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Note dell’Autrice: FattoFattoFatto ~ballodellavittoria~ Mi
scuso per qualsiasi casino grammaticale, ma… blah È FINITA
YAAAY. Avvertimenti: non Betata, uno stile di
scrittura più o meno strano, abuso di virgole, abbastanza fluff da
mandarvi in coma. C: Pairing: Italia/Germania (non è
che l’ordine sia evidente orz) -x-x-x-x-x-x-x-x-
Finesse – Delicatezza ~
Flair-of-fire
I arance
“Attento~!”fu l’unico avvertimento che Germania ebbe prima di essere
colpito con qualcosa di piccolo, tondo e solido. La cosa rimbalzò sulla sua
fronte mentre girava all’angolo della strada. Quando aveva cominciato a cercare
il gracile Italiano non si aspettava tutto ciò. No di certo. Guardò in basso,
vedendo un’arancia che rotolava lungo il marciapiede, danzando attraverso il
pavimento senza vita e sulle crepe. Strofinando il punto sul quale era stato
colpito, nel caso in cui del succo dell’arancia si fosse versato (non era
successo), Germania seguì il tragitto dell’arancia e continuò a percorrere il
marciapiede. Si fermò bruscamente di fronte a ciò che vide. Delle persone,
grandi e piccole, vecchie e giovani, maschi e femmine, che correvano nella
piazza di ciottoli lanciandosi arance a destra e a manca mentre si nascondevano,
urlavano piene di gioia e che in generale si divertivano come matti. Le parole
gridate, urlate, cantate in Italiano vorticavano tra la folla, soprattutto la
gloria che la guerra fosse in effetti combattuta con le arance.
II penne sul pavimento
“Cos’è stato tutto quello, ieri?” chiese Germania, sedendo dietro alla sua
scrivania, con gli occhiali poggiati sul suo naso forte e i documenti in attesa
di essere letti, facendo a gara per la sua attenzione sul legno levigato. Ma gli
occhi azzurri erano al momento impegnati sull’Italiano che stava girando nel suo
ufficio. Piccoli “ve~” si diffondevano candidamente nell’aria mentre Italia
esaminava il noioso, stantio ufficio, trovando crepe nella pittura e polvere tra
le mattonelle del pavimento. Quando la domanda dell’alleato ruppe il non troppo
silenzio, si avvicinò alla scrivania e appoggiò i gomiti sulla superficie, il
mento rotondo affondato nelle mani e, dopo aver fatto innocentemente cenno in
aria, “cos’era cosa?” Una scivolata, un colpo di gomito e la tazza di metallo
che conteneva le penne rotolò sul pavimento con un rumore sorprendente. Le penne
si aprirono a ventaglio sul legno.
III risuonare
Una campana risuonò nella piazza, continuando il suo lamento per minuti
prima che gli occupanti la sentissero al di sopra delle grida, delle risate e
del sangue che pulsava nelle loro vene. Come se fosse un segnale, quelli vestiti
di bianco (una maglietta, una sciarpa o semplicemente con del trucco sul viso)
si fermarono e si spostarono da una parte della piazza, ridendo a crepapelle,
chiacchierando e ansimando. Gli altri, tutti quelli che avevano qualcosa di
verde, fecero lo stesso, girandosi e incespicando verso l’altro muro di
edifici. Germania stette vicino all’angolo della strada, ignorato dai
cittadini pieni di adrenalina, e osservò confuso. Non capiva.
IV “quid pro quo” (una cosa per l’altra)
Riecheggiò un grido, decisamente Italiano, di scherno e senza
fiato. Un uomo solo, non giovane, ma nemmeno vecchio, stava in piedi nella
terra di nessuno tra i due gruppi divergenti, un largo gilè che gli svolazzava
attorno e imprecazioni sputacchiate dalle sue labbra. Un gruppo di quelli in
bianco, girati, sibilava di rabbia. L’uomo in verde raccolse la polpa d’arance
dal pavimento di ciottoli e la lanciò, il succo che schizzava direttamente sulla
faccia di uno dei suoi avversari. Scoppiò una risata. Fu allora che Germania
capì che quel folle solo che lanciava maledizioni era Romano, ma il tipo
tranquillo fu velocemente circondato dai bianchi. Erano molto più larghi di
lui. Mentre entrambe le folle cominciarono a stringersi, Germania si rese
conto di non essere così lontano dall’azione come aveva pensato in precedenza.
Infatti, si stava avvicinando sempre più mentre la rissa si espandeva, bimbo
contro adulto, donna contro uomo, bianco contro verde; i movimenti furiosi,
uniti alle arance, spinsero Germania più vicino al centro. Sapeva di poterne
uscire, lo sapeva, ma a cosa sarebbe servita la lotta? Ce n’erano davvero troppi
e persino con la forza della sua nazione era incapace di risalire in superficie
dopo che un bel po’ di corpi che combattevano l’avevano colpito. Germania si
sentiva schiacciato sotto il peso dei corpi su altri corpi che si contorcevano.
Allora, una mano afferrò la sua, non per aggredire, ma per qualcosa di più
sottile. E tuttavia la stretta era salda. Tra i corpi aggrovigliati, era tirato,
mentre si intrecciava, si piegava, si agitava, si infilava in spazi in cui non
sarebbe potuto passare Germania con le sue spalle larghe, ma ce la fece lo
stesso. Finalmente, era fuori all’aria aperta, la possibilità di respirare
che lo colpiva quasi quanto i pugni ricevuti. Il respiro entrò violento nei suoi
polmoni. Una figura più magra e più piccola correva davanti a lui, un braccio
piegato dietro per afferrare la grande mano di Germania con le dita delicate,
l’altro che tirava mentre un ritmo batteva per la ritirata. Germania
seguiva. Alla fine, dopo aver svoltato a molti angoli e aver percorso strade
strette e deserte, si fermarono, il respiro pesante sulle loro labbra. Germania
si girò verso il suo salvatore; caldi occhi color terra di Siena, capelli
castano ramato, spalle esili, sorriso vacuo e un ricciolo che si agitava senza
stare mai fermo. “Italia.”
V l’ultimo della fila
Germania era a terra adesso, mani e ginocchia, raccogliendo le penne che
erano cadute sul pavimento come minuscoli soldatini giocattolo. Il suo viso si
dipinse di disperata rassegnazione mentre le dita raccoglievano ciascuna di
esse, ordinandole automaticamente per colore. Italia si sedette sulla
scrivania, agitandosi e scusandosi con spenta allegria, inconsapevole di aver
causato anche più caos lassù. “Cos’era quello, prima?” Germania chiese di
nuovo, stando in piedi senza guardare alle sue carte rovinate e fissando
Italia. “Hm?” rispose Italia con un’espressione vuota, interrogandolo
tranquillamente. “Quel momento… Con le arance…?” “Era il festival del
lancio delle arance~!”, cinguettò Italia, “la mia gente si riunisce una volta
all’anno e fa una gara in cui ci si lancia delle arance perché una volta c’erano
dei padroni cattivi~” E Germania si sentì come se fosse stato l’ultimo della
fila quando Dio aveva distribuito i kit di comunicazione tra tedeschi e
italiani.
VI paracadute
Italia volteggiò verso un anziano venditore che si era ritirato dal caos
per vendere la sua merce. Il vecchio carro di legno era carichissimo di scatole
e mazzi di ciclamini e gigli. Italia prese un ciclamino dallo stelo esile dal
mucchio, mentre Germania aspettava in piedi dietro di lui, confuso. “Un
bouquet, per favore~” L’anziano fece come richiesto, intrecciando le mani per
maneggiare ogni fiore con cura, gli steli che si incrociavano, le corolle che si
muovevano nella calda aria pomeridiana. Attorno all’intero mazzo era legato un
foulard rosso. “Abbia una buona giornata”, i denti dell’uomo erano
leggermente storti, il volto scuro e come il cuoio, ma i suoi occhi parlavano di
tempi più giovani. “Grazie!” trillò Italia, ricevendo il bouquet, e pagò
l’uomo, sorridendo gioiosamente. Si girò, stringendo la mano di Germania
nella propria un’altra volta, e cominciò a camminare per la strada. Germania
non vide motivo per resistergli, e così lo seguì, i piedi che si posavano
esattamente dietro la traccia strascicata che Italia lasciava. Italia, sicuro
che Germania non si sarebbe allontanato, permise al palmo più largo di scivolare
via dal suo. Portò una mano alle corolle dei ciclamini e tirò via delicatamente
i petali dalle loro guance rosate. Ogni petalo cadeva dalle sue dita agili,
danzando nel vento, lasciando una traccia di paracadute di fata.
VII tre volte al giorno prima dei pasti
“Non è quello che intendevo, Italia”, sospirò Germania, rimettendo le penne
nel contenitore e accompagnando il suo alleato giù dalla scrivania. “Ve~ A
cos’altro si potrebbe riferire Germania?” Dio lo odiava. Germania aveva
sempre avuto l’impressione che Italia tramasse con il grande uomo in
persona. “N-Niente.” Italia piegò la testa da un lato, ma il suo stomaco
fece deviare ogni pensiero inquisitore che aveva in mente, “Ah! Cosa andrebbe di
mangiare a Germania~?” “Qualsiasi cosa va bene”, Germania era solo contento
di dirlo perché Italia era virtualmente incapace di cucinare cibo cattivo, e la
cucina italiana era abbastanza buona, se uno stava attento ai carboidrati
assunti. Italia uscì in fretta dalla stanza, fantasticando su rigatoni e
salsa di pomodoro, lasciando Germania a cuocersi nei suoi pensieri e a finire il
lavoro pre-pasto che era venuto fuori. Sembrava che fosse diventato un ospite
fisso recentemente, da quando Italia aveva deciso che era una buona idea
cucinare i pasti per lui.
VIII tatuaggi e piercing
Continuarono a camminare sempre più in là lungo la strada, la luce del
sole, la luce del sole distorta tra gli altri palazzi intonacati. Un negozio
d’antiquariato, una pizzeria, un caffè, e una bottega di tatuaggi. L’aria
capricciosa si fece più acuta contro il netto contrasto tra gli accessori
metallici e i simboli demoniaci nella vetrina.
IX dispensa
Crash, bang, thunk! Perchè Germania doveva sistemare le pentole sul ripiano
più alto?
X luce rossa
“Ve, Germania”, chiamò Italia, strappando un altro petalo, girandosi in
modo tale che il bordo del suo profilo bruciava d’oro e di rosso nel sole del
tardo pomeriggio.
XI catrame bollente
Lo studio di Germania sembrava un po’ vuoto. E silenzioso. Abbandonato,
perfino. Le carte, bianche come ossa con su la scrittura nera, sembravano
desolate. Poco accoglienti, e lui non riusciva proprio a concentrarsi. Quando il
forte botto riecheggiò dalla cucina, Germania decise che era il momento di
intervenire mentre il suo disordine ossessivo-compulsivo gli sussurrava acute
grida di battaglia. La cucina sembrava intatta, per la maggior parte.
Cucchiai, pentole, padelle e pacchi aperti di zucchero di canna era sparsi
sull’altrimenti ordinata superficie del bancone. Italia stava in piedi davanti
al forno, mescolando in un largo contenitore di titanio qualcosa che sembrava
dello spesso, gorgogliante, nero catrame. Doveva usare entrambe le mani per
mescolare con la larga paletta di legno, che rimaneva rigida in verticale fuori
dal miscuglio. I muscoli delle spalle che lavoravano, le maniche alzate sulle
braccia flessuose, le guance rosse e gonfie di fiato. “Che stai
facendo?” “È una sorpresa~” A Germania non piacevano le sorprese.
Di solito finivano con lui che puliva dei grandi, sperimentali e potenzialmente
pericolosi pasticci. Specialmente quando si trattava del gioviale italiano. Ma
questo non significava che avrebbe fermato Italia.
XII libellule e lucciole
Un grande disegno dai toni brillanti risaltava sul muro intonacato
davanti a cui si era fermato Italia; capricciose libellule verde acqua si
intrecciavano su di esso, macchiato con un surreale motivo di punti rosso-dorati
delle lucciole. “Ja?” rispose Germania, un brontolio nel silenzio
pensoso. Italia regge una solo fiore, adesso, i fratelli spogli sparsi sul
ciottolato color caramello intenso, il fazzoletto rosso usato per legare il
bouquet tenuto sciolto in un pugno rilassato. “Sta’ fermo”, chiese Italia con
un sorriso vago. Germania quasi non riuscì a tener fede alla richiesta,
quando Italia si spostò davanti a lui e lo raggiunse, allungando le braccia a
entrambi i lati della testa bionda di Germania, il fazzoletto teso tra le due
mani. In punta di piedi, la faccia concentrata di Italia si soffermò da qualche
parte sotto il suo mento, le dita che sfioravano la nuca, e il petto che si
scontrava con il suo busto di tanto in tanto. Un ultimo tiro al nodo e Italia si
diede indietro sui talloni, sorridendo in modo abbagliante. “Ecco~
Immunità.”
XIII ondata(e) di calore
Onde di calore uscivano dal forno mentre Italia apriva lo sportello,
piegandosi per poter tirare fuori la casseruola, riempita di maccheroni, ragù e
formaggio. Canticchiava con aria compiaciuta mentre appoggiava il piatto
sulla cucina.
XIV 99’999
“Novantanovemilanovecentonovantanove piatti di pasta sul muro~
novantanovemilanovecentonovantanove piaaaatti~”canticchiò Italia, armeggiando
vicino alla cucina, tirando fuori le stoviglie e procurandosi una bottiglia di
vino da una riserva di cui Germania non sapeva. L’italiano stava facendo il
suo solito rituale in attesa che la pasta si raffreddasse prima di servirla.
“Prendine uno, passalo in giro, novantanovemilanovecentonovantanove piatti di
pasta sul muro~” Benché il numero da cui Italia partiva per il conto alla
rovescia sembrava ridicolmente alto a Germania. “Germania… Cosa viene dopo
novantanovemilanovecentonovantanove?” Italia volteggiò per guardare il biondo
appoggiato allo stipite della porta della
cucina. “Novantanovemilanovecentonovantotto”, replicò Germania con un
sospiro. “Ah~”Italia mormorò con un’espressione vaga, “Non so contare così in
alto.” Germania fece un’espressione confusa, una ruga che si allargava tra le
sopracciglia, “ma stavi contando numeri più altri di quello proprio
ora.” Italia semplicemente sorrise e ridacchiò, “sciocco Germania~ Ah!” saltò
su e corse al piatto di pasta e si sedette al tavolo, “si mangia!” A quanto
pareva gli italiani avevano un timer incorporato.
XV separato
“Ah, no!”urlò Italia, alzandosi di botto dalla sedia. Germania lo guardò,
spaventato. Aveva la mano sul macinapepe, che ancora si stava muovendo per
rimetterlo al suo posto accanto al portatovaglioli. “Non separarli”, Italia
spostò il portatovaglioli e spinse il sale vicino al pepe, la sua mano che
sembrava quasi delicata vicino a quella di Germania. Sorrise e lanciò
un’occhiata a Germania, “sono come migliori amici. Sale e pepe, no? Che stanno
uno accanto all’altro… Non è meglio così?” Germania potette soltanto fissarlo
di rimando. Lo guardava, interdetto, le sopracciglia alzate. Lentamente,
allontano la sua mano da quella di Italia e posò lo sguardo sul piatto di pasta.
Prese un’altra forchettata di pasta e la portò alla bocca, mormorando pensoso
“Credo di sì.” Italia semplicemente gli sorrise.
XVI ragione di esistere
Germania abbassò lo sguardo sul fazzoletto attorno al suo collo,
“immunità da cosa, esattamente?” Italia mormorò, sorridendo pigramente a
Germania e facendo diventare l’aria più calda; più densa, come della calda salsa
di pomodoro. Perché, altrimenti, per Germania sarebbe stato così difficile
respirare? Una risata, una piroetta e il punto di risa e urla distanti
ricominciò. “Arance~!” E Germania ancora non capiva.
XVII metropolitana
“Il tuo sistema di trasporti è orribile.”dichiarò Germania, sospirando in
risposta, “ e nessuno segue le regole del traffico.” “Cosa sono le ‘regole
del traffico’, Germania~?” chiese Italia curioso, sporgendo il mento sul morbido
palmo, i gomiti contro il bordo del tavolo. Il biondo lo guardò spaventato
per un momento, ma si riprese in fretta, “le luci: il rosso vuol dire fermarsi,
giallo vuol dire dare la precedenza e così via.” “Le luci tonde sui pali alti
come questo~?” Italia fece cenno con la mano, mimando in aria la forma con un
dito delicato. “Sì.” “Ve~ Quelle sono delle decorazioni carine! Guidare è
così noioso senza le luci carine, non trovi, Germania?” E in quel momento,
Germania seppe che c’era, in effetti, qualcosa persino più difficile e tortuoso
da capire della Metropolitana di Londra: la mente di Italia.
XVIII la prossima cosa più bella
“Ve~”cominciò Italia in quel suo modo di fare sembrare quel semplice suono
come una domanda, “perché Germania era a Ivrea?” Le sopracciglia bionde si
aggrottarono,“dove?” “Il festival,”mormorò Italia, raccogliendo col cucchiaio
il liquido viscoso – prima era nero, ma poi si era schiarito a una glassa
nocciola – dalla pentola sui fornelli e mettendolo in una coppa poco profonda.
Si girò e tese la coppa Germania, sorridendo, “il festival delle
arance~” Germania prese semplicemente la ciotola ed emise un brontolio non
meglio descritto. Provò a cambiare argomento con molto tatto, “perché certe
arance erano rosse?” “Oh!” cominciò Italia eccitato, sedendosi con la sua
ciotola, “sono arance sanguigne~ Buone quasi quanto i pomodori!”
XIX numerico
123
Gli occhi di Germania aperti, il respiro bloccato, i muscoli in tensione
e uno sguardo cauto al piccolo italiano.
456
Si stava avvicinando sempre più. Un luccichio nei suoi grandi, liquidi
occhi color cioccolato. Anche quando non si poteva avvicinare di più; più in
alto, Italia premeva in avanti e in su. Un’agile mano si sollevò tra di loro per
accarezzare dolcemente la mascella quadrata di Germania.
789
Caldo. Una pigra giornata sul Mar Mediterraneo; onde azzurre
sciabordavano tranquillamente contro le calde sabbie dorate. E Germania era
cosciente del perché esattamente si dicesse che gli italiani facessero svenire
le donne. Labbra contro labbra, non era così che Germania avrebbe pensato che
fosse un bacio, ma non avrebbe iniziato a lamentarsi.
987
Si stava dando indietro adesso. Cullandosi all’indietro sui talloni,
perso ogni contatto. L’aria fresca che formicolava contro la carne
calda.
654
Un passo, due, all’indietro, le mani giunte dietro si dondolavano in modo
innocente.
321
Un sorriso, emozioni che la mente di Germania non poteva controllare. Un
sorriso che non era “felice”, ma non era una delle maschere di Italia. Era
dolorosamente vero. Fisicamente doloroso. Nonostante ciò, Germania sperò di
poter tornare al suo nono battito del cuore e fermarsi, per avere la possibilità
di decifrare le emozioni, invece di lasciare che il bruno si girasse. Ma adesso
era impotente… “Italia?”
XX tra paradiso e terra
“Italia. Devo chiederti – “ “ – non è divertente? Perché non era un
pomodoro, era un’arancia sanguigna, ma i turisti non sanno queste cose; si
confondono sempre – “ “Italia.” “- Ve, non è buono per Gemania? Ho avuto
la ricetta da America, almeno penso fosse America, solo che c’era un orso polare
e non pensavo avesse orsi polari, ma non importa, perché era buona –
“ “Italia …” “ – perché è come cioccolato e a Germania il cioccolato piace
… vero?” continuò disperatamente Italia, gli occhi aperti e
imploranti. Sapeva cosa stava per chiedergli Germania. Sapeva quale
sarebbe stata la sua risposta. Non voleva sentire un rifiuto diretto perché
sapeva che avrebbe distrutto la sua decisione. Ma Germania non si fermò o
arrestò. La sua voce non esitò. La sua mente aveva rimuginato sullo stesso
pensiero ancora e ancora ed era giunto a quella conclusione. Chiedere a
Italia. “Perché mi hai baciato?” Il bruno strinse le labbra, il suo
sguardo guizzò via per poi tornare su Germania; via e di nuovo indietro. Le dita
premute leggermente contro le posate sporche. Per un istante, Germania credette
che non avrebbe risposto. Poi con un sorriso sviante, “l’ho
fatto?” “Sì.” Se Italia stava sperando che Germania sarebbe stato confuso
dal suo brusco cambio di comportamento, fu deluso. “Ve~ Germania …”
Italia abbandonò il sorriso di plastica, sostituito da uno sguardo preoccupato.
Lo sguardo si mosse da un’altra parte, non su qualcosa in particolare, e tornò
indietro quasi immediatamente. Germania era quasi distratto dai languidi occhi
color moka di Italia. Quasi. “Lo voglio sapere,” la sua voce non era severa,
non chiedeva una risposta, ma Italia si sentì obbligato a rispondere. Inspirò
piano, le sottili, morbide labbra che si separavano, gli occhi che si chiudevano
tremando mentre si preparava a parlare. Esitante, cauto, preoccupato, e
tuttavia ancora in qualche modo fiducioso, “Germania … Ludwig, sto dicendo
questo come Feliciano … Non come Italia, come me stesso; Intendo, sono Italia,
ma …” la sua voce usciva gentile e bassa in un ritmo cullante, muovendosi
lentamente dal nervoso all’appassionato, “sei così fantastico e forte e io …
Sono così preso da te, da … da tutto e se potessi cucinerei un milione di piatti
di pasta; penne e rigatoni e spaghetti; e prenderei una stella cadente e la
terrei con te per sempre, per sempre e spererei – Posso stare con te per sempre
finchè non mi sopporterai più?” Un morbido silenzio attutiva tutto intorno a
loro, le parole di Italia permeavano la stanza e suonavano come qualcosa che
Germania pensò di dover riconoscere, e probabilmente riconosceva, da qualche
parte in fondo agli angoli polverosi dei suoi ricordi. “Voglio stare con
te.” E ora Italia era in piedi, con la sedia spinta indietro sul pavimento di
linoleum della cucina. Si mosse lungo il bordo del tavolo con movimenti
semplici, quasi a grandi passi, le dita di una mano che seguivano delicatamente
una traccia sul tavolo, le sopracciglia corrugate sul largo, innocente volto
levigato. Germania guardò questa lenta processione con occhi sfocati, la sua
mente fluttuava in un ricordo nebuloso, sospeso tra il suo corpo materiale sulla
terra e un giovane, innocente, primo amore in paradiso. “Non mi lascerai
andare?” Italia stava in piedi davanti a lui, il volto abbassato finchè non
distava che di un movimento, un tocco, un respiro, l’interrogativo sospeso acuto
tra di loro. Germania doveva aver fatto qualche cenno che gli andava bene, che
la sua testa non girava per la confusione e la nostalgia e un mezzo ricordo
doloroso ma così dolce, perché Italia lo stava baciando di
nuovo. Piano, dolcemente; le labbra flessibili contro le sue, una mano che
passava sulla sua spalla per poi scivolare sull’incavo del collo, fermandosi
prima che le dita incominciassero ad accarezzare la nuca. Era tutto un po’
opprimente, e Germania era ancora confuso, ma forse, forse era così che doveva
essere. Forse il punto non era capire completamente, ma semplicemente lasciarsi
prendere nel turbinio di emozioni che sentiva, i sentimenti tumultuosi in fondo
al cuore, sentimenti che aveva sentito in rarissime occasioni, il caldo
ristagnare della paura dell’ignoto e il saldo pilastro che è l’intangibile
sentimento che provava nei confronti di suo fratello, tuttavia in un modo più
concentrato, opprimente. E, a queste emozioni, Germania si lasciò andare. “Ti
prego,” mormorò Italia, così vicino, così vicino, “ti prego fallo. Farò
del mio meglio, lo prometto davvero, davvero.” In che cosa Italia avrebbe
fatto del suo meglio Germania non lo scoprì mai, perché l’altro gli stava di
nuovo lasciando piccoli, dolci baci; lungo la mascella, lungo il naso, ma sempre
tornando alle sue labbra e indugiandovi. Adesso una mano era sul suo petto,
vicino alla clavicola, e Germania ne era conscio. Piccola, ma per nessun motivo
una mano di donna, sapeva che Italia non era una donna. Anche se forse era
lontano dagli uomini a cui Germania era abituato, Italia era comunque un uomo..
E gli va bene? Quel calore e quell’emozione e quella confusione? Cautamente,
istintivamente, Germania sposta le mani, una poggiata sul fianco di Italia,
l’altra sul suo viso, così può chiudere gli occhi – perché è molto, molto
imbarazzante e maldestro e – castamente bacia Italia di rimando, poi si tira
indietro lentamente, assaporando, “sì.” Quando Germania apre i suoi
penetranti occhi blu, incontra il sorriso struggente di cui solo Italia è capace
e lo attira a sé, felice di non averlo respinto. -x-x-x-x-x-x-x-x-x-x-
F.I.N.E.
Note della traduttrice: Awww. Non
potevo non tradurla. L'ho letta qualche mese fa, mi è piaciuta, in quanto trovare un Italia non descritto come un imbecille cerebroleso è raro, e ho cominciato
a lavorarci. Qualche giorno fa l'ho rivista, l'ho finita e ho chiesto
all'autrice, Flair-of-fire,
il permesso di pubblicarla. É stata gentilissima e disponibilissima ed eccomi
qui.
Spero piaccia a voi quanto è piaciuta a me.
smoke-o
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