Evviva, e
anche il primo appuntamento di Ken & Jun è finito! Sono felice di
aver scritto e concluso questa ff, ci tenevo molto!! I miei
figlioli fanno tanto gli adulti e i duri... ma vogliamo vedere come si
comportano in pubblico? Facile vedersi solo nelle camere di ryokan e
alberghiXDD Hihihi!! Scrivere di Jun e Ken è una cosa che amo, mi
emoziono da sola, davvero! (neuropsichiatria Mod ON), ormai il loro
mondo è parte di me e mi frullano sempre in testa nuove idee!
Un grazie millissime a Berlinene, per il super rapido betaggio
^__^ A lei è dedicata questa ff, con un augurio di rapida guarigione!!
Non fare troppo la Wakabayashi!!!
Grazie anche alla mia oneechan Ichigo, che attendeva i suoi
figliocci!! Eccoli di ritorno, finalmente!! Grazie per avermi
delucidato sul... cardiganXD Ken ringrazia!!
Grazie a Haley che so attede con ansia questa ff e con la
quale, ogni volta, ci perdiamo in pensieri idilliaci sul nostro amato
principe del calcio!!
Grazie a tutte voi che leggete e che apprezzate questa coppia non
proprio Canon, ma che per me è la più bella di tutto CT XDD
Buona lettura!
Come un omiai
Era solo da poche ore che non ci vedevamo, ma sentivo già la sua
mancanza. Quello sguardo enigmatico ancora impresso nei miei
occhi. Il principe del calcio si era avvicinato alla porta della
camera condivisa durante il ritiro, aveva allungato la mano verso la
maniglia, finendo però per accarezzare il vuoto. Il borsone che teneva
sulla spalla gli era scivolato lungo il braccio, cadendo in terra con
un tonfo sordo, mentre lui si voltava: gli occhi castani fissi nei
miei, quelle iridi fiere, la cui luce tradiva una velata tensione.
Uscire dalla stanza significava affrontare il mondo al di là di essa,
immergersi ancora una volta nel fluire della quotidianità, stavolta
senza temerla.
Ne eravamo coscienti, sia io, sia Jun. Ma lui non avrebbe fatto
alcun passo, non prima che ne facessi uno io. Perché nonostante ci
fossimo chiariti, nonostante avessimo passato le ultime notti a
ripeterci in maniera quasi ossessiva i nostri sentimenti, come se
avessimo previsto quel momento, era ancora aperta e dolorosa la ferita
che gli avevo provocato, lo avvertivo. Misugi aveva paura di sentire
nuovamente quei suoni uscire dalle mie labbra:
“Non potremo continuare questa storia…”
Con un breve passo avevo azzerato le distanze, abbracciandolo, e Jun
aveva fatto lo stesso. No, non le avrebbe più udite quelle parole,
perché non avrei sopportato ancora una volta il lacerante senso di
vuoto che ti divora, quando lasci svanire qualcosa a cui tieni in modo
profondo, senza poterci fare assolutamente nulla. Poi lo avevo stretto
ancora, sussurrandogli all’orecchio: “Ti chiamo quando sono a casa,
ok?”
Rientrare in città era stato come essere proiettato in un’altra
dimensione. Ero in casa, la
mia casa, lo sapevo bene. Ma
qualcosa non andava. Non riuscivo a seguire mamma e papà che mi
accoglievano sorridenti e soddisfatti, non avevo dato gran peso alla
pacca sulla spalla di mio fratello che si complimentava per la
vittoria, né al cane che scodinzolava intorno. Mi sentivo… estraniato.
La sensazione era simile a quella che si prova dopo una notte insonne,
magari passata con gli amici in qualche locale: il giorno dopo ti
appare tutto troppo frenetico e agitato per i tuoi ritmi rallentati. E
tu sembri osservarti da lontano, hai le orecchie che fischiano e non
afferri bene le parole di chi tenta di comunicarti qualcosa.
Solo dopo una bella doccia rigenerante cominciai pian piano a
riprendere confidenza con i miei spazi, la mia camera, i miei ritmi.
Eppure c’era sempre una strana sensazione di vuoto, di mancanza.
E, sapevo bene, ciò che mancava era Jun.
Così stavo seduto sul letto, fissando il cellulare come se avesse un
potere ipnotico, le dita immobili sulla tastiera, indeciso sul da
farsi. Non che non volessi sentirlo, anzi, non vedevo l’ora di
parlargli, di chiedergli del viaggio di rientro… di sentirne la voce.
Ma ero emozionato. Tremendamente emozionato. Come un ragazzino alla
prima cotta, anche se, in effetti, era la prima volta che frequentavo
un ragazzo. Cominciavo anche a sentirmi un poco stupido, ma la cosa non
aiutava. Feci un profondo respiro per rilassarmi, poi scrollai le
spalle e, facendomi coraggio, chiamai.
Non era ancora terminato il secondo squillo che subito lo udii
rispondere: “Pronto, Ken?”
E l’agitazione sfumò: quella risposta così veloce mi fece immaginare
che Jun fosse davanti al telefono da chissà quanto tempo, come lo ero
stato io.
“Ciao, Jun.”
Per alcuni istanti ascoltai il suo respiro sovrapporsi al mio,
scandendo quei secondi di silenzio.
“Com’è andato il viaggio?” Chiesi all’improvviso.
Jun inspirò profondamente. “Mah, bene! Solo che quando ho messo piede
in casa i miei genitori mi hanno travolto con domande sulle mie
condizioni, sul cuore… che ossessione! Quando non ci penso, stai sicuro
che loro me lo ricordano!” Sbuffò il mio principe.
Io scoppiai a ridere, sapevo bene quanto Misugi odiasse sentirsi
ricordare i suoi problemi cardiaci. Però… “Stai bene comunque, no?” Gli
domandai, mio malgrado.
“Ken…” Sospirò lui, in tono di dolce rimprovero. “Certo che sto bene!”
Sorrisi fra me, rilassandomi. Un peso che scivolava via.
“In ogni caso…” Continuò Misugi. “Ho detto loro che il mio cuore non è
mai stato bene come in questo momento…”
Per un istante rimasi senza parole, con un sorriso beota stampato sulle
labbra. “Ne sono felice.”
Il resto della telefonata fu un continuo scambio di battute,
riflessioni sul ritiro, sull’amichevole e le previsioni sul rientro a
scuola. A poco a poco la voce di Jun si faceva più sicura e pensai che
forse ero riuscito a scacciare i suoi timori.
“Allora domenica ci vediamo?” Mi chiese improvvisamente, buttandola lì,
sorprendendomi. Anche se non poteva vedermi, abbozzai un sorrisetto
ironico. Mi stava mettendo alla prova?
“Mh…” Tergiversai. “Mi sta chiedendo un appuntamento, signor Misugi?”
“Mh, sì, signor Wakashimazu.” Rispose Jun, stando al gioco. “Ha l’onore
di uscire con il rinomato Principe del calcio. Non sa quante ragazzine
desidererebbero poter essere al suo posto!”
“Oh, sì, immagino! Peccato che queste ragazzine non sanno che il loro
beniamino è occupato col sottoscritto!”
Scoppiammo entrambi a ridere, come solo fra noi riuscivamo a fare.
Subito dopo fissammo ora e luogo dell’appuntamento: mezzogiorno e mezzo
in un locale in centro noto a entrambi. Continuammo poi a parlare del
più e del meno. Quando sentii mia madre chiamarmi per la cena, ci
salutammo senza smancerie, ma con un tono di voce molto confidenziale,
dal quale trapelava il forte desiderio che arrivasse presto il week
end.
Con espressione soddisfatta e fiduciosa scesi dal letto, avviandomi al
piano di sotto. Dal giorno dopo sarei tornato a scuola e avrei ripreso
i ritmi della vita quotidiana. Pensai così che a poco a poco tutto sarebbe tornato
normale… tutto come prima.
*****
“Buongiorno, portiere! Ti auguro una buona giornata, non dormire sul
banco, eh!
Jun.”
Ero ancora mezzo addormentato, quando lessi questo messaggio. Destato
dalla sveglia, gli occhi che ancora faticavano ad aprirsi, per un
brevissimo attimo avevo avvertito sulla pelle e fra le lenzuola la
stessa sensazione di mancanza e vuoto che mi aveva turbato il giorno
prima. Di certo istanti trascurabili, rispetto all’angoscia provata
quando Jun aveva abbandonato il ryokan senza dirmi nulla. Stavolta,
però, lui c’era e ci sarebbe stato.
Mi sedetti poi sul letto, passandomi una mano fra i capelli che
cadevano selvaggi sul viso, diedi poi una scrollata di spalle e feci
schioccare il collo, levando un sospiro, mentre scuotevo la testa con
rimprovero. La sera prima stavo per fare ancora una volta lo stesso
errore, quello che mi aveva portato a negare Jun e il sentimento che mi
legava a lui. Era ricominciata la vita normale, è vero. Ma in questa
quotidianità ora c’era anche Misugi. Svegliarsi in un letto vuoto e
trovare il messaggio di qualcuno che ti considera il primo pensiero
della giornata era un’emozione nuova e speciale, che non avevo mai
provato prima d’allora. Nulla a che vedere con il
tutto come prima.
Sorrisi, forte di una nuova sensazione che, sentivo, avrebbe dato
energia all’intera giornata.
No, d’ora in poi sarebbe stato decisamente tutto diverso!
*****
Il rientro a scuola fu meno traumatico del previsto, anzi, divenne un
modo per distrarmi e far passare il tempo il più velocemente possibile,
evitando così di pensare a quanto mi mancasse Jun. Ok, ci sentivamo
tutti i giorni, ma non era la stessa cosa. Ogni mattina lanciavo uno
sguardo al calendario, scalando un giorno dalla data dell’appuntamento.
Non vedevo l’ora fosse domenica. Non vedevo l’ora di vederlo e stare
con lui!
Anche gli allenamenti erano ricominciati con regolarità, in vista del
prossimo campionato, ma c’era qualcosa di… diverso. Il vociare delle
ragazze si era fatto più forte e avevo l’impressione che fossero anche
cresciute di numero. “Quante ammiratrici, Wakashimazu!” Mi disse un
pomeriggio Takeshi, dopo che si erano uditi un paio di “Keeeen!”
gridati fra la confusione. Io abbassai lo sguardo, lievemente
imbarazzato. Perché diavolo avevo smesso di usare il cappellino, da un
po’ di tempo a quella parte? Avrei potuto coprirmi il viso più
facilmente!
“Continua così e supererai quelle di
Misugi!” Scherzò il mio
amico, ridacchiando, provocandomi un tuffo al cuore. Guardai Sawada con
un sorriso sforzato che, probabilmente, a lui parve normalissimo. “Non
ne avrò mai tante così…” Dissi poi, pensando a quanto Jun fosse bello.
Era normale essere affascinati da lui, era capitato anche a me. Con
quel viso gentile, dietro al quale si nasconde invece una personalità
forte e determinata, il principe del calcio mi aveva ammaliato e io non
ero più riuscito a fare a meno di lui. Se era successo con me,
figuriamoci con quelle ragazzine che affollavano gli spalti e che
assordavano giocatori e pubblico con le loro vocette stridule.
M’infastidiva un po’ questa cosa… gelosia? Forse. Ma non potevo farci
nulla. Sospirai così, un po’ rassegnato.
“Ehi, Ken, dai, non abbatterti…” Takeshi mi poggiò una mano sulla
spalla, con il suo solito fare comprensivo e un po’ consolatorio. “La
bravura di un giocatore non si vede di certo dalle sue fan…”
“Eh?” Guardai Takeshi spalancando gli occhi e feci un enorme sforzo per
non scoppiare a ridere. “Grazie, Sawada!”
Anche con Hyuga le cose andavano meglio. Il capitano sembrava essersi
lasciato alle spalle la discussione avuta durante il ritiro e a poco a
poco la sua freddezza nei mie confronti era andata svanendo, facendoci
tornare ai soliti rapporti di amicizia e complicità. Anche sul campo
eravamo tornati in sintonia. Dovevo comunque tenere a mente di evitare
le scazzottate con Kojiro, perché se il suo rancore era scomparso
completamente, lo stesso non si poteva dire del livido che avevo sul
mento, causato dal suo potente pugno*. Domenica Misugi mi avrebbe preso
in giro per quel ‘trofeo’, ne ero sicuro!
“Si fa qualcosa domenica?”
Era venerdì, finalmente e anche l’ultimo allenamento era appena finito.
E la domanda di Hyuga era l’ultima cosa che avrei voluto sentire e
anche l’ultima cui avrei voluto rispondere.
“Dai, sì!” Esordì Takeshi. “È una bella idea!”
“Bisogna festeggiare la vittoria contro la Francia! Alla fine non
essendoci né Tsubasa né Wakabayashi, chi ha portato la squadra alla
vittoria siete stati voi!” Esclamò Sorimachi, rivolgendosi a me e il
capitano.
“Già.” Sorrise beffardo Kojiro.
Avrei voluto evitare, ma non potei farne a meno. “Ho un impegno,
domenica.” Esordii, un po’ scostante. Nello spogliatoio, l’attenzione
si concentrò tutta sul sottoscritto.
“Cosa devi fare?” Chiese innocentemente Takeshi.
“E con chi?” Meno innocente, invece, era la voce del capitano.
Cercando di richiamare gli insegnamenti di mio padre riguardo a calma e
perseveranza, alzai lo sguardo e li osservai con aria tranquilla: “Devo
vedermi con Misugi.”
L’espressione allusiva di Hyuga mutò improvvisamente. Di certo non si
sarebbe aspettato una simile risposta. “Misugi…Jun? Jun Misugi?”
Domandò un po’ confuso.
“Tsk, capitano, ti si è incantato il disco?” Lo derisi, in maniera
forse un po’ eccessiva. Ma quello era il tipico modo che avevo di
mettermi sulla difensiva. “Comunque sì, Jun Misugi.”
Il capitano, una volta tanto, non diede seguito al tono di scherno,
lasciando scivolare via la sfida. “E cosa diavolo esci a fare con
Misugi?” Era davvero stupito e diffidente.
“Mah, bo?” Scrollai le spalle. “ Mi ha chiesto di vederci, lo
accompagno a fare delle commissioni e ne approfittiamo per fare due
chiacchiere.” Dentro di me chiesi mille volte scusa a Misugi per
avergli dato la ‘colpa’, ma non sapevo che altro rispondere. “Magari mi
presenta qualche fan!” Aggiunsi, evidentemente divertito.
Il capitano s’incupì. “Mi pare che tu avessi subito una sconfitta da
lui…” Mi ricordò, caustico. E lì strinsi i denti, facendo mente
locale: per quanto ricordassi, Hyuga non aveva mai avuto grande
simpatia per Jun Misugi. La cosa non mi avvantaggiava.
“Beh, avranno legato durante il ritiro, in fondo sono stati compagni di
stanza!” Intervenne Takeshi Sawada il paciere, sentendo odore di
pericolo. Pericolo uguale rissa. Rissa uguale Sawada che deve farsi in
mille pezzi per mediare.
“Vedi?” Dissi con un sorriso, indicando il nostro acuto centrocampista,
ma rivolto sempre al capitano . “Non ci vuole molto a capirlo!”
“Mi era sembrato di
capire che lo considerassi un tuo rivale…”
Ringhiò Kojiro.
“Mah…” Sospirai, ostentando una certa noncuranza, ignorando l’asprezza
dei suoi toni. “Si impara tanto dai rivali!”
Il capitano fece un profondo respiro, rassegnandosi. “Ma ti hanno
attaccato la tsubasite acuta?” Commentò. “Fatti prendere dalla
Nankatsu, va’! Che lì il buonismo abbonda!”
Scoppiammo tutti a ridere, e la tensione calò.
“Ma scusa, capitano…” Dissi poi, ormai rilassato, ma un po’ col dente
avvelenato. “ anche tu hai legato molto con Hikaru Matsuyama o mi
sbaglio? Solo che sta a Hokkaido! Probabilmente se lui fosse stato qui
vi sareste visti di più volte e sareste usciti spesso, no?”
Kojiro mi fissò. Non c’era più rimprovero nel suo sguardo, solo
quell’espressione di resa ma comunque ferma e orgogliosa, di quando la
Tigre sa che hai ragione, però fatica ad ammetterlo. Il discorso cadde
poi lì e slittò su altri argomenti.
A lungo mi domandai perché Hyuga l’avesse presa a quel modo. Pensai
fosse la sua solita smania di protagonismo, una sorta di possesso
eccessivo e un po’ infantile, quel diritto che lui reclamava in molte
occasioni. Temetti anche che avesse intuito la verità. Invece i suoi
motivi erano altri. La sua era semplice e profonda paura di perdere il
proprio migliore amico. Ma non l’avevo capito e non l’avrei compreso
ancora per molto tempo, troppo preso dall’entusiasmo e dalla curiosità
per la storia con Jun, ancora acerba e tutta da vivere.
*****
Domenica. L’agognata domenica che avevo atteso per tutta la settimana.
Una giornata limpida, con un sole brillante e la temperatura mite.
Perfetto, no?Allora perché diavolo io e il principe del calcio stavamo
fermi, immobili, davanti all’entrata del locale?
Cos’era quella tensione che sentivo frapporsi fra me e Jun? Quando
Misugi sollevava lo sguardo, inevitabilmente distoglievo il mio,
abbassandolo.
“Ciao…” Riuscimmo almeno a pronunciare, con un filo di voce. Intanto,
la campanella collegata alla porta del locale suonò per non so quante
volte, segno che le persone andavano e venivano, mentre noi
continuavamo a rimanere lì, gelati sul posto. Non mi riconoscevo, così
teso e imbarazzato. E Jun non era da meno! Possibile che dopo quello
che c’era stato fra noi, le parole che c’eravamo detti, ora ci
trovassimo in una situazione paradossale come quella? Non credevo che
stare in mezzo alla gente potesse avere un effetto simile!
“Entriamo?” Lo sentii domandare di getto, riacquistando un po’ del suo
tipico autocontrollo. In queste cose, Jun era di sicuro più bravo di
me. Annuii con la testa e mormorai un incomprensibile ‘sì’.
Il locale era molto bello e accogliente, con ampie vetrate che
scacciavano la sensazione di chiuso tipica di quegli ambienti. Inoltre
era suddiviso in varie sale e noi ci accomodammo in quella adibita per
il pranzo, scegliendo un tavolo vicino all’enorme finestra. C’erano già
diverse persone sedute. Mentre Jun si toglieva la giacca rimasi
incantato. Era da un pezzo che non lo vedevo in ‘borghese’ e potevo
constatare come l’eleganza della sua figura venisse risaltata dagli
abiti che indossava: una camicia azzurro chiaro tendente al ghiaccio e
dei pantaloni di tela dello stesso colore della giacca. Mi sentii a
disagio anche per quello: io indossavo qualcosa di più informale, una
camicia bianca, un paio di jeans e…
Improvvisamente, lo sguardo interrogativo di Misugi incontrò il mio.
“Ahem…” Balbettai imbarazzato, colto in flagrante. “Bella quella
giacchetta beige…” Farfugliai.
Jun portò lo sguardo sull’indumento steso sul divanetto, poi mi guardò
ancora. “Ah, il cardigan!” Esclamò con un sorriso. E io volli
sprofondare sempre di più. Ok, che era un tipo preciso l’avevo capito
da un pezzo.
“Anche tu stai bene…” Jun espresse quell’osservazione con sincerità, lo
sentivo, anche se non riuscivo a guardarlo negli occhi.
“G… grazie!”
“E anche quel livido che ancora non è andato via… ti dona!”
Ecco, lo sapevo che me l’avrebbe fatto notare! “Se lo dici tu…”
Sospirai.
“Allora com’è andata la settimana?” Esordì lui, la voce tesa da
apparire formale. Gli sguardi fissi di entrambi a contemplare il
tavolino e le tovagliette di carta poggiate sopra.
“Bene, sì. “Risposi nello stesso modo, naturalmente senza
volerlo. “E tu?”
“Molto bene. Gli allenamenti?”
“Mh, forse un po’ faticosi, ma sai… il prossimo campionato…”
“Idem…”
“Non affaticarti troppo, però…”
“Sì, lo so…”
“Ma come stai oggi?”
“Bene, tranquillo…”
“Prego?” La voce della cameriera ci fece sussultare. Con l’abilità di
un grande attore, Jun sfoggiò la sua tipica faccia di bronzo e con un
sorriso angelico riuscì a cavarsi d’impaccio, mentre io ebbi bisogno di
alcuni secondi in più per riprendermi. Comunque ordinammo due piatti
combinati di riso e carne, io una coca cola, Jun un tè e una bottiglia
d’acqua per entrambi. La cameriera prese le ordinazioni e si allontanò
alquanto perplessa, mentre fra noi scese ancora una volta il silenzio.
Mi sentivo un idiota, come mai prima di allora.
“Ken…” Mi chiamò Misugi, l’imbarazzo che imperversava. “Sembra di
essere… a un
omiai*!”
Spalancai gli occhi, sollevando finalmente lo sguardo, notando il
sorrisetto che aleggiava sulle sue labbra. “Porca miseria…”Esclamai,
mettendomi una mano sulla fronte. “… hai ragione!” E non potei fare a
meno di sbuffare dal ridere, sentendomi ancora più idiota. E il
nervosismo cominciava ad attenuarsi. “Scusami, davvero, Jun. “ Dissi
con la faccia di chi ha appena fatto la più magra delle figure.
“Non devi scusarti, anche io mi sono sentito, e mi sento… un po’
imbarazzato.” Ammise il principe.
“Beh, è che… è diverso da quando stavamo al ryokan e al ritiro…”
“Ti dispiace…?”
“No… sono felice, davvero. Quello che mi dispiace è… il non poterti
salutare come vorrei!” Vuotai d’un fiato, arrossendo lievemente.
“Eh, lo so. Niente baci in pubblico… che ci vuoi fare…” Jun liberò un
lungo e deliberato sospiro, “le altre tappe le abbiamo bel che
bruciate, in effetti
il primo appuntamento ci mancava!”
Ironico. Volutamente ironico e beffardo. Caratteristica tipica di Jun
Misugi, che si confondeva meravigliosamente con quella sua aria da
ragazzino per bene, e mi piaceva da impazzire, dovevo ammetterlo. Ci fu
soltanto uno scambio di sguardi complici e subito scoppiammo a ridere,
cancellando una volta per tutte quell’assurda agitazione che ci aveva
frenato fino a un attimo prima. Nello stesso istante ci servirono le
ordinazioni. “Beviamoci su!” Esclamai sempre ridendo, non appena la
cameriera si era allontanata, ma nell’attimo in cui afferrai la
bottiglia d’acqua Jun fece lo stesso e le nostre mani si trovarono
l’una sull’altra. E la sensazione fredda della condensa, unita al
calore del palmo di Misugi, generarono una sorta di brivido che
mi scosse, così come accadde al principe. Ma nessuno dei due osò
togliere la propria mano, non subito, almeno. Quello era il primo
contatto avuto da quando c’eravamo visti.
“Sarà difficile per noi…” Jun pronunciò quelle parole guardandomi
dritto negli occhi, serio come quando scendeva in campo.
Sapevo che sarebbe stato difficile, non mi ero mai illuso del
contrario. Se pensavo al futuro lo vedevo carico di difficoltà, è vero,
ma per quanto fosse pressante questa consapevolezza, volevo in ogni
caso stare con Misugi.
“Lo so, ma non m’importa…” Risposi. Avremmo giocato questa partita fino
in fondo.
E negli occhi di Jun scorsi una luce soddisfatta. Le nostre mani si
separarono, andando ad afferrare bicchieri e bacchette. “Allora buon
appetito!” Esclamai strizzando un occhio.
“Grazie, altrettanto!” Rispose educatamente Misugi, ridacchiando. Con
l’atmosfera finalmente rilassata aprimmo un’animata conversazione sulla
settimana strascorsa, sugli impegni scolastici e di quelli calcistici,
sulle nostre giornate e… su di
lei. Tasto dolente.
“Devi vedere Yayoi, sembra un’altra persona!” Esclamò Jun, entusiasta.
Io, di certo, lo ero di meno. “Sta sempre al telefono con Misaki, non
si può neanche mangiare in santa pace: la pausa pranzo per lei è
diventata la
pausa telefonata!” L’espressione di Jun era
sinceramente felice, mentre io, anche se sapevo che fra lui e Yayoi
Aoba non c’era mai stato nulla e che lei ora frequentava Taro Misaki,
non potevo che infastidirmi nel sentirla nominare. Infatti non replicai
e Jun se ne accorse subito. “Non sarai ancora geloso di lei?” Domandò,
con aria da finto tonto. Io trasalii alzando la voce, indispettito. “E
quando mai sono stato geloso di lei?” Naturalmente mi ero messo nel
sacco da solo.
“Mah…” Jun fece spallucce, ignorando bellamente la mia reazione. “Da
quando ci conosciamo! Ti ricorda nulla la chiacchierata nel bosco, al
ryokan*?” Tremendamente allusivo. Certo che la ricordavo! Quella volta
gli avevo chiesto di lei, proprio perché temevo il loro rapporto. Ed
era stato lì che Misugi mi aveva raccontato tutto, di come Yayoi lo
avesse messo spalle al muro, costringendolo a guardare in faccia la sua
vera natura. In un certo senso le dovevo essere anche grato. Ma... “… è
vero, sono un po’ geloso!” Ammisi, ridendo per coprire l’imbarazzo.
“Non ne hai motivo…” Sorrise Jun.
“Lo so.”
“Comunque non l’ho mai vista così felice, e sono contento per lei! Ora
potremo forse costruire una vera amicizia” Lo disse piano, dando un
rapido sguardo oltre la vetrata, quasi soprappensiero. Forse Jun si era
sentito in colpa nei confronti di Yayoi, per averla illusa in quegli
anni, usandola come copertura. Quindi, il saperla felice con un altro,
in qualche modo grazie a noi, gli toglieva un peso dallo stomaco e dal
cuore.
“E Hyuga? Come va? Fatto pace con lui?”
“Eh?” Ebbi un attimo di confusione per l’improvviso cambio di discorso.
“Ah, il capitano! Oddio, non parlarmene! Di male in peggio!” Sbuffai.
Così raccontai a Jun la discussione avuta con Kojiro giusto il
venerdì prima.
“Ahi, ahi, credo che Hyuga mi odierò ancora di più d’ora in poi!”
Sbuffò sconsolato Jun.
“Ma noooo, non ti odia, che dici!” Lo rassicurai, ridendoci su.
“Mh, sarà. Speriamo in bene… ma credo che la Tigre vorrà marcare bene
il suo territorio!” Esclamò ironico.
“Ah, ah, ah! Stai tranquillo! Il capitano è meno terribile di quello
che sembra!”
“Speriamo. Ah, invece i miei genitori erano molto sorpresi che uscissi
con un amico… che non è il pallone!” Esclamò il principe, facendo
dell’ironia.
“Uh, davvero?” Domandai perplesso.
“Sì, non sono abituati a vedermi uscire con qualcuno che non sia la
squadra. O Yayoi. Ma anche lì era sempre per questioni calcistiche o
mediche.”
Era vero. In quei mesi che conoscevo Jun non mi aveva mai parlato di
eventuali amici. Migliori o meno. Io, invece, gli avevo raccontato
molte cose sui miei: Sawada, Hyuga, Sorimachi… che Misugi non avesse
amici? Quasi certamente era così. Eppure la cosa sembrava non essere un
problema per lui, ne parlava tranquillamente, come se fosse logico
e normale nella sua vita. Una promessa del calcio come Jun Misugi,
sicuramente all’inizio aveva suscitato solo invidie, con conseguente
allontanamento dei compagni che si sentivano inferiori. Poi con la
malattia, probabilmente, era stato lui a isolarsi dagli altri, per il
timore di creare legami nati dalla compassione. Mah. Alla fine le mie
erano solo riflessioni, basate sulla conoscenza che avevo avuto di Jun
in quel periodo, ma preferii non indagare oltre.
“Cos’è questa musica?”
La domanda di Jun unita a una musica che sentivo nell’aria mi distrasse
da quei pensieri. “Dev’essere il Karaoke!” Ipotizzai, ricordandomi che
in quel locale c’era una sala adibita a quel gioco.
“Davvero?!” Gli occhi di Misugi s’ illuminarono come quelli di un
bambino, sorprendendomi. Lo vidi poi alzarsi, prendere il cardigan e
sorridere impaziente “Dai, allora andiamo!”
“Eh? Andare… dove?” Balbettai perplesso.
“A cantare! Io adoro il karaoke!”
“Cosa? Jun, ma cosa…” Niente. A nulla servirono le mie lamentele:
Jun mi afferrò un braccio, per trascinarmi poi senza pietà nella sala
dove gruppi di ragazze e ragazzi si alternavano al microfono,
scegliendo la base musicale su cui cantare.
“Misugi… non vorrai…”
“Certo!!” Lo vidi esultare gioioso. Pochi minuti dopo stava già
cantando davanti a tutti “Daybreak’s bell” del gruppo
L’Arc~en~Ciel*.
Roba rock che avevo sentito da Hyuga. Ero davvero meravigliato, Jun
sembrava un’altra persona: cantava, ridendo fra una strofa e l’altra –
accidenti, era bravo pure in quello!- , si divertiva come non lo avevo
mai visto fare e il suo entusiasmo diventava contagioso, anche se non
riuscì a convincermi a unirmi a lui e agli altri pazzi esaltati che
cantavano a squarciagola. Mi tornò alla mente la prima volta che
uscimmo insieme, alla festa tradizionale, quando stavamo al ryokan. In
quell’occasione, Misugi aveva gareggiato al
kingyosukui* con
scarsi risultati, ed ero rimasto sorpreso dalle sue buffe
manifestazioni di rabbia e dall’ostinazione con cui cercava, invano, di
pescare i pesci rossi. Lì avevo cominciato a rendermi conto di quanto
il principe del calcio fosse diverso dall’immagine che avevo, e che
probabilmente avevano anche gli altri compagni, di lui. Mi era sempre
apparso come un ragazzo determinato e inflessibile, forse troppo severo
con se stesso. Invece… era un ragazzo come gli altri.
‘Sul campo ho troppi pensieri e responsabilità per essere me stesso’.
Le ricordavo, le sue parole. Quella sera, alla festa, avevo conosciuto
il lato più umano del principe del calcio, nonché la sua piacevole
compagnia. Ora venivo a conoscenza di una parte parecchio allegra e un
po’ infantile.
Quante sfaccettature non conoscevo ancora di Jun Misugi?
Forse era per questo che non riusciva a legare sinceramente con
qualcuno? Perché difficilmente mostrava il vero se stesso? Erano tante
le cose che avrei voluto sapere di lui. Ma, in fondo, non c’era alcuna
fretta. Avremmo avuto tutto il tempo per parlare e conoscerci, di
questo n’ero certo.
**********
Usciti dal locale, avvertivo la testa pesante e le orecchie fischiare.
“Accidenti, ce n’è di gente stonata, mi hanno rotto i timpani!” Mi
lamentai, facendo pressione sulle orecchie con le mani, per alleviare
il fastidio.
“È vero! Però è divertente!” Jun rideva ancora, davvero felice. E
quella espressione pagava tutti i patimenti, rendendomi più che sereno
e soddisfatto.
Camminammo per un po’ con meta indefinita, lungo una via piena di
negozi, fra il viavai di gente sui marciapiedi e le auto in fila ai
semafori Di tanto in tanto davamo un’occhiata a qualche vetrina,
soprattutto a quelle d’abbigliamento sportivo, soffermandoci per
qualche minuto. Fu proprio durante una di queste soste che udii una
voce conosciuta avvicinarsi.
“Non starmi così appiccicata!”
“Ma dai, Shun, siamo una coppia!”
Mi voltai verso la strada. Sì, quella voce apparteneva proprio a…
“Nitta!” Mi anticipò Jun. Il piccolo attaccante spalancò gli occhi,
stupito. “Misugi! Wakashimazu!” E io fui ancora più stupito di lui, nel
vederlo conciato in quel modo: capelli tirati indietro con non so
quanto gel, camicia amaranto acceso col colletto alzato e jeans
aderenti all’ultima moda. Al collo, un ciondolo a forma di pallone da
calcio, sostenuto da una cordicella nera. Se non gli risi in faccia fu
solo perché si trattava di un compagno di squadra, peraltro uno che mi
stava particolarmente simpatico. Al suo fianco, e avvinghiata al
braccio, una tipa ossigenata sorretta da tacchi vertiginosi. Ma, anche
con quelli, raggiungeva Nitta per un pelo.
“Anche tu da queste parti?” Domandò Jun, amichevole.
“Ah, sì…” Rispose Shun, in evidente imbarazzo. “Eheh, ho un
appuntamento!” Come se non si capisse. “Lei è Shiori!”
“Piaceeeere!” Esclamò la ragazza con un sorriso da far paura. “E chi
sarebbero?” Domandò a Shun, indicandoci con scarsa eleganza.
“Beh, come…” Nitta era indubitabilmente a disagio, “il capitano
della Musashi e il portiere del Toho. Compagni di Nazionale!”
“Aaaaaah! Vabbè, io non seguo il calcio, comunque piacere lo stesso!”
Cinguettò Shiori, lasciandoci basiti.
Che ci facesse Nitta con una che non segue il calcio è ancora un
mistero.
“E voi?” L’
hayabusa fighter deviò il discorso, guardandoci
sempre con sorpresa “Non sapevo usciste insieme!” Probabilmente
l’allusione non era voluta, ma io m’irrigidii comunque. Misugi, però,
non si fece cogliere impreparato, obiettando. “Ehi… detto così sembra
che anche noi abbiamo un appuntamento, Nitta.” Scandì, con sguardo
severo.
Allarmato, lanciai un’occhiata a Jun, incredulo di ciò che avevo appena
sentito. Era impazzito tutto d’un colpo? Tuttavia, dovetti ricredermi,
poiché le sue parole ottennero un effetto inaspettato, almeno per me:
lui, di certo, aveva calcolato tutto.
“Come?” Shun Nitta diventò più rosso delle labbra laccate della tipa
che si trascinava dietro. “No, scusate, non intendevo affatto, non
volevo dire una cosa del genere, assolutamente! Intendevo che non
sapevo foste amici…” Balbettò.
“Figurati!” Rispose Jun, con un finto sorriso del tipo
‘vorrei ben
vedere’. Ok, non avrei mai accettato quel suo modo di prendere le
cose di petto e in maniera tanto diretta, ma non potevo negare che
funzionava. Jun Misugi riusciva proprio a essere gentile e terribile
allo stesso tempo!
“Nemmeno noi pensavamo di poter essere amici, ma al ritiro abbiamo
legato!” Terminò Jun.
“Ah, sì, sì, è vero! Siete stati compagni di stanza!” Annuì Nitta, con
un sorriso impacciato. Ormai avrebbe asserito, e creduto, a qualsiasi
cosa.
“Comunque nulla di che, Wakashimazu aveva bisogno di un consiglio!”
Continuò il principe del calcio, suscitando la curiosità mia e quella
di Shun. “Uh? Consiglio?” Domandò infatti quest’ultimo.
Misugi accennò con la testa alla tipa di Nitta, che si era allontanata
per ammirare le vetrine. “Aaaah!” Afferrò Shun.
Donne. Afferrai
anch’io, parecchio contrariato.
“Beh con uno pieno di donne come te, Misugi… si va sul sicuro!”
Commentò l’attaccante. Jun scrollò le spalle indifferente. Io non
proferii parola, perché avrei fatto danni.
“Comunque penso che nemmeno uno come te, Wakashimazu, abbia problemi!
Perché…” Shun si bloccò per un istante. “Vabbè, vedrai andrà tutto bene
con la tipa! Shiori, andiamo!” Richiamò la sua ragazza con fretta quasi
eccessiva, le prese la mano e fece per andarsene. “In bocca al lupo, ci
vediamo presto!” Esclamò con un enorme sorriso che, a ripensarci, forse
non era del tutto spontaneo.
“Ti odio!” Esclamai indispettito, all’indirizzo del principe che
ridacchiava fra sé e sé.
“Eddai, era a fin di bene!”
“Questa me la paghi…” Borbottai, imbronciato. “E comunque, si dà il
caso, che se c’è qualcuno qui che ha esperienza con le donne, quello
sono io!*”
“Eh, ma non sembra!” Sghignazzò Misugi.
“COSA?!”
“Comunque credo che Shun Nitta ti ammiri molto.”
La capacità di Jun di cambiare argomento era davvero degna di nota.
“Davvero? Perché?” Domandai curioso.
“Da come ti guarda… pieno di… stima!”
“… dici?”
“Certo!”
Misugi, quella volta, era convinto delle sue parole. E io stesso non le
misi in dubbio, anche perché, ancora, non conoscevo bene l’
hayabusa
fighter, e a lungo sarei stato convinto che il suo interesse nei
miei confronti fosse dovuto alla semplice ammirazione come giocatore di
calcio.
“Che si fa ora?” Domandò poi Misugi. “Dai, scegli tu adesso!”
“Mh, non saprei…” Riflettei titubante. Poi ebbi un lampo. “Shinagawa!”
“Eh? Shinagawa?”
“Sì! Hanno riaperto l’acquario*, quello chiuso per lavori, perché non
ci andiamo?” Chiesi con sincero interesse. Avevo sentito dire che il
Toho avrebbe presto organizzato una visita proprio al nuovo acquario,
ma andarci con Jun sarebbe stata di certo un’esperienza diversa. Ero
sempre stato un’amante del mare, altra cosa in comune con Misugi. A
quest’ultimo, infatti, l’idea sembrò proprio piacere. “Dai, allora, che
aspettiamo? Andiamo subito a prendere il treno!”
****
È strano come in pochi secondi si possa passare dalla realtà caotica e
asfissiante della città a un ambiente diverso, in cui i ritmi vengono
stravolti e dove per parlare abbassi la voce e sussurri, temendo di
disturbare le creature che ci abitano. Esseri che danno l’impressione
di seguirti con i loro occhi bizzarri, qualsiasi direzione tu segua. Un
mondo sconosciuto e fantastico, dove i tuoi, di occhi, vedono solo
azzurro e le orecchie odono soltanto lo sciabordio dell’acqua smossa
dalle pinne.
Questa fu la prima sensazione che provai, non appena varcammo le porte
dell’acquario, immergendoci nell’atmosfera irreale di quello spettacolo
traboccante di colori e di svariate forme. Le luci tenui e delicate
permettevano di godere al meglio quello spettacolo marino, inoltre,
nell’aria si diffondeva una di quelle musiche che riproduceva il
mugghio del mare e i versi dei delfini. Melodia fittizia, è vero, ma
capace di suggestionare.
Io e Jun camminavamo fianco a fianco, percorrendo il lungo
corridoio ai lati del quale stavano le enormi vasche e ammiravamo
incantati tutte quelle specie marine, dal più piccolo pesce al più
grosso cetaceo. “… sono bellissimi, non trovi?” Disse Jun con un
sussurro, indicando i delfini che s’immergevano nella vasca, esibendosi
in vivaci capriole, per poi sollevarsi e raggiungere la superficie.
“Sì, lo sono.” Sospirai, con un po’ d’amarezza. Era bello stare lì con
Jun, però… non potevamo prenderci per mano, né dire qualcosa di più,
come facevano, invece, le coppie che ci passavano di fianco, e questo
mi faceva stare male. Nelle mani e fra le braccia avvertivo ancora
forte la consistenza del suo corpo e queste sensazioni si scontravano
con la frustrazione di non poterlo nemmeno sfiorare. Sapevo bene che
non
era consentito comportarmi come volevo, ma il desiderio di
abbracciare e, soprattutto, baciare Jun restava comunque forte.
“È un bello spettacolo, anche se un po’ triste…”
“Già…” Risposi laconico. “… è ciò che penso anch’ io.”
Liberi di nuotare… ma pur sempre in gabbia. Muoversi per un po’,
prima di accorgersi d’ essere prigionieri di quattro vetri. Quei pesci
non erano diversi dalle statuine incastonate nelle palle di vetro che
vendevano nei bazar all’entrata. Sono belle quando le scuoti, perché,
finché sono avvolte dalla finta neve, sembrano animate, ma, finito quel
gioco, tutto torna a essere plastificato e immobile, e non è cambiato
nulla. Così mi sembrò la loro condizione. E anche la nostra. Una finta
libertà dentro una realtà immodificabile. Cominciai ad avvertire un
forte senso di ingiustizia. Strinsi pugni e denti, trattenendo il
respiro, mentre la rabbia avrebbe voluto trovare una valvola di sfogo.
“Calmati, Ken.” La voce di Jun mi giunse lontana, mescolata al verso
dei delfini e a quello del mare dove nuotavano i miei pensieri.
Sussultai, voltandomi verso il mio compagno che continuava a fissare la
vasca come se non avesse fiatato, come se i suoi pensieri mi avessero
raggiunto attraverso una strana connessione telepatica. “Capisco come
ti senti… è lo stesso anche per me…” E in quel momento incrociai il suo
sguardo riflesso sulla lastra di vetro, scoprendo in esso i miei stessi
tormenti.
Il principe del calcio continuò a guardarmi da quel riflesso,
intensamente. E io sotto quegli occhi severi ma comprensivi riuscì a
calmarmi, fino a quando le angosce non vennero spazzate via dal suo
sorriso.
“Jun, Wakashimazu-kun!”
Il richiamo di quella voce femminile ci stupì non poco e dal vetro io e
Jun riconoscemmo chi stava alle nostre spalle.
“Yayoi, Misaki!” Esclamò Misugi, voltandosi, felicemente sorpreso.
Anche io ero stupito ma allo stesso tempo mi agitai. Per Yayoi Aoba,
naturalmente.
“Che bella sorpresa, anche voi qui!” Misaki mostrava, invece, il suo
solito atteggiamento gentile e pacato. Era una persona comprensiva e
non si faceva tante paranoie per quello che c’era stato fra la sua
attuale fidanzata e il mio ragazzo.
“Oggi pare s’incontri tutta la Nankatsu!” Riflettei, incrociando le
braccia.
Taro e Yayoi ci guardarono interrogativi, così Jun spiegò: “Abbiamo
incontrato Nitta, prima. Era anche lui con una ragazza.”
“Oh, bene. Una domenica di appuntamenti, questa!” Scherzò Misaki,
innocentemente, ma il centrocampista della Nankatsu non capiva che a
volte la sua innocenza era del tutto fuori luogo. Come in quel caso.
“È vero, e abbiamo avuto anche la stessa idea di venire qui, siamo dei
romantici!” Ah, ecco, giusto. Jun non si scomponeva mai. E ironizzava
pure!
“Dai, Jun, cosa dici!” Esclamò però Yayoi, arrossendo imbarazzata.
Almeno lei… al che Taro le cinse le spalle, rivolgendole uno sguardo
dolce.
In effetti… Yayoi stava lì a Tokyo e Misaki a Nankatsu. Quindi, dopo
una settimana di scuola, anche per loro quello doveva essere il primo
appuntamento dopo il ritiro. Quel pensiero mi rasserenò non poco: stavo
davvero esagerando con le paranoie!
Fra una chiacchiera e l’altra continuammo così la visita
dell’acquario insieme a Yayoi e Misaki. Naturalmente i discorsi
erano incentrati praticamente solo sul calcio, ma per la ragazza non
sembrava essere un problema: ci guardava e ascoltava divertita e, di
tanto in tanto, interveniva per dare un suo parere sull’argomento. Di
certo non sarebbe stato lo stesso con la ragazza di Shun Nitta!
Al termine del percorso, tutti e quattro ci sedemmo nei tavolini
all’aperto del bar all’uscita. “Vado io a prendere le bibite!” Si offrì
Misaki, alzandosi in piedi. “Ti aiuto!” Esclamò Jun, seguendolo.
Nemmeno il tempo di ribattere che i due si erano già allontanati,
parlottando e ridendo. Sentendo una leggera tensione instaurarsi fra me
e Yayoi, strinsi i denti incapace di fiatare e rimasi in silenzio. Ma,
inaspettatamente, fu lei a parlare. “Sembra un’altra persona.” Disse.
“Eh?” Mi voltai e lei fece lo stesso, sorridendomi. “Jun, dico, sembra
un’altra persona.” Spiegò. “Lo conosco da anni, ormai, ma non l’avevo
mai visto sorridere in questo modo, come l’ho visto fare oggi e in
questa settimana, a scuola. Per uno come lui, invidiato ma anche
compatito da tanti, sempre in lotta contro il proprio cuore malato, è
sempre stato difficile poter essere sereno. Credimi.” Yayoi parlava con
sincero e tenero trasporto, riuscendo a catturare completamente la mia
attenzione. Ero ancora più meravigliato, anche perché quelle parole
erano simili a quelle che Jun aveva espresso su di lei, poche ore
prima.“Da quando lo conosco, ho sempre avvertito una sorta di
malinconia intorno alla sua persona, e anche molta rabbia. Ora, invece,
è sempre di buon umore e quelli che prima sembravano essere i suoi
principali pensieri ora sono diventati qualcosa di secondario. Sei
riuscito a sanare il suo cuore. Grazie, Wakashimazu-kun.”
Ero sorpreso. Ora capivo perché Jun avesse scelto una persona come
Yayoi Aoba, anni prima. Ascoltando la sua voce e ora che la guardavo,
stretta nel suo vestito dai colori estivi, le mani delicatamente
appoggiate sulla ginocchia, mi rendevo conto della quiete che
trasmetteva e di quanto fosse sincera e schietta, nonostante l’aspetto
da ragazza timida e riservata.
“Ops, scusami, forse ho parlato troppo, mi sono lasciata trasportare!”
Esclamò lei, stringendosi nelle spalle, imbarazzata dal mio sguardo
attento. “Non hai nulla di cui scusarti.” Dissi infine, con sincerità,
appoggiandomi allo schienale e intrecciando le mani dietro la nuca.
“Anzi, ti sono grato per queste tue parole. E poi… Jun pensa lo stesso
di te. Non ti ha mai vista così serena e anche lui ne è felice!” Le
rivelai.
“Cosa?” Le guance di Yayoi s’imporporarono, strappandomi un sorriso.
“Beh… Taro è un ragazzo gentile.” Disse con un filo di voce.
“Lo so. E insieme siete una bella coppia.” Aggiunsi, facendola
arrossire ancora di più.
Ora ne ero sicuro: questa volta Jun e Yayoi avrebbero creato una vera
amicizia e probabilmente si sarebbero conosciuti più a fondo di quanto
avessero fatto in tutti quegli anni. E la cosa non mi dava più alcun
fastidio.
Quando Misugi e Misaki tornarono con le bibite, si stupirono di vederci
parlare così amichevolmente, ma, di sfuggita, notai anche lo sguardo di
soddisfazione che aleggiava sulle loro labbra.
***********
Il sole stava per tramontare oltre quella salita un po’ isolata, il
cielo si colorava d’arancio e la stessa sfumatura riluceva sulle pareti
delle case. Io e Misugi camminavamo a passo lento, in silenzio,
distratto ognuno dai propri pensieri, tuttavia paghi della reciproca
presenza. Avevamo lasciato Yayoi e Taro vicino all’acquario, e ognuno
aveva proseguito per la propria meta. E da lì né io né Jun avevamo più
fiatato. Quella giornata insieme stava per finire e avvertivamo già il
peso della lontananza che ci avrebbe diviso per un’altra settimana.
Turbato, improvvisamente mi fermai, sospirando amareggiato. Misugi fece
ancora qualche passo in avanti, poi si bloccò anche lui. Feci in tempo
ad alzare gli occhi, ma non a parlare, poiché Jun mi si gettò al collo
all’improvviso, e, sollevandosi sulle punte dei piedi, mi baciò. Un
bacio così agognato da sembrare quasi surreale, magico. Avvertii le sue
braccia stringersi con forza dietro le mie spalle e le labbra cercarmi
con ansiosa passione. Ricambiai con altrettanto trasporto, desideroso
di sanare l’inquietudine che mi ero portato dietro per tutta la
giornata, la frustrazione di non poterci neppure sfiorare. Quanto mi
erano mancate le sue labbra e il corpo così stretto al mio. Quanto? In
quel poco tempo Jun era diventato così importante per me, così… vitale?
Nell’istante in cui le nostre labbra gonfie di baci si separarono per
respirare e i nostri sguardi s’incrociarono, nello scorgere
quell’espressione innamorata… sì, non poteva essere diversamente: Jun
Misugi era già qualcosa di imprescindibile nella mia vita.
“Scusami…” Disse a un soffio dalle mie labbra, le guance lievemente
arrossate. “Non potevo più resistere…”
Io sorrisi divertito, stringendolo ancora di più. “Se non abbiamo
ancora ricevuto una secchiata d’acqua gelida, forse siamo salvi!” Diedi
un’occhiata veloce intorno, confermando che, probabilmente, nessuno ci
stava guardando. Misugi ridacchiò, poi mi passò una mano fra i capelli,
accarezzandoli. “Grazie per oggi…”
“Grazie a te…” Risposi, rimanendo incatenato ai suoi occhi accesi come
saette.
“Però…” Continuò il mio bel principe, “manca qualcosa in questo
appuntamento… non trovi?” E così dicendo mi posò un piccolo e sensuale
bacio all’angolo della bocca.
Io alzai gli occhi al cielo, fingendo di riflettere. “In effetti…” Lo
cinsi ancora di più, facendo scivolare le mani sulla sua schiena,
arrivando a sfiorargli i pantaloni.
Ci scambiammo ancora uno sguardo e le labbra di entrambi si distesero
in un sorriso d’intesa: c’era ancora un desiderio da soddisfare.
“Allora, portiere, sei già stanco?” Lo vidi concentrarsi in quel modo
che mi faceva impazzire.
“No, Misugi. Lo sai che con te potrei continuare all’infinito…” Lo
provocai.
“Bene. E allora… preparati!” Sibilò, con aria di sfida da vero
guerriero.
L’intero campetto era un concentrato di pura determinazione: l’aria
stava immobile, in attesa di un suo movimento, così come facevo io, lì
davanti alla porta, carico di adrenalina. Avremmo avuto tutto il tempo
per conoscerci, è vero, ma avevamo già una certezza: la passione per il
calcio ci legava e ci avrebbe legato più d’ogni altra cosa.
Poi Misugi scattò sul pallone, calciandolo con tutta la forza che aveva
in corpo e io mi tuffai laddove l’istinto di portiere mi suggeriva. La
fronte di Jun sudata, i suoi occhi ardenti sotto il sole del tramonto e
il corpo immobile e in attesa erano lo spettacolo più affascinante che
potessi desiderare.
FINE
* Per chi non si ricorda, Ken aveva architettato la lite con Hyuga per
avere una scusa e cambiare così camera con Misaki e stare con JunXD
*
Omiai, incontri a scopo matrimonialeXD
* Capitolo IV de “Il cuore e il pallone”: Jun parla a Ken del suo
rapporto con Yayoi, mentre sono nel boschetto del ryokan. No, ricordate
male, lì non fanno cose sconce XD
* Daybreak’s bell” del gruppo
L’Arc~en~Ciel esistono veramente,
e io amo questa canzone! È la opening del meraviglioso Gundam 00!
* kingyosukui : quel simpatico gioco dove bisogna cercare di
acchiappare i pesci rossi con i retini di carta ^^
* Sempre nel “Il cuore e il pallone” IV cap, Ken ammette di aver avuto
storie con ragazze, per cercare di convincersi che gli piacessero. Jun,
invece, è stato solo con Yayoi. Ma fra loro non c’è mai stato nulla!
*Shinagawa, quartiere a sud di Tokyo, si affaccia sul mare. Che ha un
acquario (forse più di uno), l’ho letto su
“Delfini” di Banana
Yoshimoto, che mi ha appunto ispirato la scena, poi ho controllato sul
web e la cosa risulta ^_^
Evviva, è
finita!!!
e per la prima volta nei miei scritti di CT... niente lemonXD Solo una
shonen ai semplice semplice...XD
Grazie a tutte voi per essere arrivate sin qui!! Spero di scrivere
presto altro di Jun e Ken... ok, qualcosa la sto già abbozzando, in
comunella con due altre tipe che gironzolano da queste parti XDD
E poi... ho in mente una specie di prequel, *nene sa*... vedremo!!
Tanti tanti baciottini a tutte!!!