Capitolo I
Mi muovo
piano, come solo io sono in grado di fare. I miei
passi sono così leggeri che nemmeno le foglie ed i rami secchi riescono
a
rompersi sotto i miei piedi. Il terreno è umido e morbido, ma le mie
scarpe non
affondano. Alzo lievemente il capo. Una leggerissima pioggia bagna il
mio
volto. Chiudo gli occhi e dilato le narici. Fiuto l’aria, come il
migliore – ed
il più affamato – dei segugi. Un odore famigliare ed intenso colpisce
le mie
ghiandole odorifere. Odore di sangue. Un cervo. Bene. Un animale
abbastanza
grande da placare la mia sete per qualche giorno. Uno scoiattolo o un
uccello
non sarebbero andati bene nemmeno come aperitivo. Un umano…meglio non
pensarci.
Seguo la traccia attraverso la foresta. Lentamente, senza fare alcun
rumore. Ed eccolo lì. Una giovane femmina si
sta
dissetando con l’acqua di un piccolo specchio. Mi acquatto come un
leone a
caccia, e la osservo. Aspetto il momento giusto per scattare. Chiudo
gli occhi,
e respiro ancora un po’ il suo odore. Vorrei poter dire delizioso ed
attraente
come quello degli umani. Ma non lo è. Purtroppo. Subito distolgo la mia
mente
da quel vile pensiero e torno a concentrarmi sulla mia preda. Beve.
Ignara del
suo inevitabile destino. Ignara del fatto che grazie a lei un’altra
vita umana
è salva. Le mie ginocchia sono piegate. Le mani poggiano sul terreno
scuro e
bagnato. La cerbiatta continua a bere. E improvvisamente, decido che è
il
momento giusto. Più veloce di un felino, balzo in avanti con uno scatto
felino.
Il fruscio delle foglie calpestate allertano l’animale, che inizia
subito la
sua fuga disperata. Ed inutile. Poco male, più divertimento per me. Le
sono
dietro, ma decido di anticiparla e coglierla di fronte. In pochi
secondi, riesco ad affiancarla e a superarla.
Lungo il
suo percorso, vedo un tronco accasciato al suolo che la costringerà a
saltare.
Quei millesimi di secondo in cui rallenterà mi permetteranno di
prenderla.
Eccola. Vede il tronco e spicca un salto. Subito le sono addosso e, con
tutta
la mia forza, di gran lunga superiore a quella di un uomo,
l’afferro con le braccia e la sbatto al
suolo. Ora è mia. La fatica e la paura fanno sì che il cuore batta in
maniera
incredibilmente forte, e che pulsi ancora più sangue nelle vene.
L’odore è più
forte e gradevole che mai. Per quanto l’odore di un cervo possa esserlo
rispetto a quello di un uomo. O meglio ancora, di una donna. E’ come
paragonare
l’odore dei broccoli lessi a quello della cioccolata calda. Il veleno
sale
lungo la mia gola, giungendo alla mia bocca e riempiendo i miei canini.
Stringo
la mia preda che si dimena con tutte le sue forze. Guardo i suoi occhi
neri.
Spaventati. Quasi provo pena per lei. Quasi. Mi getto su di lei,
mordendole la
giugulare. Proprio lì, dove il sangue affluisce e scorre come un fiume.
I miei
denti bucano la carne e attraverso quei due piccoli e vitali – e
mortali –
pertugi inizio a succhiare. Mentre bevo, tutto il resto del mondo
scompare. La
mia mente è completamente vuota. L’unica cosa a cui riesco a pensare, a
sentire, a odorare è il sangue. La mia unica fonte di sostentamento e
nutrimento. Cerco, in tutti i modi possibili, di pensare che questo sia
sangue
umano. Immagino che gli umani a dieta facciano la stessa cosa: pensano
che i
broccoli bolliti, la soya ed il tofu che sono costretti a mangiare per
perdere
chili siano cioccolata calda, cheeseburger e patatine. La differenza
tra noi e
loro è che se noi cediamo alla tentazione della cioccolata e dei
cheeseburger,
non ingrassiamo. Molto peggio. Uccidiamo. Ho ucciso anche questa povera
creatura, agonizzante sotto le mie mani e sotto i miei denti. Ma se non
l’avessi uccisa io, lo avrebbe fatto un uomo, o un orso. E’ la legge
della
natura: tutti i cervi nascono prede e muoiono prede. Sono ad un livello
piuttosto basso della catena alimentare. L’uomo invece è l’unico essere
vivente
in grado di uccidere tutti gli altri animali. Tranne uno. Si dice che
l’uomo
sia in testa alla catena alimentare. Il fatto che dopo millenni di
stragi e
“misteriose” uccisioni e scomparse l’uomo ne sia ancora convinto desta
davvero
meraviglia. Lì in cima ci siamo noi. Pendiamo sulle loro teste come una
ghigliottina. La vita ormai ha abbandonato la povera cerbiatta. Preso
dalla mia
sete, dalla mia fame, dalla frenesia che ci imprigiona ogni volta che
assaggiamo il sangue. Quella frenesia che ci rende i mostri che siamo.
L’ho
interamente prosciugata di ogni sua linfa. Ho recuperato le forze e,
soprattutto, ho placato la mia sete. Abbandono la carcassa accanto a
quel
contro, destinata ad essere il pasto di qualche altro animale. Gli
altri della
nostra specie, quelli che non si accontentano di nutrirsi degli
animali,
considerano me e la mia famiglia degli eroi, perché abbiamo imparato a
resistere alla tentazione del sangue umano. Be, anche oggi l’ho fatto.
Ho
salvato una vita umana…sono un eroe…Edward, smettila! Sei ridicolo…Sai
benissimo che non hai salvato la vita a nessuno. Hai solo risparmiato
la vita a
qualcuno. E, soprattutto, sai benissimo che non è sempre stato
così…Eroe, puah!
Tu sei l’esatto opposto dell’eroe. Sei il cattivo. Sei il mostro.
Sei…un
vampiro.
“Ehy!
Eccoti qua!”
La voce di
Emmet interrompe quel mio monologo. Ero talmente
concentrato nelle mie riflessioni che non avevo sentito i suoi
pensieri.
Leggere nella mente degli altri è l’ennesima qualifica che appare nel
mio curriculum
di “predatore più pericoloso del mondo”.
“Allora,
com’è andata la caccia?”
Emmet è
sempre di buon umore. Ha accettato il fatto di
essere un vampiro, ma so che comunque è
un peso anche per lui e probabilmente cerca di convivere con quella
realtà prendendola
con filosofia.
“Guarda tu
stesso”
Gli indico
la carcassa adagiata al suolo. La guarda e
sorride, illuminando, per quanto sia possibile, quel suo faccione
simpatico
quanto pallido. I suoi occhi non sono più neri come quando ci siamo
separati prima
della caccia. Hanno già riacquistato il colore ambrato, come
sicuramente
avranno fatto i miei. La sua maglietta è sporca di sangue.
Inevitabilmente,
inizio a penetrare nella sua mente. Una
cerbiatta…mmm…il cervo che ho gustato prima era grande almeno il
doppio! Emmet
e le sue manie di competizione…Parlando di forza bruta, lui è il
migliore nella
nostra famiglia. E non c’è da stupirsi, data la sua stazza. Dopo anni
ed anni
trascorsi insieme, non smette mai di decantare la sua forza e di
cercare sfide.
Eppure sa che con tutta la forza del mondo, non può cavarsela con uno
che,
leggendogli nel pensiero, è in grado di anticipare le sue mosse.
Secondo lui
baro…Ma d’altra parte ognuno usa i suoi punti di forza. Un’altra “voce”
entra
nella mia mente. Dove saranno gli
altri…ah ecco, sento l’odore. Rosalie compare alle spalle di Emmet
dopo
pochi secondi. E’ sempre velocissima. E sempre bella in un modo
spaventosamente
perfetto. I suoi capelli biondi, sciolti sulle spalle, sono
impeccabili,
nonostante la caccia. Ricordo il momento in cui era entrata nella
nostra
famiglia, quando Esme e Carlisle desideravano che diventasse la mia
compagna.
Immagino che, non riuscendo nel loro intento, abbiano fatto la felicità
di
Emmet.
“Eccovi…ciao
scimmione!”
Rosalie si
avvicina al suo compagno e gli dà un bacio sulla
guancia che somiglia di più ad un morso, ed in risposta Emmet avvicina
la sua
lingua al residuo di sangue che sporca il collo di mia sorella. Come
ogni volta
che assisto ad uno scambio di effusioni, distolgo lo sguardo. Credo che
la mia
mente sia già sufficientemente invadente. E non nego che siano
situazioni per
me imbarazzanti. E ammetto anche tristi. Confesso che provo un po’ di
invidia…Oh, Dio! Ogni volta la stessa storia…Mi sforzo per chiudere le
porte
della mia testa per evitare che i pensieri a dir poco impuri di Emmet e
Rosalie
entrino. La caccia li eccita in modo particolare…e per lasciare loro un
po’ di
privacy, che spesso manca quando vivi in una casa affollata come la
nostra. Con
un fratello che legge nel pensiero poi…
Corro
attraverso il gli alberi e in due o tre minuti sono
già a casa. In salotto, mia sorella Alice ed il suo compagno Jasper si
stanno
dilettando in una partita a scacchi. Cavallo
in C3,pensa Alice. E so che non è la sua prossima mossa. Ma la
mossa che
Jasper attuerà fra chissà quanto. Eh già…la mia piccola sorellina
prevede il
futuro. Rimango qualche secondo ad osservarli, divertito per
l’ostinatezza di
Jasper che sa benissimo che non ha nessuna speranza. Come si può
battere una
persona che prevede le tue mosse in un gioco che è tutto basato sulle
capacità
tattiche, la furbizia e l’astuzia? Infatti, due o tre mosse e…scacco
matto per
Alice, che con un balzo gioisce come se avesse vinto la maratona,
agitando i
suoi capelli neri, corti e sbarazzini. Inizia a fare piroette nel
soggiorno,
con quella sua grazia e quella sua leggerezza invidiabili. Jasper la
osserva,
con il sorriso e lo sguardo di un innamorato. Sei così
pazza e così bella quando fai così… E subito mi pento per
quell’intrusione nella sua mente romantica, perché un po’ sono felice
per loro
e un po’ mi fa male perché mi sento ancora più solo.
“Jasper,
mi spieghi perché ti ostini a voler perdere?”
Mi
sorride. Perché mi
piace quando Alice fa così. E lo pensa, senza dirlo, perché sa che
con me
basta. Sorrido e decido di lasciarli soli e andare in camera mia.
Mentre salgo
le scale, incontro Esme, mia madre.
“Edward,
tesoro, com’è andata?”
“Bene
grazie”
“Ti senti
a posto? Domani è il grande giorno…”
Già.
L’ennesimo grande giorno. Un altro primo giorno di un
altro primo anno di università. Questa volta è Dartmouth. Lettere
moderne. Un
altro foglio di carta da incorniciare ed appendere accanto agli altri:
letteratura 1958, biologia 1971, medicina 1980 e ancora medicina 1994.
Carlisle, mio padre, è un grande chirurgo e nel corso degli anni, anzi
dei
secoli ha sviluppato una notevole capacità di resistenza di fronte al
sangue
umano. Oramai gli è praticamente indifferente. Per me non è ancora
così. Io e i
miei fratelli abbiamo imparato a convivere con gli umani, e infatti
frequentiamo regolarmente liceo e università. Ma manteniamo sempre un
certo
distacco. Per questo ci considerano strani, più che per il colorito
straordinariamente pallido delle nostre pelli e per la bellezza che ci
caratterizza ai loro occhi. I ragazzi stanno alla larga da noi, come se
sapessero che siamo pericolosi. In realtà ci trattano solo con
indifferenza.
“Si mamma,
sono a posto. Gli studenti universitari non
corrono rischi nemmeno stavolta.”
Bene.
Ho pulito la tua
stanza ma tranquillo non ho spostato niente. E sorride, nel modo
più dolce
ed affettuoso possibile. La amo come se fosse la mia vera madre. E lei
mi ama
come se fossi davvero suo figlio. Quel figlio che non ha potuto avere
naturalmente.
So che il fatto di non aver mai concepito un bambino suo e di Carlisle
è un
fardello che tiene racchiuso nel suo cuore, nascosto e mai dimenticato.
Io,
Alice, Jasper, Emmet e Rosalie colmiamo quel vuoto e lei ringrazia Dio
ogni
giorno per la nostra presenza. Si, ringrazia Dio…nonostante siamo
creature
provenienti dall’inferno. E condannate a ritornarci.
Entro in
camera mia e mi getto a corpo morto sul divano in
pelle. Senza trovare, per l’ennesima volta, la morbidezza che si cela
in un
caldo ed accogliente letto, che nella mia stanza avrebbe la stessa
utilità di
un soprammobile. Io non dormo. Noi vampiri non dormiamo. Nonostante
tutte
quelle fantasie sui nostri ipotetici sonnellini nelle bare…Niente bare,
niente
liquefazione al sole, niente intolleranza all’aglio e alle croci. Però
non
dormiamo…Mi chiedo cosa diavolo ci sia rimasto di umano in noi…Però
forse è
meglio così. Se mi addormentassi in questo momento so che sognerei. E
soprattutto so che cosa sognerei. E l’ultima cosa che voglio è un sogno
in cui
io sono un ragazzo normale, che può vivere come una persona normale,
stare tra
la gente, avere amici, magari innamorarsi...L’ultima cosa che voglio è
l’illusione. Se mi svegliassi e, guardandomi allo specchio, vedessi
ancora il
topazio invece del verde naturale nei miei occhi, sarebbe troppo da
sopportare.
Altra sofferenza alla mia vuota ed ignobile esistenza.
Mi alzo,
prendo uno dei miei cd di Debussy e lo inserisco
nello stereo. La deliziosa melodia del pianoforte si espande ed invade
tutta la
camera. Ho voglia di leggere. Qualcosa che ho già letto e che mi è
piaciuto.
Qualcosa di rassicurante. Scelgo “Grandi speranze” di Dickens e mi
ributto sul
divano. Leggo e già penso a domani. Al grande giorno…un altro e vuoto
grande
giorno.
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