Mi è venuta fuori ieri sera, non so il perchè. La
foga mi ha sovrastato e ho scritto fino a mezzanotte passata
:D . A volte mi succede :DDD
Che ne dite la lascio a one shot? Comunque le parole storpiate della prof sono scritte apposta :D
“Ehi Chiara vieni alle cena di classe?”
Terza liceo scientifico, cena di classe delle medie, classe odiata dal
profondo, a parte alcune persone.
“No, non posso sabato, è il compleanno di mia
mamma e andiamo a mangiare fuori.” la voce scocciata mi viene
naturale.
“Ma dai! Dì ai tuoi di venire a mangiare nel
ristorante dove andiamo noi!” mi dice Vittoria, ragazza che
conosco dall’asilo, elementari, medie, ma in classi diverse
(per fortuna) al liceo.
“ No davvero, il prossimo anno, prometto”
Naturalmente le dita incrociate sono d’obbligo. Mi spunta un
accenno un sorriso di soddisfazione, ma lo noto solo io.
“ E va bene! Il prossimo anno allora.” esclama un
po’ sconsolata.
Per fortuna se ne va... non potevo sopportarla un minuto di
più. E’ da giorni che mi stressava con la cena di
classe, ma io proprio non ci volevo andare, soprattutto per due motivi:
Non avevo nessuna voglia di vedere i miei compagni, anche
perchè le mie amiche storiche non ci sarebbero andate per lo
stesso motivo, o perchè avevano altri impegni.
Non avevo nessuna voglia di rivederlo, anche se in teoria non mi aveva
fatto niente.
Per lui avevo sviluppato una sorte di odio/semi-attrazione che non
sapevo ben definire.
La lontananza mi aveva fatto bene, infatti lui all’ultimo
aveva scelto un’altra scuola; se l’avessi visto
tutti i giorni sarebbe stata la mia fine e i miei 8 in pagella mi
avrebbero fatto “ciao” come le caprette di Heidi.
Quando lo vedevo perdevo una buona parte della mia solida
lucidità mentale.
Non avevo mai voluto cedere, non avevo mai capito se era interessato
veramente a me. Ero sempre stata diffidente nei suoi
confronti,soprattutto per il suo carattere, il tipico bastardo, molto
bello naturalmente, che si divertiva ad andare con tutte, e queste ci
stavano, rimanendoci “amiche” o forse qualcosa di
più. Insomma le solite sgualdrine, come ce ne sono in tutte
le classi; ma nella mia erano la maggioranza.
Almeno tutta la componente femminile per un periodo durante le medie,
si era presa un cotta, chi più o meno intensa per lui.
Tranne me.
Fino alla metà della seconda media, nonostante la
maggioranza di femmine nella mia classe, non mi ero mai interessata ai
ragazzi, anzi me ne fregavo altamente. Poi mi ero “
svegliata”, e mi domandavo quale fosse stato
l’imput.
Mi domandavo anche perchè molte in terza avevano
già il “ragazzo” e io no, anzi, mi
sembrava che nessuno si interessasse a me. Non ero bellissima (ma a
detta delle mie amiche non ero “male”), non molto
magra, anzi diciamo che una 44 piena c’era, poco seno,
capelli neri, occhi neri, pelle scuretta, che d’estate
assomigliava molto a quella di una cubana. Almeno non ero bassissima
come molte delle mie compagne. Però non mi consideravo
bella. (Adesso per fortuna sono dimagrita, ma le curve ci sono ancora,
ma me ne vanto!)
Poi verso Aprile, la prof di italiano ebbe la brillante idea di
cambiare i posti, e io mi ritrovai proprio davanti a lui. E non so
come, svegliò qualcosa in me. Ancora oggi quando ci ripenso
mi rivengono un po’ di brividi.
Una mattina, ero praticamente stesa sul banco ad ascoltare la
noiosissima lezione di storia con una mano penzolante dal bordo, lui me
la prese e incominciò ad accarezzarmi le dita. Io lo lasciai
fare, probabilmente perchè non mi rendevo neanche conto di
quello che stava facendo.
Giorno dopo giorno però continuavo a far pendere la mano
nella speranza che lui lo rifacesse, e a volte accadeva. Il pomeriggio
stesso mi interrogavo sul mio comportamento e mi rendevo conto che
probabilmente per lui era solo un gioco, ma per me forse sarebbe potuta
diventare qualcosa di più.
Così decisi di essere distaccata, anche perchè
sapevo che la sua bellezza era direttamente proporzionale alla sua
s******ggine. Erano il giudizio che mi avrebbero dato le mie di amiche
ma soprattutto i suoi amici che però mi
intimorivano di più del suo carattere. Quella schiera di
oche, quei maschi stupidi, certi giri che frequentava o che aveva
iniziato a frequentare, insomma mi sentivo inquieta a pensare a un
remoto futuro con lui. Qualche volta però uno sguardo mi
scappava involontariamente sui suoi capelli marroncini chiari, quasi
impercettibilmente mossi, oppure sulle sue mani, le quali erano una
delle parti del suo corpo che mi piacevano di più, o sul suo
fisico scolpito, magro e muscoloso come un vero giocatore di pallamano.
Anche il suo viso era bello.
Le mie amiche, per mia scelta, non hanno mai saputo del mio conflitto
interiore, ma credo che comunque l’avessero già
capito da un po’.
Perciò lasciai perdere. Nonostante tutto. Non vedevo
l’ora di finire le medie, per non vedere più
quella classe tanto odiata, che era composta per di più da
oche e da sgualdrine di prima qualità.
E poi mi venivano a chiedere se volevo andare a rincontrare quella
gente? Neanche per sogno!
Nella mia classe mi trovo bene, inoltre ci sono un sacco di ragazzi
molto belli; e sono amica con loro. Marco, in particolare lo conosco
dall’asilo come Vittoria, eravamo in classe assieme.
Simpaticissimo, non bellissimo, ma con degli occhi verdi spettacolari,
ma molto tra le nuvole e un po’ opportunista, ma il mio
migliore amico dalla prima superiore.
Giovanni, biondo occhi azzurri chiarissimi, fidanzato un pò
tronista, bocciato in seconda,che però, se non mi sbaglio,
è interessato un po’ a me. Ma io non voglio
inimicarmi nessuno, perciò non ci sto. Anche se con lui
scherzo e ci divertiamo.
Ma a 16 anni suonati non ho ancora baciato nessuno. Ma non sono
l’unica.
Mettendo questi pensieri da parte ritorno in classe, la ricreazione
è finita.
“Giusy chi c’è adesso?”
“ La Grande...” La prof di latino, considerata la
più invornita e la più suscettibile, di tutto il
corpo insegnanti della nostra sezione, vecchia e per di più
sarda.
“Ragggazzi, la profssessa di italiano del brocca ha proposto
uno spettacolo a teatro per prossimo martedì. Ci
andiammo?”
Senza ombra di dubbio rispondiamo affermativamente, anche
perchè il nostro corso fa veramente pochissime gite.
Lo spettacolo si chiama “I demoni”, balletto in
chiave moderno, credo proprio che mi piacerà.
I giorni passano rapidamente e con loro la cena di classe a cui io ero
stata miracolosamente risparmiata; dopo essere scampati, grazie a una
giustificazione di massa, alla temutissima interrogazione di
matematica, ci avviamo verso l’uscita del liceo.
In strada stiamo tutti in un grande gruppo, io abbracciata a Marco e a
Giovanni, e di fianco a Marco, la mia migliore amica Sara, anche lei in
classe con me alle medie.
“ Chissà che scuole ci saranno oggi a
teatro” si chiede tra se e se Sara.
“ Mah, podarsi che ci sia il classico, i geometri e
sicuramente altre sezioni del nostro liceo che arriveranno con la
Graziosi.”
La camminata procede tra risate e musica attaccata, tanto i nostri
prof. non la sentono e ci scherziamo su come matti.
Il teatro è alle porte e una volta entrati ci sistemano in
platea, perchè siamo stati una delle prime classi a
prenotare i posti, perciò abbiamo i migliori.
“Ehi guarda chi c’è nella fila
a destra della nostra ma un posto avanti a noi !” mi
bisbiglia Sara all’orecchio, nella confusione del teatro.
Mi sento quasi svenire, ma mantengo l’autocontrollo a fatica.
Forse sono appena sbiancata.
Appena due metri da me c’è lui, Francesco, quello
che avevo cercato di ignorare. Non lo vedevo dal giorno
dell’esame scritto di matematica delle medie, cioè
quasi quattro anni. Alle medie le mie compagne fantasticavano su come
sarebbe diventato bello quando sarebbe andato alle superiori in terza,
a 16 anni e avevano pienamente ragione: era diventato ancora
più bello, più alto, stessi capelli, stesse mani
bellissime, stessi occhi verdi-marroni, ma con il viso più
da adulto, più marcato. E il fisico non è
cambiato affatto. Indossa un maglione di cotone grigio chiaro un
po’ attillato, per evidenziargli i muscoli ( il solito gallo,
non è cambiato) con sotto una maglia bianca senza collo e un
paio di blue jeans.
Un bruciore istantaneo mi invade lo stomaco, era da tanto che non mi
capitava e sapevo anche da quando.
Purtroppo ci vede e ci saluta, ma la conversazione è breve,
giusto un come stai e buono spettacolo.
Quest’ultimo inizia dopo pochi minuti, la sfiga vuole io sia
la penultima della fila quindi, lui, riesco ad osservarlo benissimo.
Fortunatamente mi faccio prendere dalla musica e dal ballo, e il suo
pensiero mi abbandona.
Un improvviso movimento alla mia destra mi attira. E’ la sua
mano che si sistema i capelli. Il respiro si fa accelerato, ma ancora
mi impongo l’autocontrollo e la concentrazione per godermi lo
spettacolo.
“ Che hai?” mi chiede Marco, seduto tra me e
Giovanni, e Sara alla mia destra.
“Niente, è un po’ freddo qui a
teatro...” sto mentendo spudoratamente.
“ Vuoi la mia sciarpa?”
Che gentile! Fin da piccola mi sono chiesta chi avrei sposato e subito
mi veniva in mente Marco, un tipo divertentissimo, e che molte volte la
pensava come me, perfetto per la famiglia. Sarei stata bene con lui.
“ Si grazie” gli rispondo, anche se in
realtà io mi sentivo piuttosto accaldata.
Lo spettacolo continua, senza intervallo e con ballerini bellissimi.
Tra me e Sara c’è un continuo scambio di battutine.
Ogni tanto lo fisso, ripensando che potrei andare lì,
parlarci, forse le cose si evolverebbero ( puntualmente a
questi pensieri corrisponde lo stomaco traballante) oppure andarmene
come niente fosse e fregarmene altamente. Guardandolo riscopro ogni
particolare del suo viso e delle sue mani che avevo dimenticato, ogni
espressione, ogni movimento, tutti oscurati dal tempo. Spero intanto
che la prof, ma soprattutto i miei amici non si accorgano che non sto
proprio seguendo lo spettacolo assiduamente. Giovanni mi osserva con
uno sguardo interrogativo, ma faccio spallucce e mi concentro
sull’ultimo quarto d’ora del balletto.
Finalmente tutto termina, mi alzo e mi avvio verso l’uscita.
Per fortuna lui è rimasto bloccato; non ho intenzione di
vederlo per altri 2/3 anni se possibile, ma in una città
piccola come la mia con tre scuole in croce è
un’impresa abbastanza ardua, ma se c’ero riuscita
così bene in quel lasso di tempo perchè non ci
sarei potuta riuscire ancora?
Salutati con un bacio Giovanni, Marco e Sara e con la mano il resto
della mia classe mi avvio a piedi verso la piazza sulla strada per
tornare a casa, visto che lo spettacolo è durato fino alla
fine dell’orario scolastico.
Prendo appositamente la via più lunga per schiarirmi le
idee, tanto la cartella oggi non pesa molto.
Sono anche sicura che lui non mi seguirà, siccome abita in
un paesino in periferia, che per raggiungerlo è obbligato a
prendere un autobus, immagino insieme a un altro mio compagno delle
medie, Alessio.
Decido di fermarmi in una pizzeria al taglio, così appena
arrivata a casa non avrei dovuto far impazzire mia nonna a cucinare.
“ Un pezzo di pizza margherita per favore” chiedo
“Anche per me grazie.” Non credo alle mie orecchie,
sta volta se non mi reggo al bancone rischio veramente di svenire dallo
spavento. Quella voce la riconoscerei tra mille. Quella
“erre” non moscia, un po’ “
catarrosa” come mi piace definirla, soprattutto non la
confonderei mai. In pochi parlano così.
Mi giro, incapace di capire la mia espressione, probabilmente stupita.
Lui mi sorride. E io, incapace di sostenere il suo sguardo, mi giro di
nuovo, pago la mia pizza ed esco senza degnarlo di uno sguardo.
Mi accorgo di camminare scossa per qualche metro, con la pizza in mano
come un soprammobile.
Butto via la pizza, tanto la fame mi è passata.
Giro per una strada secondaria, che nelle giornate di sole e
all’una della mattina non è frequentata da molti.
Mi appoggio al muro, per rinfrescarmi le idee, anche se siamo in pieno
inverno, ai primi di Febbraio, e ci sono 0 gradi, anche
all’una.
Chiudo gli occhi per riflettere, e per calmarmi. Mi chiedo come mai
abbia reagito così.
In fondo lo dovrei sapere, questo per lui è solo un altro
dei suoi giochetti.
Mi calmo e riapro gli occhi.
Il suo viso è a pochi centimetri dal mio. Il mio viso
probabilmente ha assunto un’espressione stupita, forse anche
un po’ impaurita. ‘Se queste emozioni le avesse
vissute un cinquantenne, gli sarebbe già venuto un
infarto’ penso.
“Allora è questo il modo di trattare un vecchio
amico?” La sua voce, più profonda di come la
ricordavo è ancora più bella. Ma mi irrito.
“Tu non sei mio amico” gli rispondo con veemenza.
“Ah no? Meglio.” Sorride.
Si avvicina e mi bacia, un bacio prima appena accennato, per testare la
mia reazione, poi dolce, di una dolcezza infinita. Io non riesco a
resistere e cedo.
E il bacio diventa pieno di passione, un bacio sperato, un bacio
aspettato, un bacio agognato, e il tempo si perde nel suo ciclo
infinito lasciandoci fuori dal suo corso.
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