l'inizio del viaggio
Breve
introduzione
Lo so, lo so, Pharnasius e
Mimue (personaggio apparso in un'altra mia fiction) appartengono al
medesimo
stereotipo; si potrebbe dire a buon ragione che siano sorelle-gemelle,
anche se
le loro avventure si svolgono in differenti ambientazioni.
Forse devo attribuire questi
miei deliri tecnologici all'influenza di Nebbiolina... devo ammettere
che le
ambientazioni futuristiche, dove la tecnologia espande le
capacità di ognuno
fino ad avvicinarle a quella degli dei, hanno un loro fascino.
Questo non significa che io
stia per rinunciare alla mia aurea medievale (che non fa
“prendere” Internet
per le ricerche sul Comfort e non fa girare bene SolidThinking sul mio
computer), bada bene Neb. : No.
Prima di iniziare vorrei
citare la fonte originaria delle mie idee, visto che non sono capace di
scrivere senza spintarelle esterne (sarebbe assai più
intellettuale e fine
definirle “ispirazioni”).
Anche se quel che ho in
mente è una rielaborazione estrema dello spunto iniziale, tanto
che di esso ne
rimane solamente un alone, vorrei ringraziare Shalone Howard per i suoi
fantastici fumetti (se visitate Deviantart li troverete senz'altro...
sono
disegnati assai bene, anche se l'influenza manga è un po' troppo
marcata per i
miei gusti).
Per farla breve e chiudere
il discorso, Pharnasius non è altro che la mia versione di
Zonoya... o forse un
altro Spyro...
L'inizio
del viaggio
La superficie esterna del
pianeta forniva uno degli spettacoli più deprimenti ai quali
fosse possibile
assistere, se mai vi fossero stati degli occhi viventi intenti a
scrutare
quella rovente distesa di sabbia ocra e spoglie montagne rosso ruggine
all'orizzonte.
Tralasciando la polvere,
incessantemente trascinata dal vento come i lussuriosi all'inferno,
erano le
macchine le uniche cose animate che vagavano nello sterminato deserto.
Esseri mastodontici di
acciaio, ingranaggi, olio e circuiti, a cui non importava nulla se
l'ambiente
fosse tetro o meno: la loro vista non era stata programmata per godere
delle
bellezze naturali ma per scrutare senza sosta alla ricerca del
più insignificante
brandello di vita, affinché tutto restasse morto.
Il loro costruttore aveva
impartito chiaramente le istruzioni, lasciando alla gigantesca massa
del sole
il compito di rifocillare i suoi abominevoli figli.
Ma era il nulla l'unico
dominatore di quelle terre disgraziate?
Se i mostri meccanici
avessero potuto volare, avrebbero sicuramente notato il cono di un
imponente
vulcano spento.
Se la curiosità (che non
conoscevano e mai avrebbero potuto conoscere) li avesse spinti ad
affacciarsi
dal bordo della cavernosa bocca, si sarebbero accorti che qualcos'altro
aveva
preso il possesso delle pareti basaltiche ormai abbandonate dal magma.
L'interno del cratere
sfavillava ancora come se fosse costellato di tizzoni ardenti, ma
questi non
erano altro che le fredde luci delle illuminazioni elettriche, che si
riflettevano sul susseguirsi di migliaia di grate e strutture
metalliche,
mentre innumerevoli figure alate si affaccendavano in ogni dove, come
minuscole
formiche perse nel baccano provocato dalle loro voci ed attività.
Si sarebbe così svelata la
presenza di una comunità superstite di draghi, ancora pulsante
nel sottosuolo,
che aveva fatto di quella montagna cava la propria porta verso
l'esterno.
L'ascensore cigolava e
sussultava, ma la cosa non la infastidiva minimamente.
La sua testa era vuota,
mentre lasciava che le ombre proiettate dalla grata metallica
dell'abitacolo le
scorressero addosso, rigando la sua figura di fuliggine.
Pharnasius se ne stava
dritta sui posteriori, utilizzando le pareti dell'ascensore come una
seduta
ischiatica improvvisata, con le ali semi spalancate che si
congiungevano ai
lati del suo torace per poi proseguire lungo la coda, così come
avrebbe potuto
fare il telo di un aquilone.
Le sue ali bianche,
chiazzate da grandi cerchi neri tra una falange alare e l'altra, come
quelli
che ornavano le ali delle farfalle, l'avevano battezzata con il nome di
Pharnasius.
Eppure le ali “da
farfalla”
erano un fatto assai frequente tra la sua gente, anonimo e indegno di
nota
alcuna.
Forse i suoi genitori
avevano voluto spostare l'accento su una sua caratteristica così
meschina per
affievolire il fatto che le sue scaglie presentassero una colorazione
veramente
inusuale, per non dire unica.
Vi era un vasto assortimento
di colori tra la gente della sua razza: c'erano draghi rossi, verdi,
bianchi,
neri, blu... addirittura dorati o argentati, eppure mai si era visto un
drago
viola, così come lo era Pharnasius.
Uno scossone improvviso la
indusse ad alzare gli occhi dal pavimento chiazzato di olio per fissali
verso
le porte avanti a sé, con le loro iridi nere come la pece: due
macchie
irrequiete di inchiostro su di un foglio immacolato.
Era arrivata.
La confusione ed i rumori
della stazione di lancio la investirono come una folata di tramontana,
facendole
ardentemente desiderare di tornarsene al sicuro nella fatiscente cabina
dell'ascensore, per farsi cullare nuovamente da quell'ipnotico cigolio.
-Ehi Pharnasius! Qual buon
vento?!-
Quella improvvisa voce
tonante per poco non la fece schizzare fuori dalla scaglie, con il
risultato di
accrescere oltremodo la sua irritazione.
La dragonessa indirizzò lo
sguardo corrucciato verso un volto mostruoso, dagli occhi lucidi e
giganteschi
che sporgevano all'infuori come un cannocchiale, in una perfetta
imitazione delle
grottesche figure dei pesci abissali.
Quando l'interlocutore si
portò la zampa artigliata alle mostruose propaggini oculari,
esse si rivelarono
per ciò che erano: un semplice paio di occhiali da meccanico.
-Ciao Derfel ... preparami
la nave-
Riuscì a rispondere con il
tono svogliato di chi si sia appena destato dal sonno; non voleva
scambiare
parola con nessuno e a malapena sopportava di dover conversare lo
stretto
necessario con i custodi delle navi.
-Siamo un po' giù di corda
oggi? Forza Pharnasius! Dove sono finite le tue energie e la tua
allegria?-
Senza volerlo, Derfel si era
appena introdotto in un deposito di polvere da sparo con una candela
accesa
stretta nella coda.
Pharnasius spalancò le ali e
gli sibilò contro con fare minaccioso.
-STA ZITTO E FAI IL TUO
LAVORO!-
Gli ruggì praticamente
addosso, prima di voltargli le spalle e lasciarlo impalato sul posto.
-Wow, ma che le prende...-
-Buono Derfel...-
Un altro meccanico come lui
interruppe momentaneamente il suo delicato lavoro di saldatura di
un'ala
retrattile al corpo di una nave.
-... con quel che le è
successo, ha tutti i motivi per comportarsi così... è
stata esiliata-
E con queste parole si
rimise all'opera.
-Esiliata?-
La notizia lo aveva lasciato
assai più stordito che l'improvvisa aggressività di
Pharnasius.
-Non è possibile! Pharnasius
è uno dei nostri guerrieri migliori, cosa avrà mai fatto
di tanto grave?-
L'idea di essersi salutati
in maniera così decisamente poco cortese era triste, tuttavia
Derfel non
potette fare altro che dirigersi verso il decimo piano della stazione
di
lancio, settore 54B, dove da bravo custode sapeva stanziata la nave
della
dragonessa viola.
Solo una volta fori
dall'atmosfera si potevano nuovamente vedere le stelle: un ammiccare di
luci
che si perdevano nei meandri più bui del cosmo e che tanto
somigliavano alle
colossali gallerie dove la sua gente si era rifugiata da tempo immemore.
Troppo tempo!
Il buio aveva annichilito le
loro menti, smorzando ogni desiderio di cambiamento, di libertà.
In assenza di gravità,
Pharnasius fluttuava nei pressi di una finestra dell'abitacolo di
pilotaggio,
saziandosi della vista del suo mondo, per il quale aveva dato tutto
ricevendo
in cambio solo un pugno di cenere... quanto era ora insignificante
quella pallina
giallastra persa nel cosmo!
-Attivare gravità
artificiale-
-Ricevuto-
Pharnasius ebbe la
spiacevole sensazione che la situazione le gravasse improvvisamente
sulle ali
quando il peso del suo corpo tornò a farsi sentire.
Presa dallo sconforto, si
lasciò scivolare a terra, acciambellandosi su se stessa come un
cucciolo nel
guscio dell'uovo.
Lì, sola nel buio dello
spazio, si concesse il lusso di lasciarsi andare ad un pianto a lungo
represso,
mentre il dolore veniva pian piano lavato via dalle lacrime fino a
farsi
sopportabile.
Il sistema centrare della
nave la capì, decidendo di lasciarla fare per un po' senza
intromettersi.
-Ehi,
va meglio adesso?-
-Uh....?-
La dragonessa alzò appena
l'ala con la quale si era coperta la testa, trovando una piccola manta
di un
blu pieno e brillante come i lapislazzuli che le fluttuava innanzi,
mantenendosi sospesa in aria con eleganti colpi di pinna.
La sua nave era solita
interagire con lei tramite quell'interfaccia olografica, che Pharnasius
stessa
si era scelta dopo avere passato al vaglio l'interminabile gamma di
forme messe
a disposizione dai programmatori del sistema centrale, che andavano
dalle più
infantili fino a quelle sessualmente provocanti.
Le erano sempre piaciute le
mante e la divertiva l'idea di averne una in miniatura che le
fluttuasse al
fianco come un pesce fuori dall'acqua.
-Sì, è passata adesso-
-Posso
fare qualche cosa per tirarti su il morale?-
-No, grazie comunque
Belta... attiva il pilota automatico e mettimi in ibernazione-
-Quali
coordinate?-
-Eh-eh! Questa sì che
è una
bella domanda... dove andiamo? Bo, per me è indifferente, scegli
pure te....
svegliami quando arriveremo in un qualsiasi posto di questo
fottutissimo
universo, notte notte!-
-...
Come vuoi... ma diavolo, come la fai tragica!-
-Non una parola di più
Belta....-
Facendo spallucce, la
piccola manta si dissolse mentre una foresta di tubi e piastre
spuntarono dal
pavimento avviluppando la dragonessa come i rovi attorno ad una vecchia
cancellata abbandonata.
Poco prima che la sua
attività celebrale venisse sospesa, Pharnasius considerò
con stupore come
quella giornata infernale fosse cominciata nella stessa identica
maniera delle
altre.
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