Una vita nell'Atlantide
UNA VITA NELL’ATLANTIDE
Disclaimer: I personaggi
presenti in questa storia non mi appartengono, ma sono di
proprietà dell’autrice Riyoko Ikeda, della casa editrice
Shueisha e della Tokio Movie Shinsha. Questa storia non è stata
scritta a fini di lucro, ma con intento esclusivamente amatoriale. Il
diritto d’autore dei personaggi originali appartiene
all’autrice Tetide.
Premessa:
il mito dell’Atlantide mi ha sempre affascinata. L’idea di
un continente perduto, che con la sua civiltà ha anticipato di
millenni la nostra, è radicato da sempre nella mitologia di ogni
Paese Europeo; esistono addirittura teorie (alle quali confesso di
credere) che collegano questo antichissimo mito (le cui origini si
perdono nella notte dei tempi) al mistero del Triangolo delle Bermuda,
sotto il quale alcuni ritengono possano trovarsi i resti
dell’antica civiltà scomparsa, che per qualche sconosciuta
ragione risucchia le esistenze dei malcapitati che si trovino a passare
da quelle parti in un’altra dimensione, parallela alla nostra,
forse per effetto di una qualche avanzatissima tecnologia scoperta
dagli Atlantidei e a tutt’oggi incontrollata, che continuerebbe
ancora ad agire dopo millenni.
Senza entrare nel merito di teorie
troppo complicate, che non conosco più di tanto, mi
limiterò ad intrecciare questa affascinante leggenda con le
vicende sentimentali dei nostri eroi, aggiungendovi un po’ di
fantasia qui e là.
Prima di iniziare, un’ultima
notazione: gli studi ed esperimenti sull’ ipnosi, al tempo di
Oscar ed André, non erano ancora effettivamente nati, ma era
presente il loro precursore, il mesmerismo (che suscitò
l’attenzione dello stesso Luigi XVI al punto da fargli nominare
una commissione per esaminare questa teoria un po’ troppo
fantasiosa), così chiamato dal nome del suo fondatore, il
Tedesco Mesmer, che, pur partendo da presupposti medici totalmente
assurdi, elaborò le basi per quella che sarebbe poi divenuta la
terapia dell’ipnosi nel secolo successivo.
Premesso ciò, buona lettura a tutti.
CAPITOLO 1
Per l’ennesima volta quella notte, Oscar si rigirò nel letto.
E per l’ennesima volta, smaniò.
Non era quasi riuscita a chiudere occhio, quella notte, quella dannata notte; come tutte le notti da un mese e mezzo circa.
Da quella notte.
Non poteva più dimenticarla: era diventata il suo tormento.
La notte in cui Fersen aveva brutalmente respinto i suoi sentimenti a
quel dannato ballo, quel ballo che aveva spezzato per sempre le timide
speranze del suo fragile cuore di donna che per la prima volta si
affacciava al mondo, senza nascondersi.
Si portò una mano alla testa, smaniando ancora una volta, e si
trovò madida di sudore; si sentiva come se avesse avuto la
febbre, la gola secca, il respiro corto, un peso al centro del petto,
giusto sopra il cuore… ma perché non la lasciava mai,
quel tormento?
Eppure, lei e Fersen avevano avuto un franco colloquio, sere dopo: un
colloquio nel quale si erano entrambi confessati apertamente ed
onestamente, lui dichiarandole (se mai ce ne fosse stato bisogno) che
il suo cuore sarebbe sempre appartenuto soltanto alla regina, e lei
rinunciando per sempre alle sue folli speranze d’amore.
Rinunciare, sì: era questa la sola cosa da fare, per lei; lei
che né Fersen, né nessun altro aveva mai visto come una
donna, nemmeno sotto un quintale di belletto e fasciata dentro ad un
abito che somigliava più ad un’armatura, aveva dovuto
ascoltare dalla voce di colui che amava follemente quelle parole
atroci: “Se avessi saputo prima che donna meravigliosa
siete…”.
Donna? Come poteva sperare che lui l’avesse mai vista sotto una tal luce? Per lui, lei era stato solo e sempre un amico, un amico maschio, per di più! Era folle anche solo il voler credere diversamente!
E di colpo, come una pugnalata, le tornarono alla mente altre parole…
Mi chiedo perché Dio vi abbia fatto nascere donna!
Ma perché una donna non poteva essere capace di vivere
liberamente, come faceva lei? Perché, per farlo, per esercitare
questo suo naturale, sacrosanto diritto, il più consono alla
natura umana che esista, doveva rinunciare alla sua femminilità,
all’esser donna, all’amore? Perché, perché il
mondo, la società, Versailles erano così crudeli ed
inumani da imporre una scelta simile ad una persona?
Si rigirò nel letto, mentre una lacrima le scendeva giù per la guancia, suo malgrado.
Non pensare a lui! Dimenticalo!, si disse.
Già, dimenticare: erano questi i patti, i patti che aveva fatti
con sé stessa, quando, quella sera, era ritornata, sconfitta, a
palazzo Jarjeays. Un impegno che aveva preso con tutto l’impegno
di cui era capace; ma, a dispetto di ciò, non era stata in grado
di mantenervi fede.
Ed ora, il suo corpo si ribellava.
Da circa un mese, infatti, non riusciva più a dormire bene;
andava a dormire sempre prima, attendendo un sonno che non voleva
saperne di venire; allora, si alzava, scendeva nel salone divenuto
freddo e buio a quella solitaria ora della notte, prendeva una
bottiglia ed iniziava a bere. Da sola: non voleva che qualcuno la
vedesse in quelle condizioni, nemmeno il suo caro André, il suo
fratello, il suo amico da una vita. Per tutti, lei era e doveva
rimanere il gelido ed intoccabile comandante Oscar.
Eppure, a palazzo Jarjeays, il suo precario stato di salute non era
passato del tutto inosservato: tutti, a partire da Nanny fino a sua
madre, si erano accorti che qualcosa non andava; persino suo padre, in
una sera di folle sensibilità, le aveva chiesto come mai avesse
quel colorito così pallido e quelle occhiaie bluastre sul viso.
Ma lei si era limitata a rispondere a tutti che si trattava solo di
stanchezza, che i turni a Versailles erano molto pesanti di quei tempi,
a causa delle minacce ricevute dai sovrani, e che non c’era nulla
di cui preoccuparsi.
Non che a Versailles il suo stato fosse sfuggito: la regina Maria
Antonietta e lo stesso re le avevano consigliato di prendersi una
pausa, ma lei aveva sempre declinato l’offerta, dicendo che il
suo posto era accanto a loro, per proteggerli.
Ma tutto questo, naturalmente, le costava: l’aver voluto
ricacciare in fondo al suo cuore l’amaro dolore ricevuto a quel
ballo come donna le aveva aperta una ferita interiore che ora stava
riaffiorando in altra maniera, vale a dire sul suo corpo.
La mancanza di sonno e la continua oppressione che sentiva sul petto
erano causa di ricorrenti e pesanti fastidi: una volta, poco
mancò che Girodel la sorprendesse nelle scuderie semisvenuta, di
fianco al suo cavallo.
Possibile che solo André non si fosse accorto di niente? Proprio
André, che le era accanto da sempre, che conosceva tutto di lei,
che conosceva i suoi pensieri prima ancora che lei li formulasse?
No, non poteva essere. Allora perché era l’unico a non
chiedere nulla, quando perfino Fersen si era preoccupato nel vederla in
quelle condizioni ad un’udienza delle loro maestà?
Ma la risposta è ovvia,
si disse Oscar: proprio perché la conosceva da sempre come e
forse anche di più di sé stesso, André capiva
benissimo che lei non apprezzava che le si facessero delle domande sul
suo stato di salute; e, discreto e comprensivo come sempre, taceva per
compiacerla.
Come farei senza di te, André… grazie amico mio!, pensò, con il cuore pieno di tenerezza ed affetto.
**********
Il sole stava calando; lo poteva vedere ancora bene, dal suo unico
occhio, André; aveva appena finito di pulire la stalla, ed ora
con in mano un secchio ed una pezzuola fradicia, si avviava
all’uscita, verso il cortile, inondato dalla luce rossastra del
tramonto.
Tra non molto, Oscar sarebbe rientrata; si rallegrò al pensiero
di rivederla, ma un attimo dopo si rattristò, pensando alle sue
deplorevoli condizioni di salute: era da un mese e forse anche
più, ormai, che Oscar non stava bene.
In silenzio, dal suo oscuro cantuccio di servitore-amico-fratello,
l’aveva osservata bene; e non gli erano sfuggiti i suoi continui
mal di testa, la sua stanchezza persistente; non gli era sfuggito che,
ultimamente, la vista del cibo le provocava ribrezzo: persino la sua
amata cioccolata non le era più gradita come un tempo.
Ed il suo cuore pianse.
Sapeva benissimo cosa, anzi chi,
fosse la causa di tutto ciò: quella dannata sera l’aveva
vista, lei, Oscar, rientrare a palazzo con gli occhi gonfi di un pianto
a stento trattenuto; aveva visto con quanta furia, ancora sulle scale,
si era strappata dai capelli il diadema, e poi gli orecchini: quegli
scomodi orpelli, ora che tutto era finito, non facevano che apparire,
agli occhi sconvolti di lei, come una beffa, la quale non faceva altro
che rimarcare il dolore appena ricevuto.
Dal modo brutale in cui Oscar si era accanita sui suoi abiti da donna,
emergeva chiaramente quanto odiasse la sua parte femminile, quella
parte che, uscendo alla luce, l’aveva resa fragile, esponendola
così ad un colpo più mortale di qualunque stoccata
avversaria all’arma bianca: aveva lacerato quei poveri abiti (per
lo meno, così Nanny li aveva trovati la mattina successiva, sul
pavimento della sua stanza) come avrebbe voluto fare con la sua
femminilità, appena nata, eppure già così
barbaramente assassinata.
E da allora, dentro di lei era nata una lotta.
Ma a differenza delle precedenti battaglie, questa non l’avrebbe
vinta tanto facilmente: perché era la battaglia contro sé
stessa.
Da una simile battaglia, l’unico ad uscirne sconfitto sarebbe
stato soltanto il suo corpo, ed ora così era, martoriato da una
malattia di origine psicosomatica che Oscar si rifiutava di credere di
avere.
André abbassò il suo sguardo smeraldino, ed una lacrima gli corse giù da una guancia.
Perché non mi vedi, Oscar? Non
mi hai mai visto davvero, non hai mai visto il mio amore, che pure
sarebbe stato l’unico amore in grado di sanare la lacerazione che
vive dentro di te e che ti sta succhiando via la vita! Io ti amo,
Oscar! Ti amo da sempre, non ti ho mai visto diversa dalla donna
meravigliosa che sei; perché tu sei una donna, Oscar, e solo il
mio amore ti avrebbe dato il coraggio di accettarlo, perché io,
per primo, non ho mai voluto cambiarti: ti amo per quella che sei, e
sei sempre stata. Certamente, non ho mai avuto bisogno di un corsetto o
di una bella acconciatura per vedere in te una donna: tu sei te stessa,
sei una donna ed un soldato insieme, tu sei Oscar. Non vi è
nulla di inconciliabile in questo!
Non è certo la remissività o la debolezza a rendere una donna tale ed attraente agli occhi di un uomo!
Perché, perché hai
preferito rivolgere il tuo sguardo ed il tuo cuore ad un uomo che non
riesce a vedere al di là degli stupidi pregiudizi che questa
società corrotta impone alle donne, facendone le serve ed il
sollazzo degli uomini?
Io sarei stato diverso, Oscar.
Io ti avrei amata davvero.
Per quello che sei.
E ti avrei manifestato il mio amore nel modo più giusto che esista: lasciandoti essere te stessa.
Tu, una donna ed un soldato.
Libera di vivere.
Se avessi contraccambiato il mio amore, la tua lacerazione si sarebbe sanata.
Così come la mia, il dolore senza fine di vederti lontana da me mille miglia, anche se così vicina.
Ma il destino ha voluto diversamente.
Ed ora stiamo qui, a consumarci, schiavi dei nostri rispettivi tormenti.
Io, mangiato vivo dal mio amore non
corrisposto, e tu squartata dalla tua personalità divisa tra
l’essere uomo e l’essere donna.
Due anime in pena, sospese nel nulla.
La vide rientrare mentre attraversava il cortile; nella luce incerta
del crepuscolo, si voltò verso di lui, e gli sorrise.
Poi, tornò a guardare verso l’ingresso del palazzo, ed entrò.
Ma dopo poco, dovette appoggiarsi ad una colonna, sfinita.
E dare di stomaco sul pavimento.
Ciao a tutti, sono tornata nella sezione di Lady Oscar!! E spero proprio che questa nuova storia vi piaccia!
E' una storia ricca di sorprese, anche se più "canonica" delle
mie precedenti su questo bellissimo anime, ed ho voluto intrecciarla
con un tema che da sempre mi ha affascinata.
I personaggi, per lo più, seguono il carattere originario, con
solamente qualche differenza in senso, spero, migliorativo...
soprattutto, André NON strappa la camicia ad Oscar, facendo l'uscita peggiore della sua vita!
Non so come riuscirà questo esperimento... me lo farete sapere voi, O.K.?
Ninfea 306: ho scritto
questa storia pensando a quando, tempo fa. mi chiedesti di scrivere una
fic più classica su Oscar ed André, quindi posso
tranquillamente dedicartela; attendo il tuo giudizio, che qui
più che mai mi sarà prezioso;
Vitani: ecco un'altra
delle mie "stramberie" di intrecci: a volte mi vengono fuori da
sé... ma non dimenticarti di lasciarmi un commento, sai quanto
ci tengo!
Bay: ehi, fatti viva!! Sbaglio, o una volta mi hai detto che questo anime ti piaceva?
A tutti gli altri fan di Lady Oscar: buona lettura!
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