Sproloqui:
la storia è stata scritta per partecipare al contest Genitori
e figli, indetto da Mia90. Lo scopo era di narrare il
rapporto tra genitori e figli, nella riserva Queluite. Purtroppo,
però, il concorso non è andato in porto, in
quanto i partecipanti non sono stati più di tre.
Come personaggi -poiché ho un debole per loro- ho scelto
Joshua e Sam Uley. Non sappiamo molto del padre di Sam, se non che
è stato un pessimo padre, un uomo molto libertino, che ha
lasciato la sua famiglia quando il figlio era ancora molto piccolo.
Buona lettura.
Done
all wrong
A sei anni non esiste la cattiveria. Non esiste niente, per la
precisione, che si possa avvicinare al cattivo, allo sbagliato.
Tutto si fa in buona fede. Tutto, in qualche strano modo, è
candido.
Anche l'odio.
Tutto, tutto, tutto
sbagliato.
Joshua Uley era tutto ciò che un padre non doveva essere, se
vogliamo essere sinceri, lui, padre, non doveva proprio esserlo. Non
voleva bambini, mai ne avrebbe voluti; ma era troppo pigro e troppo
annoiato per ricordare ogni volta quel
particolare, così, dopo nove mesi, nacque Sam.
Un nome breve, decisero; un nome senza troppe attenzioni dentro.
Quasi buttato lì, all'infermiera che guardava con odio
quell'uomo che stava fumando, tanto per tagliare corto.
Sam si chiese sempre come mai quel nome, ma non chiese mai a nessuno il
perché. Era silenzioso e la cosa andava bene, soprattutto a
Joshua.
Meno domande fa il marmocchio, meglio sto, si ripeteva.
E tutto scorreva, tutto, senza niente di speciale. Quasi come a
ripeterlo: niente, Sam, niente nella vita è speciale.
Alcune volte, però, da quando il bambino aveva compiuto i
cinque anni, il padre aveva deciso di portarlo a First Beach, proprio
come ogni altro uomo con un figlio. A pescare, si sarebbe detto,
vedendo l'allegria sprizzare fuori dal visino tondo del piccolo; ad
annoiarsi, osservando attenti il passo molleggiato di Uley senior, che
si muoveva come uno mandato alla forca.
Si sedevano sul piccolo molo, dove, se la marea era alta, l'acqua quasi
arrivava al suo livello e dopo aver arrotolato bene i pantaloni, tolte
le scarpe, Joshua lasciava affondare i piedi nell'Oceano.
Il bambino, osservando il padre, tentava allo stesso modo di imitarlo:
si sporgeva più che poteva sulla distesa scura, tentando di
infilare i piccoli piedini nell'acqua.
Poco mancava, ogni volta, che cadesse, ma, stranamente, in quelle
occasioni, Joshua lo riprendeva al volo, ridendo. Lo posava di nuovo
sulla banchina di legno, quasi sperduta in mezzo al mare e rimaneva in
silenzio.
Due schiene affiancate e quattro gambe, di cui solo due immerse, ed
altre due ondeggianti, con solo i piccoli pollici cicciotti a sfiorare
la superficie, creando piccole increspature, che andavano ad
infrangersi sui pali.
Dopo un po', mentre il sole superava l'isolotto lì di
fronte, sormontato da brulli alberi, Joshua accendeva una sigaretta ed
ispirava.
Espirava.
Ispirava.
E il fumo andava in faccia a Sam, che rimaneva zitto, come sempre. Non
voleva che il padre pensasse che gli stesse dando fastidio, aveva
paura, una dannata paura: che scappasse.
C'era silenzio in quei momenti, e una sottile scia bianca partiva dal
mondo.
Il vento scompigliava i capelli lunghi del bambino, raccolti in malo
modo in un laccetto di cuoio, mentre accarezzava solamente quelli corti
e disordinati di Joshua.
Niente da dire, si diceva l'adulto. Il marmocchio vuole stare qua, che
ci stia. Io mi fumo la mia sigaretta in pace.
Eppure, dentro di sé, lo sentiva: uno strano sentimento che
aveva sempre evitato e lasciato da parte. Amore. Dolce, fastidioso
amore. Che lo portava là, sulla riva del mare, ogni tanto.
Ogni tanto, ripeteva sempre a se stesso. Non sempre. Ogni tanto.
-Ti piace qui, Sam?- chiese, una volta, tanto per cambiare.
-Sì … insomma... - il bambino non
sapeva cosa rispondere. Aveva il terrore di sbagliare. Così
la prima volta rimase zitto, senza dire nulla, fissando i jeans che si
erano bagnati per un'onda più lunga.
-Ti piace questo posto, Sam?- chiese un'altra volta, solo per sapere.
-Sì- disse in quell'occasione, guadagnando un po' di fiducia
in sé; grattando via un po' di quella timida corazza che si
era costruito addosso.
-Perché?-
Allora non rispose. Rimase in silenzio. Di nuovo.
Passo quasi un anno prima che riuscisse a parlare di nuovo, sul molo.
-Perché?- ridomandò Joshua, gettando in acqua la
sigaretta, che subito si spense, in un ultimo sospiro fumoso.
-Bhé, ci sono i miei amici- borbottò, guardandosi
le mani sporche di tempera. Avevano fatto delle maschere oggi a scuola.
-E... ?-
Lo spiazzò. Sam guardò in alto, cercando di
capire il perché di quella domanda. Scrutò la
barba incolta del padre, provò ad afferrare le espressioni
nel volto, poi, sospirando, in un soffiò riprese.
-e... bhé... ci sono i miei amici e...- deglutì,
non sapendo come continuare. -E c'è la foresta. Ci vai mai
papà? È bella. Insomma... cioè... ci
giochiamo a nascondino. È divertente, ecco.-
Non sapeva cosa dire di più, così rimase in
silenzio. Sempre quel silenzio, notò il bambino, amareggiato.
A sette anni, il giorno del suo compleanno, il padre, eccezionalmente,
decise di tornare al molo.
Era stato un mese via, senza che nessuno sapesse dove né con
chi.
Joshua Uley stava facendo intendere che qualcosa sarebbe cambiato.
Quando si sederono di nuovo sulla banchina, per la prima volta, anche
Sam poté bagnare i suoi piedi nell'acqua, assaporando quel
momento come il più bello dei regali.
Il cielo era grigio e verso l'orizzonte si stagliava una minuscola
barchetta a remi, che qualcuno si ostinava a trascinare su quella
tavola che era il mare.
-Sai-, iniziò all'improvviso l'uomo, facendo trasalire il
bambino, troppo abituato al silenzio, -un giorno me ne
andrò, Sam. Andrò via. A vedere il mondo-
-E cosa c'è da vedere nel mondo?- domandò
l'altro, non capendo la necessità di allontanarsi dalla
piccola e sicura riserva; nucleo e culla di tutto.
-C'è il sole, Sam, a te non manca mai il sole?-
-Ma anche qua il sole c'è, papà, non si vede, ma
c'è- ribatté, lanciando uno sguardo verso l'alto,
verso l'ennesima nuvola massiccia, che non lasciava filtrare che pochi
raggi.
-Appunto. Dobbiamo vedere; dobbiamo scappare-
Detto ciò sospirò, accendendosi l'ennesima
sigaretta, portandosela alla bocca e poi spostandola, chinandosi un
po', per stringere con un braccio le spalle esili del figlio.
-Vuoi dirmi che non ti piacerebbe vedere dei grattacieli? O delle
cascate? O altri posti, altre città...-
-No- questa volta sembrava ben deciso a non dargliela vinta. Lui, alla
sua riserva, teneva.
E non gliene importava dei grattacieli, che grattassero pure il cielo,
per quanto gliene importava potevano pure farlo morire di solletico.
Tanto meno lo tangevano le cascate, tsè!, lui, che se
voleva, poteva saltare dal primo gradone della scogliera.
Joshua non continuò, questa volta fu lui a rimanere in
silenzio.
In lontananza, la nebbia inghiottì la barca.
Due mesi dopo partì.
La madre di Sam stava seduta sulle scale della veranda, disperata,
mentre Joshua caricava la sacca semivuota nel retro della macchina,
vecchia ed usurata.
Sam, immobile, lo fissava dal piccolo prato.
C'era un cielo plumbeo, ovattato, come se lo stesse proteggendo da una
caduta troppo pericolosa.
Il rumore del motore invase il silenzio che si era venuto a creare,
rotto solo dai singhiozzi della mamma.
Fu un attimo, e la foschia inghiottì anche lui, Joshua Uley.
E dietro Sam niente. Solo del cielo. Niente alberi, niente casa, niente
madre.
Niente.
Solo un cielo, un po' troppo plumbeo.
Ritornò alla banchina dopo qualche tempo: il muschio aveva
fatto qualche passo, rendendo le assi poco più verdi; il
mare, al contrario, era sempre lo stesso, immobile nel suo tumulto.
Si sedette, come sempre, questa volta solo; si arrotolò i
jeans e infilò i piedi nell'acqua.
Chissà, si domandò, chissà come sono i
grattacieli.
E le città e le cascate e le altre persone e i deserti e le
montagne di sabbia e tante altre cose.
Accanto a lui, un granchio pigro scendeva il palo per poi sparire,
avvolto dall'oceano scuro.
Forse erano più belle, si disse, per questo il padre era
partito.
Forse c'erano bambini più buoni, si convinse.
In lontananza, proprio come quella volta, un uomo, sempre lo stesso,
che percorreva la baia a bordo della sua barchetta.
Avanti ed indietro, faceva, tutti i giorni.
Era un anziano, di cui non conosceva il nome, che si diceva facesse
così per salutare entrambe le punte della baia, per salutare
il mare, il suo mare, quello della sua tribù.
Sam storse la bocca e sospirò affranto, confuso.
Quella mattina, all'alba, il postino consegnò la posta, come
sempre; senza sapere che, tra una di quelle lettere indirizzate alla
piccola casetta tra gli alberi, ce ne era una con Joshua Uley come
mittente.
Sam, non seppe neanche lui perché, decise di aprirla sul
molo.
Non diceva molto, solo: Congratulazioni
per il diploma. Sono … fiero.
Qui l'inchiostro era più scuro, come se si fosse bloccato e
questo avesse avuto tempo di coagularsi sulla punta della stilografica.
Scrisse solo questo.
Punto.
Niente di più, niente di meno.
Sam accartocciò il foglio e lo gettò al mare,
sorridendo, si raccomandò: -fallo sparire, te ne prego-
Questo, riconoscente a quel ragazzo, fece come suggeritogli:
ammollò la carta, la distrusse.
E Joshua Uley sparì, veramente.
Angolo autrice:
mi piace. Non ci posso fare niente; ma mi piace proprio. Saranno i
personaggi, sarà l'oceano, sarà il piccolo Sam
♥ Ma mi piace e mi soddisfa. Ogni tanto accade con le
proprie storie :)
Peccato che il contest non abbia preso il volo ._."
Comunque, ecco qui.
Non ho molto da dire, se non grazie a chi commenterà =)
Là
Notizia inutile: pomeriggio buttato.
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