Era
sdraiata su quel pavimento tanto rigido e freddo, sola come un cane.
Sì,
proprio come un cane. Uno di quei cani che si vedono per strada e
suscitano pietà nella gente, con il loro pelo tutto
spelacchiato e le numerose ferite presenti.
Ferite
dolorose, per giunta. Ferite sanguinanti che non si possono
cancellare, e mai si cancelleranno.
Le
gambe tremavano per le fitte. Alla fine era sempre stato così.
Lei era condannata alla solitudine. L'avrebbe accompagnata fino al
letto di morte. I colpi alla porta arrivavano a pulsare nei suoi
nervi, come tormenti incessanti.
“Misuzu,
apri!” protestò Yukito senza capire.
Non
aveva neanche la forza per rispondergli, per dire qualsiasi cosa.
E
chi poteva capire, poi. Era considerata una pazza, e forse chi la
giudicava così non aveva tutti i torti. Non avrebbe mai dovuto
far coinvolgere Yukito, era un bravo ragazzo e non se lo meritava.
Il
sangue premeva nelle tempie, poteva sentire il battito rapido e
irregolare persino senza toccare le vene. Sarebbe passata anche
questa, avrebbe voltato pagina anche questa volta.
Per
quanto quella pagina fosse pesante e lei non avesse la forza per
farlo, l'avrebbe fatto comunque. Lei era forte, e doveva comportarsi
da tale.
Dannata
lei, poi. Davvero era stata così cattiva? Cosa aveva fatto per
meritare tutto questo?
No,
di amici non ne poteva avere, se ci teneva alla sua vita. Perché
chi diventava suo amico prima o poi sarebbe stato coinvolto nella sua
malattia, e mai ne sarebbe uscito, se non con l'abbandono.
Un
abbandono ormai perenne. Tutti l'abbandonavano, ma lei non voleva
mai farne vedere i segni. L'importante era sorridere, sempre e
comunque. Dopotutto, le persone allegre danno anche più
nell'occhio. Ed eccola ancora a pensare a come farsi notare. No. No.
Doveva smetterla.
Yukito
continuava a dare colpi alla porta, ed ogni colpo era una stretta al
cuore. Era talmente doloroso che ormai si ritrovava rannicchiata per
terra, in attesa che tutto finisse.
Un'attesa
che sembrava interminabile, perché Yukito continuava a
colpire, il sangue continuava a premere, le fitte insistevano sempre
di più, i dolori laceranti non cessavano.
Ma
prima o poi sarebbe finito tutto. Yukito si sarebbe arreso, la
circolazione del sangue avrebbe ripreso un ritmo normale, le fitte si
sarebbero attenuate e il dolore sarebbe sparito.
Non
ci sperava più nella possibilità di curare le cicatrici
impresse nel cuore, quelle non sarebbero mai sparite. Ma l'importante
in quel momento era che tutto finisse.
Tutto.
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