FANTASMA
Tom
Foss, i capelli color pece carezzati da un
lieve sospiro di vento, camminava distrattamente, con le mani infilate
nelle
tasche del giaccone. Troppi pensieri affollavano la sua mente.
Vedere
Kyle, qualche settimana prima, il
ragazzo che lui aveva cresciuto, protetto,
guidato, addestrato, e del quale si fidava ciecamente, vestito
elegantemente,
con quello splendido smoking, la sera del suo ballo di fine anno, gli
aveva
fatto desiderare di dirgli che lo considerava come un figlio; tuttavia,
nel
momento in cui aveva formulato quel pensiero, il volto perennemente
bambino di
sua figlia Sarah, gli era balenato davanti agli occhi.
Era
incredibile, si disse ora, passeggiando per il
parco di Seattle, quanto ancora si sentisse in colpa per la sua morte,
all’età
di 6 anni, e per quella di sua moglie Erika.
All’epoca
era solito bere, e l’ebbrezza gli aveva
fatto commettere il più grande errore della sua esistenza:
l’incidente che era
costato la vita di sua figlia e della donna che amava.
Tom
Foss sospirò, la fitta lancinante di dolore
che gli causavano quei ricordi era ancora viva sotto la sua pelle,
nella sua
anima, ma d’un tratto il viso di Adam Baylin, gli comparve
dinnanzi,
alleviandogli qualche sofferenza.
Pensare
a lui, al geniale scienziato padre “biologico”
di Kyle, gli faceva credere che non tutto ciò che aveva
fatto dopo l’incidente
fosse sbagliato: con la richiesta di Adam di proteggere sia lui che suo
figlio,
infatti, Tom si era sentito salvato da una depressione autodistruttiva;
inoltre
sapeva anche che Adam lo aveva fatto per lui, per cercare di liberargli
la
mente da quei pensieri così cupi, cercando di occuparla con
altri.
Tom
gliene era grato, anche se non aveva mai avuto
l’occasione di dirglielo.
Pensava
di essere riuscito a perdonarsi, tuttavia,
un pomeriggio, quando si era ritrovato a confrontarsi con Kyle, il
ragazzo con
semplicità aveva intuito quanto ancora fosse forte
l’odio di Tom nei confronti
di se stesso.
Tom
si massaggiò stancamente le tempie, sedette su
una panchina e, nonostante stesse cercando di costruire un muro, che
l’avrebbe
separato dal proprio dolore, gli fu impossibile non farsi colpire a
revi
scoperti dalla notizia che aveva dato a Kyle, poco tempo dopo il ballo:
Adam
Baylin era morto.
Sebbene
fosse stato istruito come un militare,
abituato a non mostrare alcuna emozione, partecipò anche
lui, con trasporto, al
dolore del ragazzo per la perdita del loro mentore.
In
quell’occasione Foss avrebbe voluto stringerlo
a sé, e dirgli che non lo avrebbe lasciato solo, avrebbe
potuto sempre contare
su di lui, nonostante comprendesse che il dolore causato da quella
privazione
non sarebbe mai svanito.
Tom
Foss si appoggiò con le braccia alla spalliera
della panchina, mentre una nuova ondata di ricordi lo sconvolgeva.
Poco
tempo più tardi, quando Kyle l’aveva
chiamato, chiedendo il suo aiuto per salvare Jessi, Tom aveva accettato
di buon
grado, felice anche della luce che gli aveva visto negli occhi, mentre
gli
parlava di lei e, di come intendeva proteggerla da chi li minacciava
entrambi:
ne era innamorato, era chiaro.
Insieme
quindi, avevano ideato un piano per
salvarle la vita facendola credere morta agli occhi di Cassidy.
Ma
ora, dopo tre giorni, poiché si era assicurato
che sia Kyle che Jessi fossero al sicuro, lui, aveva di nuovo la mente
vuota ed
era stato sopraffatto dai sensi di colpa.
-
scusi…mi
scusi se la disturbo…dovrei fare qualche allungamento,
potrei utilizzare la
panchina?-
Tom
Foss sobbalzò, quella voce famigliare che gli
aveva parlato, lo aveva bruscamente riportato alla realtà.
Sollevò
gli occhi castani, ed ebbe un colpo:
incontrò il suo viso
bambino, i suoi occhi color
nocciola, quei capelli
bruni legati in due trecce sbarazzine…esattamente la stessa
pettinatura con cui
era stata ritratta che Tom aveva della sua bambina.
Quella
venticinquenne che gli stava accanto,
accaldata per lo jogging, ma leggermente sorridente, era sua
figlia Sara: l’avrebbe riconosciuta ovunque.
Possibile
che fosse ancora viva?
-
Sarah…?-
chiese il militare, bisbigliando per la sorpresa.
Ma la
ragazza non gli rispose. Aveva le cuffie
dell’i-pod nelle orecchie e non poteva sentirlo.
Tom
Foss si alzò e se ne andò.
Avrebbe
mai avuto pace dai suoi sensi di colpa?
SPAZIO
AUTRICE
Ciao
a tutti! Spero che la storia vi piaccia,
personalmente ho sempre adorato il personaggio di Tom Foss ed ho
cercato di
rendere al meglio cosa sarebbe potuto succedere se lui, sopraffatto dai
ricordi
di ciò che aveva vissuto(in particolare alcune cose sono
inerenti all’ultima
serie di KYLE XY)avesse incontrato qualcuno che gli ricordava sua
figlia, una
sorta di fantasma, o qualcuno di reale?
Un
baciotto
Marty23
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