Fanfic
ambientata dopo le vicende di final fantasy VII.
Sephiroth era il figlio
di Jenova. Il predestinato. Il re del pianeta.
Ora che non era
più nessuno, cosa gli serviva vivere? Come avrebbe mai
potuto sopportare di essere vivo grazie a Cloud e compagni, convinti
poi di poterlo addomesticare? Loro non potevano nulla contro di lui.
Nessuno era in grado di
domare il re.
Nessuno avrebbe impedito
il destino di compiersi. Peccato non ci fosse Aerith nei piani.
Sarà lei l’improvvisa causa che
capovolgerà l’universo dell’uomo dai
capelli argentei fino a sconvolgere la sua vita.
Adoro questo pairing ma
non ho mai scritto nulla su di loro perché non ero sicura di
riuscire a scrivere una fanfic che rendesse loro pienamente giustizia.
Alla fine mi son detta:
“proviamoci”, dunque eccola qui!
Ad avermi ispirata
è stata la bellissima canzone “Breath” dei
Breaking Bejamin che ho sempre trovato perfetta per
Sephiroth. Dalle parole al ritmo frenetico. Per me parla di lui.
Beh, spero vi piaccia la
mia prima fanfiction Sephirith.
Un pairing dark, che
unisce bene e male, bianco e nero…è questo quello
che vorrei riuscire a rendere.
Però... un
punticino bianco è capace di illuminare una distesa di nero.
Almeno per me questo definisce, in breve, la SephirothxAerith!
Vi lascio alla lettura!
BREATH
CAPITOLO
1. Nato per essere il migliore...
Nato per essere il migliore.
Il migliore fra tutti. Colui che avrebbe fatto rinascere il pianeta e
avrebbe fatto cominciare una nuova era, dove lui sarebbe stato
l’unico e solo essere, perfetto.
La perfetta manipolazione genetica di Jenova…
Manipolazione genetica…
…Jenova…
Chiuse gli occhi e di nuovo avvertì amaro in bocca.
Così insopportabile da costringerlo a disegnare sul suo viso
una smorfia. Gli sembrava quasi di assaporare il veleno.
“…Perché? Professor Gast?” si
chiese nella penombra.
Di colpo cominciò a ridere. Ridere come un folle.
Il migliore. Io sono il
migliore!
Inchinatevi
all’ira del grande Sephiroth.
Implorate clemenza,
urlate per avere una morte veloce.
…Ma non
aspettatevi che io accolga le vostre preghiere!
Lacererò i
vostri muscoli, schiaccerò le ossa fino a ridurle in polvere.
Strapperò gli
organi dal corpo e vi farò fuoriuscire copiosamente il
sangue.
Non concederò
tregua nemmeno al vostro cadavere. Non rimarrà nulla.
…e poi avanti
il prossimo. Chi è colui che spera
nell’umanità dell’eletto?
Chi è
immeritevole, perirà ed avrà una sorte uguale a
tutta la gente come lui.
Osate mettervi contro di
me? Allora assaggerete la lama della mia spada.
Sono figlio della
Madre…
Sono perfetto in questo
mondo contaminato dalla razza umana.
Riprendiamoci il
pianeta, madre. Assieme! Tu dentro di me. Vivi in me.
…e assieme
diverremo Dio.
Perché la mia
ira è potente, non ha limiti e nessuno potrà
ostacolarla.
Nessuno.
Serrò i denti con rabbia e fissò il vuoto non
sbattendo mai le palpebre.
I suoi occhi, i suoi inconfondibili occhi ancora impregnati di quel
marchio riconoscibile fra mille, cominciarono a farsi più
vividi.
Il suo sangue ribolliva così forte da sentirsi pronto a
ricominciare tutto anche in quello stesso istante.
Era ad un passo dalla vittoria. Pochi attimi e la meteora avrebbe
colpito il pianeta distruggendone gran parte.
Sorrise nell’immaginare quell’attimo e una
sensazione di piacere immenso gli trapassò il corpo
deliziandolo.
Quasi gli pareva di sentire le urla degli umani mentre si compiva il
destino. Il suo mondo perfetto era così a portata di mano ed
era già pronto ad assaporarlo.
Tanti anni, tanti studi, tanti ostacoli. Aveva architettato il tutto in
maniera impeccabile.
Tuttavia… ci fu colui che non avrebbe mai creduto potesse
intralciare il suo cammino.
Cloud Strife.
Chi poteva mai immaginare che quell’insulso clone, giudicato
dallo stesso Hojo come uno scarto, avrebbe invece messo un punto alla
sua stessa vita? Le sue ricerche? Il suo odio? Che fine avevano fatto?
A cosa era valsa la sua impresa? Come aveva potuto un semplice omuncolo
derivato da un comunissimo umano ostacolare il figlio eletto di Jenova?
…Dove? Dove
abbiamo sbagliato, Madre?
Emise un gemito soffocato e gli occhi cominciarono a farsi sempre
più avidi di vendetta. Erano pronti a colpire la prima forma
di vita che avrebbe visto, per poi dargli la caccia e lo strazio fino
alla morte.
…Bastardo!
Nonostante fosse buio pesto, Sephiroth se ne stava in un angolo
immobile in quella casa così silenziosa e vuota. Le deboli
luci esterne filtravano le finestre e raggiungevano i soprammobili
disegnando appena i loro contorni.
In ogni caso, però, niente era distinguibile. A momenti,
nemmeno lo stesso Sephiroth.
Di colpo gli venne un enorme capogiro e a passo svelto si diresse verso
il bagno rinchiudendosi lì dentro con violenza.
Con una forza incontrollata sbatté la porta e si
poggiò al lavandino.
Aveva preso ad ansimane. La testa girava ancora. Il respiro si fece
ancora più intenso. Anche il cuore pulsava più
del normale. Quasi poteva avvertire le vene pompare il sangue con una
velocità inverosimile.
Aprì velocemente il lavandino a sciacquò il viso
con acqua gelida. Quasi come se volesse svegliarsi da
quell’incubo.
Alzò il viso verso lo specchio e si guardò
intensamente.
Osservava disgustato sé stesso.
Era così perfetto, l’essere che avrebbe compiuto
grandi cose. Era forte, indomabile. I suoi muscoli confermavano un
fisico ben allenato, degno del miglior SOLDIER della Shin-Ra quale era.
Levò via con forza la maglia scura. Avvertì un
leggero senso di benessere dopo essersi sentito così
accaldato in quella stanza soffocante.
Il silenzio spettrale che si addensava in quell’ambiente gli
facevano percepire perfettamente i rumori della città. Le
macchine, le persone, le voci, le musiche…
Quel mondo non faceva per niente parte di lui. Perché dunque
era lì?
Sarebbe stata, per uno come Sephiroth, migliore la morte. Invece aveva
avuto qualcosa di peggio, di molto peggio. Gli era toccato vivere.
Un cane legato, questo era diventato. Cosa speravano tutti? Che si
sarebbe ammansito? Che lo avrebbero addomesticato come un animale?
Rise disgustato.
Non avrebbero mai potuto mettere in gabbia il grande Sephiroth.
Si ritrovò a pensare a quella che ora era la vita del
principe di quel pianeta:
Legato e osservato fino al tramonto del sole. Solo allora poteva godere
del silenzio e della notte.
Fino a poche ore prima erano ancora lì, Cloud ed i suoi
insulsi compagni. Più volte aveva riso loro in faccia,
disprezzando di continuo il loro modo di mostrarsi e di comportarsi.
…Perché tenerlo in vita in tal modo?
Un animale sarebbe stato senz’altro meglio. A lui era toccato
passare le sue giornate legato come un salame su una sedia per tutto il
santo giorno salvo pochi attimi di libertà. Non bastava una
tale umiliazione. Con Sephiroth doveva esserci anche lui: Cloud Strife.
Ah, se avesse avuto le mani libere lo avrebbe già ucciso.
Invece era già un mese che era in quello stato. Davvero
credevano che si sarebbe rassegnato? Non sapevano nulla di lui.
Avrebbe preferito morire dissanguato mordendosi la lingua fino a
strapparla via. Sempre meglio di quell’inferno.
Rise nuovamente.
Cosa ne sarebbe stato di lui? Ah, se Jenova lo avesse mai
saputo…
Ridammelo!
Ridammi mio figlio!!
Maledetto!
Ti uccido!
Il
tuo odio da un lato è un bene…ah, ah, ah!
Nella mente, all’improvviso, echeggiarono dei ricordi diversi
dai soliti.
Non ricordava né a quanto risalissero e neppure se questi
fossero ricordi veri e propri.
La voce di una donna attirava la sua attenzione. Una voce vaga ed
indefinita, eppure in qualche modo così dolce e
rassicurante.
Poi…l’inconfondibile voce dell’uomo che
più detestava al mondo: Hojo. Non si era mai importato dei
suoi occhi furenti.
Ti
ammazzo!
Non si era mai importato delle sue minacce.
Cosa
mi serve tutto questo..?!
Non si era mai importato di nulla.
Di colpo avvertì calore sulla mano. La osservò
apaticamente mentre si tingeva lentamente di sangue. Nemmeno si era
accorto di aver affondato così tanto le unghie.
Serrò i pugni affondando ancora più
impetuosamente sulla ferita e il sangue cominciò a scorrere
più velocemente gocciolando per terra, scorrendo lungo il
braccio.
Lui non ebbe alcun tipo di emozione. Era immobile e osservava il suo
stesso sangue come se nulla fosse.
[…]
A volte penso che sei
mio. Sì, capitano i momenti bui, ma alla fine ci sei sempre
tu al mio fianco.
Beh, quasi sempre.
Insomma, ora che importa?
Aerith si guardò un’ultima volta nella grande
specchiera della sua stanza. Dopo un lungo attimo, aggrottò
le sopracciglia e disfò tutto il trucco.
Si sentiva orribile.
Sebbene ci avesse impiegato più di venti minuti per ottenere
una pelle omogenea, dei colori sfumati sulle palpebre e delle ciglia
folte e scure, non era, ancora una volta, convita della sua immagine.
Spalmò nuovamente le pomate e delicatamente
ricominciò a sistemarsi. Un tocco di ombretto rosa sulle
palpebre, tanto mascara e un tocco di phard sulle gote. Era di nuovo
pronta.
Scese velocemente le scale e sorrise non appena distinse la figura di
Cloud Strife. Il cuore cominciò a battere più
velocemente e sentì che non vedeva l’ora di
abbracciarlo e stringerlo a sé.
“Cloud!” gli disse. Il biondo ragazzo non fece
nemmeno in tempo a girarsi che lei già gli aveva serrato le
braccia sul collo.
Cloud sussultò. Era rimasto, ancora una volta, senza parole
per gli atteggiamenti di Aerith. Tuttavia non ricambiò,
né fece altro.
“Finalmente sei scesa!”
La voce di Tifa irruppe in quel momento ed Aerith si scostò
dal ragazzo imbarazzata. Le sorrise ridendo debolmente.
“Eh, eh…che vuoi farci? Ho bisogno di tempo per
prepararmi!”
Tifa poggiò una mano sul fianco e sgranò gli
occhi divertita.
“Direi ‘molto tempo’! Comunque
è proprio ora di scendere. Oggi devo tornare presto al
bar.”
“Allora andiamo al cinema, come deciso?” disse
l’ancient avvicinandosi a Cloud e prendendolo per un braccio.
“Andiamo!”
Cloud osservò Tifa serio.
“…ti accompagno io al bar.”
“Non c’è bisogno, faccio da
sola.” Disse la bruna con fare sicuro.
Aerith sbuffò trascinandolo fuori.
“Ci pensate poi! Ora dobbiamo uscire!”
Edge.
Le strade erano ancora malandate, ma era divenuta più
vivibile rispetto a qualche mese prima. Ognuno si stava dando il suo
bel da fare nel sistemare quella città nata dalle ceneri di
Midgar. Stesso la parola ‘Edge’ stava a significare
questo.
Alzando gli occhi era ancora possibile ammirare la grande azienda della
Shin-Ra, ma ora era solo un vuoto e desolato rudere. Una maceria
assieme ad altre cento macerie. Eppure aveva un enorme
significato…
Aerith aveva ancora per mano Cloud. Perché l’aveva
trascinato così? Perché non si importava nulla
dei sentimenti di Tifa, che chissà cosa provava nel vederli
mano nella mano?
La risposta era tanto semplice quanto infantile: voleva dimostrare che
Cloud fosse suo.
Voleva essere lei a spronare il ragazzo e a desiderarla. Questo anche a
costo di ferire l’amica.
Da un lato le faceva male pensare ciò, ma in fin dei conti
era forse meglio agire alle spalle?
Era migliore il comportamento di Cloud sempre così apatico,
quasi indifferente?
Non esisteva una risposta, ma Aerith aveva deciso di comportarsi
così. Non era in grado di accettare il modo di fare di
Cloud. Non era capace di pazientare come Tifa. Sarebbe risultata
seccante? Avrebbe ottenuto qualcosa? In fin dei conto poco le
importava. Sicuramente così non si sarebbe pentita di non
aver fatto nulla.
Eppure…non era così facile come sembrava.
Cloud continuava imperterrita a cercare Tifa, a starle accanto, a stare
attento a tutto quello che accadeva attorno a lei.
…e quando c’era Tifa, Aerith spariva dalla sua
mente.
Quando erano soli, no. Cloud dedicava tutto il suo tempo alla bella
ancient. La faceva persino sentire unica ed importante. Ridevano e
scherzavano con battute irriverenti, cosa che con Tifa non lo aveva mai
visto fare. In quei bei momenti davvero era convinta che un piccolo
passo li avrebbe uniti per sempre.
Tutto spariva quando entrava in scena Tifa Lockheart. La donna di Cloud
da sempre. Negli ultimi tempi soprattutto, dato che oramai il biondo
viveva con lei.
Un giorno era persino andata a trovarli. Uno sfortunatissimo giorno
dove vi erano anche Marlene e Denzel.
Le si presentò davanti una situazione così
familiare che per la prima volta provò imbarazzo di essere
con i suoi amici.
Si sentì inopportuna e con una scusa andò via.
Non le era mai capitato.
Da quel giorno si sentiva davvero a suo agio solo quando era in
compagnia di Cloud e basta.
Mentre li osservava immaginava a chissà quanti ricordi
avessero ora assieme. Chissà cosa era accaduto fra loro?
Nulla? Un po’ improbabile…
Scosse la testa disturbata. Pensieri del genere la soffocavano e la
facevano star male e lei non voleva vivere tale angoscia.
Entrarono nel cinema e Aerith prese posto accanto a Tifa. Mentre
ridevano, facevano battute, la giovane provò una morsa al
cuore. Li vedeva bisbigliare, sorridere su un qualcosa che ad Aerith
era totalmente sconosciuto. Anche se avesse tentato di chieder loro
qualcosa, non li avrebbe mai capiti…
Fu quando li vide ridere da soli che si sentì quasi morire.
Il film aveva dimenticato di seguirlo già da un
po’. Cloud rideva e vide disegnato sul suo volto un sorriso
sincero e davvero raro da vedere su di lui.
Quegli occhi, quell’espressione…
Si alzò di colpo.
“Che ti prende?” disse Tifa preoccupata.
“S-scusa. Devo andare! Voi rimanete!”
Cloud e Tifa non fecero nemmeno in tempo a rendersi conto della
situazione, che Aerith era già lontana.
Corse velocemente verso l’uscita dopodichè si
fermò tremante. Strinse il lungo giaccone attorno a
sé e guardò nei dintorni smarrita. Una lacrima
scivolò veloce su viso, ma la bella ancient non vi fece
troppo caso.
Abbassò lo sguardo. Era nervosa e si sentiva terribilmente
sola.
“Caspita, no…” disse con un filo di voce.
Scosse la testa e cercò di rivolgere i suoi pensieri ad
altro. Ma a cosa? A Cloud e Tifa che ridevano escludendola
deliberatamente? Cosa poteva mai distrarla?
“Cloud…” bisbigliò ancora.
Che cosa posso dire?
Sono felice di amare Cloud…
Eppure…eppure
c’è qualcosa che va oltre la passione o
l’affinità. Qualcosa di così oltre che
è fuori anche la mia portata.
Sai fare di me in pochi
attimi la tua bambola, eppure non mi dici mai ‘ti amo,
Aerith’.
Tu non lo sai, ma questo
mi fa soffrire molto.
Non te lo direi mai, ho
paura di perderti, ma non sai quanto vorrei che mi vedessi piangere
mentre mi stringo al cuscino sdraiata sul letto.
Ho paura di chiederti la
verità. Anche quando siamo soli.
Ho paura, impazzisco per
te.
Ho paura quando non mi
guardi.
Ho paura che guardi
un’altra persona.
Ho paura che quando mi
abbracci, non stai abbracciando me.
Ho paura che quando
sarò io a spaventarti…tu scapperai da lei.
…non posso
fare a meno di sentirmi così.
Dovrò davvero
accettare che io sono tua ma che tu non sei mio?
Mi sta
bene…mi sta bene perché ti amo
troppo…ma davvero mi sta bene così? Davvero
oserò tanto..?
Non so se
l’amore va anche oltre questo, ma se è
così, io dubito i riuscirci.
Sento come se qualcosa
morisse dentro di me, quando ci sei…
[…]
Per l’ennesima volta cadde la linea.
Cloud aveva provato a chiamare Aerith più volte ma non gli
aveva risposto. Perché era scappata in quel modo? Cosa le
aveva fatto?
Che
palle…quando la cerco, non ce mai. Possibile che si metta a
dormire alle dieci e mezza? Non ci credo...
Chissà cosa
cazzo sta combinando e non vuole dirmelo. Però non
è possibile che sappia scegliere proprio i momenti migliori
per sparire.
Si sdraiò stanco sul letto, poi decise che era ora di
uscire. Non aveva per nulla intenzione di chiudere così la
giornata andando a dormire più presto dei bambini.
Nel registro delle chiamate del cellulare trovò in cima il
numero di Tifa…
Fissò a lungo lo schermo del telefono poi di
scattò uscì di casa. Con la moto non ci avrebbe
impiegato nemmeno cinque minuti a raggiungerla.
Quando fu di fronte casa sua bussò incessante sulla porta. I
passi veloci della giovane rimbombano per la casa.
“Sì..?”
“Sono Cloud, scema.”
Tifa lo guardò canzonatoria, poi gli fece segno di entrare.
“Davvero è necessario essere sempre
così…garbati, eh? Vieni di sera senza sapere se
sono impegnata e mi chiami anche scema?”
“Quanto sei pesante…e io che ti volevo fare
compagnia...”
“Diciamo che tu non sapevi che fare…comunque ho da
fare per davvero.”
Cloud la guardò come per vedere se la stesse prendendo in
giro.
“Eh?”
La ragazza portò i lunghi capelli scuri
all’indietro, poi lo guardò con fare ovvio.
“Denzel è stato poco bene. Voglio stargli vicina
almeno fino a quando non si riaddormenterà del
tutto.”
Tifa salì le scale, si avvicinò al letto del
ragazzino e prese ad accarezzargli delicatamente i capelli.
Cloud si mise di fianco a lei osservandola curioso.
Tifa rimase parecchio perplessa di vederlo così.
“Cos’hai, Cloud?”
“Nulla...”
Non era vero.
A dire la verità, Cloud non era abituato a quelle
situazioni. Forse perché non ricordava i suoi genitori,
forse perché non aveva mai ricevuto particolari attenzioni.
Solo in quei momenti si rendeva conto di quante cose non conoscesse.
Vedere Tifa in quello stato di dolcezza unica, gli fece avvertire delle
strane emozioni.
Lei…ci sapeva fare con i bambini. Sebbene sia Denzel che
Marlene non fossero più dei marmocchi, lei sapeva ancora
trattarli a dovere.
Come avrebbe dovuto fare la loro…madre?
Rimase scioccato da quell’idea così materna che si
era fatto di Tifa in quel momento.
Un curioso rimescolio allo stomaco gli fece credere che avrebbe voluto
essere lì, tra braccia di Tifa, in quel momento.
Gli occhi andarono a perdersi sul petto della giovane, dove dormiva
tranquillo il ragazzino.
Forse avrebbe voluto anche lui essere in quello stato di quiete totale.
“Ha ripreso colorito.” Le disse.
Tifa, che da un po’ lo stava guardando, sorrise.
“Sì, l’ho notato. Meno
male…”
“Allora puoi lasciarlo stare ora?”
“Perché? Devi dirmi qualcosa?”
“Sì.”
Tifa lasciò il piccolo Denzel e lo adagiò
lentamente dentro le coperte, stando attenta a non svegliarlo,
dopodichè uscirono chiudendo la porta dietro di loro.
“Meno male che sono tranquilli. Vero?”
“Eh, già…”
“Disinteressato come sempre alle cose che io dico. Eh,
Cloud?”
Ridacchiò leggermente, poi si avvicinò al bancone
del bar. Cloud si sedette su uno sgabello di fianco a lei.
Tifa gli si avvicinò.
“Cos’è che dovevi dirmi?”
“Nulla…”
“Cosa..? E allora perché sei venuto?”
“Nulla.”
“…”
Il biondo alzò gli occhi verso quelli scuri di lei e
notò quanto fosse bella. Con quel suo tono di voce
leggermente stanco, con i suoi capelli lisci…
Era semplicemente splendido ritrovarsela vicino, nel silenzio e nel
buio del locale.
Pensandoci bene, anche lui era un po’ stanco. Avrebbe voluto
passare un po’ di tempo con Aeris. L’aveva vista
davvero strana quella sera ed aveva avuto la terribile sensazione che
gli nascondesse qualcosa.
In ogni caso in quel momento stette poco a pensarci.
Tifa era capace di fargli dimenticare Aeris.
Non era convinto che fosse una cosa positiva, tuttavia in quel momento,
lo trovò un sollievo.
Senza motivo, prese Tifa per i fianchi e
l’avvicinò lentamente a sé.
Tifa, giustamente, rimase perplessa.
“Cos’hai..?”
Il biondo affondò la testa sul petto della ragazza e chiuse
occhi.
“Non mi sento bene nemmeno io.”
“Spiritoso…”
Tifa si fece sarcastica anche se visibilmente si imbarazzò
di quel contatto così improvviso. In tutta risposta lui
l’avvicinò più forte affondando la
testa più intensamente.
Allungò una mano sulla schiena che cominciò ad
accarezzare debolmente, poi le parlò.
“Oggi Aeris era strana.”
Tifa poggiò le braccia sulle sue larghe spalle.
“Sai perchè?”
Il giovane scostò la bocca dal corpo della ragazza per poter
parlare meglio.
“No.”
“Beh, a volte è fatta così. Io penso
abbia avuto per davvero un contrattempo. Non ci pensare
troppo.”
“Okay.” Cloud si strinse di nuovo a Tifa. Lei
sussultò e avvertì calore sul viso.
Il biondo non si curò molto dello stato d’animo
della bruna. Ora si sentiva bene. Tifa era in grado di portarlo in una
dimensione dove esistevano solo e soltanto loro due. Forse era anche
per questo che si sentiva autorizzato ad avvicinarsi a lei
più del solito. Questo, però, solo la notte.
A volte si chiedeva perché avesse voglia di stare da solo
con Tifa, tuttavia non era in grado di accettare la risposta.
La strinse e Tifa fece lo stesso finché non fu lui stesso ad
andare via silenzioso come era venuto.
[…]
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