A Bella.
Con i miei auguri, il mio affetto e le mie scuse per il ritardo. Ma io
volevo che tu avessi questa.
E nell’aria c’era odore di cenere.
[È in quelle fiamme
che mi dovete ricordare. […]
Ricordatevi di me,
ricordatevi di me, e dimenticate il mio destino.]
Le fiamme divoravano la
dimora della famiglia Phantomhive ed il loro fulgore scarlatto si
rifletteva nell’occhio blu che contemplava quello scempio.
E nell’aria c’era odore di cenere, di morte e di
legno che bruciava.
Quasi non riusciva a scorgere la finestra che dava sulla sua camera da
letto, il giovane conte, attraverso la coltre di fumo nero che
l’incendio esalava.
Studiava la sua casa morire una seconda volta ed era consapevole che
non sarebbe più risorta dalle sue polveri com’era
accaduto in passato, non adesso che non avrebbe più avuto
alcun erede da ospitare – non adesso che lui se ne stava
andando con lei.
Ad ogni passo, l’olezzo pungente del fumo gli corrodeva la
gola ed il suo vischioso color notte lo pervadeva, appiccicandosi ai
vestiti, alle ferite ed al sangue rappreso attorno ad esse al pari del
petrolio.
Si strinse negli abiti, sovrapponendo i lembi della giacca sul petto
nel gesto di proteggere l’anima che il suo corpo conteneva
– pur sapendo quanto fosse vano – e che
altrimenti Sebastian si sarebbe preso – oramai, quello spirito corrotto
era tutto ciò che gli rimaneva.
Quella notte ogni cosa avrebbe avuto fine – ricordava
perfettamente la sentenza di morte che Undertaker aveva pronunziato
sulla nave con la quale era giunto a Londra –, tuttavia
sarebbe stato il conte di Phantomhive ad orchestrare la propria
decadenza.
E desiderava fosse laddove meritava d’essere, in quello
studio che aveva visto la morte di suo padre e che avrebbe assistito
anche alla sua, a quella dell’ultimo del casato, e non nel
luogo che sarebbe stato il suo maggiordomo a scegliere per lui.
Desiderava essere ricordato in quelle fiamme ardenti e non a causa del
destino oscuro al quale era andato incontro.
Sputò uno schizzo di scarlatta linfa vitale, trascinandosi
faticosamente all’interno dell’edificio semi
distrutto dall’incendio. Nel guardarsi intorno riconosceva i
resti dei corridoi, del parquet, dei quadri e della mobilia, che
lentamente il fuoco si stava portando via – parimenti le mani
d’un demone che soffocavano un’anima nella loro
stretta.
E si sarebbe portato via anche lui, lasciando del suo corpo soltanto le
ceneri, mentre uno Shinigami l’avrebbe condotto
nell’aldilà – poco importava che non
avrebbe potuto avere accesso al Paradiso: quel che sarebbe bastato a
soddisfarlo era fare Scacco Matto anche in quell’ultima
partita e sfuggire alle dita di Sebastian che si protendevano con
bramosia nella sua direzione.
Infine varcò la soglia della stanza che stava cercando e
sentì il calore delle fiamme arrossargli le guance e le mani.
-Ah, conte. Siete arrivato, dunque-.
Undertaker lo attendeva accanto alla poltrona di velluto situata al
centro della camera ed appoggiava un braccio sul suo schienale in un
gesto di sornione rilassamento. Ciel ne intravvedeva a stento i
contorni indistinti oltre la parete di rosso e di nero che li separava.
D’improvviso scivolò su un ginocchio
nell’avvertire le gambe cedere sotto il suo peso e nascose la
bocca nella manica della giacca, tremando a causa dei violenti colpi di
tosse che lo scuotevano.
-Venite con me, caro conte. Non è in questo modo che dovete
morire, nevvero?-.
Udì a fatica la voce del becchino che lo chiamava e
percepì le sue dita dal tocco quasi impalpabile che lo
stringevano e lo conducevano più avanti, sino a quando il
fumo e l’incendio sembrarono d’un tratto svanire,
cacciati dal gelo che quelle mani emanavano.
Attraverso lo strato di torpore che gli aveva ottenebrato i sensi,
avvertì una presenza consistente sotto di sé e
contro la schiena, ma la debolezza lo incatenava sul posto e le ferite
avevano ripreso a sanguinare.
Stava morendo.
E non sarebbero state le parole dello Shinigami Leggendario a
trattenerlo in quel mondo, non sarebbe stato il dolore che gli
schiacciava la testa e nemmeno il sapere che Undertaker aveva ragione,
che non era in quella maniera che avrebbe dovuto abbandonare la vita.
Non così, non a pochi passi dal luogo ove meritava di
spegnersi in quanto ultimo della sua famiglia. Non con la
consapevolezza che, quando poi sarebbe stato ritrovato, chiunque
avrebbe ricordato soltanto il povero orfano capostipite dei Phantomhive
che non aveva avuto la forza di sopraffare il fuoco.
-Aprite gli occhi, mio giovane signore. Non posso accompagnarvi
nell’Oltretomba, non subito-.
Con lentezza, il nobile tentò di trovare un equilibrio nel
proprio respiro affannato e sollevò le palpebre, incrociando
lo sguardo placido del becchino. -C… come…?-
provò a domandare, levandosi a sedere, e nel raddrizzarsi
s’avvide che né al fumo né alle fiamme
veniva concesso di raggiungere e ghermire voracemente la piccola
sezione di stanza ove si trovava e che delle ferite che lo martoriavano
non erano rimaste che le cicatrici.
-Resterete in vita per un poco, giovane conte.- spiegò il
mietitore, accomodandosi su uno dei braccioli della poltrona sulla
quale lo aveva aiutato a sedere e circondandogli le spalle con un
braccio. -Non abbiate premura di donarmi il vostro squisito Cinematic
Record, è troppo cortese da parte vostra.- aggiunse in tono
ironico, incurvando gli angoli della bocca in un ghigno divertito.
Ciel arricciò le labbra in una smorfia nello scrutare il
viso del semi Dio sin troppo vicino al proprio e nel sentire il suo
respiro sulla pelle – il respiro della morte che lo
aspettava. -Se è davvero su di te che dovrei fare
affidamento come Dio della Morte, l’essere divorato da
Sebastian forse non sarebbe una prospettiva tanto peggiore.-
ribatté acidamente.
-È trascorso molto tempo dall’ultima volta che ho
svolto il mio compito di Shinigami, è vero, tuttavia credo
di riuscire a ricordare quale sia la via.- sogghignò
Undertaker in tono di beffardo scherno. -Non avete di che preoccuparvi,
non ho intenzione di commettere errori, non adesso che finalmente
potrò avere la vostra anima depravata e non limitarmi
più soltanto al vostro corpo.- soffiò in un
insinuante mormorio al suo orecchio, lasciando scivolare la lingua
sulla pelle pallida del suo viso.
Il ragazzino contrasse la mascella nel percepire quel muscolo orale che
si muoveva voluttuosamente su di sé, tanto insistente che
sembrava quasi volesse oltrepassare quell’involucro di carne
ed arrivare a carezzare il suo spirito. Poi replicò,
ostentando il consueto sorriso canzonatorio ed ignorando le allusioni
alle quali il semi Dio aveva accennato: -Tanto tempo, becchino? Sei
davvero sicuro di potere condurmi dove devo andare?-.
-Sì, sono passati tanti anni,- ribadì il
mietitore nell’assentire col capo -ma non posso certo
dimenticare un sentiero che si dipanava dalla vostra villa, mio caro
conte-. Ed increspò gli angoli della bocca in un ghigno
compiaciuto, contemplando l’occhio del nobile che si sbarrava
nel comprendere quelle parole. -Vostro padre è sempre stato
un uomo dannatamente divertente, signorino: la maschera di
bontà che indossava sopra il collare di cane da guardia
della Regina e che al contempo si rifletteva nel suo cuore mi ha sempre
fatto ridere. Il suo Cinematic Record è uno dei miei
preferiti: è un vero peccato che la direzione degli
Shinigami mi abbia impedito di tenerlo per me-.
Per un lungo momento, Ciel ricordò Vincent abbandonato su
quella stessa poltrona ed un se stesso più giovane che non
aveva altra possibilità se non quella di guardarlo morire e
non poteva scorgere il Dio della Morte che tranciava ogni legame della
sua anima con il corpo che l’incendio stava distruggendo.
-Avrai la mia catena di memorie.- disse infine, nuovamente presente a
se stesso, alle ultime mosse che doveva compiere sulla scacchiera,
all’ultima pedina che andava sacrificata – il re. -Temo dovrai
accontentarti-.
-Oh, è molto più di quel che potrei mai
chiedere.- assicurò Undertaker, levando una mano a sfilargli
la benda. L’abbandonò con noncuranza sul pavimento
e si specchiò in quell’iride screziata del viola
del Contratto che aveva iniziato a sbiadire, compiacendosi del sapere
che era a causa sua se quel simbolo stava lentamente svanendo.
Il giovane conte permise alle sue dita d’intrecciarsi ai
propri capelli – come tante altre volte avevano fatto nella
stanza fiocamente illuminata da una candela della dimora del becchino,
nella quale questi poteva avere un assaggio del delizioso tormento che
torturava lo spirito del ragazzino – e lasciò che
le palpebre calassero sugli occhi, cancellando l’immagine del
fuoco che aveva ripreso ad avanzare nella sua direzione.
-Che nessuno venga a sapere nient’altro che sono stato
divorato dalle fiamme, parimenti quanto avvenne a mio padre.-
ordinò in tono pacato. -Io ero destinato a morire sin dal
principio, ma non è questo fato insanguinato che voglio si
conservi come ricordo di me. Sarà il fuoco,
l’emblema della potenza, a decorare le memorie in merito alla
famiglia Phantomhive. Sono stato chiaro?-.
-Certamente, mio signore.- rispose lo Shinigami Leggendario, mentre i
tentacoli cremisi dell’incendio lo raggiungevano ed
avvolgevano la sua figura senza ferirla, quasi fosse stato un fantasma.
-E, becchino,- aggiunse il nobile, con la voce sempre più
indebolita dal fumo che di nuovo gli avvelenava i polmoni e lo
costringeva a tossire sin quasi a vomitare l’anima
– quale
macabra ironia -baciami. L’ultimo ricordo che ho
dei miei genitori è d’un bacio che mia madre diede
a mio padre la notte della loro morte e voglio che la mia fine si
compia nel medesimo modo-.
E quando infine le fiamme giunsero al suo corpo e lo catturarono con i
loro artigli, avvertì lo Shinigami che si tendeva verso di
lui, le sue mani ardenti di fuoco che si insinuavano sotto la camicia,
sul suo petto, e gli ustionavano la pelle all’altezza del
cuore, e poi le sue labbra roventi sulle proprie, che si nutrivano del
suo ultimo respiro.
Infine precipitò in un tenebroso nulla che lo
svuotò d’ogni sensazione e credette che la morte
fosse soltanto quell’interminabile cadere senza mai toccare
terra ed a poco a poco perdere coscienza di se stessi, sino a divenire
niente più che un frammento dello spirito che si era stati.
Nel sentire la mano del Dio della Morte che stringeva la sua, tuttavia,
comprese che quel suo sprofondare nell’oscurità
era terminato, sebbene non avesse mai urtato contro una qualunque
superficie, e che si trovava in posizione eretta, benché non
si fosse mai realmente alzato dal suolo.
-Camminiamo, conte.- l’incalzò il semi Dio,
accennando col capo a qualcosa che sembrava galleggiare
nell’oblio innanzi a loro.
Mentre ascoltava il silenzio dei loro passi che si susseguivano su di
un pavimento inesistente, Ciel vide delle immagini che con lentezza si
sostituivano alle tenebre: schegge del suo passato incise su una
pellicola che scorreva e si avviluppava a spirale
tutt’attorno al loro percorso.
-È il Cinematic Record?- chiese, per quanto non necessitasse
sul serio d’una risposta, nell’allungare un braccio
sin quasi a sfiorare la parete di ricordi.
-Non toccateli.- lo avvertì Undertaker. -Se doveste
sfiorarli adesso sconvolgereste l’ordine che stanno cercando
di stabilire e che si concretizzerà nella forma
d’un libro. È pericoloso: potreste smarrire parte
della vostra anima e non essere in grado di andare oltre questo
corridoio.- spiegò in tono serafico, accompagnandosi ad un
sogghigno nell’osservarlo ritrarsi.
Accostandosi alle indistinte sagome sospese nel vuoto, il ragazzino
riconobbe in esse tre porte d’anonima fattura d’un
semplice color legno.
Poi lo Shinigami si fermò innanzi ad esse e
lasciò la sua mano; per un istante il conte ebbe la
sensazione di precipitare di nuovo, ma sembrò trovare una
sorta d’equilibrio – non che fosse semplice
stabilirlo, dal momento che non aveva terra sulla quale poggiare i
piedi – e domandò, studiando i battenti: -Dove
conducono?-.
-Inferno, Purgatorio e Paradiso.- rispose il mietitore, picchiettando
la lunga unghia nera dell’indice su ognuna delle porte. -La
soglia che dovrete oltrepassare è decisa, mio caro conte, ed
anche voi ne siete a conoscenza-.
Ciel lo aveva saputo dal principio, da quando aveva deciso di vendere
la propria anima al diavolo, e non aveva mai avuto timore del destino
che l’attendeva dietro quel rettangolo scuro.
Ed ora, tuttavia, ora che avrebbe dovuto varcare
quell’ingresso per non uscirne mai più, esitava.
Nel guardarsi intorno riconosceva nelle sue memorie le persone che
avrebbero custodito nel cuore il suo ricordo e d’improvviso
si rendeva conto che non avrebbe mai potuto tornare indietro.
-Non potrò incontrarti mai più, nevvero?- chiese.
-No, conte. Non ci è permesso entrare nei Regni destinati
agli spiriti dei mortali. Io posso solo accompagnarvi.- disse il Dio
della Morte. Increspò le labbra in un sorriso di scherno ed
aggiunse con fare beffardo: -Non vorrete insinuare che sentirete la mia
mancanza, per caso?-.
-Non è questo.- sbottò il nobile, aggrottando la
fronte in un’espressione irritata. -Se te ne andrai, porterai
con te il mio Cinematic Record, non è forse
così?-.
-Dovete essere spogliato di tutto ciò che riguarda la vostra
vita terrena per poter cominciare una nuova esistenza ed espiare i
vostri peccati.- assentì il semi Dio. -Dimenticherete anche
il vostro nome, una volta aperta la porta. Non esistono conti di
Phantomhive o Regine d’Inghilterra, nei Regni
dell’Oltretomba: esistono semplicemente le anime
dell’Inferno, del Purgatorio ed i Beati del Paradiso. Non
è necessario alcun titolo per subire la propria punizione
oppure tentare di raggiungere i Cerchi Angelici ed essere ammessi al
cospetto della Luce Divina-.
-Mi hai preso in giro, becchino.- ribatté il conte in tono
accusatorio. -Come pensi che potrò accertarmi che manterrai
il giuramento in eterno, se non mi sarà possibile ricordare
che genere di giuramento fosse, né che sia mai esistito?-.
Celava al di là della consueta maschera l’indugio
che provava nel lasciarsi alle spalle la persona che era stato, come
aveva vissuto e coloro con i quali aveva condiviso quella vita, per
quanto breve – e
dove avrebbe trovato la motivazione per accettare la punizione che gli
sarebbe stata assegnata per le sue colpe, se non avesse più
saputo quali erano state né avesse conosciuto il significato
del loro peso sulle spalle?
Undertaker ghignò, divertito. -Non cambiate nemmeno nella
morte, giovane conte. Siete quantomeno esilarante.- affermò
con la voce dalla quale traboccavano risate. -Ve lo prometto,
terrò fede al nostro accordo in nome dell’anima
che mi avete concesso. Non permetterò che il casato dei
Phantomhive venga ricordato in nessun altro modo se non nella grandezza
del fuoco nel quale è bruciato.- giurò,
accennando una canzonatoria imitazione dell’inchino nel quale
era solito esibirsi Sebastian. -Ma ora è tempo che andiate:
non dovete trattenervi troppo a lungo nel vestibolo dei tre Regni,
altrimenti perderete coscienza di voi, che è tutto
ciò che vi rimarrà dall’altra parte, e
poi vi smarrirete nel baratro che avete sperimentato poco fa-.
Ciel si limitò ad una smorfia, consapevole che non avrebbe
potuto ottenere di più da un essere estraneo al Paradiso ed
all’Inferno e superiore alle creature mortali qual era lo
Shinigami – il quale, se si fosse sul serio impegnato nel
mantenere la promessa, l’avrebbe fatto unicamente per il
proprio personale diletto.
Rivolse un ultimo sguardo alla pellicola che rappresentava la sua
intera esistenza e ad ognuno dei visi dei quali era costellata,
soffermandosi in particolare su quelli dei genitori, che lo stringevano
amorevolmente a loro nel letto matrimoniale, ed infine
avanzò in direzione del battente indicato come ingresso
dell’Inferno senza più voltarsi indietro.
-No, conte.- lo fermò inaspettatamente il Dio della Morte,
soffocando una risata dietro la mano ossuta, mentre la porta si
ritraeva dalle dita tese del ragazzino e, acquistando sempre maggiore
rapidità, spariva alla vista inghiottita dal buio. -Non
è quella la via scelta per voi-.
-Com’è possibile?-. Il conte arretrò
d’un passo, scoccando un’occhiata incredula agli
ultimi due battenti rimasti. -Eppure io ho deciso di cedere il mio
spirito ad un demone per poter sporcarmi dell’omicidio di chi
ha infangato il mio nome. Sapevo a che cosa mi avrebbe portato, sapevo
che il Paradiso mi sarebbe stato precluso-.
-Questo non l’ho mai negato.- fece notare il semi Dio,
incapace di celare l’eccesso di risa del quale era divenuto
preda. -Oh, siete troppo divertente nella vostra umana
cecità! Non esistono solamente bianco e nero, conte:
talvolta, capita che un’anima si macchi di grigio e debba
impegnarsi per lavare quei peccati e scalare la rupe che la
condurrà alla salvezza. È un privilegio concesso
a pochi, il Regno del Purgatorio: spero sarete capace di fare uso al
meglio di questa seconda possibilità.- disse, sospingendolo
innanzi la porta che si trovava a metà della distanza fra
quella dell’Inferno e quella del Paradiso.
-Tu credi che io sia meritevole d’una simile
opportunità?- domandò il nobile.
-Non spetta a me prendere tali decisioni,- replicò il
becchino, distendendo gli angoli della bocca in un ghigno enigmatico
-tuttavia voi siete sempre stato troppo gentile per appartenere
all’Inferno-.
Il giovane Phantomhive inarcò un sopracciglio in
un’espressione stizzita; ed avrebbe ribattuto con asprezza,
se Undertaker non avesse intrecciato le dita alle sue
nell’atto di guidarle nel girare la maniglia.
-È molto tardi, caro conte. Vi staranno aspettando.-
sussurrò al suo orecchio in tono di congedo mentre il
battente scivolava silenziosamente sui cardini.
Ciel indirizzò un’ultima occhiata alle proprie
spalle e per un fugace momento poté scorgere, oltre lo
Shinigami, il Cinematic Record che convergeva in un unico punto,
scorrendo con tanta rapidità da non permettergli di
distinguere nient’altro che un vago mescolarsi di colori.
Infine varcò l’uscio ed avvertì il
tocco gelido del Dio della Morte che lo abbandonava per
l’eternità.
Il mietitore studiò la sua schiena che si allontanava sino a
quando il legno della porta che nuovamente si chiudeva non glielo
impedì, poi si voltò e si chinò a
raccogliere il volume che giaceva sospeso nel nero vuoto
dell’anticamera dell’aldilà. Lo
soppesò pensosamente, meravigliandosi di quanto fosse
consistente malgrado i soli tredici anni che racchiudeva.
-Sì, conte,- mormorò fra sé nel
tracciare il profilo delle eleganti lettere che componevano il nome di
Ciel Phantomhive sulla copertina -spero davvero che utilizzerete il
dono che vi è stato fatto: sarebbe un peccato, invero,
sapervi consumato dalle fiamme dell’Inferno-.
E nell'aria c'era odore di cenere,
di Saeko no Danna
Correttezza grammaticale
e sintassi: 10 punti
Stile e lessico: 10
punti
IC dei personaggi: 10
punti
Originalità: 9,6
punti
Giudizio
personale: 4,9 punti
Totale: 44,5
punti
Commento della giudice: Storia
a un passo dalla perfezione sotto ogni punto di vista, dico davvero!
Nessun errore di grammatica, dimenticanza o imprecisione; struttura
sintattica invidiabile e ottima padronanza della lingua italiana, che
ti hanno valso punteggio pieno nei primi due metri di giudizio.
L’IC dei personaggi (tuo maggior cruccio, da quanto hai
specificato nelle note) è mantenuto in maniera sublime,
tanto che, nel leggere, mi è quasi parso di vedere i
personaggi interagire dinanzi ai miei occhi.
L’originalità, infine, è ottima
sì, ma non ha punteggio pieno, dacché, da una
storia così sbalorditiva qual è stata la tua, mi
sarei aspettata qualcosa di più che una semplice (da non
considerarsi una svalutazione, assolutamente, anzi) ma ben strutturata
ed elaborata What if…?
Note varie pre-contest:
Vi è un piccolo riferimento ai capitoli del manga, nei quali
si racconta che l’ultima volta che Ciel dormì con
i genitori fu la notte dell’incendio a Villa Phantomhive
– sempre a questo riguardo, ti rimando alla parte in cui il
conte guarda il suo Cinematic Record prima di prepararsi a varcare la
Porta dell’Inferno e rivede i volti dei genitori nel ricordo
del suddetto episodio.
Inoltre, secondo il manga Ciel è asmatico, perciò
resiste molto meno della gente comune nel respirare il fumo
d’un incendio.
Infine, la parte a proposito del Regno dell’Oltretomba
– nonostante alcuni palesi riferimenti ai tre Regni Danteschi
– è totalmente inventata da me; in più,
l’ultima frase di Undertaker si riferisce ad una mia
personale idea: se uno non si impegna nel Purgatorio,
anziché riuscire a scalare il monte e giungere al Paradiso,
scenderà sempre più giù sino ad
arrivare all’Inferno.
Note varie post-contest:
Sono stra, super, extra, contentissimamente contenterrima, lo devo
ammettere.
Ci tenevo parecchio, a questa fanfiction, un po' perché
è un regalo per una persona che si è resa
speciale in poco tempo, un po' perché è
Undertaker x Ciel, un po' perché è molto triste,
un po' perché parla dei Regni dell'Oltretomba, un po'
perché sì,
e sapere che è arrivata prima ad un concorso dalla traccia
davvero splendida... mi fa venire le farfalle nello stomaco,
sì XD.
Bon, poi nient'altro da dichiarare, se non che inserirò il
banner fatto da Elos
appena verrà postato - quello del Premio IC l'ha fatto la
giudice in persona: ancora grazie per tutto <3 - e che voglio
congratularmi con le altre partecipanti: è stato un piacere
concorrere con voi.
I commenti sono graditi; ah, se passate, fermatevi pure per un the dal
becchino <3.
Chu.
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