Un solo consiglio.
Il capitolo è
venuto fuori molto lungo, ma piuttosto che dividerlo ho preferito
metterlo tutto. Leggete con calma.
Grazie.
CAP. 32
BELLA
I vampiri non possono
cambiare.
«Ecco, così. Piano, ti aiuto io».
Abbozzo un sorriso logoro, che ha poco di formale, ma che reca in
sé, oltre alla gratitudine, anche la consapevolezza che
certe convinzioni sono del tutto errate e forse sono solo mascherate da
stupidi pregiudizi.
«Grazie Rose».
La vampira ricambia il mio sorriso con uno dei suoi, luminoso,
accecante, autentico.
Uno di quelli della “nuova” Rose, uno di quelli che
non avevo mai visto fino a quando tutta questa storia non ha avuto
inizio.
Appoggio i palmi sulla coperta, mentre lei con delicatezza mi distende
le gambe e lascia che la mia schiena si posizioni sui cuscini sorretta
dalla sua mano.
Mi scocca un’occhiata di lieve rimprovero e con tono dolce
mormora:«Lo sai che non è necessario. Ti stanchi
soltanto. Potresti evitare di alzarti ogni volta per andare in
bagno»
«No. Non sono malata. Fin quando riesco, vorrei mantenere un
minimo di autonomia», se di autonomia si può
parlare dovendomi far accompagnare ogni volta dalla mia
“infermiera personale”. Negli occhi, scuse
silenziose per il disturbo arrecato a questa mia nuova sorella.
«Cara, non devi preoccuparti» e con una mano mi
sfiora la guancia, regalandomi un altro sorriso «tutto
ciò che desideri. Per me non è affatto un
problema».
I vampiri non possono
cambiare. Beh, se è per questo, si pensava
anche che non potessero procreare … Le mie sopracciglia si
inarcano leggermente verso l’alto, mentre scuoto una volta il
capo, rendendomi conto di quanto fossi stata in errore.
Rose ne è un esempio lampante. Positivo, certo.
Ma non è l’unico.
Edward è lo stesso di sempre, ma solo apparentemente.
Anche stamattina gli ho chiesto di lasciarmi sola con Rose, ed
è a lei che mi affido per la cura quotidiana del mio corpo.
Ho dovuto insistere parecchio per vincere la sua reticenza e per non
offendere la sua sensibilità, ma, se posso, voglio
risparmiargli il tormento di vedermi in certe occasioni.
Nuda mentre mi lavo, sono totalmente esposta ai suoi occhi e, ormai, il
mio corpo è troppo innaturalmente ingrossato per fingere che
la situazione non sia degenerata eccessivamente.
Come se fingere servisse a qualcosa, come se il silenzio mantenesse
insieme questo traballante castello di carte che regge su di una sempre
più sottile ragnatela di illusioni.
Non riuscirò mai a sopravvivere, a fare in modo che il mio
cuore resista per la trasformazione.
Lo so io. Lo sa lui. Lo sanno tutti.
«Rose, per favore» dico, indicando con un dito il
bicchiere d’acqua sul comodino.
In un lampo il bordo del bicchiere è alle mie labbra e un
intruglio opaco in cui Carlisle discioglie un mix di vitamine ed
energetici scorre in poche gocce nella mia bocca.
Normalmente Rose si sforza di muoversi a velocità umana, ma
alcune volte lo dimentica, troppo presa dal suo nuovo ruolo di
protettrice – infermiera.
Scosto il capo per indicarle che basta così, e rapidamente
lei riposiziona tutto nel giusto ordine: bicchiere, coperte, flebo,
sedia accanto al letto.
Ho insistito per chiedere di essere portata sul divano, ma Carlisle
è stato irremovibile, sostenendo che la mia schiena debba
restare in una posizione più corretta, distesa nel modo
giusto. Ho desistito quasi subito. In fondo, non sono davvero un bello
spettacolo ed esporlo agli occhi di tutti, non sarebbe propriamente
carino.
Sospiro.
«E’ ancora da Carlisle?» chiedo senza
specificare a chi mi riferisco. In effetti è inutile.
«Sì» risponde lei e stringe i denti.
Tra lei ed Edward i rapporti si sono fatti notevolmente più
tesi. Non possono stare nella stessa stanza contemporaneamente per
più di due minuti. Rose è l’unica che
Edward non tollera e non riesce nemmeno ad escludere dai suoi pensieri,
a giudicare dal senso di insofferenza che gli si legge in viso. Non gli
ho mai chiesto il motivo. Forse, non mi va di conoscerlo …
So che l’interessamento di Rose è alimentato dal
suo istinto materno represso, ma so anche che in lei
c’è di più.
Ne sono certa.
E non riguarda né il bambino, né me in particolar
modo. E’ come un naturale sentimento di
solidarietà femminile che la spinge a dedicarsi con pazienza
e con partecipazione alla mia situazione, assicurandosi con
discrezione, ma con attenzione, che nessuno imponga i suoi desideri al
di sopra dei miei.
Anche per questo ce l’ha a morte con Edward.
Perché ritiene che il mio morale sia irrimediabilmente stato
compromesso dalle sue decisioni per il futuro. E dal fatto che io ne
sia venuta a conoscenza.
Cosa che, invece, ha migliorato impercettibilmente l’umore di
Alice. Chissà poi perché …
Chiudo gli occhi per un momento, cercando invano di dare riposo ai miei
pensieri, almeno per un breve istante.
Con Edward non abbiamo più affrontato il discorso futuro. Ed
io, schiacciata dalla correttezza delle sue riflessioni, ho smesso di
insistere palesemente per strappargli promesse contro la sua
volontà. Perché la sua volontà
è chiara e, avendo dato avvio io stessa ai suoi propositi
con le mie decisioni, ormai mi ritrovo vittima dei miei stessi desideri.
E’ un cane che gira in tondo cercando di mordersi inutilmente
la coda. Voglio che il nostro bambino viva, voglio che Edward viva.
Due pensieri inconciliabili tra loro. Perché manca la parte
cruciale.
Che io resti in vita.
Persa nelle mie riflessioni non mi rendo nemmeno conto di scivolare nel
sonno, fin quando, riaprendo gli occhi come se li avessi chiusi un
battito di ciglia prima, non mi trovo quelli dorati di Edward ad un
palmo dai miei.
Mi sorride.
«Buongiorno. Anzi, buon pomeriggio » e con la mano
mi accarezza la fronte.
Sospiro pesantemente: «Ho dormito così
tanto?» mormoro cercando di raddrizzarmi un po’
«scusami» aggiungo automaticamente.
Mi aiuta toccandomi appena, come se temesse che, sfiorandomi, potesse
rompermi qualcosa. E, in effetti, le mie ossa sono diventate
così sporgenti, così evidenti, che mi stupisco
anche io del fatto che non sia già successo prima, magari
rigirandomi da sola nel letto.
«Hai fatto bene a riposare. Stanotte ti sei agitata
parecchio» risponde lui sovrappensiero.
«Davvero?» gli chiedo perplessa. Di solito il mio
sonno somiglia ad un coma profondo, come spesso mi ha fatto notare lo
stesso Edward. Cerco di scrutare la sua espressione per capire se
questa ultima informazione sia una notizia positiva o meno, indice di
un ulteriore peggioramento, ma dal suo viso non traspare nulla.
Decido di soprassedere. Meglio non preoccuparmi anche di ciò
che accade quando sono incosciente.
Tuttavia il cipiglio di Edward permane e capisco che qualcosa
– qualcos’altro – lo turba.
«Edward …» sussurro e alzo la mano per
sfiorargli la guancia.
E’ in questo momento che mi rendo conto che non ho
più la flebo. Mi osservo il braccio, un po’
confusa, come se non mi appartenesse. E, in realtà,
è un po’ davvero così, dato che
entrambe le braccia sono quasi insensibili da diversi giorni.
Ovviamente non ho fatto parola con nessuno di questo dettaglio
…
«Perché non ho più la flebo?»
chiedo perplessa, ma con un filo di voce, come se temessi la risposta
alla mia domanda.
I suoi occhi si puntano nei miei, seri e attenti. Sembra esitare solo
un attimo, lanciando un’occhiata alle braccia, prima di dire
con calma:«Te l’abbiamo tolta» prende un
profondo respiro «le tue vene non … le reggono
più. Sono sfiancate».
Per l’appunto.
Facevo bene a temere la risposta.
Abbasso gli occhi sulle mie mani, strette sul mio ventre, sentendomi
vagamente colpevole per questa ulteriore debolezza del mio corpo. Anche delle vene non mi posso
più fidare … penso affranta.
«Lasciamo che riposino qualche giorno. Vedrai che dopo
andrà meglio» si affretta ad aggiungere lui
rapidamente, con tono forzatamente leggero.
«Certo» mormoro costringendo le labbra a
dispiegarsi in un accenno di sorriso.
Ci guardiamo, in silenzio. Entrambi consapevoli della reciproca
menzogna.
Poi, con un sospiro, Edward allunga le braccia verso di me, lasciando
che mi rifugi nel mio porto sicuro e cullandomi con dolcezza, senza
bisogno di aggiungere altro.
«Cosa desideri fare oggi?» mi chiede dopo un
po’, recuperando la solita apparente tranquillità
«leggiamo, guardiamo qualche vecchio film
…» e lascia in sospeso la frase, accarezzandomi la
spalla fino alla piega del gomito e risalendo su, sempre con la massima
attenzione e delicatezza.
«Possiamo restare … abbracciati e
basta?» chiedo in un sussurro, con la voce rotta.
Lui non mi risponde, ma mi stringe leggermente un po’ di
più, per affondare poi le labbra nei miei capelli e soffiare
piano, con la voce roca:«Tutto ciò che desideri,
amore. Tutto».
Quando mi riprendo dallo stato di torpore in cui cado sempre
più spesso da qualche giorno, mi ritrovo, come ogni volta,
tra le braccia di Edward. In silenzio mi accarezza una guancia e al mio
sospiro, depone un bacio sui miei capelli. E’al suo movimento
che mi accorgo di un’altra presenza nella stanza.
Anzi di altre due: Jasper e Carlisle.
Il primo è in piedi, di fianco alla porta, immobile. Mi
osserva con attenzione, pacato:«Ciao Bella» dice
non appena si rende conto che l’ho focalizzato e riconosciuto.
«Ehi Jazz» rispondo e le mie labbra si incurvano in
un sorriso stanco, ma sincero.
Di riflesso il volto di Jasper si apre in un ampio sorriso. Legge le
mie emozioni, sa che sono felice di vederlo.
Carlisle è di fianco al letto dal lato di Edward,
l’espressione serena e composta di sempre.
Mi occorre un lungo momento per metabolizzare lo stato delle cose. Non
mi stupisce la presenza di Carlisle, ormai quotidiana, che scandisce i
diversi momenti della giornata con i suoi controlli.
Ma quella di Jazz, sì.
Jazz entra di rado in questa stanza, presenza discreta e mai
inopportuna. Jazz è anche l’unico che percepisce
chiaramente il mio bambino.
Ed è l’unico che non ha ancora palesato la propria
posizione a riguardo.
Mi osserva, silenzioso, ma concentrato.
Ed io lo osservo di rimando, approfittando dell’ inaspettata
vicinanza per cercare di carpirne i pensieri dal suo atteggiamento.
La mia mente comincia ad andare in automatico.
Jasper è un soldato. Non rischierebbe di esporsi al nemico
senza opportuna difesa.
Lancio uno sguardo a Carlisle che mi osserva con occhio attento e
professionale e, poi, lo riporto su Jasper.
La sua posizione non è cambiata, staticità tipica
del vampiro, ma non è teso, non è turbato.
Non è sulla difensiva.
No, decido.
Jasper non è
un nemico. E non potrebbe mai farci del male.
Lo so, lo sento.
Contemporaneamente al mio sospiro involontario, il sorriso di Jasper si
allarga ancora di più e i suoi occhi si spostano al lato del
mio viso, su Edward, la cui presa su di me aumenta impercettibilmente.
Lo sento prendere un breve respiro e chinarsi con le labbra
sui miei capelli, mentre sussurra piano:«Lo so» in
risposta a qualche domanda che solo lui ha potuto ascoltare dalla mente
di suo padre o suo fratello.
Ma non ho il tempo di dire o fare nulla per sapere di più
che la voce di Carlisle, tranquilla ma seria, cattura la mia attenzione
assieme al mio sguardo:«Bella, ci sono delle
novità».
Con gesto naturale, avvicina una sedia al letto e si siede, tranquillo
e posato, prima di puntare i suoi luminosi occhi dorati sul mio viso.
Aggrotto la fronte e cerco di raddrizzarmi, più per
educazione che per necessità di muovermi, ma la mano di
Edward che mi circonda le spalle me lo impedisce. Non vuole che mi
sforzi e accompagna la stretta alle parole:«Non preoccuparti,
rilassati»
Giusto, rilassati.
Penso cercando di calmare il battito impazzito del mio cuore.
Novità.
Novità
…
Che novità?
Buone, cattive?
Annuisco piano con il capo e prendo un bel respiro, lasciandomi andare
tra le braccia di Edward.
«Sto studiando la situazione da ogni punto di vista,
Bella» comincia Carlisle e dalla mancanza di inflessione
della voce, desumo che le novità non siano positive.
Non del tutto almeno.
«La quantità più cospicua di
informazioni che sono riuscito a raccogliere proviene
dall’America Latina, dove sono stati rintracciati casi di
donne umane che pare abbiano concepito dei bambini con individui
appartenenti alla nostra specie» attende un attimo che mi
riprenda dalla sorpresa.
Stringo la presa sul braccio di Edward in maniera convulsa, ma subito
dopo un senso di torpore mi invade e le mie dita si rilassano quasi
istantaneamente. Un’occhiata rapida tra i due fratelli mi
conferma che la presenza di Jazz non è casuale.
Tutt’altro.
Nonostante la stanchezza e l’intervento di Jasper la mia
mente non può fare a meno di vagare per conto proprio.
Ce ne sono altri. Altri
bimbi come te, piccolo mio, sono già nati …
E i miei pensieri sono felici, come se questa notizia da sola fosse la
conferma che la mia non è una situazione paradossale e senza
speranza, che se altre prima di me si sono trovate nelle stesse
circostanze, allora non tutto è perduto e ci sarà
di sicuro un modo per poter sistemare ogni cosa.
Mi volto verso Edward con lo sguardo sognante, traboccante di gioia e
non sono preparata a quello che vedo.
Il gelo dei suoi occhi mi colpisce come uno schiaffo. Ma è
un secondo solo quello che riesco a rubare prima che distolga lo
sguardo e lo punti in quello di suo padre.
Allora guardo quest’ultimo anche io e mi accorgo che qualcosa
non quadra. Anche Carlisle non gioisce di queste informazioni che a me
sembrano una manna dal cielo.
«C’è dell’altro»
affermo fioca.
Annuisce piano e prende un respiro:«Le donne che avrebbero
generato questi bambini erano indigene di una tribù, i
Mapuche».
Ascolto con attenzione e comincio ad avvertire uno strano formicolio
alla base della schiena. Un pensiero allora fa capolino nella mia mente
e mi arrischio a chiedere:«Quante donne sono …
sopravvissute?» e vedo Carlisle abbassare gli occhi a terra,
senza rispondermi.
«Nessuna» e la voce che mi risponde è
quella di Edward, atona, senza alcuna inflessione.
«Quelle che ho raccolto sono leggende che provengono proprio
da questa tribù. Pare che un Lobishomen infestasse la
foresta nei pressi di quell’insediamento e si narra di molte
giovani donne sparite o … allontanate dopo che si
veniva a conoscenza del loro stato gravidico inspiegabile»
Carlisle comincia a raccontare cupo «non sono testimonianze,
Bella, ma solo storie che potrebbero avere tutt’altra
spiegazione da quella che stiamo presupponendo».
Resto in silenzio e lo fa anche lui per un po’.
Giovani donne che spariscono possono essere state semplicemente vittime
di un vampiro non vegetariano, ma allora sarebbero spariti anche
uomini, anziani …
«Ma le gravidanze misteriose? Come si spiegano?»
chiedo forse parlando più a me stessa.
«Potrebbero esserci molte ragioni, Bella, non ultima quella
di un concepimento con un immortale, ma il fatto è che
… non siamo a conoscenza dell’esistenza di esseri
generati in queste circostanze. E’ ragionevole, dunque,
supporre che non siano affatto nati e che il corpo delle genitrici
abbia ceduto molto prima che lo sviluppo fosse completo».
Appoggio il capo sul torace di Edward ed inspiro profondamente
chiudendo gli occhi per un attimo.
No, penso, non sono affatto buone notizie.
Vedo Jasper fare un passo in avanti e fissarmi con insistenza. Distolgo
lo sguardo e affondo il viso nella camicia di Edward che mi stringe
forte a sé.
«Bella non agitarti». La voce di Jasper mi arriva
ovattata, mentre la mano di Edward prende a carezzarmi i capelli con
delicatezza.
“E’
ragionevole supporre che non siano affatto nati … “
“Quante donne
sono … sopravvissute?”
“Nessuna” …
Comincio a scuotere il capo contro il petto di Edward, mentre il
formicolio alla schiena diventa più fastidioso, quasi
doloroso.
«Amore, non fare così …»
Edward sussurra al mio orecchio cercando di scostarmi con
dolcezza dal suo corpo per trovare il mio viso, ma con le dita arpiono
il tessuto della sua camicia, mentre lacrime silenziose cominciano a
scorrere sul mio viso, bagnando le mie guance e i suoi abiti.
Un conto è sperare
di farcela.
Ma sapere
che nessuna donna nella mia stessa situazione è mai
sopravvissuta … beh, è tutto un altro discorso.
Tutte le mie paure, quelle che ho cercato invano di allontanare dalla
mia mente, si materializzano davanti ai miei occhi con una chiarezza
devastante. Morirò
… il nostro bambino morirà … Edward
morirà … ormai ne sono certa.
Un gemito strozzato mi esce involontariamente dalle labbra, mentre
affondo ancora di più il viso nel marmo ghiacciato del corpo
di Edward.
«Bella …»
«Bella». E’ Carlisle?
«Adesso basta!» la voce di Rose, glaciale e secca,
è l’unica che non mi aspettavo di sentire, non
essendo lei nemmeno presente in stanza «Ma non vedete che la
state torturando?»
Alzo un po’ il capo e la scorgo attraverso il velo di lacrime
che mi appanna la vista. E’ al centro della stanza, ad equa
distanza da ognuno dei presenti e li guarda uno per uno con astio. Per
ultimo si ferma su di me, anzi su Edward che, immobile disteso al mio
fianco, ha smesso di respirare e di accarezzarmi.
La fissa di rimando e sento che trema. Si sta contenendo a malapena.
«Perché tu, invece, cosa le stai
facendo?» le chiede con la voce bassa, calma e per questo
ancor più pericolosa «Non è tortura
quella che le infliggi ogni giorno descrivendole le meraviglie di una
maternità che, con buone probabilità, non
potrà mai vivere? Prospettandole tutti gli scenari
che non potrà mai vedere insieme al suo bambino? O dovrei
dire il tuo
bambino, Rosalie?» conclude con tono melenso e un sorriso
duro sulle labbra.
Rosalie è pietrificata, immobile. Non si muove, non respira
nemmeno.
«Io non ti permetto … che ne sai tu della mia
vita?» le parole di Rose risuonano, vibranti, nella stanza.
Edward raddrizza leggermente il busto sul letto, senza tuttavia mollare
la presa da me con gesto protettivo, fissando la sorella:«No.
Come ti permetti tu. Stai parlando di mia moglie e di nostro figlio. E
nessuna di queste è la tua vita. Non dimenticarlo».
Nostro figlio.
Nostro figlio.
Nostro.
Comincio a tremare nelle braccia di Edward, temendo la reazione di Rose
la quale, ne sono certa, è quasi ad un soffio
dall’aggredire suo fratello, che la figura imponente di
Carlisle si frappone fra noi e lei, innaturalmente silenziosa
al centro della stanza.
Nessuno riesce a sfuggire all’asprezza dei commenti di Rose.
«Rose, Edward cercate di calmarvi. State mettendo in ansia
Bella. E qui nessuno
vuole torturarla, ma soltanto aiutarla». Il tono calmo di
Carlisle vorrebbe essere tranquillizzante, eppure ottiene
l’effetto contrario sui miei nervi.
E’ il tono che usa quando la situazione sta degenerando,
quello che serve a compensare la perdita di controllo di chi
è intorno a lui.
Fisso Edward, i suoi occhi puntati ancora su sua sorella.
Nostro
figlio.
L’ha detto davvero? Non me lo sono immaginata?
D’un tratto tutto mi sembra troppo. Troppe le persone nella
stanza, troppe le informazioni che arrivano al mio cervello, troppa la
tensione intorno a me e che sento gravarmi sulle spalle, come un peso
che non riesco a reggere e che mi inchioda al pavimento.
Comincio a respirare pesantemente, mentre il fastidio alla schiena si
amplifica avvolgendo anche il basso ventre. Un gemito esce dalla mie
labbra, mentre il viso di Edward è istantaneamente su di me,
le sue mani sulle mie guance, i suoi occhi fissi nei miei.
«Che succede?» chiede allarmato.
«Non è lei. E’ il bambino» la
voce di Jasper è bassa, concentratissima.
«Ma bravi! L’avete fatto agitare, mi complimento
davvero con voi!» il sarcasmo tagliente di Rose è
una fitta lancinante nella mia testa. L’afferro con le mani,
mentre un altro lamento sfugge dalle mie labbra.
«Rose taci». Edward si rivolge alla sorella, ma le
sue mani continuano ad essere su di me, percorrendo la mia fronte, le
mie spalle, agitate, febbrili «Hai dolore? Dimmi cosa senti,
Bella, ti prego».
Scuoto il capo, incapace di profferire parola, mentre Carlisle, rapido
si avvicina e mi scopre il ventre, cercando di farmi distendere sui
cuscini. Invano. E’ una posizione che mi arreca dolore e che
il mio corpo rifiuta, rannicchiandosi su se stesso come un elastico che
ritorna nella posizione iniziale dopo che lo si tende troppo.
«Jasper, cosa avverti?» Carlisle parla a suo figlio
in tono concitato, ma scruta con attenzione la mia pancia.
«Non lo so … Non sono sicuro …
E’ agitato … Forse ha paura, o è
irritato … Non riesco a percepirlo con chiarezza e non
riesco a fare nulla …» la sua voce è
contrita, impotente.
Non stacco i miei occhi da quelli di Edward e sento che la paura mi
invade, mentre lui non molla il mio viso nemmeno per un momento,
continuando a reggerlo a coppa tra le mani.
«Bella, devi calmarti» la sua voce è
serena, pacata. Ma nei suoi occhi leggo chiara l’angoscia
«sono qui, al tuo fianco. Non ti lascio, amore mio. Non ti
lascio».
I suoi occhi si assottigliano e mi osserva con la fronte aggrottata.
Poi, con delicatezza infinita, prende la mia mano, premuta forte sul
ventre e la depone in una delle sue, mentre repentino, poggia
l’altra, fredda eppur morbidissima, sulla mia pancia.
Sulla mia pancia.
Trattengo il respiro, e i miei occhi scendono verso il basso,
calamitati dall’immagine più struggente
che mai avrei sognato di evocare nella mia mente.
Il candore della pelle di Edward, le sue lunghe dita che avvolgono con
tenerezza il mio ventre martoriato da lividi e chiazze violacee.
Le sue mani che sfiorano il nostro bambino.
Nostro figlio.
Sussulto quando d’un tratto il formicolio, la tensione, il
dolore scompaiono completamente lasciando spazio ad una sempre
più intensa sensazione di benessere, simile a quella che
subentra dopo uno sforzo fisico prolungato.
Si irradia dal ventre, dal centro esatto in cui il palmo di Edward
è posato, per estendersi con lentezza al bacino fin dietro
alla schiena e su per la colonna vertebrale.
Alzo gli occhi per incontrare quelli stupefatti, sconcertati di mio
marito:«E’ fredda». Sussurra piano e,
poiché lo guardo perplessa, aggiunge «La tua
pancia. E’ fredda. Come … le mie mani».
Gli occhi mi si riempiono di lacrime nuove, lacrime di gioia.
E mentre annuisco, lascio che scivolino via dai miei occhi, rotolando
giù gonfie e pesanti, proprio come lo era il mio
cuore un attimo prima.
EDWARD
«Bella, non è mia intenzione creare false
illusioni, ma abbiamo anche qualche notizia positiva» le
parole di Carlisle non sono pronunciate per consolazione, ma non
riescono a penetrare lo stato di confusione che mi avvolge la mente.
A malapena mi sono reso conto dell’uscita plateale di
Rosalie, che ha lasciato la stanza con un sonoro sbattere di porta e
con molta malagrazia.
La mia mano è ancora lì, sul ventre gonfio e
prominente di Bella.
Sul suo ventre freddo.
Freddo come noi.
Come me.
Sono già a conoscenza di ciò che mio padre vuole
dire, ne abbiamo discorso ampiamente, ma Bella no. E tuttavia sembra
incantata ad osservare la mia mano sulla sua pancia.
Con la punta delle dita ne accarezza il dorso, lievemente.
E sulle sue labbra, appena accennato, l’ombra di un sorriso
pensieroso.
A osservarla la sua pancia sembra gonfia, innaturalmente, ma al tatto
è dura, durissima.
Come roccia.
Sento la pelle tesa, ormai sottilissima, sotto i polpastrelli. E ho
quasi paura di esercitare una pressione eccessiva con le mie dita, ma
la mano di Bella sulla mia è delicata eppur decisa e, con
stupore, mi accorgo di non volerla togliere via.
Come se fosse giusto tenerla lì, tenerla così.
A dirla tutta, è come se non mi dispiacesse affatto.
Ignorare la sua
presenza è diventato ogni giorno sempre più
difficile …
«Bella, il fatto che la tua famiglia ti è vicina
è un aspetto che dobbiamo sfruttare a nostro
vantaggio» a queste parole di Carlisle, Bella alza il viso e
i suoi occhi sono lucidi, mentre annuisce, la fronte corrugata nello
sforzo di concentrarsi.
«Le giovani mapuche venivano abbandonate al loro destino,
senza alcun aiuto e questo non è il tuo caso. Dove non
arriva la scienza iniziano le doti supplementari di alcuni di noi, e
credo che a questo punto sia giusto che tu conosca con esattezza la
situazione, per avere tutte le informazioni che ti possono essere utili
per scegliere in maniera consapevole» e lancia una
rapidissima occhiata a Jasper.
«Nessuna di loro aveva appoggio, il nostro appoggio,
Bella» le parole di Jasper fanno eco a quelle di nostro
padre.
Sorride, gentile, a mia moglie che si è voltata appena nella
sua direzione con l’espressione commossa, ma incerta.
«Il bambino dentro di te è speciale,
Bella» il suo cuore fa una capriola e manca un battito alle
parole di mio fratello. I suoi occhi si spostano verso il basso,
lì dove la pancia è coperta dalle nostre mani
intrecciate. Gli occhi di Bella si dilatano e sento che deglutisce.
«Grazie ai nostri poteri, possiamo avere delle informazioni
supplementari e cercare di aiutarvi».
Fisso mio fratello negli occhi, intensamente, cercando di cogliere dal
suo sguardo una qualche esitazione prima ancora di leggergliela nel
pensiero.
«Tu riesci a percepirlo …» mormora lei
esitante.
Annuisce «Sì, e ogni giorno che passa lo sento con
più chiarezza. Lui … risente per lo
più dei tuoi stati d’animo, delle tue sensazioni.
E anche del tuo dolore. Hai notato che si muove molto di
meno?»
Bella batte le palpebre un paio di volte, cercando di fare mente
locale: «E’ vero, non lo sento più
muoversi» conferma dopo un attimo, perplessa.
Trattengo un secondo il respiro e spero in cuor mio che abbiamo optato
per la scelta migliore. A lungo ho discusso con Carlisle sulla
necessità o meno di rivelare a Bella certi aspetti di cui
siamo venuti a conoscenza, per lo più grazie a Jasper, il
quale, silenziosamente, è stato sempre all’erta
per cogliere anche i più impercettibili barlumi di emozioni
dal corpo di mia moglie.
E poi, Alice …
Intanto Jasper continua a parlare:«Sa che facendolo ti arreca
dolore. Non si muove per questa ragione. Teme il tuo dolore,
perché lo avverte come suo. Non è una sensazione
chiara, probabilmente è solo un istinto, ma lui non vuole
farti del male», conclude a voce bassa.
«E’ forte. Non è colpa sua
…» sussurra Bella sovrappensiero, e gli occhi di
mio fratello si spostano su di me, immobile e rigido.
Te l’avevo
detto prima, che tua moglie ha già un istinto materno
ampiamente sviluppato … Pensa, osservandomi e
ribadendo la stessa considerazione cui era giunto al momento del
risveglio di Bella, quello in cui lei si è guardata intorno
con circospezione, valutando inconsapevolmente il pericolo per se
stessa e per il bambino.
«La buona notizia» inizia Carlisle
«è che la sua crescita sembra essersi rallentata.
Notevolmente. Jasper non avverte segni ulteriori di sofferenza da parte
sua, quindi è plausibile che qualcosa stia influendo sul suo
sviluppo, rendendolo più simile ad una gravidanza
tradizionale» prende un respiro profondo «da un
calcolo statistico, ritengo che il maggior sviluppo si sia avuto nel
periodo in cui eri al dormitorio».
«Ulteriori … segni di sofferenza?» fa
eco lei alle parole di mio padre «Cosa gli sta
succedendo?» chiede, quindi, con una punta di allarmismo
nella voce.
«Ecco … il tuo corpo rifiuta ogni forma di
nutrimento, e lui ne risente, come te. Non c’è
nulla di razionale in ciò che ti dico, e forse potrei
sbagliarmi, ma credo che la presenza dei vampiri che ti
circondano» e lancia una lunga occhiata a me,
l’unico vampiro che realmente è sempre con Bella
«abbia creato uno stato di quiescenza, una specie di
atmosfera familiare in cui si senta sicuro. Credo che il rallentamento
del suo sviluppo non dipenda completamente dalla mancanza di
nutrimento, ma dal fatto che non si sente minacciato. Si sente tra suoi
simili».
Gli occhi di Bella si accendono di un barlume di vita.
«E’ … è una buona
notizia?» chiede speranzosa.
Carlisle alza una mano in aria, come a voler frenare il suo nascente
entusiasmo :«Calma, calma … non è
detto. Ma se riusciamo a capire come sostenerti adeguatamente, forse
… riusciamo anche a dare al tuo corpo il giusto tempo per
adattarsi alla nuova situazione, allo sviluppo cioè del
bambino».
Ecco. La parte meno difficile è stata svelata.
Ma di comune accordo abbiamo deciso di non rivelare a Bella tutti gli
altri dettagli che, invece, si prospettano essere più
delicati. Primo fra tutti, se riuscissimo a portarla a termine della
gravidanza, la modalità di svolgimento dello stesso parto. E
poi, la trasformazione … e quella strana visione di Alice
…
Qualche giorno fa, il giorno in cui leggevo per Bella “Cime
Tempestose”, Alice ha avuto due visioni: una su di me e
l’altra … anche.
Quella che mi riguardava risentiva del tentennamento della mia
decisione di andare in Italia nel momento in cui il cuore di Bella
avrebbe cessato di battere: non mi serve che lei mi chieda palesemente
di badare al bambino per sapere che è ciò che
desidera e che è ciò che la tormenta. E non
è un segreto per nessuno che io non sappia negarle nulla.
Ma la cosa davvero curiosa è stata la seconda visione: Alice
mi ha visto mentre leggevo il libro a Bella, disteso sul
nostro letto al suo fianco. Mi ha visto come se a vedermi fossero gli
occhi di Bella.
Per questa seconda visione Carlisle ha avanzato una nuova ipotesi che
avrebbe a che fare con lo stato di salute di Bella … o
meglio con il suo peggioramento. Secondo mio padre le visioni su Bella
si sono interrotte nel momento in cui il suo futuro era troppo incerto,
mentre adesso che sta molto peggio … il suo futuro
ricomincia ad essere più definito. A cominciare dal presente.
In effetti non sono molto favorevole ad avallare questa sua teoria,
anche perché non si è trattato di una vera e
propria visione, quanto piuttosto di una fedele telecronaca del
presente e di quanto stava realmente accadendo in quel momento
…
Mi riscuoto dai miei pensieri nel momento in cui Bella si gira verso di
me e mi fissa :«Che ne pensi? Forse … forse,
possiamo farcela …»
Sta chiedendo il mio parere.
Nonostante ciò che le ho fatto, ciò che le ho
detto, e di più ciò che non le ho detto, le preme
conoscere la mia opinione.
Una nuova scintilla anima il suo sguardo, e non so come, quando e
perché sia accaduto, ma sento che Bella si fida nuovamente
di me.
«Bella, non è più possibile applicare
alcun tipo di flebo o catetere endovenoso, oltre ad essere del tutto
inutile. Carlisle pensa che un ciclo di trasfusioni di sangue
siano necessarie, dato che dalle ultime analisi la tua emoglobina
è molto al di sotto della soglia di rischio» il
lampo di preoccupazione che le leggo in viso mi schiaccia come il
più pesante dei macigni.
Sincerità,
Edward. Solo la più completa sincerità.
«Jasper presenzierebbe ad ogni intervento cui saresti
sottoposta, allo scopo di carpire le maggiori informazioni dal
bambino». Lascio che le mie parole raggiungano la
consapevolezza di mia moglie e concludo con la risposta alla sua
domanda«Bella, io ti amo. Se potessi, prenderei sul mio corpo
tutte le sofferenze che stai … state patendo, entrambi. Ma non
è possibile». Prendo un profondo respiro e
proseguo :«Qualunque sia la tua decisione io la
sosterrò totalmente. Hai il mio appoggio
incondizionato».
Mi fissa, a lungo. Poi si gira verso mio padre e con un filo di voce
sussurra:«Ok, facciamolo».
La preparazione per la trasfusione è praticamente immediata,
disponendo in casa di discrete scorte di zero negativo da quando Bella
è diventata membro della nostra famiglia. Scorte che sono
andate ampliandosi nel momento in cui ha cominciato a stare male.
Alice sta salendo con tre sacche di sangue, e Jasper dovrà
uscire nel momento in cui sarà effettuata concretamente la
trasfusione, per ragioni di sicurezza. Rimarrà, tuttavia,
nei paraggi, all’erta sulle emozioni di Bella e del bambino.
Nel momento in cui entra mia sorella, sento Bella fremere tra le mie
braccia. Le ho spiegato che non sarà una pratica dolorosa,
ma sarà comunque fastidiosa e un po’ lunga.
Sempre che si riesca a trovare un accesso venoso valido … il
che è improbabile.
Accarezzo le braccia di mia moglie e quando deglutisce il suo timore,
cercando di mostrare un atteggiamento sereno, sento un moto di
tenerezza invadermi. Le prendo il mento fra pollice ed indice e volto
il suo viso verso di me:«Sei sicura?» e mentre lei
annuisce lentamente sento un dolore sordo nel petto.
Sarebbe disposta a tutto. Anche a sottoporsi ad un tentativo inutile ed
invasivo.
Le prendo la mano nella mia e mi volto verso mio padre, fermo in attesa
al mio fianco , un po’ dietro di me.
Alla sua destra Alice. Dietro di lei, fermo sulla porta Jasper.
Annuisco impercettibilmente in direzione di mio padre e lui si avvicina.
Con delicatezza le prende un braccio scoprendolo fino al gomito e lo
esamina attentamente.
Cerca di fare la stessa cosa con l’altro braccio, ma la presa
delle dita di Bella su di me aumenta d’un tratto.
Mi volto verso di lei interrogativo ed è come in trance, gli
occhi fissi sul copriletto. Respira appena.
Faccio cenno con una mano a mio padre di fermarsi e porto
l’altra mano, intrecciata a quella di Bella, verso il mio
viso.
«Cosa c’è che non va? Non vuoi
farlo?» sussurro lievemente, soffiando sul dorso della sua
mano.
Con gli occhi fissi, vacui, dinnanzi a sé, Bella tace.
E nel silenzio, un’immagine si staglia nella mia mente. Un
flash, non più lungo di pochi centesimi di secondo.
Me stesso, al suo fianco.
Aggrotto le sopracciglia, mentre realizzo che l’immagine
viene da Alice, immobile con le sacche di sangue in mano.
E’ una visione?
No, non lo è. E’ il presente, è adesso.
Le dita della mano di Bella tremano leggermente tra le mie e con la
mano libera, le accarezzo una guancia, con
delicatezza:«Bella?».
Nonostante il controllo che esercito su me stesso, non posso fare a
meno di avvertire la nota allarmata nella mia voce.
Poi, un sussurro. Lieve come la più impalpabile delle sete
orientali:«Edward …»
Le sue palpebre si abbassano sui suoi occhi vitrei, fissi. La sua presa
si accentua leggermente, e, dopo aver preso un respiro breve,
rassegnata, dice:«Non ci vedo».
Nell’immobilità e nel silenzio sovrannaturale che
sono piombate nella stanza, solo il respiro lievemente affannato di
Bella e il battito del suo cuore accelerato ma debole, giungono alle
mie orecchie.
I suoni passano oltre. Arrivano al mio cuore penetrando come stiletti
affilati.
«Carlisle» e il mio tono è basso, fermo.
Ma roco.
Dopo due secondi di esitazione, mio padre si piega sulle ginocchia al
mio fianco, di fronte a lei. Le prende una mano e avvicina il polso al
suo naso:«Senti dolore alla testa, Bella?»
Lei scuote piano il capo, ma non una parola esce dalle sue labbra.
Edward, lo senti anche
tu. Il suo cuore si sta scompensando e il suo sangue ha raggiunto
livelli di anemia improponibili per un qualunque essere umano.
E’ ipossiemica. Dobbiamo farle questa trasfusione. Adesso.
Le parole di mio padre sono decisamente ansiose, ma la sua espressione
è imperturbabile. Non stacco gli occhi
dal viso di Bella, pallido come non mai, le labbra esangui, gli occhi,
chiusi, infossati in un cranio del quale riesco quasi a scorgere le
ossa.
Annuisco piano, un solo movimento del capo.
«Bella, adesso effettueremo la trasfusione. Se dovessi
avvertire dei fastidi, brividi, nausea o vomito avvertimi
immediatamente. Il tuo sangue non è correttamente ossigenato
a causa della mancanza di ferro. Dopo la trasfusione starai
meglio» conclude con voce serena, ma Bella non accenna a
muoversi, continuando solo a stringere la mia mano come fosse
l’unico appiglio alla vita.
Mi volto leggermente verso Alice, con ancora le tre sacche di zero
negativo in mano, rigida, a cinque passi dal letto. I suoi occhi sono
fissi sul viso di Bella, ma non è in trance.
«Cosa è stato?» le chiedo in un sussurro
inudibile da mia moglie.
Senza spostare gli occhi, Alice riprende a respirare con lentezza. Per
un attimo, ho avuto l’impressione che si aspettasse che
accadesse qualcosa di terribile.
Fa un piccolo passo in avanti e poi si ferma.
Jasper è subito al suo fianco e lascia che un suo braccio
scivoli attorno alla sua vita.
Alice fa un altro passo in avanti, ma è come se fosse
spaventata. Stringe le sacche nella mano e sento il liquido muoversi al
loro interno.
Trema. Le sue mani vibrano sottilmente, ma chiaramente.
Jasper è teso e non perde di vista il suo viso.
Rapido, mio padre si alza ed afferra dalle sue mani il sangue
necessario alla trasfusione per poi posizionarlo sull’asta di
fianco al letto:«Jasper» mormora e mio fratello,
dopo aver lanciato uno sguardo a sua moglie, sparisce immediatamente
dalla stanza, fermandosi giusto fuori alla porta.
Non appena il liquido tinge di rosso il deflussore e arriva alla
congiunzione con la pelle, Bella tira un respiro profondo e
contemporaneamente Alice cade in terra sulle proprie ginocchia.
Sento Bella irrigidirsi e spostare il capo in direzione dei rumori
percepiti e mi affretto a chiedere a voce alta e chiara a Carlisle di
spiegarle l’esecuzione della pratica cui verrà
sottoposta, nel tentativo di distrarla.
Jasper è su Alice in un millesimo di secondo e la solleva
tra le sue braccia. Rapidi, escono dalla stanza.
Resto fermo così, con gli occhi incollati sulla porta chiusa
dietro di loro, prima di collegare tutti i fatti accaduti.
La perdita della vista di Bella.
Le immagini nella testa di Alice.
Il sangue.
Il respiro di Bella, come di sollievo.
Il dolore di Alice.
Il bambino.
Le immagini sono del bambino. E’ lui che sta
soffrendo. La cecità non è di Bella, ma la sua.
Per questo Alice si avvicinava con cautela. Sapeva che lui era
cosciente e si aspettava il dolore da un momento all’altro.
Ma lui era troppo debole. Fino a quando nuovo sangue non è
entrato nel corpo di Bella.
Il sangue.
Il bambino.
Allora mi avvicino al viso di mia moglie e le sussurro in un
orecchio:«Amore, mi sposto un secondo per lasciare spazio a
Carlisle. Sono qui, non temere».
Sorride appena, triste, e annuisce stanca.
In un battito di ciglia sono fuori la porta, di fronte a Jasper che
tiene ancora Alice tra le braccia, il capo di lei appoggiato al suo
petto.
«Jasper» soffio piano con il viso rivolto alla
porta «cosa provava Bella un istante prima che avvenisse la
trasfusione?». C’è urgenza nella mia
voce, ma tento in ogni modo di mantenere la calma.
Mi risponde a mente.
Era spaventata,
dispiaciuta, rassegnata.
«Che altro?»
Mmm … che
intendi? In generale, o oggi?
«Un suo pensiero ricorrente, che ritorna con
regolarità o con costanza … Pensaci, ti prego.
Non tralasciare nulla» nella mia voce appena sussurrata, una
scintilla di vita.
Non so …
è sempre stanca, si sente debole. A volte è
affamata, ma teme il cibo, come se …
«La nauseasse?» chiedo e subito dopo aggiungo
«Una sensazione simile alla nostra quando vediamo il cibo
umano? E se invece di fame, avesse … sete?»
In quel momento Alice apre gli occhi e mi fissa, assorta.
Restiamo in silenzio e sento l’esclamazione di sorpresa di
mio padre dall’interno della camera.
«Beve spesso, ma credo che non sia la disidratazione del suo
corpo a suscitare questo istinto» dico sovrappensiero.
Gli occhi di mio fratello si accendono di un rinnovato
interesse:«Potrebbe essere … cosa intendi
fare?»
Guardo lui, guardo lei.
«Quello che avrei dovuto fare subito. Occuparmi di lui» e in
un attimo rientro in camera.
Carlisle è in piedi al suo fianco e quando entro mi lancia
un’occhiata penetrante, compiaciuto.
Faccio un cenno in direzione di Bella e lui scuote il capo. No, pensa, non ha ancora recuperato la
vista. L’intuizione che hai avuto è interessante,
Edward, ma non c’è tempo per sperimentare la via
giusta di somministrazione …
«Lo so» sussurro.
Appena vicino a mia moglie, distesa e immobile ad occhi chiusi, le
carezzo una guancia con il dorso della mano. Sussulta al contatto e
sposta il viso verso la mia mano.
«Bella, vorrei provare una cosa» comincio un
po’ incerto, lei sospira «Ti staccherò
la flebo e vorrei che bevessi … una cosa che penso
potrà farti bene. Molto bene. Soprattutto al
bambino».
Resta un attimo ferma, poi annuisce.
«Trattieni il respiro» le dico e in un lampo sono
davanti a lei con il bicchiere sempre al suo fianco sul comodino, pieno
del sangue contenuto in una delle sacche.
Le poggio il bordo del bicchiere alle labbra che lei automaticamente
dischiude.
Esita, incerta.
«Fidati di me» mormoro.
E lei comincia a mandar giù un sorso del liquido.
Non appena ne assapora la consistenza, arriccia il naso e stacca le
labbra, ritraendosi.
Deglutisce e, dopo un istante, le sue dita, tremanti, si muovono per
cercare la mia mano che regge il bicchiere. La trova e la avvicina
nuovamente alle sue labbra.
Al terzo bicchiere, Bella apre gli occhi.
Alza una mano e con le dita mi sfiora le labbra, prima il labbro
superiore, poi quello inferiore, lentamente:«Ciao»
sussurra.
E mi sorride.
NOTA
DELL’AUTRICE: Chiedo umilmente perdono. Lo so, sono in
pauroso ritardo con l’aggiornamento, e dopo tutto questo
tempo non ho nemmeno risposto alle vostre magnifiche recensioni. Ma ho
pensato che, piuttosto che ritardare ulteriormente, fosse molto meglio
postare appena possibile.
Mi farò
perdonare –spero- presto.
Per quanto riguarda questo capitolo, c'ho messo tanto tempo,
perchè sapevo cosa volevo dire, ma non sapevo come fare
-.-'' Mi auguro di non essere stata troppo criptica.
Grazie a
tutti per il continuo sostegno e per il vostro affetto.
Mi rimetto
all’opera.
Baci :***
M.Luisa
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