Tabitha's 10th
Ciao a tutti, guardate un po’ chi si rivede! ^^
Be’ non ho molto da dire su questo capitolo se non che è stato un po’ complicato…
Vorrei
ringraziare i miei lettori pazienti e soprattutto l’esiguo pugno
di miei recensori appassionati, che a volte mi danno davvero ottimi
consigli.
Se anche non siete soliti leggere le premesse vi prego di prestare attenzione a questa.
ATTENZIONE:
ho modificato un po’ tutto il capitolo precedente perché
mi sono accorta un in ritardo dello stato in cui era; non vi chiedo di
rileggerlo tutto, ma ho evidenziato una parte nuova e molto importante
in blu scuro, perché possiate capire bene i riferimenti futuri
che altrimenti potrebbero sfuggirvi.
Grazie ancora.
PS: mi
sentirei davvero al settimo cielo se voleste scrivermi una piccola
impressione riguardo alla mia fiction nella bacheca delle recensioni!!!
;D … confesso che molto del mio entusiasmo iniziale sta
scemando. Se anche volete rivolgermi delle critiche va benissimo:
vorrei capire i miei errori e migliorare di conseguenza ^.^
… e poi, se smettessi di scrivere non sapreste mai cosa ho in serbo per Ron, Hermione e gli altri!!!
Oki, direi che vi ho straziato a sufficienza.
Buona lettura
la vostra
Tabitha
CAPITOLO X
…does the pain weigh out the “Pride”?…
Ci sono momenti in cui
ogni certezza sembra abbandonarti all’improvviso, come se ogni
ricordo o esperienza positiva perdessero a un tratto di significato e
ti sgusciassero via da sotto i piedi, facendoti cadere in basso, nelle
tenebre. A cosa puoi aggrapparti? Il peggio però viene quando,
pur passando accanto a mille appigli, li ignori e con gli occhi tappati
ti ostini a sprofondare senza neppure provare a raggiungere il ciglio
del burrone e a risalire. Aspetti di toccare il fondo: è
più facile sperare in un tappeto elastico alla fine del tunnel,
ma per non esercitare quel poco o tanto di forza di volontà,
rischi di romperti l’osso del collo e morire nel silenzio.
Hermione era immobile, seduta sul
suolo della cella arida e fredda. Era rannicchiata su se stessa e
abbracciava le proprie ginocchia, su cui si abbandonava col volto
rigato da lacrime di requiem.
Nonostante la strega potesse sentire
il tempo correre verso l’infinito e sfuggire rapidamente al
proprio controllo, per il momento riusciva a percepire che non doveva
essere passata più di un’ora da quando avevano visto le
porte di Azkaban aprirsi al loro arrivo.
Erano stati spinti da dei
Dissennatori e da due Auror sconosciuti per un ponte che appariva
sospeso nel nulla, tanto si stagliava in altezza e profonde erano le
sue fondamenta. I Mangiamorte con cui era stata catturata sembravano
essere impazziti ed avevano urlato con occhi allucinati, cercando una
via di fuga, ma Hermione aveva compreso subito che non ce ne erano. La
prigione era simile a un’immensa caverna dal ventre allungato,
senza tetto né piani, con solo un basamento di pietra scura e
umidiccia, forse duecento metri più in basso. Il corridoio su
cui camminavano sbucava da un incavo posto verso la metà
dell’estensione totale di quella specie di un alveare gigantesco,
non portava da nessuna parte e finiva in mezzo alla circonferenza della
costruzione come il trampolino di una piscina vuota. Questo spettacolo
desolante aveva dato il capogiro a Hermione. I Dissennatori si
aggiravano ovunque, portando gelo e sconforto nei cuori dei detenuti e
la ragazza non avrebbe pensato a generare un Patronus neanche in
possesso della propria bacchetta.
I nuovi arrivati erano stati
costretti in una fila indiana compatta e uno ad uno erano stati fatti
avanzare per essere interrogati e portati in cella dagli Auror.
“Draco” lo aveva chiamato
Hermione con un tono di voce bassissimo e timido. Il mago si trovava
proprio davanti a lei. Questo aveva voltato la testa di profilo in modo
innaturale ed aveva cercato gli occhi della strega di sbieco, per non
farsi vedere dai loro aguzzini. Hermione gli aveva rivolto uno sguardo
trepidante e disperato insieme, mentre sbatteva i denti, tremava e
respirava a riprese irregolari aria condensata, bianca come la nebbia
che a macchie aleggiava ovunque in quel luogo.
Malfoy era terrorizzato e non voleva
sprecare quel poco di forza che gli era rimasta dopo il duello per
confortare quella bimbetta della Granger, ancora infatuata di lui; era
stizzito da quella palla al piede che rendeva la situazione ancora
più insostenibile.
“Io ti amo, Draco. Non riusciranno a separarci” gli aveva assicurato.
Il ragazzo le aveva dato le spalle,
imbarazzato e esasperato per l’inadeguatezza di quella
dichiarazione artificiosa; poi la strega, sfiorando le sue manette di
ferro, gli aveva toccato una mano e lui, colto alla sprovvista, si era
voltato di nuovo verso di lei, rabbrividendo senza l’ausilio del
freddo.
Malfoy era stato scosso dalla
mezzosangue sfacciata e saputella, che gli teneva la mano come a un
amico d’infanzia; al mago non piaceva affatto il contatto fisico
non autorizzato, ma per un motivo a lui sconosciuto - totalmente
inaccettabile e indesiderato - ricambiò la presa su quelle dita.
Draco, stramaledicendosi, aveva fatto
una smorfia di vergogna e poi aveva sussurrato a Hermione d’un
fiato: “Sta’ calma e rispondi alle domande che ti faranno
senza esitare. Sennò sarà peggio: ci daranno del
Veritaserum. Non dire niente che non sia strettamente necessario,
rispondi a monosillabi se possibile”. Il mago si era girato un
momento perché non li vedessero parlare ed aveva terminato:
“E rispondi solo a ciò che ti chiederanno direttamente,
qualunque cosa succeda. In ogni altro caso non dire nulla,
capito?”
Hermione aveva annuito, concentrata e un po’ preoccupata per il suo amore, che aveva un aspetto piuttosto debole e provato.
Ancora uno e poi Draco sarebbe dovuto andare.
Malfoy si era sentito come se la
propria gola, il naso e le orecchie fossero state lacerate da una lama
di ghiaccio, la testa scottare e farsi pesante fino quasi a farlo
sbilanciare.
“Forza ragazzo, vieni avanti.
Spicciati, non abbiamo tutto il giorno!” aveva grugnito una
guardia sullo strapiombo del ponte. Draco aveva gettato uno sguardo
pesto e verso l’alto, riuscendo così a vedere le alte
pareti sopra le loro teste, che si restringevano man mano che si
slanciavano verso l’alto; si era incantato a fissare un fitto
intrico di spine affilate e spunzoni a contornare il perimetro estremo
della roccia, i quali quasi coprivano l’oblò di cielo
burrascoso che faceva capolino da lassù e che vanificavano ogni
folle tentativo di fuga.
L’uomo dalla corporatura
massiccia era seduto con le chiappone su uno sgabello rialzato, dietro
a una scrivania imponente e proporzionale ad esso. Con gli occhietti
privi di spessore intanto scansionava le pagine di un enorme registro
con impazienza, vi aveva fatto scorrere una mano ricoperta di peluria
per appuntare qualcosa, poi si era rivolto a Draco con un cenno
imperativo delle dita.
Il mago aveva mosso qualche passo, tremando come una foglia, dopo aver abbandonato la presa dalla mano amica di Hermione.
“Bevi questo”.
Una boccetta di liquido nero si era
staccata dalla cattedra su cui riposava ed era volata fino a pochi
centimetri dal naso di Draco, questo aveva dischiuso le labbra
riluttante e aveva inghiottito un generoso sorso di Veritaserum.
Dopo aver distorto la bocca non aveva
avuto il coraggio di guardare il suo inquisitore negli occhi e fissava
il proprio torace spoglio pieno di ferite e la camicia sbrindellata, in
attesa di una domanda a cui non avrebbe potuto che rispondere
sinceramente.
“Allora, sentiamo un po’ cos’è successo. Ma prima il tuo nome”.
La guardia aveva un paio di piccoli
baffi grigi spampanati, che sottostavano a un naso perfettamente tondo,
non aveva barba e i suoi capelli grigio scuri - in effetti lì
tutto sembrava campito esclusivamente di grigio - gli arrivavano fin
sotto le spalle, acconciati con trascuratezza. Draco però non lo
vide mai in faccia.
“M-Malfoy” aveva biascicato quest’ultimo, prima di svenire.
La guardia si era subito sporta in
avanti e dopo il disappunto iniziale aveva esclamato furente:
“Oh, questa è bella! Ora fanno anche finta di svenire. In
piedi, su!”
Il ragazzo non si era mosso.
I Dissennatori erano stati attirati
dalla novità e si erano avvicinati a Hermione, il cui cuore le
martellava forte nel petto perché era terrorizzata
dall’immagine di Draco privo di sensi.
“Fermi!” aveva gridato il
mago, da dietro la scrivania. Subito dopo era disceso dal suo sedile
elevato e dalla sua bacchetta aveva fatto uscire un mulo argentato. Il
Patronus aveva fatto prendere ai Dissennatori le distanze dalla strega,
che si era precipitata sul suo amante, tutta accorata; l’animale
evanescente poi, ricevuti gli ordini, era partito al galoppo verso
l’alto, in cerca del destinatario a cui riferire il messaggio che
il suo padrone gli aveva affidato.
Hermione aveva provato a svegliare il
mago e a scaldarlo col proprio corpo, appoggiandosi a lui, mentre
lasciava cadere lacrime bollenti su di lui.
Poco dopo un mago e una strega,
vestiti entrambi di nero e con un grosso copricapo sghembo color
smeraldo, erano arrivati sul posto in sella a due manici di scopa.
“Salve McCalman, che succede?”
A parlare era stato il mago.
“Questo qui” aveva risposto allora il secondino McCalman, “credo sia svenuto”.
Hermione gli aveva lanciato
un’occhiataccia sprezzante e derisoria, mentre con un
orecchio controllava il battito del cuore nel petto di Draco.
“Questo mi pare ovvio”
aveva affermato la sconosciuta, facendosi spazio fra gli altri due per
raggiungere il punto in cui Draco era sdraiato immobile.
“Io non lo darei per scontato, non si sa mai che cosa studiano per scappare questi Mangiamorte…”
“Sta attenta, Scarlett”
l’aveva ammonita il mago allampanato che era giunto lì con
lei, puntando la bacchetta in modo eloquente contro Hermione,
perché arretrasse. Gli spettri neri e i due giovani e
apparentemente inesperti Auror intanto badavano agli altri futuri
detenuti, così che sia la guardia che l’ispettore avevano
potuto concentrare la loro attenzione su Draco.
“Non siate sciocchi voi due:
è disarmato e non mi sembra proprio in condizione di-” La
donna si era interrotta e gli altri erano rimasti col fiato sospeso per
qualche istante, “ha la febbre alta. Ed è ferito. Devo
portarlo nell’infermeria del carcere; sempre che il signor
McCalman non debba interrogarlo a tutti i costi mentre è privo
di sensi”
“Suvvia, signora, non faccia
così. Se deve portarlo in ospedale faccia presto e poi lo
riconsegni a noi. Ho già scoperto chi è e per ora tanto
basta”
“Ah sì? E chi sarebbe?”
“Ha detto di chiamarsi Malfoy…”
La strega aveva indugiato sul braccio
sinistro di Draco, turbata dalle inequivocabili fattezze del Marchio
Nero, che sporcavano la pelle di quello che era praticamente un
ragazzino. La donna dai capelli corti e neri aveva fatto apparire una
barella.
“Malfoy? Lucius Malfoy?…
pensavo fosse più vecchio” era intervenuto il suo
compagno, dopo aver adagiato il corpo del Mangiamorte sul telo
fluttuante.
“Infatti. Qui è ben nota la sua faccia e questo non è lui.”
“Ma il ragazzo non può aver mentito, giusto?”
“No. La procedura è
chiara e ha bevuto il Veritaserum come gli altri. Magari è un
parente di Lucius Malfoy…”
“ E quanti Mangiamorte di nome
Malfoy ci sono?” aveva chiesto il mago spilungone, mentre
l’altro aveva alzato le spalle senza poter rispondere.
Con il nuovo ministro erano stati
inseriti maghi e streghe ad affiancare i Dissennatori
nell’amministrazione di Azkaban per ovvie ragioni, ma la
burocrazia doveva ancora assestarsi e l’informazione dei
dipendenti non era delle migliori, ancora.
La guardia McCalman aveva salutato la coppia che se ne andava con il signor Malfoy
e poi, con la bacchetta ancora puntata verso la schiera dei criminali
davanti a lui, era risalito sul proprio piedistallo ed aveva scritto
quel cognome che era riuscito a estrapolare.
“Su, ragazzina, bando alle ciance”.
Hermione sapeva cosa fare, ma questo
non aveva impedito alla pelle d’oca di attraversarla fino alle
caviglie, né al suo pianto di perseverare.
Una boccetta identica a quella che
aveva dovuto prendere Draco era scomparsa tra i suoi capelli sconvolti,
crespi e in parte appiccicati alla faccia umida ed anche Hermione aveva
bevuto la pozione della verità.
Dopo aver ingerito quella sostanza
non si era sentita particolarmente diversa da prima; l’unica
differenza era stata una vaga sensazione di leggerezza alla testa, come
se fosse stato tolto un catenaccio pesante al cancello che arginava la
mandria della sua conoscenza.
“Vediamo se con te riusciamo a
fare una conversazione come si deve” aveva detto McCalman
strofinandosi nervosamente il naso, mentre osservava la strega che
assomigliava più a una bambola che a un’assassina, ma
sapeva che non bisogna farsi ingannare dalle apparenze, così
aveva continuato: “Dunque. Nome prego, signorina”
Il cuore della ragazza le era balzato
in gola e lei era stata certa che non potesse esserci niente di peggio
che il suo nome associato ad un archivio di Azkaban, a parte la
lontananza della sua inebriante ossessione forse, della sua droga:
Draco. Raddoppiò le lacrime e a denti stretti parlò:
“Il mio nome è Hermione Granger”
“Bene” aveva fatto quello, borbottando poi una storpiatura del nome di Hermione.
“Sei una Mangiamorte?”
“No”
“Cosa ci facevi sul luogo della battaglia?”
“Ero con Malfoy”
“Conosci il signor Malfoy, dunque”
“Sì”
“E qual è il suo nome?”
“Draco”
“Draco, Draco Malfoy?”
Hermione aveva annuito, facendo scivolare una grossa lacrima sulla guancia.
“Lo amo, ho tradito”
aveva cominciato, poi deglutendo aveva ripreso con un tono più
basso: “Ho tradito l’amico di Harry Potter per lui”.
McCalman aveva capito amicizia invece di amico
ed aveva preso nota con fare saccente, inoltre la faccia contrita di
Hermione non aveva fatto altro che confermare la sua convinzione
fallace e lui aveva ordinato ad una delle nuove reclute, che stavano
infondo alla fila, di scortare la strega nella propria cella.
Hermione aveva notato che
l’Auror che l’avrebbe portata nella sua gabbia di perenne
solitudine non avesse che un paio di anni più di lei, aveva
provato un forte sentimento di ingiustizia nell’essere
imprigionata da un suo alleato in fin dei conti e persino coetaneo. Non
avrebbe potuto confidargli nulla perché quel ragazzo la stimava
alla stregua di Yaxley, Barty Crouch Jr. o dei Carrow: Mangiamorte che
lei stessa aveva odiato con forza e convinzione, ma da lontano
(relativamente da lontano, nel suo caso). Quello l’aveva fatta
montare a cavallo di una scopa e dopo averle fatto indossare la divisa
di Azkaban, in uno spogliatoio sorvegliato, si erano diretti verso una
zona nella parte centrale della prigione, ma molto sopra il corridoio
sospeso.
Il pavimento di ogni cella si
prolungava per poco più di un metro verso l’esterno a
mo’ di piattaforma d’appoggio: i Dissennatori non avevano
bisogno di camminare e gli Auror o i maghi e le streghe del Ministero
potevano tranquillamente trovare mezzi volanti di cui i prigionieri non
disponevano. Il mago l’aveva discesa dal manico di scopa,
facendola atterrare su uno dei balconi senza ringhiera, aveva aperto il
cancelletto e l’aveva invitata
a entrare con un tono distaccato e sprezzante. Aveva tolto alla strega
i ferri che le stringevano i polsi da un pezzo, poi, la mente di
Hermione era andata in letargo e non aveva registrato nuovi sviluppi,
soltanto un’unica immagine, un’unica sensazione di noia
sospesa e timore.
Tornata al presente, Hermione si
avvicinò alle sbarre, attirata da un movimento che non si
ripeteva da qualche minuto: qualcuno lasciava dietro di sé la
guardia McCalman per essere scortato nella sua nuova dimora.
Non era Draco. Neanche quella volta.
Il ponte in quel momento era deserto
e Hermione per la prima volta rifletté sul fatto che non aveva
riconosciuto nessuno fra i Mangiamorte catturati, questo le
sembrò molto strano.
La strega s’immerse di nuovo
nei propri pensieri, chiedendosi perché non avesse detto di
essere innocente, perché non avesse neanche tentato di
scagionarsi; poi fra i meandri del suo cervello il pensiero di Draco le
balzò davanti e lei ricordò che non avrebbe avuto senso
salvare se stessa e lasciare lì metà della propria anima.
Per un attimo sorrise all’idea
di aver creato una specie di Horcrux con il suo amore; forse era per
questo che si trovava dietro le sbarre di una cella di Azkaban. Dopo il
suo grande sacrificio tuttavia non poteva accettare di rimanere
separata da Draco.
Hermione era sfinita ed iniziava a
pesare su di lei la forza inesorabile del sonno, ma era risoluta a non
chiudere occhio finché non avesse rivisto il mago.
La luce del giorno se ne era andata
in un batter d’occhio ed i lamenti si erano fatti più
viscerali, se possibile; Hermione, che da anni non aveva più
paura del buio, avrebbe sperimentato un flashback violento se non fosse
stato per il fioco bagliore di alcune fiaccole poste qua e là,
non che esse bastassero a rendere quel luogo di perdizione meno
inquietante.
Passavano i minuti e le ore nella noia più assoluta.
Hermione si era avvolta in una
coperta bucherellata e ruvida che aveva trovato in un angolo della
cella per isolarsi dal freddo che le penetrava fin sotto
l’uniforme di Azkaban, costituita da una tuta di panno a strisce;
appoggiata alle sbarre, raggomitolata su se stessa, era riuscita a
stabilizzare il tepore del proprio corpo: doveva solamente rimanere
immobile per tutta la notte. Mentre crissava ad occhi socchiusi
rabbrividì per il freddo e immaginò di essere abbracciata
dalla presenza di Ron, che emanava calore.
Hermione si scrollò e riprese
consapevolezza della realtà, scacciò quella sensazione
che non era altro che un residuo di esperienza passata, poi
tornò a scrutare fuori da quelle aste di metallo, aspettando di
scorgere una figura pallida nella notte scura.
Gli occhi le pesavano nelle orbite
come palle da biliardo e la ragazza non voleva ancora accettare il
fatto che stava per cedere: si sarebbe addormentata di colpo dopo aver
opposto resistenza fino all’ultimo. Pensava queste cose
perché nonostante il suo bisogno di sapere dove indirizzare il
proprio sguardo quando Draco fosse stato condotto alla sua cella fosse
tutto per lei in quel momento, non sperava più di riuscire a
rimanere cosciente ancora per molto.
Poi vide dei grandi occhi azzurri
davanti a sé, la guardavano con fiducia e solo un po’ di
soggezione, sinceri, sembravano volerle parlare quasi. Hermione
toccò il proprio seno con la testa ciondoloni, la
risollevò di scatto sbattendo le palpebre che proprio non ce la
facevano a restare aperte.
Per qualche istante fissò con
impazienza la conca della prigione, sperando di non essersi persa il
passaggio di Draco. Dopo un po’ iniziò a guardare il
proprio aspetto con attenzione: si sentiva sporca in un certo senso;
corrugò la fronte e attraverso due spiragli per occhi
studiò il paesaggio intorno a sé, smarrita e con un
enorme, inquietante punto interrogativo che le galleggiava sopra la
testa, si addormentò.
Un bagliore di luce color ocra
bagnava tutta la stanza, c’era una musica soffusa di sottofondo
tutt’intorno e lei danzava fra gli scaffali della biblioteca,
serenamente solitaria. I libri, che la ragazza sottraeva dal proprio
collocamento con grazia decisa, sprigionavano una quantità
innaturalmente abbondante di polvere e la diffondevano in ogni dove,
come fossero immersi nell’acqua.
“Ehi”. La strega,
giocherellando con le dita fra alcuni volumi sospetti, ne fece cadere
uno con una piccola spinta del polso. Dietro di esso c’era Ron,
che le sorrideva con gli occhi che gli brillavano di ardore, come se
non la vedesse da mesi. Lui continuava a guardarla felice, poi a gesti
le fece segno di seguirlo dall’altro lato dello scaffale della
biblioteca e lei acconsentì con lo stesso linguaggio. Lei
saltava leggiadra lungo la lunga teca di manuali antichi, per
raggiungere quel ragazzo dall’aria dolce e simpatica; al di
là di quel muro di nozioni però non lo trovò.
“Granger?” pronunciò lui da chissà dove con voce ovattata ed echeggiante.
La ragazza si voltò e guardò bene anche in lontananza, ma non riusciva a capire da dove venisse quella voce.
“Granger?”
Ma Ronald non l’aveva mai chiamata a quel modo.
“Ehi, rispondi. Granger?!”
Hermione sobbalzò e si strinse nella coperta infreddolita più che mai.
“Chi è?”
“Sono io”
“Malfoy?”
La voce strascicata proveniva da dietro la parete sinistra della cella.
La strega era scombussolata e
confusa, non sapeva da che parte cominciare per districare
quell’enigma che la tormentava come un buco nero nella memoria.
“Ma che cosa succede? Dove sei?”
“Sono qui dietro. Mi hanno portato nella cella accanto alla tua”
“E che ci facciamo in delle celle?”
Merda! L’effetto del filtro d’amore è svanito.
“Dov’è Ronald? e Harry? e Ginny?”
“Non qui. Ma non ricordi niente di ciò che c’è stato tra noi?”
“Ma di che diavolo stai parlando?”
Draco scoppiò in una risata nervosa, agghiacciante.
“Che ci trovi di tanto divertente, Malfoy?” lo rimbrottò Hermione, stizzita.
“No, è che… poche
ore fa mi giuravi amore eterno e ora neanche chiami il tuo tesoruccio
per nome! Buffo, no?”
La strega non rispose, elaborando le nuove informazioni inorridita.
“Un… filtro d’amore”
Hermione squadrò il muro di
pietra al di là del quale sapeva esserci Malfoy con
un’occhiata assassina ma impotente.
I ricordi che la vera sé aveva assimilato passivamente nelle ultime settimane cominciavano ad affiorare dolorosamente.
“Come hai potuto?”
“Wow, riesco ancora a
sorprendere la Granger. Sono davvero orgoglioso di me stesso. Peccato
che tu non ricordi quello che è successo: la faccia di Weasley
quando gli hai restituito quel ridicolo pezzo di corda che ti aveva
regalato è impagabile!”
“No, no!
Non è vero!” Nel pronunciare queste parole però
Hermione rivide la scena che aveva rimosso, il cuore le si fece piccolo
piccolo e le lacrime inondarono i suoi occhi profondi.
Il suo polso era libero, nudo e lei
indossava un’uniforme da carcerata, si trovava a pochi metri
dalla causa di tutti i suoi mali attuali.
Hermione continuò a
singhiozzare a lungo e ad ogni frecciata di Draco rispondeva inveendo
contro di lui con vigore cieco, imbestialito, fuori dal proprio
controllo.
“Guarda che sei stata tu a spingermi su quel letto, cara la mia perfetta ragazza perbene”.
Hermione sbatté con tutte le
sue forze un pugno sulla parete rocciosa e gridò: “Non
provarci! Sei un maledetto vigliacco!”
“E tu sei una stupida. Ti avevo
detto di non rispondere che alle domande che ti avrebbero fatto e tu ti
sei messa a ciarlare con quello! Gli hai detto che non sono mio padre,
gli hai detto il mio nome”
“Forse è stato
l’unico momento di lucidità della giornata e ti
meriteresti di essere baciato dai Dissennatori per quello che hai
fatto”
“A quello ci hai già pensato tu: sono apposto”
“Bastardo! Se non fosse arrivato Ron mi avresti violentata senza battere ciglio”.
Draco fu interdetto dalla forza di
quelle parole e non gli venne in mente di ricordare alla sua
interlocutrice che lui aveva tentato di sottrarsi alla sua smania di
sesso, indotta dalla subdola pozione perfettamente dosata.
“Ah, fra tutti gli insulti
questo no. Una mezzosangue che mette in discussione la purezza di un
Mangiamorte? tsk! Lo sai che grazie alla tua geniale prodigalità
di linguaggio mio padre ora è in grave pericolo”
“Caspita, quanto mi dispiace…”
“Non riesci ad essere cinica: è inutile-”
“Perché?” sbottò lei con la voce spezzata.
“Eh? Be’ perché è più forte di te, Granger”
“Non quello. Perché mi hai fatto questo?”
Draco non rispose subito.
“Perché ero in astinenza, ok? Ti basta come risposta?”
“Mio Dio, sei veramente un
maiale!” disse Hermione con ribrezzo, fra le lacrime. Draco
forzò una fragorosa risata perché la strega la sentisse
forte e chiara dall’altra parte del muro; essa però
mascherava una sensazione estremamente fastidiosa e opprimente che
ancora il ragazzo non riusciva a identificare.
Non si parlarono per lunghi minuti e intanto l’alba già rischiarava le superfici irregolari della prigione.
“Che ipocrita! Ora ricordo” sovvenne Hermione a un tratto, “ti sei tirato indietro…”
Draco gettò un’occhiata di biasimo alla sua destra.
“Cercavi di rimandare e di dilatare i tempi, come se volessi essere scoperto da Ron. A quale scopo?”
“Tsk! Ma ti ascolti quando
parli? Credi davvero che non sarei capace di indurti a provare una
passione sfrenata nei miei confronti per scopi personali? Allora non mi
conosci neanche un po’, Granger”
“Ah! invece è proprio
quello che è successo: tu non volevi toccarmi, il tuo obiettivo
era creare scompiglio!” Hermione era piacevolmente trasportata
dalla corrente di idee che la trascinava sempre più vicina alla
verità, ma tornò subito seria e proseguì:
“Hai annientato Ronald, con ogni mezzo! Sei spregevole e,
e… Ma qual era il piano di tuo padre per scampare ad
Azkaban?”
Draco fu sorpreso da
quest’ultima domanda: la strega non gliel’aveva rivolta con
fare indagatore, ma come se le interessasse per innocente
curiosità.
“Senti non ho più voglia di parlare. Vedi di chiudere il becco e di non rompere”
“Ti ho fatto una domanda e non intendo rinunciarvi”
“Ringrazia che ci hanno tolto
la bacchetta, perché altrimenti te lo chiudevo per sempre quel
cavolo di forno! Vuoi sapere com’è che dovevano andare le
cose? Te lo dico”
Hermione avvicinò un orecchio
alla parete e rimase in ascolto. Draco recitò a memoria ogni
aspetto del piano di Lucius; le disse che lui avrebbe dovuto farsi
catturare, essere portato ad Azkaban e farsi passare per suo padre,
così da far cessare le ricerche, poi i Mangiamorte avrebbero
pensato al resto. Draco commentò con invidia che Hermione non si
sarebbe dovuta preoccupare per la propria sorte poiché una volta
che il Ministero avesse scoperto di aver sbattuto in gattabuia
un’Auror, l’avrebbero liberata all‘istante;
confessò (tra le righe, ovviamente) che aveva paura per quello
che avrebbero deciso per lui, invece, il quale era un Mangiamorte e
figlio di uno dei più noti: un Malfoy.
Draco sembrava tralasciare
volutamente alcuni dettagli durante la narrazione, ma quella
chiacchierata era già abbastanza assurda: Hermione non aveva mai
pensato di poter intrattenere una discussione del genere con Draco Malfoy, ma finì per abbassare la guardia, incredula.
“Mi dispiace”
scappò detto alla ragazza, dopo un lungo, triste monologo di
Draco, che l’aveva addolcita molto rispetto all’inizio.
“Già, anche a me… di non aver detto la verità neanche per un istante! Ah ah ah!”
Hermione sbraitò qualcosa contro Draco e poi diede le spalle al muro comunicante in maniera definitiva.
La vera falsità uscita dalla bocca del mago nelle ultime ore era stata quest’ultima, unica frase.
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