1.Drago
1.
Drago
345 d. C. poco fuori Roma
Ormai che mi ero levato dal letto non avevo nessuna intenzione di
stendermi di nuovo così decisi di fare due passi nel cortile
delle bestie. Normalmente noi gladiatori non godiamo di simili
libertà ma il nostro padrone cerca in tutti i modi di alleviarci
il giogo della schiavitù; credo ci tratti bene dal momento che
siamo i migliori! Una tigre bianca sonnecchiava rombante davanti a me,
mi ero seduto ad ammirarla. Una creatura spaventosa e magnifica, le sue
zampate potevano piegare in due un uomo e i suoi artigli lacerarlo
facilmente; le sue zanne poi riducevano a brandelli qualsiasi cosa vi
passasse sotto. I custodi mi raccontarono che il padrone l’aveva
trovata ad un mercato in Persia e che proveniva dalle lande ghiacciate
del nord, molto oltre la Germania, dove il suo manto le serviva per
nascondersi alle sue prede. Non avevo mai visto una bestia più
bella, e più feroce. Mi alzai e feci due passi avvicinandomi
alle sbarre della gabbia; la tigre aprì gli occhi e alzò
l’enorme muso, annusando l’aria spostata dai miei calzari.
Frustò il terreno con la coda innervosita dalla mia vicinanza.
Feci un altro passo, andando vicinissimo alla gabbia. La tigre si
alzò minacciosa e cominciò a trottare in cerchio,
saltellando sulle zampe anteriori, emettendo ruggiti sommessi. I suoi
occhi azzurro ghiaccio mi penetravano in segno di aperta sfida ma non
avevo nessuna intenzione di cedere. Feci un altro passo, arrivando a
sfiorare le sbarre con il corpo. Se avesse voluto colpirmi con i suoi
artigli affilati avrebbe potuto farlo. Continuai a fissarla negli occhi
e a quel punto, dopo aver disteso il muso apri le fauci mostrandomi le
zanne, ruggendo. Poi levò una zampa ma non mi colpì, si
limitò a minacciarmi. La cosa più stupida da fare con una
tigre innervosita dalla tua presenza è dargli la
possibilità di attaccarti.
Tesi il braccio, la mano stesa e il palmo aperto, tra le sbarre e lo
avvicinai al muso della tigre, che reagì male cercando di
staccarmelo; riprovai più deciso e la tigre tentennò
mentre continuavo a fissarla negli occhi, poi chiuse la bocca in un
ghigno feroce, arretrando. Infine si riavvicinò alle sbarre
circospetta e mi annusò il braccio, poi la mano, e poi le dite
stese; in quel momento non ebbi un minimo fremito di terrore, sole
eccitazione per quella bestia meravigliosa. La tigre smise di annusarmi
e chinò la testa, chiudendo gli occhi. A quel punto mossi il
braccio verso la testona reclinata della tigre, e con un momento lieve
e deciso vi posai il palmo; dopo qualche attimo di quell’assurdo
sprezzo del pericolo ritrassi la mano e feci un passo indietro mentre
la tigre si voltò ruggendo avvertendo una presenza estranea.
- Drago, tu sei pazzo –
- La chiamano mangiatrice di uomini sai? –
- Beh siamo in due ora. Evidentemente non ha appetito –
Mi girai e vidi l’uomo con cui stavo parlando: era leggermente
più basso di me ed esibiva dei fluenti capelli neri, il suo viso
era pulito, eccezion fatta per una macchia di barba sul mento. Aveva
una tunica lisa e sudicia che sarebbe dovuta essere tinta di un arancio
sbiadito e aveva dei comuni calzari. A dispetto dell’aspetto
trasandato aveva muscoli forti e fisico tonico; presentava alcune
cicatrici.
- Chi sei? Non ti ho mai visto –
- Non sono un tipo socievole, e inoltre sono arrivato da poco –
- Ma già conosci il mio nome! –
- Beh parlano tutti di te qui! Non è difficile nemmeno riconoscerti –
- E come fai a dirlo? –
- Perché Drago non è solo un soprannome, per te –
Le ultime parole mi sbalordirono e alzai gli occhi sgranati sul nuovo
arrivato. Ma la sua era una maschera impenetrabile e non ne ricavai
alcun indizio. Si limitava a guardarmi, con un misto di sprezzo e
complicità.
- E sei molto più giovane di quanto mi aspettassi –
Detto questo se ne andò verso i giacigli e sparì nella foschia della notte.
Possibile? No, era incredibile! Quell’affermazione avrebbe potuto
avere mille significati erroneamente interpretabili, sicuramente si
riferiva al mio modo di combattere. Eppure quel tizio spuntato dal
nulla dimostrava di sapere molte più cose su di me di quanto si
aspettasse di farmi credere. L’unico, l’unico in questi
anni passati a Roma che ha aperto seppure un flebile collegamento tra
la mia realtà e il mio passato; l’unico che è
riuscito a intravedere la possibilità di creare una crepa in un
muro solidissimo. Il passato tornò ad opprimermi con il suo
fardello devastante, portando con sé responsabilità,
colpe, oneri e doveri.
Cercai di scacciare i pensieri camminando avanti e indietro nel
cortile, ma dopo qualche minuto mi accorsi che il moto sussultorio
delle mie spalle non faceva che innervosirmi e rendere i miei pensieri
ancora più complessi, fino a quel momento la mia sola
preoccupazione era stata quella di uscire vivo dal prossimo incontro, e
ci ero riuscito piuttosto bene da qualche anno. Ma ora si spalancava
nuovamente la voragine che mi ero portato dentro e che ero riuscito a
sopprimere solamente con il sangue dei miei avversari, il sudore, la
sabbia dell’arena e le urla eccitate del pubblico in delirio;
tutto inutile.
Tornai al bacile d’acqua e tuffai la testa nello specchio gelido
nella speranza di controllare le emozioni galoppanti, poi tornai nel
pagliericcio dando un’ultima occhiata ai miei compagni assopiti e
senza preoccupazioni. Afferrai l’anfora del vino e la scolai, era
pessimo ma ci voleva.
Nell’inutile tentativo di dormire rotolai tutta la notte
continuando a dirmi che quella frase avrebbe potuto significare mille
altre cose, ma una volta addormentato non feci che sognare un drago,
che spalancava le fauci e vomitava fiumi incandescenti.
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