrivata al mio commentino. Insomma, che dire. Adoro la canzone
(wow, che perla di saggezza) e sono in un ritardo pazzesco nel
pubblicare la storia (wow, di bene in meglio). Per quanto riguarda la
f.f., sono soddisfatta del risultato. Ho messo in campo una Hinata
matura,
nel pieno del suo spettro emozionale, mostrandone lati che forse alcuni
le
precluderebbero. Alla fin fine lo stereotipo della timida (seppure
importante e
rilevante) mi ha stancata. Beh, è un esperimento, tutto qui!
Ho
scritto la storia nello stesso periodo nel quale studiavo "L'Orlando Furioso" che, devo dire,
mi ha ispirata per il tema della pazzia! (Non si nota nemmeno, eh? XD)
Inoltre
voglio ringraziare le partecipanti
e la giudice Arwen88 per il
magnifico contest e vorrei scusarmi con quest'ultima per aver
accidentalmente violato il regolamento del bando (anche se sono stata
giustamente punita! XD).
Spero che nessuno diventi pazzo,
strabico occhessoio leggendo la fanfiction! XD
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