Questa è una breve one-shot
collocata alcuni anni dopo la fine della prima serie animata di Fullmetal
Alchemist. Non tiene conto del manga, né della serie Brotherhood, né
del film Il conquistatore di Shamballa. Alphonse ha terminato
l’apprendistato e ha recuperato la memoria. Da qualche mese è tornato a
Resembool e vive con Winry e zia Pinako…
Prima di lasciarvi alla lettura
vi ricordo che il genere è drammatico/angst e si tratta di una death-fic,
quindi c’è qualcuno che muore.
Per il resto… boh… forse avrei dovuto mettere OOC, non so
ditemi voi…
* * *
Veleno
(di
Sihaya10)
* * *
Di tutti
i veleni, l’anima è il più forte.
Novalis
* * *
A volte capitava che Alphonse
s’incantasse osservando Winry collaudare Automail.
Era come tornare indietro nel
tempo a quando giocavano spensierati, quando con loro c’era ancora Ed, quando
s’arrabbiava se gli dicevano che era basso o impallidiva perché Winry lo stava
rimproverando.
Era come tornare ad essere
felici.
All’improvviso Winry, senza
voltarsi, tese la mano dietro la schiena e fece un cenno impaziente per
intimargli di muoversi: « Passami la chiave inglese, Ed. »
Non si accorse dell’errore.
Ma quando si voltò verso di lui
sussultò lievemente.
L’espressione
nei suoi occhi era simile al disappunto di chi, con orecchio esperto, individua
una nota stonata nell’esibizione di un’orchestra.
Perché lì, a porgerle la chiave
inglese, doveva esserci Edward, non Alphonse.
« Sei bianco come un cencio, »
disse Winry, « che hai? »
Alphonse sentì un nodo
stringersi in gola. Non fu capace di rispondere.
Meccanicamente, le allungò la
chiave inglese.
*
« La cena è pronta da un pezzo!
» esclamò Winry entrando di sorpresa nella stanza di Alphonse.
Il ragazzo sobbalzò voltandosi
di scatto, immaginando d’incrociare il suo sguardo focoso e di dover sostenere
la classica sfuriata, ma gli occhi di Winry guardavano oltre, sondavano la
stanza dietro di lui come attraverso un vetro trasparente.
Non era ancora riuscita a
rassegnarsi a quello spettacolo, né intendeva provarci.
Ogni volta che varcava la
soglia, era come se la camera le vomitasse addosso miriadi di dolorosi ricordi.
Dalla morte di Edward, l’arredamento era rimasto quasi immutato. Le sembrava di
poter sentire la sua voce ed il suo profumo sollevarsi dai volumi della
libreria e dalle coperte dei letti, come nugoli di polvere da un vecchio
ritratto.
Alphonse passava ore chiuso lì
dentro, in solitudine, a fissare fuori dalla finestra con sguardo perso nel
passato. Farsi chiamare più volte per scendere a cena era diventata
un’abitudine.
Winry saliva ogni sera ad
urlargli, attraverso la porta, quanto fosse ingrato a disprezzare il cibo che
sua zia preparava per lui. Poi, quando Alphonse appariva sulla soglia con gli
occhi arrossati e quell’espressione di dolore che non si era mai allontanata
dal suo volto, si ammansiva, e infilando un braccio attorno al suo,
l’accompagnava al piano terra.
Quella volta, però, Winry aveva
trovato la porta socchiusa ed era entrata nella stanza, sorprendendo Alphonse
seduto alla scrivania, davanti ad un grosso libro di alchimia aperto ed un
mucchio di fogli pasticciati d’inchiostro; vecchie carte con l’inconfondibile
calligrafia di Edward.
Oltre all’angoscia dei ricordi,
un terribile presagio le strinse lo stomaco.
Smise di lamentarsi della cena
che andava raffreddandosi e si avvicinò al tavolo cercando di sbirciare fra i
fogli; lo fece in modo scherzoso, provocatorio, infantile.
« Che stai facendo? » domandò.
Il tono di voce tradì tutta la sua preoccupazione.
Alphonse colse inconsciamente
quel disagio e vide in lei una minaccia; svelto, raccolse tutti i fogli e li
nascose fra le pagine ingiallite del pesante volume, che chiuse ponendovi sopra
il braccio destro.
Senza rendersene conto, aveva
assunto un’espressione di sfida che a lei non piacque affatto.
Offesa, con incedere felino, lo
ingannò. Si spostò sulla sinistra ed allungò una mano, lui si alzò in piedi
spostando il libro dietro la schiena. Lei di sorpresa ritirò la mano e scivolò
dalla parte opposta, spintonandolo. Alphonse s’aggrappò alla scrivania e lei
allungò la mano di nuovo, questa volta afferrando con successo un lembo di
carta e sfilando un foglio che sporgeva in parte dal libro.
Appena lo guardò, il suo viso
perse ogni colore.
Era colmo di formule scritte e
riscritte, cancellate, barrate, rivedute e corrette.
Erano formule alchemiche.
Lei non sapeva nulla d’alchimia,
ma l’istinto la fece rabbrividire. Si portò una mano a coprire naso e bocca,
per evitare di respirare quell’odore di stantio e menzogna che all’improvviso
sembrava aver invaso la stanza.
« Che cosa stai facendo? »
mormorò spaventata.
« Niente. »
« Non mentirmi, non sono
stupida. Questa è la calligrafia di Ed e queste sono… » un nodo alla gola
spezzò la frase. « …Cos’hai in mente, Al? »
« So quello che faccio Winry, »
fu la risposta.
Fredda, elusiva.
Inutile.
Lei aveva già capito: « No che
non lo sai! »
E lui aveva letto nei suoi occhi
quella consapevolezza, quella paura, nel momento stesso in cui aveva spalancato
la porta della stanza.
« Ti sbagli. Ho la soluzione,
Winry, posso farlo. Torneremo ad essere felici, noi tre, insieme. »
Era certo d’essere nel giusto
eppure la sua voce tremava insicura, come in una supplica vigliacca. Ma faceva
così male vedere il disgusto che le curvava gli angoli delle labbra socchiuse,
le rughe sulla sua fronte aggrottata, gli occhi azzurri velati da una pietà
tanto simile alla presunzione.
« Al, io capisco quello che
provi, ma… »
« No. Tu non puoi capire! » la
rabbia e la frustrazione gli bruciavano la gola come liquido bollente, « non
puoi sapere cosa significa perdere un fratello, non puoi sapere cosa significa
vivere nel senso di colpa… perché… perché lui ha fatto tutto questo per me
mentre io non sono stato capace di fare nulla per lui! »
Lei sentì il petto dolere forte
e, spaventata, si portò una mano al cuore in pezzi da lungo tempo, come se esso
potesse ridursi in frammenti ancora più piccoli.
« Può darsi… » mormorò
impotente, con le lacrime che scottavano agli angoli degli occhi, « ma so cosa
significa perdere un amico… So cosa significa perdere… dannazione Al, io
l’amavo! »
« Se è per questo, anche io
l’amavo! E non lo dimenticherò così facilmente come avete fatto voi! »
Lei scosse vigorosamente la
testa. « Io non ho mai dimenticato Ed, e non lo dimenticherò mai! »
« E allora perché cerchi di
fermarmi? Io posso ridarti la felicità. Quello che voglio fare - »
« È sbagliato, Al! »
l’interruppe.
Alphonse non le diede ascolto: «
Non questa volta. Mio fratello aveva commesso un errore, io ho corretto le
formule... »
Winry continuava a scuotere la
testa, ritmicamente, per non cedere alla rassegnazione e alla sconfitta: «
L’unico errore che ha commesso Ed è quello d’aver creduto d’essere onnipotente
e quest’errore l’avete pagato entrambi! Non ti è bastato?! »
« Se Ed fosse qui, farebbe la
stessa cosa per me, e direbbe che tu lo stai soltanto ostacolando! »
« Ed non c’è più, capisci? Non
c’è più! » supplicò lei nell’ultimo tentativo di fargli capire quanto il suo
comportamento rasentasse la follia, « io sto solo cercando di ricominciare e
dovresti farlo anche tu! »
« Non posso. Devo pagare il mio
debito. »
Winry andò su tutte le furie: «
Questa è solo una scusa! » urlò, « la realtà è che sei uguale a loro! Sei come
tuo padre e come Ed, schiavi del desiderio di sapere e accecati
dall’onnipotenza! Siete sangue dello stesso sangue, ma in realtà è veleno
quello che avete in corpo! Veleno! » Gridò correndo fuori dalla stanza e
sbattendo furiosamente la porta, affinché lui non avesse il tempo nemmeno di
sospettare che stava per scoppiare in lacrime.
*
C’era la luna piena, quella
notte. Una delle classiche notti estive, calde e silenziose.
Winry si era addormentata con
difficoltà, rigirandosi più volte nel letto. Le lenzuola giacevano
accartocciate in fondo ai suoi piedi e lei dormiva di schiena, con braccia e
gambe allargate sul materasso, quasi volesse accogliere in un abbraccio ogni
singolo soffio di vento proveniente dalla finestra aperta. Le palpebre serrate
ed il respiro regolare custodivano il suo sonno senza sogni, conquistato con
fatica.
Fu una serie di lampi e stridii
assordanti a svegliarla nel cuore della notte. Provenivano dal piano terra,
dalla rimessa degli Automail.
Spalancò gli occhi, ancora
assonnata, in bilico fra il sonno e la veglia. Poco dopo un violento frastuono
la fece balzare a sedere sul letto.
Poi un grido straziante le fece schizzare il cuore in
gola.
Non cercò di indovinarne
l’origine. Inconsciamente, l’aveva riconosciuta.
S’alzò in piedi e si precipitò a
rotta di collo giù per le scale, chiedendosi se c’erano state altre grida prima
del suo risveglio.
Conosceva già anche questa
risposta.
Mise piede al piano terra e la
prima cosa che incontrò fu un lezzo nauseante, seguito dal sapore amaro di
lacrime che avevano iniziato a scorrere ben prima che gli occhi potessero
vedere, come se sapessero ciò che lei non era in grado di accettare.
Vide il volto pallido di
Pinako...
E poi l’orrore.
C’era sangue ovunque, sulle
pareti, sul pavimento, ai vetri delle finestre. Il suo odore intossicava
l’aria.
I soccorsi erano già lì,
chiamati – forse - da zia Pinako; un uomo robusto la trattenne afferrandola
alla vita, ponendosi come ostacolo fra lei e quello scempio.
Winry iniziò a dimenarsi e a
gridare disperata, tradita, abbandonata.
Le braccia possenti la
trascinarono lontano per impedirle di vedere il corpo mutilato di Al che
giaceva al centro della stanza, ma lei riuscì ugualmente a scorgerne il viso.
Gli occhi sbarrati erano
immobili e privi di vita; i capelli sporchi e fradici.
Le labbra insanguinate erano
rigide e senza voce…
Eppure, nel silenzio, parlavano.
Se è
vero quello che hai detto, Winry, se è vero che nel nostro sangue scorre
veleno…
Di cosa
ti sorprendi?
È
naturale che conduca alla morte.
Fine
* * *
N. d.
A.
Ho fatto una fatica tremenda a scrivere questa fic perché
sia il genere che lo stile non mi appartengono. Inizialmente volevo dividerla
in più capitoli, ma ho finito per limarla così tanto da ridurla all’essenziale.
Mi è sembrato il modo più efficace per trasmettere la
sensazione che volevo. Quella sensazione di vuoto ed incompletezza che si prova
di fronte ad eventi che non possiamo controllare, e che travolgendoci, si
portano via un pezzo della nostra anima.