Salve
a tutti,questa è la prima fan fiction su Twilight che
scrivo,e che,finalmente,ho avuto il coraggio di postare.Devo
ringraziare
Antonya,per questo,che mi ha fatto trovare il coraggio per farlo.^^
La
trama era delineata nella mia testa gia da un po’ di
tempo,e,riguardo la storia,in generale,posso dire che sarà
incentrata
ovviamente sulla storia di Edward e Bella,ci sarà molto
romanticismo (sono
molto smielata,io xD).
Questo
primo capitolo non è decisamente un
granchè,potrebbe
essere considerato perlopiù come un lungo
prologo.E’ piuttosto
monotono,incentrato sul racconto degli ultimi nove mesi trascorsi da
Bella dopo
l’abbandono di Edward.Dal prossimo,le situazioni si
evolveranno maggiormente.
Ok,questo
è tutto,spero di non avervi annoiato.Dal prossimo
capitolo comincerò a inserire alcune foto^^
Un nuovo inizio
Primo capitolo
Osservai assorta nei miei
pensieri il lungo mare di Santa
Monica sfrecciarmi davanti agli occhi,seduta nel mio solito posto
sull’autobus
che era passato con un po’ di ritardo rispetto al solito.
Era un venerdì
pomeriggio di giugno,che volgeva alla
sera,e il sole che
tramontava sul mare
calmo ne era una prova.
Sulla spiaggia,i bagnanti
cominciavano a radunare borse e
tavole da surf per tornare a casa,tranne chi restava appositamente per
osservare il mare di sera.
Il grande
boulevard,invece,era affollato come sempre:
ragazzi in comitiva che scherzavano tra loro,mogli frettolose di
tornare a casa
e vecchie coppie di signori che preferivano cominciare ad assaporare
l’aria
afosa che faceva capolino.
L’autobus si
fermò con una brusca frenata davanti la prima
fermata del boulevard del lungo mare. Subito il veicolo si
riempì di ragazzi di
ritorno dal mare,chiassosi e
sorridenti.
Con un sorriso fugace mi
infilai le cuffiette del mio mp3 e
mi persi di nuovo ad osservare il paesaggio esterno.
Fino a nove mesi
fa,forse,avrei anche io avevo fatto parte
di una comitiva simile;bisticciavo con la mia migliore amica Alice sul
vestito
da indossare,e arrossivo ai commenti estroversi di Emmett.
Se nove mesi fa avessi
immaginato che sarei finita in un
sobborgo di Santa Monica con i miei genitori nuovamente insieme,a
lavorare in
una trattoria sul mare e con una figlia nata da quindici giorni,sarei
sicuramente
scoppiata a ridere.
Decisamente,le mie
prospettive di vita erano totalmente
differenti.
-Non puoi,Bella.Dove
stiamo andando…non è il posto adatto a
te-
-Il mio posto è
dove sei tu-
-Non sono la persona
giusta per te,Bella-
Quel ricordo
provocò un’ondata di dolore,che si
concentrò
nel cuore,a fare compagnia a tutte le altre degli ultimi nove
mesi.Avvertii le
lacrime spingere ai lati degli occhi,quasi a chiedere il permesso
d’ uscire,e
le ricacciai indietro.
Non.dovevo.ricordare.
Ma,come spinti da una
forza invisibile,i ricordi
riaffiorarono in maniera ancora più violenta.
-Tu…non…mi
vuoi?-
-No-
-In cambio ti faccio
anch’io una promessa.Prometto che è
l’ultima volta che mi vedi.Non tornerò.Non ti
costringerò mai più ad affrontare
una situazione come questa.Proseguirai con la tua vita senza nessuna
interferenza da parte mia.Sarà come se non fossi mai
esistito-
Sarà come se
non fossi mai esistito.
Sarà come se
non fossi mai esistito.
Quelle sette parole
rimbombavano nella mia testa,si
capovolgevano,assumendo sempre lo stesso significato: lui non
c’è più,se n’è
andato.
Appoggiai la testa sullo
schienale del sedile e guardai il
soffitto.
Sei sorpresa,Bella?Credevi
che lui,cosi
perfetto,intelligente,buono,ti amasse davvero?Non eri la persona giusta
per lui.
Non eri abbastanza.
Eppure,nel bel mezzo della
notte,quando tutto taceva e rimanevo
a pensare,poco prima di prendere
sonno,non mi ritenevo capace di riuscire a credere che tutto fosse
completamente finito.
Semplicemente,il mio
corpo,cosi come la mia testa,rifiutava
di crederlo.Non dopo la sera del mio diciottesimo compleanno.
-Ti…ti faccio
male?-
Il suo era un
sussurro,smorzato da un gemito di piacere.Mi
teneva stretta a lui,le sue mani ai lati della mia testa,i suoi occhi
dorati
splendenti alla luce della luna.
-No.Ti prego,continua-lo
supplicai carezzandogli i capelli.
Avvertii immediatamente la
presenza delle sue labbra,soffici
e vellutate,sulle mie.
-Per favore,se ti faccio
male,dimmelo,Bella-
Le sue mani sul mio
corpo,i nostri gemiti,nella nostra bolla
privata.
Nel buio della mia stanza
a Forks ci eravamo amati con una
passione incontrollata,una di quelle passioni dettate dal
cuore,dall’anima,quell’anima che Edward era
convinto di non possedere.
Udii una risata
più forte delle altre;mi ricomposi e guardai
nel centro dell’autobus,dove uno dei ragazzi del gruppo del
mare,mi guardava
ridendo.
Era massiccio,e aveva un
piercing sul labbro.Mi fece
l’occhiolino e io di riflesso arrossii, voltandomi di scatto
verso il
finestrino.
Sarà come se
non fossi mai esistito.
Mi spiace Edward,ma questa
tua promessa non è stata
rispettata.Non puoi rispettarla,non sarai capace di
farlo.C’è qualcosa che non
lo permette.
Qualcuno.
I primi tempi dopo
l’abbandono di Edward,non erano stati
facili.Avevo affrontato un cambiamento cosi radicale nella mia vita che
non ero
stata capace di reggere,e ,lentamente,l’oblio profondo della
depressione mi
aveva risucchiato.
Studiare era diventato un
incubo;mangiare uno
sforzo;prestare attenzione ai discorsi preoccupati di mio padre e di
mia madre
che ci aveva raggiunti poco dopo aver saputo cosa era accaduto inutili.
Vivere era diventato un
peso,un enorme peso,un tunnel buio
senza fondo,che necessitava solo e soltanto di lui per riuscire a
trovarne
l’uscita.
Perciò,nel
profondo della mia sofferenza,non avevo prestato
attenzione,un mese dopo l’abbandono di Edward,al mio mancato
ciclo
mensile,preciso sempre come un orologio svizzero.
Me ne accorsi una sera di
metà ottobre,mentre ero in bagno a
ripulire la mensola per fare spazio ai prodotti cosmetici di mia madre
,che
aveva deciso di rimanere con noi fino a un mio,quanto
impossibile,miglioramento.
Ero nell’atto di
sistemare una crema per le mani quando il
pacchetto blu di assorbenti che utilizzavo solitamente era caduto per
terra.
Lo avevo raccolto con mani
tremanti,e successivamente avevo
controllato il calendario,contando e ricontando i giorni fino allo
stremo,sperando di aver sbagliato i conti.
Il test di gravidanza che
avevo fatto pochi giorni dopo
avevano confermato i miei dubbi:ero incinta,di quattro settimane.
Le domande nella mia testa
erano tante,le paure
molteplici,ma una cosa sicura:l’unica persona con la quale
avessi mai fatto
sesso era un vampiro.
Un vampiro che mi aveva
lasciata sola in un paese sperduto
degli Stati Uniti,senza nessun recapito,e che aveva concepito con me
una nuova
vita.
Non avevo mai affrontato
con Edward una discussione che
avesse come soggetto il funzionamento della fertilità nei
vampiri.
Erano decisamente discorsi
che non avevano nessuna ragione
per essere intavolati,e,in realtà,non era mai stata una cosa
che aveva occupato
un posto centrale nei miei pensieri,tantomeno l’idea di
riuscire un giorno a
convincere Edward a farmi vivere l’esperienza umana che
più desideravo
consumare con lui.
Edward aveva sempre
espressamente proibito qualsiasi
contatto troppo intimo tra noi .La sua paura di farmi del male a causa
della
sublime tentazione del mio sangue troppo forte e dolce per lui lo aveva
purtroppo mantenuto sempre a una
debita
distanza di sicurezza.
Eppure quella sera,la sera
prima del suo abbandono,si era
lasciato andare,abbandonandosi ad una disperata passione.
Forse avrei dovuto notare
i suoi gesti disperati,di totale
abbandono,ma nella foga del momento,non ero riuscita a pensare ad altro
che ad
amarlo con anima e corpo.
E ora il risultato del
nostro intenso,quanto
breve,amore,riposava a casa in compagnia di mia madre .
Pensando a mia figlia
Elizabeth,nata da quindici giorni,la
luce tornò a splendere sul mio viso.Lo sentii spandersi in
tutto il corpo,il
profondo amore che mi legava alla luce della mia vita.
Elizabeth era nata il
quindici maggio,con una settimana di
anticipo e tanta voglia di vivere,tanto che il parto era durato due
ore,seppur
dolorosissime.
Era una piccola dea.
Ripensai al viso di mia
figlia con un sorriso grandissimo:
la sua pelle pallida,chiara e splendente come la luna;gli occhi
marroni,come i
miei,vispi e luminosi;la boccuccia rossa,che si distendeva spesso in un
sorriso.
Era diventata la mia
ragione di vita;colei che mi aveva
aiutata a trovare la forza di riprendere in mano le redini della mia
vita.
I miei genitori reagirono
in maniera del tutto differente
alla notizia di diventare nonni.
Mio padre Charlie non era
riuscito a frenare la rabbia che
lo imperversava,e aveva battuto fortemente le mani sul tavolo della
vecchia
cucina a Forks.Lo ricordai come fosse stato ieri.
Mi ero talmente spaventata
da non riuscire a guardarlo per
una settimana intera.La sua rabbia era orientata verso ragioni ben
precise:primo,era arrabbiato in modo incontenibile verso Edward,che mi
aveva
abbandonato e lasciato cadere in depressione.
Ora si aggiungeva anche il
fatto di aver violato la mia
innocenza( cosa che,avevo tentato di spiegargli più
volte,avevamo voluto
entrambi) e mi aveva lasciata incinta,mentre lui si era dato alla bella
vita.
E purtroppo questi erano
rimasti i suoi pensieri su Edward.
Fortunatamente,riguardo la
gravidanza,molto lentamente,si
era abituato all’idea,e nel corso dei novi mesi si era
affezionato cosi tanto
alla sua nipotina,che la ricopriva di attenzioni parlando spesso con la
mia
piccola pancia.
Mamma,invece,aveva reagito
in maniera completamente
opposta,lasciandomi del tutto tramortita.
-Tesoro,lo avevo
sospettato- mi aveva detto,riguardo la
questione della mia verginità –mi è
bastato lanciarvi una sola occhiata per
capire che tu ed Edward riuscivate a malapena a contenere la vostra
passione
davanti agli altri.Edward per te non era soltanto una cotta del momento-
Ciò non aveva
contribuito a far risanare la voragine nel mio
petto,ma la sua reazione,decisamente più moderata di mio
padre,mi aveva
tranquillizzata.
-Ci sono passata anche
io,crescere una bambina a diciotto
anni-aveva detto,strizzando l’occhio.-Ed è stata
la cosa più bella e grandiosa
di cui non mi pentirò mai-
E mi aveva abbracciato
forte.
Proprio io che mi ostinavo
a vivere nel ricordo di Edward a
Forks, avevo deciso di cambiare città.
Mia figlia doveva crescere
in un posto allegro,dove poter
cominciare una vita sorridente e serena.
Avevo preso la decisione
di lasciare la scuola,e dedicarmi
solamente alla mia gravidanza,ma mio padre mi sorprese non poco quando
annunciò
che aveva intenzione di seguirmi.
Mi ero opposta con vigore
alla notizia,ma egli non aveva
voluto sentire ragioni;mia madre,per starmi accanto anche lei,aveva
proposto di
andare in Florida,e partì subito per dare la notizia a Phil
e trovare una
piccola casa per me e Charlie.
Invece ricevemmo una sua
chiamata la sera stessa,dove, in
lacrime, ci invitava a cambiare meta e ci annunciava che sarebbe venuta
con noi
.
Non avevo fatto in tempo a
protestare che la linea era gia
caduta giù.
Solo più tardi
scoprimmo che Renèe,tornando a casa,aveva
trovato Phil in compagnia della segretaria del club sportivo dove
insegnava,in
una situazione non molto casta.
Nonostante più
volte avessi sospettato una cosa simile , mi
ero sempre trattenuta dal riferirlo a mia madre;dopotutto,da quando mi
ero
trasferita a Forks con Charlie,non sapevo come si erano evoluti i
rapporti tra
lei e Phil.
Mio
padre,fortunatamente,si era trattenuto dall’esprimere
opinioni volgari riguardo Phil,e si era limitato a stringere le labbra.
E fu cosi che decidemmo di
stabilirci in una piccola casa a
Santa Monica,in California,vicino al mare.Un bel cambiamento,per una
che ormai
viveva in una cittadina dove pioveva quasi 365 giorni
all’anno.
Non era una villa
maestosa,tantomeno una baracca,ma era
comoda per tre persone adulte e una bambina.
Mia madre era impegnata
nelle pratiche del divorzio e
straordinariamente,aveva trovato lavoro come assistente di yoga in un
beauty
center del quartiere di Malibu.
Perlomeno,i suoi assurdi
corsi cui in passato mi aveva
costretta a frequentare,erano serviti a qualcosa .
Charlie invece,vantando un
curriculum non proprio
negativo,era stato assunto in veste di carabiniere d’ufficio
nel commissariato
di Santa Monica.Certo,non era come essere uno sceriffo,ma non ci
trovavamo
nemmeno più in una cittadina sperduta degli Stati Uniti.
Mi sentivo in colpa per
mio padre,che era stato costretto a
lasciare tutto ciò che si era costruito in 18 anni
;invece,in seguito mi stupì
molto:aveva affrontato il cambiamento molto serenamente e ormai si era
già
creato il suo gruppo di amici al
lavoro,cosi come mia madre.
Io invece,nonostante
avessi una gravidanza in corso,non
avevo abbandonato gli studi,continuando autonomamente (avrei dovuto
dare gli
esami tra pochi giorni in una scuola di Santa Monica) e avevo trovato
un lavoro
part-time come cameriera in una trattoria sul mare,frequentata
perlopiù da
ragazzi come me,e ,ormai,anche io avevo stretto qualche
amicizia,sebbene fossi
molto restia a stringere rapporti.
La gravidanza era
proceduta bene,e ,allo scadere dei nove
mesi,vantavo un pancione notevolmente grande,che quindici giorni
fa,diede alla
luce la mia bellissima bimba che ora mi stava aspettando a casa.
Sorrisi di nuovo pensando
a Elizabeth.
Non ero riuscita a non
donare qualcosa di Edward alla nostra
piccola,chiamandola come sua madre,quella naturale. In
più,era un nome che mi
era sempre piaciuto.
Era cosi simile ad Edward.
Quando sorrideva rivedevo
il sorriso sghembo dell’amore
della mia vita,e non riuscivo a non pensare dove fosse,cosa facesse,e
come
avrebbe reagito sapendo di avere una figlia.
Ma non l’avrebbe
mai saputo,e Elizabeth avrebbe per sempre
ignorato di avere un padre bellissimo,generoso e buono,proprio come io
desideravo ricordarlo.
Stavo per farmi assalire
di nuovo dalla tristezza quando mi
accorsi che l’autobus era appena passato davanti il
parrucchiere che si trovava
poco prima della fermata dove dovevo scendere.
Con un sussulto prenotai
la fermata e spensi l’mp3,riponendolo
nella borsa bianca.
Mi alzai con cautela e a
tentoni riuscii ad arrivare davanti
alle porte centrali.
Vidi il ragazzo di prima
osservarmi attentamente e
arrossii,desiderando scendere
all’istante;dopotutto,nonostante fossi diventata
,madre,avevo pur sempre diciotto anni.
L’auto
frenò e pochi secondi dopo le porte si aprirono,e
scesi.
Poco prima che si
richiudessero,udii un fischio e il ragazzo
salutarmi con la mano.
Scuotendo la testa,mi
avviai verso la via piena di negozi
che portava nella zona residenziale dove abitavamo.
Percorsi velocemente la
lunga fila di piccole villette a
schiera della zona prima
di raggiungere
frettolosamente la numero diciannove.
Frugai nella borsa e tirai
fuori il mazzo di chiavi,che
infilai nella serratura.
Percorsi il vialetto con i
piedi che sembravano andare a
fuoco e finalmente entrai.
-Bella?-
La voce di mia madre mi
chiamò dalla cucina.
-Si,sono
io-risposi,posando la borsa sul tavolino
all’ingresso e richiudendomi la porta alle spalle.
Con un sospiro di
sollievo,mi liberai dei sandali lasciando
posare i piedi sul pavimento fresco e mi diressi dolorante in
cucina,dove
trovai mia madre a bere una spremuta d’arancia,in pigiama.
Strabuzzai gli occhi.-Ti
sei gia preparata per andare a
dormire oppure non ti sei mai svestita?-
-Spiritosa- disse mandando
giù l’ultimo sorso.-Non m sento
molto bene,credo sia influenza intestinale,sto rigettando da questa
mattina-disse,reprimendo una smorfia.-Ho tentato di avvicinarmi il meno
possibile a Lizzie,per non farle contrarre nulla.Ora è di
sopra in camera tua
che dorme,tanto per cambiare-
Sorrisi.Questo non sapevo
da chi l’aveva ripreso.Di
sicuro,non da Edward.
Pessima battuta,Bella.
Annuii e mi diressi di
sopra,nella mia piccola stanza che
dava su un bagno personale.Mi avvicinai alla carrozzina rosa e
silenziosamente
scostai le copertine .
Ed eccola li,il mio
miracolo personale,che dormiva
tranquillamente,ignara di tutto e di tutti.
Elizabeth aveva le
braccine rilassate lungo i fianchi,e
indossava una tutina rosa;la bocca era distorta in un sorriso,come
sempre.
Restai ancora lì a guardarla per un po’ e poi mi
diressi al bagno.
Mi lavai le mani e
nel frattempo lasciai correre lo sguardo sul grande
specchio del
mobiletto;con una mano ravvivai i capelli marroni mossi.
Il riflesso di una
diciottenne stanca ricambiava lo sguardo.
Avevo in programma di
studiare matematica,approfittando del
sonnellino di Lizzie,ma ero talmente stanca che alla fine optai per una
doccia
veloce.Prima di infilarmi nel box,però,tornai in camera per
dare un’altra
occhiatina a Lizzie,che dormiva ancora tranquillamente.
Stavo
ritornando in
bagno quando mia madre mi chiamò.
-Bella,tesoro,scendi un
secondo-
Feci dietro front e scesi
per le scale,raggiungendola in
cucina.
-Sì?-chiesi,guardandola
interrogativa.
-Ehm…ti
arrabbieresti se ti chiedessi di arrivare un secondo
qui al supermercato a comprare il latte per domani mattina? Mi sono
resa conto
ora che manca...-disse,guardandomi dispiaciuta,poi aggiunse-ci sarei
andata io
,ma non vorrei rigettare proprio nel momento in cui…-
-Non ti preoccupare,vado
io-la liquidai con un
sorriso,tentando di far svanire dalla mia testa l’immagine di
una doccia
rilassante –sai che mi piace camminare.Porto anche Lizzie a
farle prendere un
po’ d’aria-aggiunsi.
Sebbene fossi stanca,tanto
da non reggermi in piedi,non
potevo far uscire mia madre in quelle condizioni,e Lizzie non usciva
dal giorno
prima.
Velocemente mi diressi di
nuovo sopra e raccolsi un paio di
infradito per stare più comoda.
Presi la borsa contenente
tutto ciò che serviva per
Elizabeth e la depositai sotto la carrozzina,controllai che dormisse
ancora e
scesi giu,facendo attenzione a non creare danni come ero solita fare.
-Torno tra
poco-dissi,prendendo di nuovo la borsa sul
tavolino
-Grazie tesoro,mi dispiace-
-Non ti preoccupare mamma-
Chiusi la porta dietro di
me e con un sorriso tutto rivolto
a mia figlia mi avviai.
Mentre camminavo,mi persi
a pensare con un sorriso quando
mio padre sarebbe rientrato a casa e di nuovo rimasto da solo con mia
madre.Era
una situazione molto strana,vederli abitare sotto lo stesso tetto;dopo
nove
mesi,non ci avevo ancora fatto l’abitudine.Dormivano in due
camere separate,ma
i loro rapporti si erano rafforzati tantissimo;venivano spesso
scambiati per
coppia e questo imbarazzava papà molto più del
dovuto.Inoltre,ero a conoscenza
del fatto che lui non l’aveva mai dimenticata.
Quanto a mia madre,forse
per conseguenza della grande
delusione di Phil,o di essere di nuovo riunita con me e
papà,la trovavo molto
più bendisposta nei confronti di Charlie.
Ero sul punto di girare a
destra ,quando udii un flebile
lamento.
Immediatamente rivolsi la
mia attenzione a Lizzie,che aveva
appena aperto gli occhi.
Contenta ,mi fermai un
momento sul ciglio della strada e mi
chinai a sfiorarle il nasino con il dito.
-Amore
mio,buonasera,eh?-le dissi ,passando poi il palmo
della mano sul pancino.
La vidi distendere la
bocca in un sorriso e guardarmi
attenta. Ormai sapeva riconoscere i visi più famigliari,ed
io ero il primo di
questi.
-Hai fame?Eh?Riesci
resistere ancora un
pochino,amore?-sussurrai,sorridendole dolcemente.
Stavo per rimettermi in
moto quando una macchina,o meglio,un
bolide,sfrecciò a tutto gas lungo la strada,avvicinandosi
cosi tanto al
marciapiede da far spostare la carrozzina;mi spaventai talmente tanto
che
portai una mano sul cuore.
Immediatamente ,portai la
mia attenzione su mia
figlia:Elizabeth non si era accorta di nulla,anzi sorrideva ancora
più forte e
agitava le gambe per aria.
Un moto di rabbia mi
invase: chi diavolo era quel cretino /a
che correva cosi forte in periferia?
Feci in tempo solamente a
notare una Jaguar XF rosso fuoco con il tettuccio scoperto
svoltare
verso sinistra e una chioma bionda svolazzare al vento.
-Uno di quei soliti
ricconi menefreghisti-borbottai,ancora
spaventata.
-Signorina,tutto bene?-
Mi voltai,sorpresa.
Una coppia di
anziani,sottobraccio,mi osservavano
preoccupati,alternando lo sguardo da me alla carrozzina.
-Idiota,lui e chi gli ha
regalato la patente. C’è mancato
poco che sfiorasse la carrozzina.E nemmeno si è fermato a
chiedere cosa è
successo!Sicura di stare bene,signorina?-chiese la signora,osservandomi.
Aveva in testa un cappello
di paglia e si era sporta per
controllare Lizzie.
-Era una
femmina-dissi,storcendo il viso in una
smorfia.-Sì,grazie comunque,sono a posto,sia lei che io
–
-Grazie al cielo.Questi
ricconi snob. Perchè non se ne
stanno a fare le loro gare di macchine nei loro quartieri extra lusso a
Beverly
Hills e Orange County?
No,devono venire a
rovinare la vita a noi,poveri periferici-
Sorrisi,stringendomi nelle
spalle.-Questa è la vita-
Dopo un altro paio di
insulti verso il guidatore della
Jaguar si allontanarono e li ringraziai di nuovo della
disponibilità.
Con un sospiro,mi avviai
di nuovo verso il supermercato.
Quando entrai,notai con
piacere che era quasi del tutto
deserto,tranne qualche donna in tailleur di ritorno dal lavoro.
Ressi il manico della
carrozzina con una mano,e con l’altra
recuperai un cestino e,dopo aver passato in rassegna un pacco di dolci
al
cioccolato contornati da zucchero a velo,che mi tentavano fortemente,
mi arresi
e decisi di comprare anche qualche schifezza .
Mai sottrarsi al richiamo
del cibo.
Mi diressi velocemente
verso il reparto patatine,il mio
preferito,ed ero indecisa se prendere quelle al formaggio o quelle alla
paprica
quando Lizzie cominciò a lamentarsi.
Aveva
fame,evidentemente;erano più di quattro ore che non
prendeva la sua poppata e sebbene ora fosse molto precisa nel
mangiare,spesso i
suoi piantarelli improvvisi erano dovuti alla fame momentanea.
La presi in braccio
cullandola lentamente,e baciandole di
tanto in tanto la testolina.
-Allora,che dici,tesoro,le
prendiamo?Tanto per farci un po’
male al fegato…-scherzai,prendendo sia il tubo delle
pringles alla paprica e i
puff al formaggio.Tanto valeva strafare.
Raccattai anche una
confezione di cipster e la gettai dentro
il cestino.
Nonostante fossi venuta
per comprare il latte,alla fine mi
ritrovai con il cestino pieno,e ringraziai mentalmente di avere un
grande
scomparto per la spesa sotto la carrozzina di Lizzie,altrimenti non
sarei mai
riuscita a portare tutto dietro al ritorno.
Lizzie continuava a
piangere,un pochino più forte ora,perciò
velocizzai il mio andamento e mi diressi finalmente verso i frigoriferi
per
prendere il latte.
-Shhh,shh,tesoro sta
buona-sussurrai,cullandola
energicamente.
Presi velocemente una
bottiglia di latte scremato e feci per
riporla nel cestino,ma,come sempre ,nei momenti meno opportuni,il mio
scarso
equilibrio tornò a farsi sentire. Mentre con un braccio
reggevo Lizzie la
bottiglia mi scivolò dalle mani.
Chiusi gli occhi
istintivamente pronta a sentire l’impatto
della bottiglia sul pavimento,ma passò più di un
secondo e non udii nulla.
Riaprii gli occhi
sorpresa,e seguii il veloce movimento di
una mano bianca che l’aveva afferrata al volo.
Prima ancora di guardarlo
in faccia,ringraziai l’intervento
di quel salvatore.
Lizzie ,nel frattempo,
muoveva scalpitante le
braccia,tentando di reclamare la mia attenzione.
Lentamente alzai lo
sguardo per ringraziare chiunque fosse,e
la bocca si spalancò.
Non poteva essere vero.Non
lì.In un anonimo supermercato
dell’assolata Santa Monica,in un anonimo giorno,in
un’anonima serata.
I capelli ramati,proprio
come li ricordavo, erano
disordinati,scompigliati come da un forte vento;l’espressione
sbalordita come
la mia,che stonava con l’imperfezione della sua figura,e la
mano ancora
bloccata a mezz’aria ,nell’atto di riconsegnarmi la
bottiglia di latte.
La carnagione chiara,che
lo rendeva cosi etereo,più
somigliante ad una divinità che ad un essere umano,brillava
sotto la debole
luce del frigorifero.
Edward era davanti a me,in
tutta la sua imponente bellezza.
Sarei dovuta rimanere
abbagliata dalla sua presenza,forse;
sarei dovuta cadere a terra o,probabilmente ,scappare via.
Ma non riuscivo a
distogliere lo sguardo dai suoi
occhi…verdi.
Mentre percorrevo con gli
occhi il suo corpo,forse gia
consapevole in un certo qual modo di ritrovarmi di fronte
l’amore della mia
vita,aspettavo con impazienza di ritrovare quello sguardo caldo e
dorato tipico
di Edward,pronto a riscaldarmi il cuore.
Tutto ciò che
mi ritrovai davanti,invece,furono due occhi
verdi,limpidi e brillanti,che mi fissavano sbalorditi.
Verdi,come Carlisle una
volta mi aveva confessato,possedeva
da umano.
Quando sentii la forza
venire meno,mi ricordai di avere tra
le braccia mia figlia,e di trovarmi in un luogo pubblico.
Tutto era scomparso:il
battere della cassiera ,lo stridio
dei carrelli,i pianti di mia figlia.
Fissavo Edward e lui
fissava me,con la stessa espressione
sbalordita,alternando lo sguardo tra me e Lizzie che tenevo stretta al
petto.
Una confezione di yogurt
che cadde dalle mani di una signora
di fianco a noi ci fece sussultare entrambi,e lui sembrò
riprendere il
controllo di se stesso.
-Bella…-
Non potei far altro che
assaporare il mio nome uscire dalle
sue labbra,gustare la gioia di risentire la sua voce meravigliosa.
Eravamo ancora cosi presi
a fissarci che sussultai di nuovo
quando vidi una ragazza-sicuramente vampira,per la sua bellezza
eterogenea,e il
colorito pallido,con lunghi capelli biondi -avvicinarsi a noi con aria
annoiata.
-Edward,insomma hai
fatto?Ci aspettano a
casa-disse,alternando lo sguardo tra me e lui ,perplessa.
Edward scosse la testa e
io,tentai di imporre al mio corpo
di muoversi,afferrando la bottiglia con mani tremanti.
-Forza,Edward,dobbiamo
andare!-
La ragazza lo scosse per
un braccio,e lui ,ancora sotto
shock,si fece trascinare via,sotto il mio sguardo sconvolto.
D’un tratto,uno
strillo particolarmente acuto di mia figlia
mi fece ricordare dove fossimo,il giorno,l’ora.
Non riuscivo a credere di
averlo visto sul serio.
Edward era veramente
lì?
O,cosa molto
più probabile,era tutto frutto di
un’allucinazione?Ero arrivata veramente fino a questo punto?
Mentre posavo lentamente
la bottiglia nel cesto,la mano mi
tremava ancora.
Ebbene
sì,Edward è tornato ^^ Come mai proprio
lì,a LA?E
soprattutto,non ha gli occhi dorati ma verdi?E chi è la
misteriosa vampira
bionda al suo fianco?
I
nodi cominceranno a sciogliersi gia dal prossimo capitolo
;P
Spero
di ricevere qualche commento,buono o cattivo che
sia,cosi da postare il secondo capitolo velocemente^^
A
bientot <3
Cristina
|