Fandom: Saint
Seiya - The Lost Canvas
Conteggio
Parole:
1107
Pairing: Aquarius
no Dégel/Scorpio no Cardia
Avvertimenti: yaoi
Note: ha
partecipato alla Double
Drabble Challenge II @ gracalling col
prompt 22. Leggere fra le righe.
Questo capitolo contiene SPOILER su Cardia! Niente di che, se avete
lurkato un po' per il web saprete già tutto. Dopo tutto uno
con un nome così e uno col senso dell'umorismo malato come
il Kuru... *ride per non piangere, perché scemo
com'è non si direbbe, ma Cardia fa piangere un sacco*
I dialoghi in corsivo sono tratti dal manga, numero 23 dell'edizione
italiana, capitoli dal 97 al 100.
Legere
fra le righe
Era
infuriato.
Peggio.
Peggio
che infuriato.
Si
sentiva ribollire il sangue dalla rabbia -il che non era mai un buon
segno- e si sentiva impotente, con quella stramaledettissima tela
sulla testa, visibile ma irraggiungibile.
Nemmeno
sfogarsi su quel miserabile Specter pareva avere una qualche
utilità.
“Cardia,
che diavolo stai facendo?!”, proruppe una voce
familiare alle
sue spalle.
“Ciao,
Dégel.”,
salutò senza
smettere il suo tipico ghigno. “Era da
tanto che non
passavi dalla mia casa.”,
aggiunse con un leggero rimprovero. Non avrebbe voluto suonare tanto
accusatorio, ma non poté evitare di lasciar trapelare come
si
sentiva. Non era mai stato un bravo attore.
Inizialmente
Dégel gli aveva ispirato un'estrema antipatia, ma col tempo
aveva
imparato ad apprezzarlo. Sin troppo. E si era trovato ad essere grato
a quella febbre che alcuni anni prima l'aveva quasi ucciso, ma che
aveva costretto il gelido custode dell'Undicesima Casa ad
avvicinarglisi.
“Ti
ho chiesto cosa stai facendo.”,
ribadì Dégel.
“E'
ovvio.”,
sbuffò Cardia, “Lo
sto torturando.”
Aggiunse
senza troppa convinzione un'altra puntura al suo sadico ricamo sulla
schiena dello Spettro, ridendo però di stanca soddisfazione.
“Che
preda noiosa. Senza carattere, senza eleganza...”,
scoccò un'occhiata in tralice alla figura slanciata
dell'altro
cavaliere, immobile e silenzioso, “e
senza orgoglio!”,
aggiunse infine con un calcio alla surplice ormai mezza sgretolata.
“La mia unghia è sprecata
per lui.”
Si
voltò di scatto verso Dégel, puntandogli l'indice
alla gola. “Tu
non ti saresti comportato in maniera così vergognosa...
vero,
Dégel?!”,
chiese, un sorriso
folle dipinto sulle labbra, “Anzi, tu non urli nemmeno quando
sarebbe il caso di farlo...”, aggiunse con uno scintillio
malizioso
nello sguardo.
Dégel
mantenne un silenzio sdegnoso, le labbra serrate in una linea
sottile. Non gli piaceva che gli si ricordassero i suoi momenti di
debolezza.
Stranamente,
Cardia decise di non infierire oltre, e chiese in tono strafottente:
“Dunque? Cosa volevi da me?”
Era
sin troppo ovvio che il francese fosse lì per un motivo
-probabilmente un ordine- e non per una visita di piacere, per quanto
il custode dell'Ottava Casa avrebbe desiderato che così
fosse.
“Ho
ricevuto un ordine della grande Atena.”,
annunciò infatti Dégel, tornando sul terreno
sicuro del dovere,
“Devo partire per Blue Grad, nella
Siberia orientale.
Voglio che tu venga con me.”
“Cosa?!
In Siberia?! Figurati se vengo!”,
esclamò scandalizzato, “Chiedilo
a qualcun altro! Non
sopporto il freddo”,
sottolineò, fissandolo con durezza. Non sopportava di
sentirsi
ghiacciare la pelle dall'aria fredda poiché gli ricordava i
momenti
in cui era stato quasi congelato per salvarsi la vita. Nato e
cresciuto nella ridente terra di Grecia, Cardia non era abituato alle
basse temperature e amava il calore e la luce del sole. Un'altra cosa
detestava, per restare in tema, ed era la freddezza di Dégel
nei
suoi confronti. Sapeva che l'unico motivo per cui gli stava chiedendo
di accompagnarlo era perché si sentiva responsabile per lui,
e
questo irritava Scorpio oltre ogni dire. Innanzitutto l'idea di avere
qualcuno a fargli da balia cozzava col suo carattere ribelle e
indipendente. Senza contare che non voleva che Dégel gli
rimanesse
accanto per senso del dovere. Non solo, almeno. Non era così
folle
da non essergli grato per quello che aveva fatto per lui.
Però
avrebbe voluto sentirsi importante per lui almeno una volta. Ma forse
doveva ancora meritarsela, quella considerazione. O forse doveva solo
imparare a vedere sotto la durezza esteriore dell'altro.
“Non
sopporto il freddo,”,
ripeté,
“e le missioni noiose.”
Una
qualche ambasciata, di certo. Che scocciatura, la diplomazia!
Ma
Dégel, ostinato e astuto, sapeva come convincerlo.
“La
definiresti noiosa anche se ti dicessi che dobbiamo conferire...”,
fece una pausa ad effetto, il maledetto, che sapeva come ottenere
completa attenzione “con Poseidone, il
dio dei mari?!”
Catturò
l'attenzione di Cardia, eccome se la catturò. Quelle parole
fecero
sorgere un nuovo ghigno sul volto del giovane. Alzò una
mano,
portandosela all'altezza degli occhi e poi richiudendola di scatto in
un bagliore rossastro come se avesse afferrato qualcosa. “Non
esiste preda migliore di un dio!”,
sussurrò avido. Si raddrizzò, fiero, e si
sistemò il mantello.
“Partiamo
subito, Dégel! Non voglio che mi sfugga come ha fatto Ade.”,
aggiunse con stizza.
Il
cavaliere dell'Acquario si voltò per andarsene, nascondendo
un
sorrisetto di superiorità. “Credi
che un dio scappi?”
“Hai
detto qualcosa?!”,
lo seguì la voce adirata di Cardia.
“No,
nulla.”,
negò Dégel
quietamente mentre varcava la soglia dell'Ottavo Tempio.
Ma
in un attimo Cardia gli fu alle spalle e lo afferrò per un
braccio,
costringendolo a guardarlo negli occhi, cosa che Aquarius aveva
evitato di fare per la maggior parte della loro conversazione.
“Hai
detto qualcosa?”, domandò ancora, stavolta con
tono basso e
pericoloso, “Non prendermi per scemo, sottospecie di
ghiacciolo
presuntuoso. Ho problemi di cuore, non di udito.”
Dégel
odiava trovarsi così vicino a quel pazzo, perché
sentiva di non
trovarlo abbastanza sgradevole. Sarebbe stato meglio se avesse odiato
Cardia. Ma no, ogni volta che anche solo il pensiero di lui gli
attraversava la mente si concedeva un sorriso interiore. Nemmeno
farsi mettere le mani addosso da quello scemo era fastidioso;
ciononostante lo trovava disdicevole.
“Dégel...”,
mormorò più dolcemente.
L'interpellato
si scrollò via la sua presa e rispose rabbioso:
“Sono anni che ci
conosciamo e ancora non sai pronunciare bene il mio nome.”
“Mi
scusi, signor Disgelo, se il mio francese è pessimo. Vorrei
comunque
informarla che lei ha mantenuto un orribile accento quando parla
greco, il che è alquanto disdicevole, essendo questa la
lingua della
Dea.”
Detto
questo, Cardia gli volse le spalle, rientrando nella propria dimora.
Dopo qualche passo però crollò a terra con un
fragore metallico
causato dall'armatura che riecheggiò fra le colonne, quasi
assordante nel silenzio.
“Cardia!”,
urlò Dégel, senza curarsi di celare l'angoscia
nella propria voce.
Corse verso di lui e si inginocchiò al suo fianco
prendendogli una
mano fra le proprie.
Cardia
sollevò una palpebra, poi l'altra. Poi sogghignò,
il bastardo,
sotto lo sguardo dapprima sollevato, poi sorpreso ed infine severo
dell'altro. “Ci sei cascato!”
“Non.
Farlo. Mai. Più. Cretino! Non si scherza su certe
cose!”
Fece
per alzarsi, ma fu trattenuto da Cardia, che si tirò a
sedere
stringendogli ancora le mani e sorridendo per una volta senza
sembrare completamente folle. “Ti sei preoccupato. Allora un
po' a
me ci tieni.”
“Noi
cavalieri d'oro siamo già così
pochi...”, rispose Dégel burbero,
“non possiamo permetterci altre perdite così alla
leggera.”
Cardia
ignorò le sue parole, lesse il suo volto e se lo
tirò addosso come
un cucciolo desideroso di giocare alla lotta.
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