Ringrazio
GacktLove, kenjina, Keute, Necrysia, sesshoyue e Tico_Sarah che stanno
seguendo la mia storia, e Keute e Tico_Sarah per le loro bellissime
recensioni.
Vi ringrazio
davvero! Mi
applico molto nella caratterizzazione dei personaggi e nella
descrizione in generale delle situazioni, visto che voglio comunichino
determinate sensazioni. Quindi sono molto felice di sapere che il
lavoro vi sia piaciuto e che vi prometta molto. Spero di essere davvero
all’altezza ^^
Nel caso di
Sephiroth ed Aerith ancora di più data la
particolarità di questi due personaggi che adoro.
Sarà una storia romantica sotto alcuni aspetti, ma
voglio comunque presentare prima meglio la situazione. Questo capitolo
già vi farà entrare più nel vivo della
storia, anche se sconvolgere la vita di Sephiroth non è
facile, sopratutto se in una situazione tesa come questa.
Per cui, più che sull'introduzione di tante scene o
situazioni, le mie attenzioni saranno rivolte ai personaggi.
Volevo
informarvi che forse alzerò il rating della fanfic visto che
in questo capitolo e anche nei prossimi saranno descritte scene di
sangue. Non so, magari mi darete un consiglio voi.
Grazie!
CAPITOLO
2. Can I’ll be your angel?
Una mattina come tante. Il cielo era sereno e ciò non poteva
che essere ottimo per aiutare Aerith a stare meglio.
Era già per strada, felice e con il cuore sereno.
Perché così di buon umore? Perché in
giro già così presto?
Aveva voglia di assistere lei Sephiroth, quel giorno.
L’avevano trattenuto in una casa alla quale pagavano tutti
assieme l’affitto. A turni tutti si prendevano cura di lui e
si accertavano che non combinasse nulla. Tuttavia, a lei non era
permesso di avvicinarsi a lui. Cloud non aveva voluto che collaborasse
anche lei a sorvegliarlo.
Da un lato le faceva piacere che si preoccupasse, ma
dall’altro perchè reagire in quel modo?
Era una donna adulta, poteva farcela.
Inoltre era convinta che tutti gli altri lo tormentassero un
po’ troppo.
Sephiroth non aveva di certo bisogno di qualcuno che gli distruggesse
l’anima. Sephiroth aveva solo bisogno di tempo.
Legarlo e vigilare su di lui a tempo pieno non l’avrebbe di
certo aiutato a riabilitarsi nella società, sempre che fosse
questo l’intento dei suoi amici, del che dubitava.
Osservò un biglietto con su scritto l’indirizzo
civico dell’abitazione.
“Uhm, dev’essere questa!” disse dopo aver
controllato scrupolosamente.
Era una piccola villa grigia dall’aspetto semplice, ma
gradevole. Fu contenta di constatare che gli avessero trovato una
dimora simile.
Sospirò intensamente e salì i pochi gradini.
Oggi è il
turno di Vincent. Accidenti…sicuramente non mi
farà rimanere con lui…
Sapeva bene che Vincent era legato a Sephiroth da un qualcosa di
più personale. Lui era il figlio della donna che aveva
amato: Lucrecia Crescent.
Avrebbe permesso ad Aerith di intromettersi tra loro?
Poggiò una mano sulla porta e mentre si sentiva ancora
turbata dalla malinconia si accorse che questa era aperta.
“…Permesso?” chiese incerta.
Non ricevendo alcuna risposta, entrò furtivamente. Si
bloccò solamente quando avvertì le loro voci. A
sua grande sorpresa avevano dei toni decisamente animati.
Le parve di udire la voce di Vincent, ma era un tono così
adirato da non sembrare che fosse lui a parlare.
“…E dunque?” disse Sephiroth sorridendo
aspramente.
“Ti ammazzo seduta stante se osi dire anche
questo.” rispose il moro a denti stretti.
In tutta risposta, Sephiroth rise di gusto non evitando in nessun modo
quel contatto visivo. Era fiero ed altezzoso, pienamente soddisfatto di
essere ancora in grado di ferire, anche senza armi.
Aerith osservò a lungo la scena a dir poco grottesca.
Sephiroth legato su una sedia e Vincent Valentine di fronte pronto a
scontrarsi con lui.
“Cosa mi potrebbe mai interessare? E’ stata utile
solo per il suo utero. Per il resto è feccia come tutti
voi.”
…Ma di cosa
stanno parlando?!
I suoi pensieri vennero smorzati da un pugno in pieno viso che Vincent
sferrò a Sephiroth. Nei suoi occhi c’era rabbia,
frustrazione, risentimento…il tutto era scoppiato in un
unico gesto. E Sephiroth ne era ancora una volta soddisfatto.
Ci fu un lungo silenzio. Aerith poteva avvertire il gelo che si era
creato attorno ai due uomini. Vincent aveva lo sguardo perso, gli occhi
così rossi da sembrare fatti di fiamme.
“Io ho chiuso con te! Sarebbe stato meglio
ucciderti!” gli urlò contro mentre si avviava
verso l’uscita.
Fu quando vide Aerith che sbandò e si fece incerto.
Esitò più di qualche attimo prima di rivolgerle
la parola.
“Cosa ci fai qui..?”
Aerith osservò Sephiroth che si era appena accorto della
presenza dell’ancient, ma non ebbe tempo né di
dire né di fare nulla perché subito il moro la
trascinò fuori di casa.
Vincent chiuse la porta violentemente.
Sembrava turbato e non gli aveva mai visto quell’espressione.
Le sembrava quasi di avvertire il suo cuore pulsare forte e in maniera
irregolare.
“Volevo farti compagnia. Sapevo che tu o Cloud sareste venuti
da lui…”
Vincent deviò lo sguardo quando questo si andò ad
incrociare con gli occhi magnetici di Aerith. Così
splendenti e limpidi.
“Sai che non dovresti.” Disse secco.
La fioraia annuì debolmente e quando Vincent prese a
camminare, lei gli si parò davanti. Un silenzio imbarazzante
si creò fra loro, Aerith non era sicura se Vincent avesse
voglia di compagnia né se avesse voglia di parlare.
“Eh, eh…lo so bene che tu e Cloud siete dei
maschilisti!” disse con fare ironico. “Ma sono
sicura che con Sephiroth stiamo solo usando la tecnica
sbagliata.”
“Tecnica sbagliata? Cosa dovremmo fare?” disse lui
con un’impulsività che Aerith gli aveva visto
raramente.
Lei si fece per un attimo pensierosa, poi rise nuovamente.
“Lui è un maestro nelle parole, ed è
anche abituato al dolore e alla mortificazione. Barricarlo in casa non
è la cosa migliore…non capirebbe.”
Vincent annuì, ma non rispose. Non le disse se fosse
d’accordo con lei oppure no.
Osservando il vampiro, riportò alla mente
l’animata discussione che aveva avuto modo di sentire. Vedere
un Sephiroth così soddisfatto e un Vincent così
adirato…perché? Era davvero così
problematico, Sephiroth?
“Vincent. Lui non sa che Lucrecia…”
“Lucrecia non c’entra nulla.” Disse
gelido ed Aerith ebbe la certezza di aver colto nel segno.
Avevano parlato di lei, della madre naturale dell’uomo dai
capelli argentei.
Sephiroth aveva parlato male di lei?
Era sua madre, perché?
Ripensandoci, era probabile che Sephiroth non la conoscesse affatto.
Nemmeno Aerith sapeva che tipo di donna fossa, eppure in Vincent il suo
ricordo doveva essere ancora così vivo nel suo cuore.
Da tempo, oramai, aveva smesso di soffrire e di trascurarsi per lei,
eppure era ancora così facile riaprire quella ferita.
“…Scusami.” Disse infine con
un filo di voce.
Giunsero nelle vicinanze del negozio di fiori di Aerith e stesso lei si
sorprese di essere tornata vicino casa senza nemmeno accorgersene.
“Allora ti lascio qui?” le chiese con un tono
totalmente inespressivo.
La ragazza tentennò qualche attimo, poi annuì
rivolgendogli un delizioso sorriso.
Vincent non le diede alcun tipo di attenzioni. Si allontanò
e solo così lei comprese che il moro l’aveva
ascoltata.
Ancora una volta mi
trattano come una povera bambola da collezione…
Aerith cominciò a camminare distrattamente, leggermente
infastidita.
‘Aerith non
fare questo’ … ‘Aerith non fare
quello’ … ‘Aerith non andare
lì’ … ma cosa credono di fare,
così?
Era così fastidioso sentirsi tanto inutili. Tutti provavano
a proteggerla, ma da cosa e da chi?
Non aveva bisogno della protezione delle persone e tutte quelle
attenzioni nei suoi riguardi erano a dir poco snervanti.
Io li capisco, solo
che…
Scosse la testa.
No, non li capisco per
niente! Io so badare a me stessa. Lo faccio da sempre. Con chi credono
di avere a che fare?!
Stava proprio per aprire la porta di casa quando di colpo
sgranò gli occhi.
Come un sesto senso, si girò e vide che Vincent era ancora
nelle vicinanze. Le dava le spalle e lentamente si stava allontanando
da lei.
Solo adesso se ne stava andando..? Si era assicurato che lei tornasse a
casa?
“Oh, insomma! Sono stufa di tutti questi controlli!”
Sei convinto che ora
sono a casa al sicuro? Bene!
Chiuse la porta di casa con violenza.
Sbirciò fuori dalla finestra e quando Vincent le
sembrò abbastanza lontano, sgattaiolò via
velocemente.
Mentre correva via, sorrideva sentendosi così viva e
stupida.
Sarò anche un
Ancient da collezione unico al mondo, ma non per questo mi
barricherò in un museo a prendere polvere!
Rise di sé stessa, divertita.
Perché tanto ardore? Perché tanta gioia e rabbia?
Il motivo era semplice: aveva voglia di dimostrare agli altri che non
aveva la benché minima intenzione di ricordarsi ogni giorno
della sua vita che era “diversa”.
Aerith Gainsborough era un’umana! Vissuta come umana e
cresciuta come umana. Questo faceva di lei un’umana.
Dove era diretta ora? In realtà aveva deciso la meta
immediatamente dopo aver visto Vincent. Voleva andare da Sephiroth.
I suoi amici avevano il terrore di far avvicinare ancora una volta la
bella Ancient all’uomo dai capelli argentei. Avevano paura
che potesse ucciderla.
Aerith, invece? Aveva paura?
Forse un po’, ma era convinta di quello che faceva.
Non sapeva se stava andando a casa sua per dispetto agli altri o per
capire qualcosa su di lui…sapeva solo che lo voleva e basta.
Del resto, l’impulsività di Aerith era una nota
del suo carattere abbastanza conosciuta.
[…]
“Cosa si prova a tornare a casa?”
“Beh…è piacevole.”
“Provi gioia nell’essere ritornato?”
“E’ normale! A te non manca casa tua?”
Sephiroth, un alto uomo di circa vent’anni, dal corpo esile
ma scolpito e dalle larghe spalle inondate dalla lunga giacca in cuoio
nero, rise.
“Io non sono nato da nessuna parte. Non ho una
città natia.”
Il comandante dei soldier, il comandante Sephiroth, non era abituato a
lasciarsi andare ai sentimentalismi. Questo faceva di lui
l’idolo di molti ragazzi giovani, compresi parecchi soldier
di classe inferiore.
Zack era diverso. Non era considerabile un amico, né era
tanto più di un conoscente, ma talvolta trovava interessante
i suoi discorsi, anche se la sua impulsività spesso
portavano ad irritarlo.
Quel giorno era lì, assieme al moro e ad un altro soldier
più inesperto.
Non era una grande responsabilità. Quello di controllare un
reattore era un lavoretto da nulla.
“Queste gliele porto in camera, signore?”
Sephiroth guardò l’uomo che era leggermente
spaventato. Lui si sentì bene. Leggeva la paura nei suoi
occhi. Era una sensazione che lo appagava. Lo faceva sentire potente di
fronte a quegli insulsi umani.
Anche lui era un uomo, certo, ma era sempre stato convinto di essere
diverso, speciale, un eletto.
Vide che l’uomo aveva in mano le sue valigie. Gli diede un
leggero cenno con la testa dopodichè l’uomo si
dileguò immediatamente.
Tornò a guardare fuori dalla finestra.
La sua mente si annebbiò quando ricordò la
domanda che gli aveva posto il soldier dai capelli scuri.
“E i tuoi
parenti? Non so…tuo padre e tua madre?”
“Mia madre…Jenova…”
Poggiò una mano sul vetro e chinò il capo.
Stranamente la sua mente andò ad elaborare l’altra
figura.
“Mio padre…”
Come aveva fatto con Zack, cominciò a ridere di gusto.
Che senso aveva parlarne ora?
Scostò i lunghi capelli argentei dal viso. Sorrise
malinconico, ma fece finta di nulla e pensò che sarebbe
stato meglio rendersi conto della situazione a Nibelheim, la
città che avrebbe serbato la più crudele e
decisiva svolta della sua vita.
La sua vita…
Umani…
Jenova…
…Madre.
La mano di Sephiroth cominciò a farsi calda. Bruciava
terribilmente tanto che prese a tremare.
Un flusso di ricordi annebbiò la sua mente e
avvertì un calore ancora più intenso. Si stava
velocemente propagando sui polsi e sulle braccia. Bruciavano, bruciava
da impazzire.
2 settembre
Abbiamo cominciato a
lavorare con le cellule umane.
Appena
l’embrione sarà allo stadio I , vedremo come
reagirà alle cellule.
3 settembre
L’embrione non
ce l’ha fatta, domani riproveremo l’esperimento.
Forse saremo più fortunati.
5 settembre
Il nuovo embrione
è pronto. Attenderemo che si sviluppi abbastanza da poter
resistere alla sinergia di Jenova…
Quanti ne aveva letti di rapporti simili?
Il braccio bruciava ancora. Era caldo, molto caldo. Bagnato. Ma non se
ne curò.
31 ottobre
Sephiroth,
così ha deciso la dott.sa Crescent di chiamare
l’esperimento, è quasi autonomo. Abbiamo bisogno
di altre cellule di Jenova ed è per questo che Hojo, il
dott. Gast e i medici del settore 14 si sono recati a Midgar city, a
recuperare altri campioni. Attenderemo l’arrivo della scorta
di SOLDIER. La partenza è prevista domani.
“Lucrecia.” Sussurrò mentre un liquido
rosso scuro scorreva sulla fronte arrivando fino alle labbra.
“Lucrecia…Jenova…”
Ne aveva letti davvero tanti di quei rapporti. Forse troppi in
così poco tempo.
3 febbraio
Il professor Gast si
è ritirato dal progetto Jenova e sullo studio degli antichi.
Chiederemo la consegna dell’Ancient quanto prima. Hojo
è di conseguenza il nuovo direttore
dell’operazione.
6 Febbraio
La dott.sa Crescent ci
ha chiesto delle analisi del sangue, poi ha chiesto di sospendere gli
studi su Sephiroth per un po’. Attendiamo il consenso di
Hojo, intanto lasciamo tutto nelle mani della dottoressa.
7 febbraio
Lucrecia Crescent
è stata esentata dal progetto Jenova. Inoltre, le
sarà, d’ora in poi, vietato di accedere ai
sotterranei. Così ha ordinato il direttore delle ricerche
scientifiche, Hojo.
“Maledetti umani..”
La mente di Sephiroth divenne ancora più offuscata. Era
confuso, disorientato. Rabbia. La rabbia era l’unico
sentimento che stava provando a cui sapeva dare un nome.
Scaraventò da un mobile una lampada che andò a
frantumarsi a terra.
Era stato un rumore assordante, eppure così spettacolare.
Buttò all’aria più cose mentre
avvertiva un bruciore insopportabile quasi in ogni parte del corpo. Non
riusciva a fermarsi. Con un coltello da cucina lacerò i
divani, le sedie, i cuscini e qualunque cosa gli capitasse di guardare.
Cos’era la morte? E la vita?
Chi muore non se ne accorge, oppure ha la consapevolezza che sua forza
si affievolisce sempre di più fino a prosciugarsi
completamente?
Provò paura.
Sentì la morte così vicina a lui.
Sentì che non poteva nulla contro quell’energia
sconosciuta che era capace di portare via tutto. Ogni attimo felice.
Ogni momenti di rabbia. Chi amava…tutto.
Per la prima volta sentiva che esisteva qualcosa a cui era impotente, a
cui era impotente chiunque, un bambino o un adulto.
A suo tempo, avrebbe davvero avuto bisogno di qualcuno che gli
raccontasse degli angeli, di un mondo chiamato paradiso o in qualsiasi
altro modo si voglia, dove le anime riposavano in pace dopo
l’ultimo respiro.
Ma lui non conosceva queste cose. Non conosceva nulla. Ora come ora,
conosceva solo il terribile odore della morte.
Cosa sapeva lui? Cosa gli sarebbe accaduto?
Dov’era la morte che lo perseguitava e che inesorabilmente lo
avrebbe raggiunto?
Si accasciò sul divano ormai lacerato e respirò
intensamente. Bruciavano gli occhi, bruciavano le mani, le braccia, il
viso…
[…]
Aerith si guardò attorno esitante. Era arrivata.
Osservò la porta e per un attimo ebbe paura.
Infondo che motivo aveva per entrare? Che avrebbe fatto li dentro?
Si chiedeva cosa mai potesse fare, o se sbagliasse ad essere in quel
posto, in quel momento.
“Mi avevano dato la chiave giusto per
precauzione…” disse mentre osservava una piccola
chiave visibilmente mai utilizzata.
Aprì con decisione ed entrò.
“Posso..?” disse con un filo di voce. Parte di lei
non era sicura di volersi fare avanti.
Chiamò più volte il nome di Sephiroth
perché non voleva farlo spaventare per la sua improvvisa
visita, ma non le rispose nessuno.
Non era mai stata in quella abitazione da sola e per questo ebbe quasi
l’impressione di trovarsi in un incubo. Un incubo che
rispecchiava perfettamente l’inferno di Sephiroth.
Tinte molto scure macchiavano la casa, dandogli un aspetto decisamente
spettrale.
Superato l’ingresso, sentì qualcosa scricchiolare
ai suoi piedi.
“Uh?”
Indietreggiò immediatamente e si accasciò a terra
per vedere cosa avesse calpestato.
Prese in mano un piccolo oggetto di cristallo. Sembrava far parte di
una composizione più grande.
Osservò dinanzi a sé e vide altri piccoli
gingilli come quello. Il suo sguardo avanzò e lei
cominciò ad avvertire dei brividi improvvisi e terribili da
sopportare.
La grande vetrata in cristallo da cui provenivano quegli oggetti era
frantumata a terra.
Sgranò gli occhi a quella vista e solo allora si rese conto
che quasi tutto ciò che c’era in quella stanza era
stato completamente distrutto.
Lampade a terra, orologi tagliati perfettamente in due, cuscini e
poltrone lacerate, posate da cucina a terra e…sangue.
Impallidì alla visione di quel colore così scuro
e così fresco.
Era decisamente inappropriato lì, oppure…troppo
azzeccato con una simile atmosfera.
Deglutì e si alzò continuando ad osservare il
luogo inorridita. Scavalcava i comodini buttati a terra e tutti quegli
oggetti non distogliendo lo sguardo da niente.
“Sephiroth..?” chiamò ancora il suo
nome. La voce questa volta era tremante.
Chi può mai
aver fatto questo..?
Era stata in quella casa mezz’ora prima, forse
un’ora. Si chiedeva come poteva mai essere che, in
così poco tempo, ora fosse tutto distrutto.
Osservando a terra, trovò anche un grande specchio a terra,
ora ridotto in tanti frantumi triangolari.
Vicino a questo vi era ancora del sangue, in quantità
più copiose rispetto quello che aveva trovato prima.
Nella sua mente cominciò ad elaborarsi l’accaduto,
ma non ebbe il coraggio di ammetterlo a sé stessa.
Perché l’aveva fatto? Cosa era successo?
D’improvvisò sentì un forte respiro e
sussultò.
“Sephiroth!”
Si avvicinò al divano e dietro di questo era poggiato a
terra lui, l’uomo dai capelli argentei.
Lui era immobile, la guardava tranquillo, anzi, in maniera del tutto
noncurante.
Sebbene fu colta dal panico, Aerith non ci pensò due volte
nell’accasciarsi accanto a lui.
“Che è successo qui dentro?
Perché..!”
Era buio e solo dopo avergli toccato la fronte si rese conto che questa
era bagnata. Guardò le dita e vide che si erano tinte di un
rosso intenso. Sgranò gli occhi incredula.
“Perché l’hai fatto..?” disse
quasi come se dovesse mettersi in lacrime da un momento
all’altro.
Sephiroth era sudato, pieno di sangue e stanco. Non si mosse e non
disse nulla. Solo quando lei cercò di avvicinarsi alle sue
ferite le scostò la mano con un gesto molto violento.
A quella reazione, Aerith rimase senza parole. Ci fu un istante di
silenzio prima che Sephiroth la trafisse con i suoi occhi vitrei.
“Lasciami in pace.” Disse secco e spietato.
Aerith scosse la testa.
“No! Sei ferito! Hai bisogno di aiuto!”
Fece per avvicinarsi quando lui le allontanò nuovamente le
sottili braccia.
“Non ho bisogno del tuo aiuto.” Le
sussurrò a denti stretti.
Aerith Gainsborough. L’Ancient. Cosa voleva da lui?
Se non fosse stato in quelle condizioni avrebbe anche potuto ucciderla.
Cose le importava di lui?
Ovvio che Sephiroth non conoscesse la cocciutaggine della ragazza.
Lei abbassò lo sguardo e sospirò più
volte prima di parlare.
“Tutto questo l’hai fatto tu?” chiese con
voce profonda.
Quella domanda stupì Sephiroth. Perché chiedere
un qualcosa di tanto ovvio? Cos’era, stupida?
Eppure tentennò prima di rispondere. A sua grande sorpresa,
non era in grado di dire un semplice: sì.
Non riusciva ad ammetterlo?
Lei lo osservò senza stancarsi. Quel contatto gli diede
fastidio. Le avrebbe cavato gli occhi solo per non sentirsi
più guardato così.
“Perché lo hai fatto?” chiese nuovamente
mentre osservava le sue ferite e faceva per toccarle nuovamente.
Questa volta lui non si ritrasse e non la colpì con
violenza. La lasciò fare in quel tetro silenzio.
Aerith rimase visibilmente turbata di quelle ferite e si
alzò di colpo alla ricerca di delle bende.
Setacciò la casa e alla fine trovò ciò
che le occorreva.
Una volta tornata in salotto, vide Sephiroth perfettamente in piedi,
ancora gocciolante di sangue.
“Non muoverti!” gli disse mentre si avvicinava a
lui per bendarlo.
Sephiroth, dal suo canto, la trovava a dir poco disgustosa. Credeva di
impietosirlo? Perché gli dava tali attenzioni? Era
perfettamente in grado di badare a sé stesso.
Era davvero nauseante. Terribile. Eppure non distolse lo sguardo
nemmeno un secondo da lei mentre lo bendava.
Aerith era delicata, molto delicata e lui l’osservava
silenzioso. Insopportabile, quella visione era decisamente
insopportabile.
[…]
Sephiroth guardò dinanzi a sé, irritato.
Si trovavano in una zona periferica di Edge. Una strada sporca e
talvolta malfamata.
Aerith gli si mise davanti indicando il suo negozio di fiori.
Più che un negozio, era una vecchia chiesa sconsacrata.
Quello era il settore cinque di Midgar che, in qualche modo, era ancora
abitabile.
Il posto era in uno stato decisamente trascurato, eppure era probabile
che, senza le cure della giovane Ancient, si sarebbe ritrovato in
condizioni anche peggiori.
“Voglio tornare a casa mia.” Disse con disprezzo.
“Non dirlo nemmeno per scherzo!”
Aerith tirò fuori una risolutezza inaspettata.
“Guardati. Io lo dicevo che non potevi rimanere da solo in
quello stato! Starai da me.”
Detto questo aprì la porta e fece strada a Sephiroth.
Mentre si inoltrava, l’uomo guardò attorno a
sé perplesso.
“La figlia di Jenova che abita in un luogo
simile..?”
“No, sciocco.” Aerith rise
dell’affermazione di Sephiroth, cosa che non
gradì, tant’è che fu costretta a
calmarsi.
In tutta risposta, lui continuò a guardarsi attorno
spaesato.
Osservava la struttura e dai suoi occhi si poteva leggere il
più profondo disprezzo.
Il disprezzo per la vita, per la razza umana e per ogni cosa da questa
creata. E forse, Aerith poteva leggere anche il disprezzo verso di lei.
Una volta entrati, lei con passo deciso si avvicinò ad un
ripostiglio che aprì solo dopo aver spinto la porta
più volte.
Da questa uscì nuvolone di polvere e caddero delle vecchie
scope che erano state fino a quel momento in equilibrio quasi per
miracolo.
Aerith si affacciò dentro il ripostiglio tossendo
leggermente.
“Beh, penso di potertelo organizzare in poco
tempo!” disse soddisfatta, dopo una lunga pausa.
Sephiroth le si avvicinò e, ancora una volta, sembrava fosse
in grado di trafiggerla solo con uno sguardo.
“Ho detto che voglio tornare a casa.”
“Io non ti abbandonerò.” disse
abbozzando un sorriso che fece adirare Sephiroth.
Cosa pretendeva quella giovane Ancient? Di tenerlo rinchiuso in un
negozio di periferia per non lasciarlo solo? Cosa cambiava? Cosa
sperava?
Più la guardava, più si rendeva conto di non
capire assolutamente niente di lei. Questo lo mandava in bestia.
Quell’insulsa creatura così fragile e debole che
pretendeva di dominare il Dio di quel mondo. Era assurdo.
Eppure Aerith sembrava crederci fermamente.
Di colpo lei sbuffò cominciando a portar via dalla stanza
secchi, scatoloni, vasi, utensili e piccoli attrezzi di ogni tipo.
Lui l’osservava in silenzio.
“Tra poco diventerà persino accogliente,
tranquillo!”
Aerith si era perfettamente accorta di Sephiroth e dei suoi
comportamenti ostili. Avvertiva la sua rabbia, la sua voglia di sangue
e di distruzione.
Proprio per questo voleva essergli vicino. Nessuno lo avrebbe fatto e
sentiva che era suo preciso compito.
…Oppure, sarebbe morto.
Privato della sua libertà sarebbe stato capace di lasciarsi
morire. Lui lo avrebbe fatto senza troppi problemi.
Lei voleva evitare questo. Voleva che lui vivesse. Che nella sua vita
non regnasse solo il niente e l’odio.
Era possibile curare un’anima così? Dove quel poco
che aveva nel cuore lo disprezzava, lo rinnegava, lo sotterrava dove
nessuno poteva trovarlo?
Uno spiraglio era ancora presente nel suo cuore? Uno spiraglio talmente
profondo che poteva essere ancora illuminato dalla luce?
Se non avesse almeno provato a rispondere a quelle domande, non avrebbe
mai potuto saperlo.
Del resto, era davvero famosa l’impulsività della
ragazza.
[…]
Sento il vuoto
circondarmi, la rabbia mi assale, chiedendomi cosa diavolo ci facessi
lì.
Che cosa ci facessi io
in una via soleggiata con tanti ragazzi, bambini, uomini e donne
gioiosi mentre io bramavo tutt’altro che il divertimento.
Non è questo
il mio mondo. Non ci sono abituato, e non spero di abituarmici
Non è da me
preoccuparmi degli occhi della gente, non è per me tutto
questo. Non è da me vivere.
Cosa speri? Sciocca
ragazzina…
Credi di essere
l’angelo protettore di tutti?
Sei davvero convinta di
poter fare di me un cagnolino grato?
Non sai ancora con chi
hai a che fare, sciocca ragazzina.
Ragazzina…Ancient….Cetra.
…Avrei dovuto
ucciderti tempo fa.
Maledetta.
Dalla finestra poteva vedere Aerith. Non scostò nemmeno un
attimo gli occhi dal vetro. Era così tranquilla, a tratti
stanca, a tratti rilassata.
Lentamente sfilava l’abito per poi sistemarsi a letto. La
vide spazzolare a lungo i suoi capelli prima di chiudere tutte le luci
e dormire.
La guardò con rabbia e proprio non riuscì a
pensare ad altro. La odiava profondamente.
Sephiroth adesso si trovava nel piccolo vivaio di Aerith.
Come mai? La risposta era semplice.
Sephiroth ricordava ancora nitidamente cosa gli era accaduto poche ore
prima. Lei, quell’Ancient, era venuta a casa sua. Non
l’aveva legato, non gli aveva fatto niente, se non
trascinarlo fuori, verso il suo negozio di fiori.
Voleva controllarlo, voleva assicurarsi che non si facesse del male,
che non si uccidesse.
Era decisamente insopportabile la sua convinzione di essere un angelo
protettore. Lei non era nessuno, se non una povera sciocca.
[…]
“Aerith, cosa ti succede?” disse Tifa mentre
lasciava sciogliere lo zucchero nella tazza di the.
L’Ancient posò il vassoio per sedersi accanto a
lei. Aveva un leggero batticuore, ma non si lasciò turbare.
Era sicura di quel che faceva.
“Cosa avrei dovuto fare? Lasciarlo morire?”
“No, non intendo questo, ma dovresti renderti perfettamente
conto dei rischi che…” Tifa cercò di
andarle incontro, ma fu bruscamente interrotta da Cloud che fino al
minuto prima era rimasto nel più tetro silenzio.
Guardò Aerith dritto negli occhi, cosa piuttosto rara da
parte del biondo, e con tono basso le si rivolse.
“Domani tornerà in quella casa e continueremo i
turni come abbiamo sempre fatto.”
A quelle parole, Aerith trasalì.
“Non capisci, Cloud! Sephiroth non ha bisogno di
questo!”
“A me non interessa di cosa ha bisogno.”
Sospirò pazientemente nel vedere il viso contrariato di
Aerith.
“L’abbiamo risparmiato, l’abbiamo
salvato, ma io non ho intenzione di pentirmene. Se non lo
farà lui per primo, lo ucciderò io.”
Non riuscì a credere che Cloud dicesse la verità.
Era terribile.
“Sephiroth…ha bisogno di tempo e, soprattutto, di
aiuto! Lo voglio aiutare! Non voglio che muoia.”
Cloud accavallò le gambe.
“Lascia fare a me e agli altri.”
“Tu non vuoi fare nulla per lui! Cosa credi? Io sono capace!
So che posso!” disse alzando i toni più del
solito.
Regnò per un attimo il silenzio, poi Cloud
abbozzò un sorriso decisamente provocatorio.
“E’ così. Io non voglio fare nulla per
lui. Perché dovrei? Tu farai lo stesso.” Detto
questo si alzò.
“Perché…perché ti comporti
così? Non è giusto…” disse,
persa, incapace di comprendere tutto quell’odio.
Osservò Cloud mentre andava via come se nulla fosse. Si
chiedeva come facesse ad avere simili atteggiamenti.
“Aerith…” le si rivolse
all’improvviso.
Lei ne rimase sorpresa, ma le parole che proferì le fecero
male.
“Ti passerà il capriccio. Ora devo
andare…”
Aerith abbassò lo sguardo senza saper cosa rispondere.
Serrò i pugni con forza.
Tifa, che aveva assistito silenziosa alla scena, si avvicinò
a Cloud.
“Non ti sembra di esagerare?”
Cloud non le rispose e andò via chiudendo la porta dietro di
sé.
A quel punto la bruna si avvicinò alla giovane amica. Non
sapeva bene cosa dire, ma non poteva lasciarla in quello stato.
“Cloud è solo preoccupato per te, lo
sai.” Le disse.
Aerith alzò gli occhi e le sorrise debolmente.
“Grazie, Tifa. Ciò non lo giustifica,
però.”
A quelle parole Tifa si fece perplessa. Non riusciva proprio a
comprendere le emozioni dell’amica, eppure non poteva darle
torto.
“Non è facile perdonare e lui…non so se
lo merita, Aerith. Tu saresti morta e Cloud vuole solo che abbia
ciò che merita! Non merita la tua pietà e
soprattutto…”
Si bloccò non appena sentì un tonfo al cuore per
via delle forti emozioni. Anche lei odiava Sephiroth. Come non poteva?
Le aveva ucciso il padre. Gli aveva trafitto lo stomaco e
l’aveva lasciato morire dissanguato. Perché?
Senza motivo.
Gli occhi della bruna si inumidirono, ma cercò di
trattenersi. Aerith se ne accorse, ma non disse nulla.
“La pensi come Cloud, vero?”
“Stai solo attenta, okay?” le disse Tifa tagliando
corto.
Aerith non seppe cosa dire, si limitò ad annuire. La bruna
le sorrise per poi avvicinarsi alla porta. Non voleva andare via, ma
Cloud l’attendeva per accompagnarla a casa.
Tentennò prima di aprire la porta.
“Ae’ io…”
“Ciao, ci sentiamo.” le disse Aerith sforzandosi di
mostrarle un sorriso. “Non ti preoccupare.”
Non appena la porta si chiuse, la ragazza sospirò
sprofondando nel silenzio più assoluto.
Non è di
Sephiroth che hanno paura… è di me.
Sanno che potrei
commettere sciocchezze, che potrei farmi del male…che
potrei, potrei, potrei…
Se mi chiudessi in una
vetrina sarebbero tutti più felici.
Si sedette sul divano.
Sì. Sarebbero
più felici…
Si sentiva sola. Sola perché incompresa. Sola
perché nessuno capiva Sephiroth. Sola perché era
un ancient. Nessuno si sforzava di non farglielo notare. Nemmeno i suoi
due migliori amici.
[…]
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