Io sono un albero.
Esatto, sono uno di quei robusti esseri che affondano le proprie radici
nella terra, immobili. Già, immobili.
Io
penso. Non so con quanti altri alberi io condivida questa
facoltà,
quello che so per certo è che io ragiono razionalmente ed ho
inoltre la
piena percezione di ciò che mi circonda. Posso vedere,
sentire,
avvertire le carezze del vento e i profumi del bosco.
Non è facile
essere entità pensanti, soprattutto se si è
condannati all’immobilità
dalla propria malvagia natura. Per la radura che si stende dinanzi a me
vedo talvolta passare animali o uomini; in quante occasioni vorrei
avvicinarmi ad essi, conoscerli meglio! A che serve pensare, infatti,
se non si può condividere il proprio pensiero con nessuno?
C’è un
uomo che sin dalla giovinezza ama venire nella radura; dalla mia
posizione lo ho sempre potuto osservare. Scrive, scrive moltissimo;
è a
lui, per quanto a sua insaputa, che devo la mia capacità di
leggere.
Egli inoltre disegna spesso, su un piccolo taccuino, soggetti che
spaziano dalle città alle foreste alle montagne. Solo di
rado non
disegna paesaggi, forse perché non si ritiene abile
abbastanza o
semplicemente non ha l’ispirazione necessaria per disegnare
altro. Ad
ogni modo grazie a costui ho imparato a conoscere moltissimi lati
dell’esistenza degli esseri umani e del mondo che si trova
fuori dalla
foresta in cui vivo. Ho capito anche che cosa tiene in vita tali
esseri: essi hanno una persona cara da visitare,
un’attività da
svolgere, un luogo in cui dedicarsi ad attività dilettevoli.
Hanno uno
scopo. Beati loro!
Non potendo muovermi fisicamente, ho elaborato un
metodo per viaggiare che sta tutto dentro di me: viaggio col pensiero.
Di certo non è come camminare su gambe o zampe, tuttavia
riesco ad
avere qualche buona sensazione anche da ciò. Ieri soffiava
una brezza
lieve che mi scuoteva le foglie, inebriandole del profumo della
foresta. Immaginai che quel vento fosse un segnale inviatomi da qualche
misterioso essere situato nella selva, oppure il fruscio delle foglie
un sommesso sussurro della natura.
In realtà nemmeno io sono
immobile: l’ho scoperto dall’uomo della radura. Un
giorno, mentre
questi stava sfogliando un libro di astronomia, riuscii a leggere che
il mondo è sferico e si muove nello spazio. Rimasi sorpreso:
mi ero
illuso fino a quel momento di essere interamente vittima della quiete,
del movimento nullo; mi trovavo invece a bordo di un’immensa
nave in
eterna navigazione sul tenebroso oceano delle stelle. Non potei fare a
meno di leggerlo come un altro scherzo della natura ai miei danni, se
tale esso si può definire.
Che io mi muova o no, niente e nessuno
possono impedirmi di osservare e cercare di capire quello che i sensi
mi portano alla mente. Molte volte vedo persone che sembrano talmente
annegate nelle proprie occupazioni da non avere tempo per riflettere:
che spreco! Costoro avrebbero la possibilità di fare tesoro
delle
proprie riflessioni e di migliorare la propria condizione mettendo in
pratica le deduzioni tanto ragionate; io, invece, rifletto ma non posso
che tenere tutto dentro di me, come in una prigione inespugnabile. Sono
schiavo della mia immobilità.
La mia vita è scandita dal meccanico e
regolare succedersi del giorno e della notte, delle stagioni e delle
diverse condizioni atmosferiche. Posso vedere la Luna percorrere lunghi
archi nel cielo e il Sole salire e scendere lungo la volta celeste, in
una danza lenta ed eterna; credo di essermi affezionato, ormai, a
quelle due grandi sfere, mie taciturne ma fedeli compagne di esistenza.
Le
giornate paiono tutte uguali, quando non giunge nessuno alle mie
radici. Cantano gli uccelli alle rispettive ore con diabolica
precisione, friniscono le cicale a primavera, cade la neve
d’inverno.
Cosa sarei io senza ciò che mi circonda? Talvolta riesco a
distinguere
solo con grandissima difficoltà me stesso dal mondo che mi
ospita;
esiste forse, in fondo, un confine preciso tra me e ciò che
non è me?
Nei lunghi, identici e interminabili anni della mia vita trascorsa ho
imparato che nulla è perfettamente determinato, nulla
è sicuro e del
tutto distinguibile dal resto. È però proprio
delle menti il tentativo
di ordinare, di classificare la molteplicità del reale per
districarsi
nella complessità di questo; io non sono da meno. Che altro
posso fare,
nella mia assoluta immobilità?
Non è facile essere entità pensanti,
l’ho già detto. Il pensiero si può
leggere allo stesso tempo come un
dono meraviglioso e come un fardello gravissimo: è ambiguo,
inutile
negarlo. Permette di conoscere, di dare un significato a ciò
che
recepiamo; permette di giudicare e rielaborare. Eppure,
contemporaneamente, esso dà al suo possessore
un’inestinguibile
malinconia, un disagio che deriva dalla consapevolezza che il pensiero
d’un pensante non è che una minuscola goccia in un
oceano sterminato di
irrazionalità. Convivere con questa ingombrante presenza
è una sfida
con se stessi.
Io non sono eterno, così come non lo è nulla al
di
fuori di me: quale che sia la propria natura, per il semplice fatto di
esistere si è condannati a perire, prima o poi;
così sta per accadere a
me.
Parassiti, animaletti di dimensioni ridicole rispetto alle mie,
hanno preso possesso del mio corpo ligneo, lo hanno occupato; non ci
vorrà molto perché lo conquistino e caccino via
per sempre il suo
silenzioso e impotente proprietario. Questo tuttavia non mi spaventa,
anzi: finalmente subirò un cambiamento vero. Attorno a me ho
sempre
visto ogni cosa muoversi e cambiare, ho colto la metamorfosi che ogni
ente subisce per il semplice fatto di esistere.
Ora anch’io
cambierò. Morirò, smetterò di pensare,
la materia che mi compone si
disperderà e formerà nuove strutture.
Costituirà un informe mucchio di
terra oppure verrà lentamente dispersa dal vento. Forse
verrà a far
parte dell’organismo di un animale; magari tornerà
una pianta. Non
posso saperlo, ma di una cosa sono certo: finalmente muterò,
finalmente
questa immobile crisalide si aprirà e ne nascerà
una nuova forma di me.
Così nessuno potrà mai leggere queste righe che
albergano nella mia
sola mente; mi piace però pensare che esse voleranno alte
nel cielo,
secondo il flusso delle correnti d’aria, movendosi, facendo
ciò che il
loro autore non ha mai potuto fare.
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