Un giorno come un altro. Un giorno come tanti altri.
Akira si trovò per l’ennesima volta annoiato mentre, marinata la scuola, se ne tornava a casa portando la cartella
su una spalla, ripercorrendo a passo svogliato quella via che già mille e altre volte ancora aveva percorso.
Non trattenne uno sbadiglio intanto che si guardava intorno con finta non curanza. Gli venne quasi da ridere, quella era una vecchia abitudine proprio difficile d’abbandonare.
I sensi tesi, sempre allerta, pronti nel caso comparissero dei kokuchi, ma era inutile, perché non sarebbero mai comparsi, ormai era
un anno che non ve ne erano più, e quel giorno non sarebbe
stato diverso.
Già una anno, penso con un certo rammarico.
-Akira-kun…- lo chiamò una voce alle sue spalle.
Il ragazzo si bloccò di colpo e il suo cuore
sembrò fermarsi. Aveva riconosciuto quella voce, ma non
osò voltarsi. Rimase lì, immobile, chiedendosi se
ciò che aveva sentito fosse reale o no.
Fin troppe volte aveva creduto di udirlo, di avvertire la sua presenza, ma era solo un sogno ad occhi aperti, una semplice illusione sempre uguale. Quella voce lo chiamava e continuava a farlo, sino quasi ad urlare. Smetteva solo quando il ragazzo si voltava, per scoprire che, alle sue spalle, non c’era nessuno.
Anche sta volta era cosi?
Oppure era veramente lui?
Non voleva girarsi, aveva paura, non poteva sopportare che fosse di nuovo uno scherzo della sua mente,
-Akira-kun?- si ripeté la voce dello shin. Akira deglutì, non gli capitava spesso di
sentirsi cosi insicuro e a disagio, avrebbe voluto scappare, cosa nuova per lui, correre lontano, ma si trattenne. Non si sarebbe certo fatto comandare da delle voci nella sua testa.
Si voltò.
E gli si mozzò il fiato…
Davanti a lui, come in un flashback del loro primo in contro, c’era un uomo.
Vestiva interamente di nero, in contrasto con l’incarnato
candido/pallido del viso, simile al colore dei suoi capelli
bianco/argentei, raccolti in una lunga treccia che quasi toccava terra.
Solo i profondi occhi azzurro ghiaccio e le labbra sanguigne, erano gli unici sprizzi di colore in una figura che, altrimenti, sarebbe sembrata uscita da un film muto.
Aveva un aria distinta e pericolosa, con quel cappello che gli metteva
in una leggera penombra buona parte del volto e quel sorriso da pedofilo. Diventava poi ancor più sospetto se si conta che
ai suoi piedi non vi era alcuna ombra.
-Shi_ shirogane??- lo riconobbe subito
Akira, era trascorso più o meno un anno dal loro ultimo
incontro, ma ora che ce l’aveva davanti, non sembrava essere
passato un solo istante.
Calò un profondo silenzio fra i due, non sapevano cosa
dirsi.
Il tempo sembrò rallentare, scandito solo dal breve battito
d’ali di uno stormo di uccelli in lontananza, quel loro
mutismo sembrò durare un eternità, almeno fino a
che Akira non si ricordo di “come” si erano
lasciati, e arrossì peggio di un peperone.
Il ragazzo imbarazzato si voltò, ricominciando a percorrere
la via di casa,
-A- Akira-kun?- lo chiamò lo
shin per un’ultima volta.
Migliaia di volte si era immaginato quel loro incontro. Aveva temuto
che l’altro non accettasse di rivederlo, che non volesse
più rinunciare alla vita normale che, già in
precedenza, gli aveva portato via. Ora si chiedeva se fosse cosi.
Perché, se lo fosse stato, probabilmente Shirongene avrebbe
rinunciato. L’affetto che provava per lui, era tanto immenso
da far accettare allo shin anche una morte certa, che era
ciò che lo attendeva se si fosse ritrovato ad affrontare le
tenebre da solo.
Il ragazzo di fermò ma senza voltarsi,
-Su, forza. Andiamo a casa- disse
ricominciando a camminare. Shirogane si stupì cosi tanto a
quelle parole, che quasi non fece cadere l’inseparabile
bastone, ma poi un sorriso spontaneo si dipinse sulle sue rosse labbra.
Anche Akira sorrideva, la faccia nascosta quasi del tutto dai capelli perché l’altro non lo notasse. Era felice.
Gli era mancato l’eco dei suoi passi. Avvertire di nuovo la
sua presenza dietro le spalle era confortante, se lo shin non si metteva in testa strane idee.
Per tutto il tempo che erano stati lontani era come se gli avessero portato via qualcosa, e non si trattava dei combattimenti con i kokuchi, gli scontri con gli shin o cose simili. Era stato Shirogane a mancargli.
Semplicemente, era come se qualcuno gli avesse tolto l’ombra. Una cosa che può sembrare inutile e che, di certo, non è indispensabile, ma di cui senti la mancanza se non
c’è.
Questo era lo shin dai capelli bianchi per Akira, era la sua ombra, qualcosa di inseparabile e, anche se non è necessaria, da
cui non vuoi o non puoi separartene.
Nel silenzio di quel momento, mentre i due tornavano a casa, nella mente del ragazzo iniziarono a spuntare un milione di domande a cui, decise, si sarebbe fatto dare presto una risposta. Anche se sapeva che non sarebbe stato facile.
Per il momento però si accontento, godendosi quel momento,
sapendo che non sarebbe durato a lungo. Presto sarebbero iniziate nuove battaglie, si sarebbero moltiplicate le sfide e i problemi. E forse, quella guerra contro le tenebre avrebbe avuto fine, quale delle due parti avrebbe vinto, non era ancora dato saperlo.
Ma tutto ciò sarebbe arrivato dopo.
La sola presenza di Shirogane segnalava guai all’orizzonte,
lo sapeva.
I giorni noiosi erano di nuovo finiti. Ora ricominciava ciò
che, ormai, era diventata la sua vita.
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