OS testimone
Una luce forte e fastidiosa mi ferì gli
occhi, ancora troppo annebbiati per permettermi di vedere bene, senza
contare che la mia capacità di concentrazione era ridotta al
minimo.
Qualcosa mi aveva svegliato: un rumore fastidioso che mi aveva
strappato da un bel sogno, irreale ma decisamente meraviglioso.
Un ronzio continuava a tormentarmi le orecchie, stridendo e facendomi
infastidire ogni secondo di più; allungai una mano alla mia
destra ed afferrai il responsabile: uno scatto secco dello sportellino
e aprii la conversazione.
“Pronto.” Mi uscì un tono scocciato e
strascicato ma decisamente rabbioso.
“E’ tardissimo! Dove sei?” Il mio
timpano ne aveva sentite di peggiori, una tromba da stadio ad
esempio… ecco, giusto quella.
“Che ore sono?” Non avevo la forza di aprire
definitivamente gli occhi e guardare la radiosveglia.
“Sono le dieci cazzo! Tra due ore dobbiamo essere in
Chiesa!” Ecco la parola magica che mi fece svegliare del
tutto.
“Merda!” Consapevolezza e prime avvisaglie di senso
di colpa.
“Ecco appunto! Muoviti!” Click. Fine della
chiamata, ritorno alla realtà.
Realtà, bella parola, anzi no… tremenda parola.
E’ difficile distinguere i sogni dalla vita vera, soprattutto
appena svegli ma, appena la coltre di nubi e di appannamento si
dirada… spuntano i casini.
“Mhm…” Un gemito accanto a me, un
movimento nelle lenzuola, un corpo caldo accanto al mio.
Avevo un terrore atroce di girarmi, codardo e coniglio che non ero
altro; ma il mio collo, come in preda ad uno di quei torcicollo
spaventosi, non ne voleva sapere di girarsi.
Se avessi guardato avrei avuto la conferma di aver fatto un tremendo
errore, quindi preferivo negare l’evidenza.
3, 2, 1. Al tre mi
giro… 1, 2, 3.
Sono morto.
Lei, era lei, ed era nuda.
Il sogno non era un sogno. Io e lei, noi avevamo fatto
l’amore quella notte.
Un flash e tutto tornò nitido nella mia mente: suoni,
colori, profumi e sensazioni.
Quanto avevamo bevuto? Non mi sembrava di aver esagerato, non avevo
nemmeno il mal di testa cronico tipico del dopo-sbornia.
E come avevamo fatto a finire lì allora?
“Domani è il gran giorno.” Le avevo
detto, accompagnandola alla porta della sua stanza.
Eravamo nell’albergo sul mare che ospitava tutti gli invitati
al matrimonio e, quella sera, avevamo cenato insieme per salutarci e
ricordare un po’ insieme quegli ultimi anni; non era nemmeno
mezzanotte ma non potevamo fare tardi, nessuno avrebbe apprezzato le
occhiaie proprio quel
giorno.
“Già…” Aveva annuito mentre
infilava la tessera magnetica nella porta e la apriva.
“Preoccupata?” Improvvisamente la sua
ilarità di poco prima era svanita.
“Un po’…” Mi aveva sorriso,
inclinando il viso per guardarmi in quel modo buffo che faceva solo lei.
“Vuoi parlare un altro po’ così ti
calmi…?” Primo tragico errore.
“Volentieri!” Come pentirsene in quel momento,
vedendo il suo viso rianimarsi.
E poi… seduti sul divanetto accanto al letto,
improvvisamente, erano affiorati i veri dubbi.
Probabilmente sono la normalità per chi sta per compiere un
passo così importante, come quello di legarsi a vita ad
un’altra persona.
“Io ho paura che mi abbia tradita e che continuerà
a farlo.” Ecco il bandolo della matassa.
“Cosa te lo fa pensare?” Avevo poggiato il Bacardi
che stavo sorseggiando per concentrarmi su di lei.
“Ho ricevuto uno strano messaggio l’altro
ieri…” E aveva chinato il capo, imbarazzata.
“Che tipo di messaggio?” Mi ero subito allarmato,
erano giorni che l’avevo raggiunta per starle vicino prima
delle nozze e non me ne aveva ancora parlato.
“Pensavo ad uno scherzo, non gli ho dato peso… mi consigliava solo di
stare attenta a dove passa il tempo il mio futuro
marito…” Era a disagio, come se stesse ammettendo
una sua debolezza, l’aver ceduto a voci inconsistenti e
maligne.
Deglutii e ragionai su cosa dirle, non era semplice perché
ero prevenuto, avevo dei pregiudizi sul suo fidanzato e non me
l’ero mai sentita di rivelarli proprio a lei.
“L’invidia è una brutta
bestia…” Mi ero appigliato a quanto di
più banale avessi mai potuto trovare.
“Tu quindi pensi che siano voci prive di
fondamento…?” C’era una scintilla di
speranza nei suoi occhi e io mi ero sentito invadere dal terrore di non
sapere che strada prendere, verità o bugia a fin di bene?
Avrei dovuto rovinarle la notte prima delle nozze confessandole quella
che era solo una sensazione e nulla di più? No, non avrei
mai potuto farlo.
Ero fuori tempo massimo e ne ero conscio.
Secondo grave errore: preferire la via più comoda alla
verità.
Credendo di averla rassicurata mi ero accinto a salutarla,
abbracciandola e dandole appuntamento all’altare il mattino
successivo; sarei stato al suo fianco a fare il mio buon dovere di
testimone della sposa.
“Posso chiederti una cosa…?” Mi aveva
incuriosito terribilmente con quella sua domanda, fatta a bruciapelo
proprio quando stavo per uscire dalla sua stanza.
“Certo, dimmi.” Mi sentivo già
sufficientemente in colpa per non averle detto ciò che
pensavo veramente, quindi avrei acconsentito a qualsiasi sua richiesta.
“Io… Niente, lascia stare.” Aveva
distolto lo sguardo, scacciando con la mano ciò che stava
per dire, come se stesse allontanando un fastidioso insetto.
“Dimmi pure, qualsiasi cosa sia; è la notte prima
del tuo matrimonio, hai diritto ad un ultimo desiderio… Come
i condannati a morte.” L’avevo fatta sorridere con
il mio paragone scemo.
La tensione si era smorzata, portandola così a prendere
coraggio ed a parlare. “Io… vorrei…
baciarti.” Tutto mi sarei aspettato, tranne quello.
“Come scusa?” Volutamente non mi ero sforzato di
capire, né tantomeno di ascoltare quella vocina che mi
diceva: “Fallo, sei sempre stato curioso anche
tu…”
“Domani mi sposo…” La sua era stata una
non-risposta ma il suo intento era stato certamente quello di calcare
sulla faccenda “ultimo desiderio”.
Un bivio di quelli semplici ma insidiosi, un bacio non sarebbe stato
nulla ma poteva anche divenire tutto; d’altra parte il mio
istinto mi spingeva a farlo, perché in tanti anni di
amicizia non c’era mai stato modo e non avevamo nemmeno
voluto né permesso che ci fosse.
Mi ero avvicinato a lei, fissandola per capire la profondità
del suo desiderio e le conseguenze che avrebbe potuto generare, ma non
ero mai stato abile nel leggere le persone.
“Sei sicura?” Era decisamente meglio chiedere, per
togliersi il dubbio o, quantomeno, mettersi la coscienza a posto.
“Sì… sono…
curiosa….” Motivazione assurda ma non pericolosa,
in fin dei conti.
Curiosità, banale curiosità… Non
c’era mai stato contatto fisico tra di noi, aldilà
di qualche abbraccio sempre poco espansivo, inconsciamente volevamo
evitare di sentirci anche solo lontanamente attratti l’uno
dall’altra.
“Ok…” Mi ero sentito un idiota in quel
momento, ed ero anche tremendamente in imbarazzo.
Era rimasta a fissarmi, in attesa, mentre io attendevo un segno divino,
stupidamente.
Un bacio leggero, giusto di qualche secondo, così ci
toglievamo la curiosità, qualcosa di affettuoso, per
augurarle una stupenda vita matrimoniale… Ecco quello era il
mio piano, ma i piani spesso sono lontani anni luce dalla loro
realizzazione.
Appena le sue labbra erano entrate in contatto con le mie ero stato
stordito dalla loro consistenza, dal loro calore e sapore;
d’istinto l’avevo avvicinata a me e lei si era
stretta al mio corpo.
La ragione urlava: ok, fine dei giochi, è ora di staccarsi.
Ma chi dà ascolto alla ragione in certi casi? Non io e
nemmeno lei.
Niente di compromettente comunque, una lenta danza di labbra e un
abbraccio nemmeno troppo intimo… sul momento.
Eravamo su un elastico che si stava tendendo sempre più,
vicino al punto di rottura, un punto di rottura che era giunto quando
il bacio si era approfondito.
Da lì in poi non fui nemmeno in grado di ricostruire cosa
successe veramente; ricordavo le sue mani stringermi i capelli mentre
le mie le accarezzavano la vita, ricordavo il suono delle nostre labbra
quando si staccavano e si riunivano subito dopo, rilasciando uno
schiocco ed un gemito.
Ricordavo la mia eccitazione crescere, il suo corpo stuzzicare il mio
ad ogni movimento con una sensualità disarmante ma naturale,
limpida, come era sempre stata lei.
Ricordavo il barlume di ragione che mi aveva investito, dopo aver visto
un lampo di dubbio riflesso nei suoi occhi, ma l’avevo
ignorato ed avevo continuato a spogliarla.
Ricordavo la sensazione delle lenzuola fresche e le miriadi di inutili
cuscini d’arredo gettati sul pavimento.
Ricordavo lei, il suo corpo nudo, il mio corpo nudo e il momento in cui
eravamo diventati un unico
corpo nudo.
Era stato passionale, eccitante, appagante, indescrivibile e mi aveva
rapito ogni senso e ogni pensiero; ogni infinitesimale piccolo
dettaglio che mi aveva attirato di lei in quegli anni, e che avevo
sempre scacciato, era riapparso amplificato mille volte e divenuto
impossibile da ignorare, non quando la vedevo ansimare sotto di me e
mordersi il labbro in preda al piacere.
Non parlammo mai, ad eccezione di un’unica mia domanda e di
un’unica sua preghiera.
“Sei sicura?” Le avevo chiesto, nuovamente, quando
ci eravamo ritrovati uno sull’altra nudi tra le lenzuola; era
bastato un suo piccolissimo cenno affermativo per togliermi ogni
preoccupazione, non ero mai stato così egoista
ma… Dio, ormai la desideravo tanto da stare male, arrivati a
quel punto.
“Dimentica tutto, ti prego…” Aveva
sibilato, ansimando, a pochi secondi dall’orgasmo.
Non avevo risposto subito, dovevo ancora prendere cognizione di cosa
era successo e delle conseguenze che avrebbero bussato alla porta entro
pochi secondi.
“Io…” Non ero riuscito a parlare, non
sapevo che dire, non sapevo se sentirmi in colpa e se scusarmi, non
sapevo se dovermi pentire di una delle notti migliori della mia vita.
Non mi aveva dato il tempo di parlare, si era alzata ed era andata in
bagno, in silenzio, infilandosi velocemente la vestaglia.
Mi ero sistemato alla meno peggio e mi ero rivestito, pronto ad
andarmene e, probabilmente, ad ubriacarmi per non dover pensare.
“Non te ne andare…” Era ricomparsa dal
bagno e il suo sguardo era neutro ed insondabile; non ero abituato a
non capire nemmeno che genere di sentimento provasse, ma mi stava
volutamente tenendo fuori dai suoi pensieri.
“Ok…” Perso per perso…
Si era avvicinata e mi aveva abbracciato stretto, con una forza che
avrei definito quasi sofferenza.
Quando ci eravamo staccati, qualche secondo dopo, le avevo lasciato una
lieve carezza sul viso ed ero andato in bagno; mi facevo talmente
schifo che non ero riuscito nemmeno a guardarmi allo specchio.
Ero poi tornato in camera trovandola già addormentata, o
almeno così credevo.
La soluzione più logica sarebbe stata quella di andarmene ma
di logico quella notte non aveva ormai più nulla; mi ero
nuovamente spogliato e mi ero sdraiato accanto a lei, sussultando nel
trovarla completamente nuda.
Io, che avevo sempre cercato di tenere a bada i miei istinti, mi ero
ritrovato a desiderarla in un modo indescrivibile e decisamente
sconveniente.
Mi ero steso supino nel buio, in silenzio; improvvisamente si era mossa
venendo a rifugiarsi contro di me, schiacciando il suo corpo
completamente nudo contro il mio fianco e mettendo il mio, ormai
scarso, autocontrollo a dura prova.
“Che cosa…?” Avevo provato ad
articolare, dovevamo parlare e doveva esserne consapevole anche lei.
“Non… non chiedermi nulla. Voglio solo restare
qui, con te…” Aveva sussurrato, stringendosi
ancora di più al mio corpo, come temendo che volessi
andarmene.
“Va bene…” Mi ero arreso,
perché in realtà non sapevo nemmeno io che cosa
dire ed era più comodo fingere, dimenticare.
Comodo ma non semplice né logico… Non dal momento
che ci eravamo addormentati così, stretti, vicini e
completamente nudi.
La vidi muoversi leggermente, si stava svegliando ed io mi ero perso a
ricordare, rimanendo imbambolato a fissarla; agii d’impulso e
sgusciai fuori dal letto, agguantando i vestiti.
In due minuti ero già sulla porta, mi girai un secondo, in
tempo per vederla alzare il capo e rivolgerlo al posto vuoto accanto al
suo, e poi scappai.
Sì, scappai di fronte alla responsabilità di
ciò che avevo fatto, di ciò che avevo permesso
capitasse.
Mia cugina, che era infuriata per il ritardo, continuò a
riprendermi allo sfinimento e, nel suo fiume in piena di parole, captai
qualcosa di anomalo, riferito al fatto che “non riuscissero a
trovare la sposa”.
Fui io a sciogliere il dubbio sul numero giusto della sua stanza,
erroneamente riportato dalla direzione dell’albergo,
disorganizzato forse a causa della nuova gestione; nessuno mi chiese
come facessi a saperlo, io ero l’amico
dell’università, quello che c’era sempre
stato e del quale nessuno dubitava.
“Ma che hai fatto stanotte? Hai una cera
tremenda…” Osservò la mia loquace
cugina mentre mi sistemava il nodo della cravatta, a suo dire storto.
Non avendo una ragazza in quel momento avevo chiesto a mia cugina di
accompagnarmi al matrimonio; forse se fossi stato occupato non avrei
commesso quell’imperdonabile errore… o forse non
sarebbe cambiato nulla, non potevo saperlo.
Ero nervoso ed inquieto mentre aspettavo il fatidico momento, fuori
dalla porta della piccola cappella addobbata e sistemata appositamente
per il matrimonio.
Avevo sorriso con sforzo ai genitori della sposa, sentendomi un
traditore della peggiore specie, ed ero stato di pochissime parole con
amici e conoscenti.
Nei confronti dello sposo, per quanto mi stesse antipatico, mi sentivo
un verme e non osavo nemmeno guardare nella sua direzione.
Arrivò l’auto e lei scese, bella come una dea ed
io mi sentii malissimo.
Cos’era stata quella notte tra di noi? Una scappatella
prematrimoniale? Una notte di puro sesso per divertimento? Per me non
lo era stato… con lei ero sempre stato benissimo, tanto che
a volte avevamo scherzato sul fatto di poter diventare una coppia un
giorno.
Ma semplicemente non era successo, non eravamo mai stati liberi nello
stesso momento e non ci eravamo mai spinti oltre il confine, mai,
nemmeno una volta… prima della notte precedente.
Come sarebbe stato provare a stare con lei? Non lo avrei mai saputo
perché lei si stava per sposare; improvvisamente,
mi sentii invadere da uno strano tormento.
Se non eravamo stati insieme così doveva andare, cercai di
convincermene; non potevo farmi venire il dubbio per uno sfizio,
proprio all’ultimo secondo.
Dovevo accettare l’errore e dimenticare, come mi aveva
chiesto lei; se fossimo stati d’accordo su quel punto sarebbe
andato tutto bene.
Senza rendermene conto mi lasciai trascinare dal fiume di parenti
stretti che andava a salutare la sposa e mi ritrovai di fronte a lei.
Mi guardò con una profondità che mi
annichilì, dritto nel fondo dell’anima; la
abbracciai un po’ rigido e, senza riuscire a fermarmi, le
sussurrai: “Sei pentita?”
“No…” Un debole sussurro, talmente
debole che pensai di essermelo immaginato.
Volevo chiederle altro ma il tempo era tiranno e mia cugina mi
trascinò all’interno, dove avremmo atteso
l’inizio della cerimonia.
La marcia nuziale suonò come una marcia funebre nelle mie
orecchie, cominciai a sudare freddo e cercai di allentare il colletto
della camicia, sentendomi quasi soffocare.
Ogni passo che faceva, avvolta nel candore di un abito che quasi mi
abbagliava, era un respiro che mi veniva sottratto, al punto che
cominciai a temere di non avere più aria nei polmoni.
Sorrideva ma era un sorriso tirato, o forse era la mia immaginazione
che la voleva tesa quanto me.
Arrivò a pochi passi da me, accanto al suo futuro marito;
non vedevo nessuno, né suo padre che
l’abbracciava, né sua madre commossa in prima
fila, né il suo consorte che le alzava il velo.
Vedevo solo lei, la fissavo senza riuscire a staccarle gli occhi di
dosso e speravo che mi guardasse, lo speravo così tanto che
sospirai di sollievo quando lo fece.
Ma arrivò però, insieme al suo sguardo, anche il
colpo finale: mimò qualcosa con le labbra, guardandomi
preoccupata.
Le vidi muoversi talmente al rallentatore che avrei messo la mano sul
fuoco sulla parola che stavano pronunciando in silenzio. Perdonami.
Perdonarla? Di cosa? Della notte o del fatto che si stesse per sposare?
La ragione propendeva per la prima ipotesi, mentre il mio istinto, o
forse il mio cuore, per la seconda.
Mi immobilizzai, desiderando scappare da quel posto e da lei, ma non ne
ero capace.
Perché le volevo troppo bene, veramente tanto, e
perché non riuscivo a togliermi dalla mente le immagini di
quella notte.
Non era stato solo sesso, sapevo distinguere il coinvolgimento
prettamente fisico ed istintivo da quell’intimità
e dolcezza che avevo provato naturale avere con lei, aldilà
della passione preponderante.
La cerimonia era iniziata sotto ai miei occhi ma io ero in un mondo a
parte, suoni e voci mi arrivavano soffocati; mi riscossi, come colto
alla sprovvista da un temporale estivo, quando sentii quelle
parole…
“Chi
è a conoscenza di qualche impedimento per il quale
quest’uomo e questa donna non dovrebbero unirsi in
matrimonio, parli ora o taccia per sempre.”
La fissai, scisso in due, spaccato tra due vite e due opzioni e
lei… si girò e mi guardò.
C’era una muta preghiera nei suoi occhi, ma non sapevo se
temesse il mio silenzio o il mio intervento.
In ogni caso non avrei mai potuto rovinare tutto, mandare
all’aria il suo matrimonio per una notte, per averla amata
solo fisicamente.
Perché non l’amavo veramente… o no?
Ero confuso, annebbiato ed arrabbiato; sì anche arrabbiato,
con lei e con me stesso.
No, non avrei parlato.
No.
O forse…
“Aspettate.”
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