Titolo: Following
the path of the sun
Pairing:
Accenni a Gojyo/Sanzo
Rating: G
Conteggio Parole:
1410
Warnings:
Shounen-ai, tendente lievemente all'Angst
Spoiler:
Saiyuki Reload 7
Note: Scritta
per la challenge
Meme
di San Valentino indetta da
Michiru-kaiou7
con il prompt "The morning light has the scent of hope".
(Scritta ottomila anni fa, è che pubblicare su EFP mi
scoccia. ù__ù LJ è molto
più facile da usare, da questo punto di vista!)
Altra Gojyo/Sanzo, più o meno, questa volta vista
completamente dal punto di vista di Gojyo. Vi avverto: ci sto prendendo
seriamente gusto a scrivere su questo fandom.
Disclaimer: Saiyuki
e i suoi personaggi appartengono alla Minekura, io non ci guadagno un
centesimo a scrivere su di loro, lo faccio perché mi diverto.
-:-:-
Si accasciò contro un muricciolo, seduto in terra, il viso
nascosto da una cascata di capelli rossi appoggiati alle sue spalle
ricurve.
La pioggia torrenziale che si era abbattuta sulle loro teste fino a
poche ore prima non aveva lasciato altra traccia di sé se
non l'odore di legno marcito e ampie pozzanghere che si stendevano
sulla terra battuta a macchia d'olio.
Si cacciò una mano in tasca, nervoso, e strattonò
fuori dalle pieghe dei suoi calzoni un pacchetto di sigarette
martoriato e mezzo accartocciato su se stesso. Era veramente pietoso,
pensò, non del tutto certo di starsi riferendo al mucchietto
di carta e tabacco che stringeva possessivamente tra le dita.
Le labbra gli si curvarono in una smorfia di disgusto. Non aveva voglia
di fumare.
In realtà, non aveva voglia di fare niente.
Solo di restarsene lì fuori col sedere sulla terra
umidiccia, mentre aspettava che i due derelitti che aveva trascinato
fin lì iniziassero a dar segno di riprendersi o si
decidessero a morire, una volta per tutte.
Si appoggiò una mano in fronte, affondando le dita nei
capelli lunghi per scostarseli appena dal viso, e sbuffò,
digrignando i denti. Era successo tutto così velocemente
che, in quel momento, mentre cercava di fare mente locale, le immagini
gli si accavallavano nel cervello ed emergevano, prepotenti, con
particolari sempre nuovi, sempre diversi, mentre tutto nella sua testa
si tingeva di rosso sangue.
Alzò il mento e appoggiò la nuca contro il
muricciolo, scivolando in avanti col sedere fino a che non
riuscì a puntellarsi sui calcagni.
Più di tutto, ricordava distintamente la paura e la rabbia,
la sensazione di impotenza e quel prurito nelle dita che ancora le
faceva fremere dal desiderio di sbattere le nocche arrossate sul suo
zigomo, di restare immobile a guardare la follia e la rabbia che si
mescolavano nei suoi occhi e di colpirlo, ancora, fino a rimettergli il
sale in zucca.
Perché non era bravo con le parole, non lo era mai stato, e
sapeva per esperienza che, comunque, le parole servivano fino ad un
certo punto, quando si trattava di avere a che fare con
lui.
Sanzo era bravo a fare discorsetti, il suo era un talento naturale,
così radicato in profondità nella sua anima che
le parole gli scivolavano via quasi senza talvolta passare nemmeno dal
suo orecchio, se non c'era altro ad accompagnarle che riuscisse ad
appiccicargliele addosso con la forza del calcio o dello schiaffo.
Era una contraddizione vivente, lui, con quella sua anima
inavvicinabile e quel corpo troppo sensibile al mondo esterno, al
sangue, alla lentezza esasperante dei polpastrelli e delle labbra che
gli scivolavano sulla pelle.
Ributtò la testa sulle ginocchia, mentre la notte umidiccia
gli si incollava alla pelle per restargli addosso anche quando la luce
abbagliante del sole ne avrebbe spazzato via il torpore dall'aria e
avrebbe guidato le nuvole cieche della tempesta che ancora si
attardavano nel buio a veleggiare lontano, leggere, e a rischiarare il
cielo che sembrava infetto.
Si strinse la giacca sulle spalle, richiudendosi in sé
stesso, le palpebre abbassate.
Forse avrebbe dovuto colpirlo per davvero.
Forse avrebbe dovuto lasciare Hakkai e Goku da parte e gettarsi su di
lui con tutta la rabbia che gli ostruiva il petto per picchiarlo con
quanta forza aveva in corpo fino a costringerlo a ricominciare ad usare
il cervello come aveva sempre fatto; forse, in quel caso, lui sarebbe
rimasto.
Forse, schiacciato contro la terra umida dal suo peso, avrebbe capito
che il suo posto non era con quei due buffoni comparsi da
chissà dove, ma lì con loro. Con lui.
Si grattò dietro la nuca con un gesto nervoso, mentre
cercava di non ridacchiare come un idiota.
Bingo. Lo sapeva benissimo da solo che era quello a
non avergli lasciato tregua, annidandosi nel fondo del suo cervello
dall'esatto momento in cui gli era stato chiaro che non lo avrebbe
seguito e che, invece, se ne sarebbe andato via, lasciandolo indietro.
Solo sperava di non essere così patetico da arrivare
addirittura al punto di dirlo ad alta voce, anche se solo nei suoi
pensieri. Perché era stato chiaro fin dal principio che
quella cosa non sarebbe mai dovuta diventare altro, anche se entrambi
sapevano benissimo che, quando avevano posto idealmente quei paletti,
dopo essersi avventati quasi con rabbia l'uno sull'altro ed aver
consumato tutta la forza, la voce e il fiato che avevano in corpo, i
limiti erano già stati abbondantemente superati e non
c'erano più ancore a riva in grado di riportarli indietro.
Inspirò e l'odore della pioggia gli si infilò nel
naso come una stilettata. Faceva schifo. Faceva tutto veramente schifo.
Si infilò a tentoni una mano in tasca, come prima, e
sfilò un accendino che si fece oscillare sotto gli occhi,
come se non lo avesse mai visto in vita sua.
E, mentalmente, si diede ancora dell'idiota.
«Gojyo.»
Voltò la testa e raddrizzò la schiena, colto alla
sprovvista e non si rilassò nemmeno quando vide che ad
accoglierlo erano gli occhi gentili e il sorriso compassionevole di
Hakkai. Rimase immobile e sbatté le palpebre fino a che
l'altro uomo non gli fu abbastanza vicino da riuscire perfino a
sentirne l'odore, mischiato a quello del disinfettante e delle bende.
«Hakkai,» boccheggiò e rimase a
guardargli una guancia mentre il demone sollevava gli occhi al cielo.
«Dovresti,» iniziò, abbassando
nuovamente la testa. «Dovresti riposarti ancora un po', hai
preso una bella batosta.»
«Credo di aver riposato abbastanza, non
preoccuparti.» Gojyo si irrigidì di nuovo:
conosceva quel tono – pacato, razionale, quello che usava per
chiudere le discussioni senza importanza – e
sospirò, in attesa di quello che sarebbe arrivato.
«Quando mi sono svegliato non ho trovato Sanzo.»
Una pausa e si sentì come se i suoi occhi verdi gli si
fossero appoggiati direttamente sulla nuca.
«Dov'è, Gojyo?»
«Non ne ho la più pallida idea.» Si
stupì da solo del tono neutro che aveva assunto la sua voce.
«Non lo so,» ripeté, come ad accertarsi
di aver sentito male la prima volta. Non aveva sbagliato, eppure era
strano come quelle parole gli uscissero così naturali dalle
labbra quando dentro il solo pensarle gli faceva bruciare le tempie.
Hakkai annuì e si strinse nelle braccia quando un venticello
frizzante si sollevò, quasi ad annunciare la nascita del
sole. «Capisco. È andato via con loro?»
«Credo di sì. Non mi sono fermato a chiedergli i
suoi programmi per il week-end, avevo altro da fare.»
Un sospiro. «Immagino che sia così,»
disse, semplicemente. «Ho dato un'occhiata a Goku,»
aggiunse poi, a voce più alta, «e le sue
condizioni non mi paiono critiche, anche se ritengo che avrà
bisogno di almeno un altro paio di giorni, o forse tre, per riprendersi
del tutto.»
Gojyo fece roteare l'accendino tra le dita e si strinse nelle spalle,
con non curanza. «Be', ok. Tanto non dobbiamo andare da
nessuna parte.»
La brezza gli accarezzò i capelli e lui sollevò
il mento, lasciando che lo sguardo vagasse verso l'orizzonte e le cime
dei monti ancora coperte di neve e nuvole. Sembrava pacifico, il
paesaggio, abbarbicato sotto un cielo che iniziava a tingersi di
celeste e rosa pallido fin dove i raggi tiepidi riuscivano a stendersi
e dissipare le ombre.
«Non hai come la sensazione che tutto assuma una prospettiva
diversa, alla luce del sole?»
Spostò un secondo gli occhi su di lui e tornò a
guardare la cima delle montagne in lontananza, come se non potesse
farne a meno. Le nuvole che riempivano il cielo sembravano meno
minacciose, ora che riusciva a distinguerne i contorni.
«Forse.»
«In realtà non me n'ero mai accorto nemmeno io.
Forse perché viaggiando sempre lungo la sua scia ne siamo
sempre a contatto, tanto da non riuscire ad immaginare un mondo che non
sia immerso nella sua luce, non sei d'accordo?»
«Mh.» Le parole riecheggiavano familiari nella sua
testa e lui sbuffò, appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
«Bene!» esclamò Hakkai, battendo le mani
l'una contro l'altra. «Direi che abbiamo deciso.»
Gojyo sbatté le palpebre e lo guardò con la bocca
socchiusa. «Cosa abbiamo deciso?»
«Che quando Goku si sarà ripreso ci metteremo in
marcia.»
«E verso dove?»
Hakkai si prese il mento tra le dita, riflettendo. «Visto che
non abbiamo nessuna pressione, direi che possiamo andare verso il sole,
a questo punto.»
Gojyo si alzò, a fatica e si scostò i capelli dal
viso mentre cercava di schiarirsi le idee. «Quindi torniamo
indietro?»
«In realtà è un concetto relativo.
Dipende tutto da dove tu creda che sorga il sole, non è
così?»
E Gojyo rimase a guardarlo con gli occhi spalancati, mentre il suo
cuore mancava un battito e nella sua testa si formava l'idea che,
forse, quel pugno che fremeva ancora sulle sue dita era proprio il caso
di consegnarlo.