200 QI
+
15
bicchieri di sakè
1.
Una serata tra
amici
Shikamaru Nara incrociò le braccia dietro la nuca e
cercò di fare un calcolo approssimativo delle volte in cui
si era recato in quel prato per stendersi e osservare placidamente le
nuvole. Cento? Centocinquanta? In diciassette anni e mezzo di vita,
quante volte era scappato dai suoi doveri e si era rifugiato in quel
piccolo paradiso privato?
Bah, che seccatura.
Shikamaru lasciò perdere i conti e cercò una
posizione più comoda sull’erba, indeciso se un
particolare sbuffo bianco potesse assomigliare o meno ad un grosso
rospo ciccione.
Era un tardo pomeriggio di metà aprile, un periodo
relativamente tranquillo per il villaggio di Konoha, e Shikamaru aveva
intenzione di approfittarne il più possibile, prima che i
suoi impegni di chuunin e richieste di missioni tornassero a bussare
prepotentemente alla sua porta.
Il cielo stava diventando sempre meno azzurro per sfumare su un blu
più scuro e Shikamaru calcolò che di
lì a mezz’ora al massimo sarebbe dovuto rientrare
a casa. Chiuse gli occhi e sospirò, lasciando che
l’aria frizzantina gli pizzicasse la gola.
“Shikamaru.”
Il ragazzo inarcò un sopracciglio e socchiuse un occhio.
“Choji.”
Il suo migliore amico gli sorrideva a testa in giù, la lunga
matassa di capelli castani che incombeva su di lui.
“Ti cercavo,” disse Choji. “Volevo dirti
che stasera andiamo al pub per una bevuta. Inoltre, tua madre, non
sapendo dove venire a
pescarti – sue testuali parole, mi manda a
dirti che devi tornare a casa all’istante.”
Shikamaru aprì anche l’altro occhio.
“Sì, sì. Grazie, ora vado.”
“Io mi sbrigherei se fossi in te,”
commentò Choji, grattandosi pensieroso una guancia.
“Era in cucina a inveire contro la nullafacenza dei Nara e
non sembrava di buon umore.”
Shikamaru si alzò con un gemito: conosceva fin troppo bene
le abitudini di sua madre.
“Dice che se non ti presenti subito alla sua porta,
conoscerai il vero dolore.”
“Grazie, Choji. Ho capito.”
Shikamaru si spazzolò i vestiti scuri e si
incamminò con l’amico verso casa, camminando
accanto a lui con le mani in tasca e un filo d’erba tra le
labbra, lanciando vaghe occhiate alle nuvole sopra le loro teste.
Percorsero le scorciatoie di cui erano a conoscenza da una vita tra i
viottoli di Konoha e, ben presto, raggiunsero la tenuta dei Nara.
“Ti fermi a cena?” chiese Shikamaru a Choji prima
di entrare.
L’amico scosse la testa. “Anche mia madre mi
aspetta. Ci vediamo dopo, d’accordo? Solito posto, solita
ora.”
Shikamaru sorrise. “Alle nove da te.”
Mentre Choji si allontanava, Shikamaru gettò via il filo
d’erba e, dopo aver guardato con nostalgia l’ultima
nuvola per quel giorno, si rassegnò ad entrare in casa.
“Shikamaru
Nara.”
Un sibilo lo placcò appena mise piede
nell’ingresso.
“Mamma.”
Shikamaru alzò cauto lo sguardo per vedere sua madre che lo
fulminava con le mani piazzate sui fianchi e un mestolo nella destra.
“Ti pare questa l’ora di tornare?” lo
aggredì. “Dove sei stato? È da
stamattina che sei in giro, si può sapere dove te ne vai
tutto il giorno?”
“Fuori,” rispose Shikamaru a bassa voce.
L’espressione di Yoshino divenne omicida.
“Fuori.
Sei sempre fuori,
tu! Per una volta che tu e tuo padre non siete impegnati in missioni
suicide, non potreste passare un po’ più di tempo
a casa? Sono fiera che mio marito e mio figlio siano due ninja della
Foglia, ma ciò non toglie che io mi preoccupi costantemente
per voi!”
Shikamaru sapeva che, quando sua madre era di quell’umore,
era consigliabile non replicare e rimanere in assoluto silenzio,
perciò abbandonò le braccia lungo i fianchi e
chinò la testa, ascoltando senza fiatare la tirata
inferocita di Yoshino, finchè la sua voce si spense e
l’ingresso piombò in un silenzio innaturale. Solo
allora, Shikamaru si azzardò a rialzare il capo, giusto in
tempo per cogliere lo sguardo arcigno di sua madre.
“E adesso, levati le scarpe e vai a tavola con tuo padre,
prima che la cena si freddi.”
Anche se dubitava fortemente della precisazione finale, Shikamaru si
guardò bene dal dare voce ai suoi pensieri e
obbedì senza fiatare.
“Vuoi una mano, Yoshino?” chiese Shikaku con
espressione incerta, al termine della cena.
Sua moglie lo guardò malissimo, raccolse i piatti sporchi e
li portò in cucina con un secco “No, grazie”.
Padre e figlio si scambiarono uno sguardo di intesa e si defilarono in
salotto.
“Ma che diavolo le prende?” sbottò
Shikamaru, socchiudendo i fusuma. “È
più isterica del solito.”
“Nah, non è isterica,”
borbottò Shikaku, sprofondando nel divano e accendendo la
televisione. “Solo preoccupata. In più, credo sia
in quel periodo del mese.”
“Per lei è sempre quel periodo del
mese,” ribattè Shikamaru, appollaiandosi sul
bracciolo della poltrona.
Suo padre ridacchiò. “Ti ha dato una bella
strigliata, eh?”
“Di certo non può essere peggiore di quella che
avrà dato anche a te,” replicò
Shikamaru, incrociando le braccia sul petto e affilando lo sguardo.
Suo padre cambiava canale senza prestare molta attenzione allo schermo.
“No, infatti.”
Sospirarono all’unisono, poi Shikamaru guardò
l’orologio.
“Ci sarebbe un problema.”
“Hai un QI pari a 200.”
“Papà…”
“D’accordo, d’accordo. Cosa
c’è?”
“Alle nove devo essere da Choji. Usciamo con gli
altri.”
Shikaku girò finalmente la testa verso suo figlio e
sgranò gli occhi.
“È stato bello conoscerti, figliolo.
Pregherò davanti al tuo altare ogni giorno, te lo
prometto.”
“Papà!”
“Ascolta, Shikamaru,” disse allora suo padre,
mettendosi a sedere e posando gli avambracci coperti di rete sulle
ginocchia. “Ormai sei grande, sei un uomo. Inoltre, sei un
ninja della Foglia e appartieni al clan dei Nara e noi Nara non siamo
dei codardi.”
Shikamaru attese il resto del discorso, inarcando sempre più
il sopracciglio sinistro.
“Perciò vai di là e affronta tua madre
da vero uomo.”
“Mentre tu te ne stai qui beato, ben al riparo dalla linea di
fuoco.”
“Ovviamente.” Shikaku tornò a stendersi
sul divano. “Sono io a dividere il letto con quella donna e
domani mattina vorrei risvegliarmi ancora tutto intero –
senza alcun pezzo mancante, non so se ci intendiamo.”
“Che seccatura.”
Shikamaru si alzò e camminò in silenzio fino
all’ingresso, dove si rimise le scarpe e una maglia nera a
collo alto sopra quella a rete che indossava già. Solo
allora, già pronto alla fuga, osò chiamare
Yoshino.
“Mamma! Vado da Choji, ci vediamo dopo!”
Yoshino comparve alla velocità della luce di fronte a lui.
“Esci? Di
nuovo?” sibilò.
“Sì, ma – torno presto,”
balbettò Shikamaru. “Davvero.”
Shikaku comparve inaspettatamente alle spalle di Yoshino, proprio
mentre la donna apriva la bocca per rispondere.
“Yoshino, lascia stare Shikamaru,” intervenne a
sorpresa suo padre con fare conciliante. “Non fa niente di
male, dopotutto.”
Lo sguardo della donna vagò tra suo marito e suo figlio, il
primo con un’espressione incoraggiante dipinta sul viso, il
secondo in preda al terrore di un attacco improvviso.
“Bah!” sbottò, girando loro le spalle.
“Uomini.”
“Muoviti, figliolo,” bisbigliò Shikaku a
Shikamaru, facendogli l’occhiolino. “Prima che le
sue maledizioni facciano effetto.”
“Certo che tua madre è proprio un tipo
strano,” borbottò Choji.
Lui e Shikamaru stavano camminando con calma per le vie semideserte di
Konoha, sotto le luci delle insegne dei negozi e dei lampioni.
“È la seccatura più seccante di
tutte,” precisò Shikamaru. “Come lo
possono essere solo le donne.”
“Eccolo che ricomincia,” rise Choji. “Il
solito maschilista misogino. Ti consiglio di andarci piano con le
generalizzazioni, non sai mai cosa potrebbe capitarti nella
vita.”
“Lo sai che scherzo, Choji,” sorrise Shikamaru con
le mani affondate nelle tasche dei pantaloni. “Ma su mia
madre sono serissimo. Di certo, non sposerò mai una donna
come lei.”
Choji lo ignorò. “Guarda, sono già
arrivati tutti!”
Shikamaru seguì lo sguardo dell’amico fino al pub
dove si erano già radunati Naruto, Lee, Neji, Kiba e Shino,
in attesa del loro arrivo.
“Bene, ci siamo tutti,” li accolse Naruto con
impazienza. “Cominciamo.”
“Cominciamo cosa?”
chiese sospettoso Shikamaru.
Neji si voltò verso Choji e i suoi occhi bianchi parvero
infilzarlo da parte a parte. “Non gliel’hai detto!
Mi sembrava strano che fosse venuto così
tranquillamente!”
“Di che state parlando, tutti quanti?”
domandò piccato Shikamaru mentre Choji sorrideva sornione e
Neji scuoteva il capo.
“Andiamo, andiamo!”
Naruto li pungolò fin dentro il locale e scelse un posto
nell’angolino più appartato che riuscì
a trovare.
“Neji?” soffiò Shikamaru al compagno
mentre sedevano fianco a fianco.
“Naruto ha appena avuto un’idea
geniale per movimentare le nostre serate,”
rispose atono Neji.
“E sarebbe?” Shikamaru stava già
valutando le possibili vie di fuga.
“Ubriacarsi.”
Ok, era morto.
Shikamaru era un uomo morto.
Se c’era una cosa che Yoshino non tollerava era vedere la
gente completamente ubriaca.
“Non se ne parla.”
“A chi lo dici.” Neji si voltò verso di
lui a labbra serrate.
“E allora perché sei qui?” gli chiese
Shikamaru.
“Qualcuno dovrà pur tenerli
d’occhio.”
“Allora!” esclamò Naruto, facendo
sobbalzare mezzo locale. “Per chi si fosse appena
sintonizzato, le regole sono molto semplici: dobbiamo bere quindici
bicchieri di sakè a testa. Chi è più
ubriaco, perde, e chi perde deve pagare il conto e fare penitenza. Lee
è il nostro arbitro, dal momento che non può
toccare una goccia di alcool.”
Rock Lee si esibì nella migliore delle sue Nice Guy Pose.
“Che idea stupida,” disse subito Neji.
“Io non partecipo.”
“Concordo,” disse Shikamaru.
Si levò un coro di lamentele generali.
“Oh, andiamo,”
disse Naruto, sporgendosi sul tavolo, affiancato da Kiba e Lee.
“Non ditemi che avete paura. Che uomini siete, se non sapete
reggere un po’ di sakè?”
“Uomini sani di mente,” puntualizzò
Neji, posando la punta delle dita sul legno del piano.
“Senza una madre come la mia,” gli diede man forte
Shikamaru.
A quelle parole, ridacchiarono tutti. Konoha intera conosceva la moglie
di Shikaku Nara.
Dopo l’ammutinamento di Neji e Shikamaru, Lee diede inizio
alla sfida e ordinò il primo giro per quattro sotto gli
sguardi disgustati dei due reietti.
A favore dei partecipanti, bisogna dire che i primi tre o quattro
bicchieri li ressero alla grande. Dopo il quinto, però,
cominciarono a manifestarsi i primi segni di cedimento, come risatine e
scoppi di violenza improvvisi, sedati in fretta da chi era ancora
lucido.
Al settimo, Kiba improvvisò un valzer con Akamaru.
Al nono, Shino partì per inscenare uno strip-tease, ma venne
prontamente bloccato da Neji e Lee.
Al dodicesimo, Choji cominciò a battere il ritmo sul tavolo
e a cantare quella che, a suo modesto parere, era una serenata alla
“bella e dolce Ino Yamanaka”.
Al quindicesimo bicchiere, Lee dichiarò chiusa la partita e
stabilì che il perdente era Naruto: il ninja era steso
supino sul tavolo e biascicava di rospi giganti appesi ad un carillon
che ballavano seguendo la musica delle stelle.
Come penitenza, Choji, Shino, Kiba e Lee decisero che Naruto si sarebbe
dovuto intrufolare nella stanza del maestro Kakashi e rubargli la serie
completa de Il paradiso
della pomiciata e lasciare al posto dei libri i suoi
vestiti, poi sarebbe dovuto andare in mutande da Sakura per portarle il
bottino.
Neji e Shikamaru, disgustati, li guardarono partire in pompa magna,
senza avere il coraggio di seguirli. Dopo un’occhiata di
intesa, se ne tornarono ognuno a casa propria.
“Gaara.”
L’onorevole Kazekage alzò la testa dal mucchio di
documenti che aveva sparsi sul tavolo e fece cenno alla sorella di
entrare nell’ufficio.
“È appena arrivata una comunicazione da Konoha da
parte dell’Hokage,” disse Temari, tendendo il
foglio al fratello. “Quegli ingredienti per i medicinali che
avevamo richiesto tre settimane fa sono arrivati.”
“Molto bene,” rispose Gaara, restituendole il
foglio. “Parti quando vuoi.”
Temari annuì e uscì fuori. Kankuro la aspettava
dietro la porta.
“Cos’è quel sorrisetto da ebete che hai
stampato sulla faccia, Temari?”
La ragazza gli sventolò il foglio di Tsunade davanti al
viso. “Parto per il villaggio della Foglia.”
“Quando?” Kankuro afferrò il pezzo di
carta e lo scorse velocemente.
“Adesso. I medicinali mi aspettano.”
Kankuro sollevò le sopracciglia e assunse un’aria
scettica.
“Hai qualcosa da dire, fratellino?” gli chiese
Temari, piazzandosi le mani sui fianchi e divaricando le gambe.
“Porta i miei saluti ai tuoi amici,”
ridacchiò Kankuro, restituendole il foglio e allontanandosi
nell’oscurità del corridoio.
SPAZIO
DELL'AUTRICE
Eccomi di ritorno con la mia prima Shikatema! Nata come one shot,
è poi diventata una long (not-so-long) fic.
Che dire? Intanto, grazie a tutti coloro che hanno recensito Orochimaru's birthday,
poi vi auguro buona lettura anche per questa storia. Spero abbiate
voglia e pazienza di seguirmi in tanti.
Shikatema di tutto il
mondo, uniamoci! ^^
Lucy Farinelli
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