De
Illustrium Malandrinorum Amicitia
A
Bebbe, per i suoi meravigliosi
18 anni
Gli amici
ti conosceranno meglio nel primo minuto dell’incontro di
quanto gli estranei possano conoscerti in mille anni. (Richard Bach)
«Ehi,
posso
venire qui? Il treno è pieno zeppo…» Un
ragazzino dai capelli neri sparati in
tutte le direzioni e gli occhi color nocciola scintillanti di malizia
si
affacciò nello scompartimento con un sorriso.
La
ragazzina
nell’angolo non rispose, ma il ragazzo pallido
all’altro sedile fece un cenno
sarcastico con la mano verso i posti vuoti. «Ma
prego» disse come se già non ne
potesse più.
Senza
farci
caso, lui si sedette e mise subito i piedi nel sedile di fronte a lui.
«James
Potter» si presentò tendendo la mano verso
l’altro ragazzo dopo aver
velocemente levato i piedi dal sedile.
«Sirius
Black»
grugnì l’altro senza prendere la mano e
continuando a guardare fuori.
«Ah,
sì, mi
pareva, infatti» rispose James con indifferenza portando la
mano tesa ai capelli
e scompigliandoseli. «Mia madre è una Black anche
lei.» Lo guardò con aria
critica. «Ma devo dire che non le assomigli»
concluse meditabondo. «Un po’
troppo snob…»
L’altro
scattò
quasi per istinto verso di lui, gli occhi accesi, ma si
controllò subito. «Non
ho motivo di starti ad ascoltare» rispose altezzoso
incrociando le braccia.
«Ceeerto»
rispose lui allegramente guardandolo con un sorriso. «Il
piccolo signorino
Black non può stare ad ascoltare i suoi compagni,
vero?»
L’altro
lo
guardò esterrefatto. Chi era quel
ragazzino che appena entrato non solo si presentava come se fosse la
cosa più
normale del mondo, ma addirittura lo trattava come se fosse un suo pari
e osava
persino dargli dello snob? Cosa
poteva volere da lui?
All’alba
dei
suoi undici anni Sirius Black sapeva benissimo che raramente le persone
gli
parlavano se non volevano ottenere qualcosa da lui o dalla sua
famiglia, perché
i Black erano potenti, perché i Black erano una famiglia di
stirpe più che
illustre, perché i Black erano ricchi, perché i
Black erano purosangue e
influenti e tutti volevano qualcosa da loro. O almeno, così
diceva sua madre.
Ma
lui lo
stava guardando semplicemente sorridendo, con l’aria di
starlo prendendo in
giro senza nessuna intenzione di offendere.
Era
quasi
buffo, con quei capelli sparati da tutte le parti e gli occhiali
rettangolari
su due occhi svegli e divertiti, e senza l’ombra di calcolo
nello sguardo.
Il
ragazzo
rimase perplesso.
«Cosa
vuoi?»
chiese mentre la curiosità aveva il sopravvento sulla
volontà.
James
si
strinse nelle spalle. «Oh, non ho mai conosciuto un vero
Black in carne ed
ossa, a parte mia madre, che però mi pare non sia molto
paradigmatica…»
L’altro
gli
fece una smorfia. «Curiosità scientifica,
allora?»
Ridacchiò.
«Già, curiosità scientifica.»
Lo guardò attentamente. «Devo dire che non sei
come mi aspettavo» dichiarò a sorpresa.
«Ho sempre sentito dire che i Black
sono stinfi e disprezzano tutti. Tu sembri sul punto di metterti a
urlare.»
Suo
malgrado,
Sirius rise. Non ci aveva fatto particolarmente caso, nessuno lo aveva
mai
incoraggiato a pensare a come si sentiva, ma era esattamente
così: aveva una
tremenda voglia di urlare a tutto il mondo che lui non era soltanto un Black, era sé stesso. Anche
se a sua
madre ciò non piaceva.
«Ah,
allora sei capace di ridere.
Credevo che sarei
dovuto passare al numero delle capriole per riuscire a farti muovere
quella
faccia odiosamente sostenuta» disse con un mezzo sogghigno
James mentre una
mano partiva automaticamente a spettinargli i capelli.
Quasi
senza
accorgersene, Sirius si ritrovò a sorridere senza avere
nessuna ragione precisa
per farlo. Sapeva perfettamente in che occasioni era richiesto che
sorridesse,
e sapeva che sorridere come stava facendo adesso era contro ogni
natura: il suo
sorriso era troppo aperto, un sorriso non doveva essere
così… così sorridente,
secondo sua madre, doveva
mostrare solo consapevolezza, perché qualunque cosa i Black
ricevano non li
deve sorprendere mai, qualunque cosa sentano non li deve stupire. I
Black
sorridevano perché le convenienze imponevano
così, non perché si stavano
divertendo.
Stava
ripensando agli insegnamenti di sua madre mentre controllava
automaticamente i
muscoli della faccia per evitare di distenderli. Doveva mantenere
autocontrollo. Questo facevano i Black.
«Eh,
no, non
ricominciare con quella smorfia!» lo riprese tuttavia la voce
di un ragazzino
di undici anni alzando un dito ammonitore. «Levati subito
dalla faccia quell’espressione
o te la levo io a suon di solletico!»
«Solletico?»
Non ricordava niente di simile, non c’era
mai stato niente di simile nella sua vita.
La
sua
espressione confusa lasciò prima esterrefatto, poi
estremamente sogghignante il
suo compagno. «Black, non mi dirai che non sai
cos’è il solletico…»
Non
gli
avrebbe mai detto niente del genere, ovviamente, un Black non avrebbe
mai
ammesso di non sapere qualcosa. Non avrebbe chiesto cos’era
il solletico.
Assolutamente no.
Il
sorriso del
ragazzo di fronte a lui si accentuò. «Dalla tua
espressione deduco che non lo
sai» sottolineò spostando i piedi.
«Bene, Black, sarò tuo maestro anche in
questo.»
E
gli si
avventò contro prima che potesse reagire.
E
per la
seconda volta in pochi minuti Sirius si trovò a ridere senza
avere nessun
motivo o nessuna scusa per farlo, solo perché era quello che
voleva fare in
quel momento.
Niente
è più amichevole di un amico in
difficoltà. (Tito Maccio Plauto)
«Ti
rendi
conto di cosa significa, vero?» stava chiedendo un ragazzo di
circa dodici
anni, scuro in volto, mentre guardava l’amico insolitamente
serio di fronte a
lui.
«Sì,
ma che c’importa?»
rispose lui con una scrollata di spalle. «È sempre
Remus, no? Anzi, in base a
quello che abbiamo scoperto credo che dovremmo stargli ancora
più vicino, non
credi?»
«Ma
è
p-pericoloso!» esclamò un piccoletto dagli occhi
acquosi mangiandosi le unghie
con un’espressione di genuino terrore negli occhi.
Il
ragazzo dai
capelli scompigliati scrollò la mano.
«Sciocchezze, Peter, se non ci ha fatto
niente fino ad ora…»
«E
allora cosa
intendi fare?» Il ragazzo più alto aveva
incrociato le mani e si era appoggiato
alla colonnina del baldacchino. «Non possiamo andare da lui e
dirgli “Ciao,
Remus, abbiamo scoperto che sei un lupo mannaro, ma a noi non fa
nessuna
differenza, restiamo amici come prima!”.»
James
lo
guardò con occhi assenti. «Sirius, sei
assolutamente un genio!»
«È
più di un
anno che sto cercando di fartelo capire» ribatté
l’altro con un sorrisetto. «In
che modo l’ho dimostrato, questa volta?»
«Così,
no? È
esattamente quello che dobbiamo fare! Andiamo a farlo! Anzi, prima
troviamo
Remus e poi…»
«Fermo
fermo
fermo, frena gli ippogrifi, James Potter» lo
bloccò Sirius mettendogli una mano
sulla spalla. «Hai veramente intenzione di andare da Remus e
dirgli…?»
«Sì,
certo!»
ribatté lui liberandosi con uno scrollone.
«È l’unica cosa da fare, no?
Prenderla di petto. E ho come la sensazione che sia esattamente quello
di cui
Remus ha bisogno…»
«M-ma
non
potrebbe arrabbiarsi e-e farci… farci…»
«Peter,
elencami una sola occasione in cui
Remus abbia perso il controllo e potrò ipotizzare di darti
retta» ribatté
impaziente James mentre afferrava lui per un braccio e Sirius per un
altro
guidandoli verso la porta del dormitorio.
Che
si aprì
per lasciare entrare l’oggetto di tutte le discussioni, con
le guance incavate
e due profonde occhiaie a testimoniare un’altra da poco
scampata “malattia”.
«Ciao,
ragazzi!» disse tuttavia con un sorriso entrando.
«Falso allarme, è risultato
che non fosse niente di grave, solo un po’ di febbre
e…»
«Remus»
disse
James lasciando andare gli altri due e dirigendosi verso di lui.
«Siediti
perché dobbiamo parlare.»
Sirius
andò
alla porta e la chiuse, e per sicurezza lanciò anche un
blando incantesimo di
insonorizzazione che lui e James avevano trovato scartabellando qualche
vecchio
libro di famiglia trovato per caso.
Peter
andò a
sedersi sul suo letto, il più vicino alla porta, e rimase
lì a mangiarsi le
unghie mentre James conduceva Remus al davanzale e ce lo faceva
accomodare.
«Bene
Remus»
disse in tono solenne mentre quello continuava a fissarlo
interrogativo. «Il
motivo di tutta questa messinscena è semplice.»
Guardò un secondo verso Sirius,
che gli si affiancò a braccia incrociate. James forse
avrebbe preferito che non
assumesse un atteggiamento tanto severo ma non c’era tempo
per farglielo
notare. «Volevamo dirti che ci è molto dispiaciuto
che non ti fossi fidato di
noi, che sappiamo cosa ti succede una volta al mese e che per noi non
ha
assolutamente importanza.»
Il
povero
ragazzo di fronte a loro li fissò un attimo inebetito, prima
di balbettare:
«C-cosa?»
«Andiamo,
Rem!» esclamò Sirius impaziente.
«Sparisci una volta al mese durante la luna piena,
e torni sempre più pallido e smagrito e con l’aria
di aver appena ricevuto una
gran dose di legnate.» Lo continuò a fissare
mentre impallidiva. «Seriamente,
quanto pensavi sarebbe passato prima che ce ne accorgessimo?»
Il
ragazzo
deglutì. «Io… io non so di
cosa…»
«Certo
che lo
sai!» James aveva l’abitudine di agitare un sacco
le mani quando parlava, Remus
l’aveva notato fin dal principio. «Diamine, se non
lo sai tu! Ma vedi, Remus…»
Non
poté
continuare. Non appena aveva realizzato appieno cosa intendessero dire
i due
compagni, il ragazzo era scattato in piedi senza ascoltarli oltre e si
era
precipitato verso la porta, scontrandosi con entrambi.
«Lasciatemi andare!»
«Oh,
non che
non te ne vai, signorino bello!» esclamò
indignatissimo James. «Tu ora resti
qui e ascolti quello che ti dobbiamo dire!»
«Credi che non
lo sappia già?!» Era la
prima volta che sentivano Remus urlare, o che lo vedevano
così sconvolto: aveva
il volto contratto nel tentativo di non piangere e il corpo scosso da
violenti
spasmi. «Credi
che non abbia mai sentito nessuno
chiamarmi mostro, o abominio, o essere malvagio, o…»
«Remus,
se non
ci lasci parlare…»
«Non ho bisogno di sentirvi
parlare!» Si
liberò dalla loro stretta con uno scossone.
«Credete di essere stato tanto
bravi, vero?» disse velenoso, con gli occhi lucidi.
«Di essere riusciti a
beccare il mostro infiltrato e di potervi comportare da coraggiosi
così, così…»
«No, idiota!»
esclamò Sirius guardandolo
in cagnesco. «Stiamo solo cercando di dirti che non
ce ne importa un dannatissimo fico secco!»
Il
ragazzo,
che aveva ripreso la sua lotta selvaggia per guadagnare
l’uscita, si bloccò all’improvviso.
«Cosa…?» cominciò a chiedere
mentre riacquistava la padronanza della voce.
James
lo
respinse verso il davanzale facendolo nuovamente sedere.
«Cosa credevi, lupo
complessato?» chiese sorridendo. «Pensavi veramente
che saremmo scappati come un branco di fate quando vedono un
Avvincino? Che
razza di Grifondoro pensi che saremmo se abbandonassimo un amico solo
perché
ha… ha… ha un piccolo problema peloso?»
Remus
lo
guardò mentre un principio di sorriso gli balenava sulle
labbra. «Il mio cosa?»
«Piccolo
Problema Peloso» ripeté James con aria
estremamente soddisfatta di sé. «È
quello che è, no? Tu hai un piccolo problema che non riesci
a controllare bene,
no?»
«Io…»
cominciò
Remus.
«Però,
Rem,
sappi che sono veramente offeso» disse Sirius mettendo su un
elegantissimo
broncio. «Davvero pensavi
di non
poterti fidare di noi? Cosa diavolo credevi che ti avessimo
fatto?»
«Io
credevo…
credevo…»
«E
poi come ti permetti di credere di
essere
così importante da farci paura?»
proseguì Sirius con aria indignata, come se si
fosse permesso di pronunciare una disgustosa blasfemia. «E
che cavolo! Ma si
può essere più idioti di così? Credevi
di spaventarci solo perché una volta al
mese ti vengono fuori le zanne? Non per dire, ma ti vengono anche
quando non
facciamo i compiti e dobbiamo chiederti di
copiarli…»
«Sirius…»
cominciò il ragazzo cominciando a ridere.
«E
poi sono
sicuro che da lupo hai un’aria molto più
affascinante di così, vero Peter?»
aggiunse portandosi una mano al mento con aria meditabonda e voltandosi
verso
il quarto di loro, rimasto in disparte fino ad allora.
«Peter?»
«Io…
io credo
di sì…» esclamò lui esitante
mentre si avvicinava con una certa cautela.
James
rise
vedendolo. «Tranquillo, Pete, non è che
improvvisamente morde, sai… senza
offesa, Rem» aggiunse con un sorrisetto.
«Ma
figurati…»
ribatté l’altro.
Un amico
è uno che sa tutto di te e nonostante questo gli piaci.
(Elbert Hubbard)
«Sirius,
Sirius, Sirius…»
Due
ragazzi di
circa tredici anni erano spaparanzati sotto un albero al tramonto.
«Sono
stufo di
non ottenere uno straccio di risultato…»
continuò l’altro tirando su il
cappello da mago che aveva usato per coprirsi gli occhi.
«Già»
confermò
l’altro stiracchiandosi. «E in più sono
esausto.»
«E
vorrei
tanto capire che stanno facendo gli altri due ancora
dentro…»
«Come
se non
lo sapessi» ribatté disgustato il primo passandosi
una mano fra i capelli.
«Remus starà ripassando una cosa che sa meglio del
professore, e Peter starà
disperatamente tentando di mettersi in pari e seguire quello che sta
dicendo…»
«Che
manica di
sfigati» concluse con profondo ribrezzo il secondo.
«Ricordami perché sono
nostri amici?»
«Allora…»
cominciò James meditabondo. «Remus ci serve per
farci fare i compiti, per
ricordarci che non siamo immortali, per dare giustificazioni alla
McGranitt su
dove siamo stati e dove ci troveremo, per passarci gli appunti e
perché è un
ottimo ponte di collegamento con la Evans…»
«Ok,
ok, mi
può bastare» lo interruppe in fretta Sirius,
conoscendo la capacità dell’amico
di cadere in estasi ogni volta che una certa persona veniva nominata.
«Peter?»
«Be’,
Peter ci
serve perché è il nostro palo, perché
nessuno sospetterebbe mai di lui quando
lo mandiamo a fare qualcosa, perché sa sempre trovare
informazioni, perché
riesce ad ascoltare qualunque cosa perché nessuno bada mai a
lui e quindi
scopre un sacco di cose, perché ci serve per ricordarci
quanto siamo immortali
e…»
«Voi
due,
invece» ribatté una voce divertita alle loro
spalle, «ci servite per ricordarci
che siamo ancora giovani, che a questa età si può
ancora fare tutto, che la
scuola non deve obbligatoriamente consumare tutta la nostra vita, per
metterci
nei guai, per farci affondare ancora di più negli stessi
quando tento di
limitare i danni…»
«Oh,
Remus,
qual buon vento?» lo salutò amichevolmente James
facendogli spazio. «Peter?»
«Sono
qui.» Un
ragazzo piccolino e grassoccio parve comparire da dietro Remus e
sedersi di
fronte a loro.
«Oh,
perfetto
Peter! Vai appena un po’ più a destra…
no, no, alla mia destra, alla tua
sinistra, insomma… ecco, appena più
su… sì, perfetto» concluse James
sospirando
felice. «Sei un ottimo parasole, Peter…»
Sirius
ridacchiò. «Be’, pare che abbiamo appena
trovato un altro punto a suo favore…»
«Oh,
direi
proprio di sì» convenne James a occhi chiusi.
«Non sono mai stato meglio…»
«Ragazzi,
siete due in…»
«Insensibili
egocentrici malandrini» cantilenarono gli altri due annoiati.
«Sì, Remus, lo
sappiamo.»
«Ce
lo hai
detto una cosa come dodicimila volte.»
«E
se proprio
lo vuoi sapere, è esattamente perché siamo degli
insensibili egocentrici
malandrini che ci vuoi così tanto bene.»
«Prova
a immaginare
come ti sentiresti se fossimo dei brillantissimi e diligenti studenti
che
rispettano sempre le regole e inorridiscono di fronte a ogni
infrazione…»
«Probabilmente
ci abbandoneresti dopo due minuti o ti sentiresti in dovere di
diventare
malandrino tu per compenso.»
«Il
che non si
accorderebbe con il tuo bilanciatissimo carattere che noi ammiriamo
tanto»
concluse James con un sorrisetto scambiandosi un cinque con Sirius.
Chi ha un
vero amico può dire di avere due anime. (Arturo Graf)
«Da
te come va,
quindi?»
«Non
troppo
male. Noioso, casomai…»
Se
un estraneo
si fosse avvicinato al cubicolo del bagno maschile del terzo piano
probabilmente avrebbe pensato di aver a che fare con un pazzo, visto
che seduto
per terra con uno straccio accanto e senza la più remota
intenzione di lavorare
c’era un ragazzo che, apparentemente, parlava con la sua mano.
Ciò
che l’occasionale
estraneo non avrebbe potuto notare allontanandosi esasperato dalla
stupidità
della gioventù moderna, era un piccolo specchietto nascosto
nel palmo della
mano a cui il ragazzo si stava rivolgendo.
«Dai,
credo di
aver conosciuto poche persone che abbiano pulito più cessi
di noi due» rispose
lo specchio alzando gli occhi al cielo. «Anche se posso dire
che ci ha portato
dei vantaggi…»
«Fatico
a
vedere quali.»
«Be’»
cominciò
l’immagine del ragazzo nello specchio agitando lo straccio,
«intanto ora
sappiamo dove so trovano tutti i bagni della scuola, che per quello
femminile a
scomparsa del quarto piano si può raggiungere un passaggio
segreto sconosciuto
a quel vecchio avvoltoio di Gazza e che se ti nascondi bene dietro una
scritta ‘Guasto’
puoi ascoltare le conversazioni altrui.»
«Più
che
giusto, senza contare che ormai abbiamo una conoscenza tale dei nostri
ingiusti
punitori che possiamo capire a che settore intendono assegnarci prima
ancora
che l’abbiano fatto. E inoltre, spiare le conversazioni delle
ragazze è
interessante…»
«Vero,
si
passa dai trucchi ai ragazzi ai libri alla scuola alle megere con una
velocità
impressionante… io dico che i ragazzi non ce la
farebbero» commentò con un
sogghigno la figura nello specchio.
«Già…
e poi fa
piacere sentirsi definire ‘un fico assurdo’ da
qualcuno che non sia Peter…»
Il
riflesso
del ragazzo scoppiò in una lunga risata più che
mai simile a un latrato. «Ti
prego, Jamie, non dirmi che veramente l’ha
fatto…»
«Oh,
solo dopo
che l’avevo un po’ ubriacato»
sogghignò James poggiando lo straccio nel secchio
e sedendosi più comodo.
«Non
– ci –
posso – credere» esalò l’altro
cercando, con scarso successo, di ridere sottovoce.
«Sai, credo che dovremmo cominciare a preoccuparci per il suo
orientamento
sessuale…»
«Sarei
perfettamente d’accordo con te se… Merlino,
Sirius!» esclamò James cominciando a
ridere all’impazzata. «Dimenticavo che
tu non c’eri! No, non è possibile, non sai che ti
sei perso…»
«Cosa?»
chiese
Sirius curioso.
«Peter…»
cominciò l’altro in preda agli spasmi,
«Peter…» non riuscì a
continuare e ci
mancò poco che non si spalmasse sul pavimento dal gran
ridere.
«James
Potter»
lo interruppe la voce soave del suo migliore amico dallo specchietto
caduto per
terra, «se non la smetti di ridere come una scimmia ubriaca e
non mi racconti
cos’è successo in tutti i più piccanti
e scabrosi dettagli, posso assicurarti
che la tua testa a cespuglio entrerà a far parte dei trofei
della nostra
scuola.»
«Ci…
ci provo»
disse quello cercando di controllarsi. «Ma tu non
sai…» Inghiottì una risata e
cercò di darsi un contegno. «Oggi pomeriggio,
Peter… Peter… Merlino, Sirius,
perché non c’eri?» chiese mentre il
contegno andava democraticamente a farsi
benedire. «Lui si è… si
è… si è dichiarato a Rose
Davenport!»
«Rose…
Davenport?» Un lampo di comprensione passò negli
occhi grigi del riflesso.
«Quella ragazza di Tassorosso… non ci posso
credere» disse ridacchiando. «Peter
non è assolutamente il tipo da ragazza… come ha
reagito lei?»
«Aspetta,
scemo, non ho finito!» esclamò James riprendendo a
ridere. «Questo è niente! Il
fatto è che erano in Sala d’Ingresso, e
lui… lui…» Un ennesimo scoppio di risa
gli bloccò le parole per qualche secondo. «Lui va
avanti verso di lei a
chiedergli di diventare la sua ragazza e poi…
poi… poi pra-aticamente in-ciampa
in qua-qualcosa, cre-edo i suoi piedi, o-o forse la divisa,
o… o non lo so»
proseguì mentre anche dallo specchio si alzavano le prime
risate. «E fa un volo
di due metri e… e pre-ecipita addosso a Rose, senza che
ne-essuno avesse capito
cos’era successo e… aspetta, non ho
finito!» aggiunse con un sorriso mentre
vedeva l’amico spanciarsi dalle risate. «Le
è atterrato veramente addosso, capisci?
E gli era andato anche
tutto il mantello in testa, non riusciva più-ù a
tirarsi su, e-e c’era lei che
ur-lava e cercava di alzarsi, ma sai com’è Peter,
no?» Rise. «Lui continuava a
pro-ovare ad al-alzarsi e continuava a ca-derle addosso, fino a-a
quando non
è-è riuscito a rotolare di la-to, con il mantello
anco-ra in testa, e lei anche
si al-za, tutta rossa, lui si li-bera e lei… lei gli stampa
una cinquina che…
che credo neanche quella di Lily di novembre!» concluse
ridendo come un idiota.
«Perché,
oh, perché
non c’ero?» esalò Sirius tenendosi la
pancia per il ridere.
«Be’,
c’ero
io, no?» rispose James con un sorriso.
«È più o meno lo
stesso…»
All’infuori
del cane il libro è il migliore amico dell’uomo.
Dentro il
cane è troppo scuro per leggere. (Groucho Marx)
Il
risveglio
dopo una trasformazione era sempre un momento traumatico,
perché non possedeva
ricordi di quei momenti e tutto il suo corpo urlava per lo sforzo
subito.
Remus
quindi
non capiva assolutamente perché i suoi muscoli fossero
sì affaticati, ma non
dilaniati, perché non sentisse nessun bruciore lancinante da
nessuna parte a
segnalare i morsi e graffi che si era dato, perché le sue
ossa non sembrassero
sul punto di spezzarsi.
Fu
quando
sentì un peso caldo sulla pancia e qualcosa di umido e
bavoso leccargli la
faccia che si decise ad aprire gli occhi.
Accomodato
sul
suo ventre con l’aria di trovarcisi perfettamente a suo agio,
c’era un enorme
cane nero che si stava divertendo a leccargli la faccia in tutta calma,
senza
nessun apparente motivo. Profondamente sorpreso, Remus,
cercò di tirarsi su e
si appoggiò sui gomiti, mentre il cane continuava il suo
lavoro di lavaggio
mattiniero del viso.
Un
sbuffo
strano, simile a quello di un cavallo ma meno forte, attirò
l’attenzione di
Remus. Voltandosi, vide un cervo alzarsi in piedi con un veloce
movimento e
trotterellare verso di loro, poggiandogli il muso vicino ad un orecchio.
Stupefatto,
il
ragazzo lo accarezzò per un secondo.
Udì
un piccolo
pop e il peso sul suo stomaco improvvisamente cambiò.
«E no, così non vale,
Moony! Mi hai appena fatto perdere una scommessa!»
Dalla
sorpresa, Remus fece un balzo indietro che, se il cervo fosse stato
ancora un
cervo, lo avrebbe portato ad una prematura morte sulle corna ramificate
del
suddetto. Tuttavia, poiché il cervo si era trasformato in un
altro essere che
prese al volo il ragazzo mentre quello si slanciava
all’indietro, non ci furono
altri effetti collaterali oltre a quello di farli cadere entrambi.
«Insomma,
Moony, un po’ di delicatezza!» si
lamentò un ragazzo moro con gli occhiali in
precario equilibrio sul naso, risistemandoseli. «Mi hai preso
alla sprovvista…»
«Voi…»
emise
Remus passando lo sguardo da un ragazzo all’altro, entrambi
sogghignanti. «Voi…
ma se voi… siete qui…»
«Significa
che
i tuoi amici sono i più grandi geniacci di questo mondo e
quell’altro» annuì
Sirius alzandosi in piedi. «E devo dire che sei comodo,
Moony…»
«Tu…
tu… il
cane…» balbettò Remus.
«Sì,
il
pulcioso non è riuscito a fare niente di meglio»
confermò James con un caloroso
sogghigno.
Sirius
gli
rivolse una smorfia. «Parla per te, cornuto»
ribatté calcando pesantemente sull’ultima parola.
«Ma…»
Remus
era quasi fuori di sé dalla sorpresa. «E
Peter…?»
«Sta
ancora
dormendo, credo» rispose
James in
tono amabile sollevandolo e lasciandolo una volta in piedi.
«Ieri ha dovuto
faticare non poco per starci appresso.»
«Perché,
Peter
è…?»
Sirius
si
avvicinò tenendo un grosso ratto per la coda spelacchiata.
«Sì, è esattamente
un topo.»
«Ma
come…» Il
ragazzo continuava a guardarli come se non li avesse mai visti prima.
«Quando
ci siete riusciti?» riuscì alla fine a dire.
«Be’,
ti
ricordi che ti avevamo detto che pensavamo di esserci quasi,
no?» spiegò Sirius
sedendosi comodamente sul letto presente nella baracca.
«Be’, durante l’estate
io e James abbiamo lavorato come autentici dannati
(ho dovuto persino convincere i miei a lasciarmi uscire ogni
tanto, visto
che non potevamo fare tutto via gufo), e alla fine abbiamo capito come
dovevamo
fare. Credo che se non fossimo stati a Diagon Alley ci avrebbero
arrestato
almeno venti volte…» aggiunse meditabondo.
«E
non hai
idea della fatica per farci arrivare anche Peter» aggiunse
James in tono
melodrammatico, aggrappandosi ad una delle colonnine del baldacchino e
sogghignando.
Ci
fu una
pausa di silenzio.
«Remus,
sembri
un pesce palla» gli comunicò amabilmente Sirius.
«Puoi anche sbattere le
palpebre, sai?»
«Voi
siete davvero… davvero diventati
animaghi?»
domandò Moony con un filo di voce.
James
agitò la
mano impaziente. «Che vuol dire
“davvero”, Remus? Dubitavi che l’avremmo
fatto?»
«Pensavo
che
vi foste resi conto di quanto fosse stupido e…»
«Infantile
e
immaturo e pericoloso» conclusero gli altri due con una
smorfia.
«Ma
piantala,
Remus!» esclamò James.
«Almeno
ora
non dovrai più stare solo» sorrise Sirius.
«Pensa: ci saranno i tuoi amici qui
a tenerti la manina… metaforicamente parlando,
ovviamente.»
Remus
si
limitò semplicemente a fissarli.
«Ah,
e a
proposito» aggiunse Sirius con una subitanea espressione di
indignazione, «lo
sai che mi hai fatto perdere una sostanziosa scommessa, Remus? Come hai
potuto?
Eppure si dice sempre che sono i cani i migliori amici
dell’uomo…»
«Devi
rassegnarti, Sirius, e pagare»
rispose James con un sogghigno che andava da un orecchio
all’altro. «È evidente
che io sono molto più amabile
di te…»
«Non
è assolutamente vero,
è solo questo
lupaccio che non capisce niente…»
«Di
cosa state
parlando, voi due?» chiese Remus mentre allo shock subentrava
il divertimento.
Due
teste si
voltarono verso di lui, una indignata e l’altra sorridente.
«Avevo
scommesso che avresti accarezzato prima me!»
esclamò Sirius offeso. «Insomma,
chi mai andrebbe a pensare di accarezzare un cervo?
Davvero, quando tu pensi ad accarezzare un animale, un cervo è proprio
l’ultimo che ti può
venire in mente…»
«Si
vede che
sei un cane finto» rispose James sempre con il suo gigantesco
sorriso. «Neanche
sei capace a farti accarezzare…»
«Non.
Provocarmi» ringhiò Sirius in tono così
canino che sia James che Remus
scoppiarono a ridere. «Bene, l’hai voluta tu,
cornuto!»
E
trasformandosi
nello stesso cane che aveva svegliato Remus quella mattina, si
slanciò verso il
ragazzo, che reagì con altrettanta prontezza trasformandosi
in cervo e
ingaggiando un combattimento giocoso.
Remus
si
sedette sul letto ad osservarli, ancora frastornato, mentre accanto a
lui il
topo si muoveva e apriva gli occhi. Intercettando il suo sguardo, si
concentrò
intensamente qualche istante e si cambiò nel solito Peter.
«Buongiorno, Remus!»
disse con un sorriso. «Piaciuta la sorpresa?»
L’altro
annuì
senza riuscire a rispondere.
Il
rumore di
un mobile sfasciato li fece voltare entrambi verso i due animali che si
stavano
accapigliando in un angolo.
«Cosa
stanno
facendo James e Sirius?» chiese Peter curioso guardando con
interesse il cane
balzare sulla groppa del cervo con un agile salto, e il cervo rotolarsi
per
terra per scrollarselo di dosso.
Remus
si
strinse nelle spalle senza riuscire a smettere di sorridere.
«Discutono di
priorità» disse soltanto. «Bah,
dovrebbero saperlo che ciò che più mi piace
accarezzare sono le pagine dei libri…»
Dimostriamo
compatimento per le sofferenze degli amici non con le
lamentazioni, ma prendendoci cura di loro. (Epicuro)
Era
passata la
mezzanotte quando l’immagine di un autobus a tre piani si
materializzò in
quella pacifica cittadina del Galles del sud. Con una sgommata,
frenò davanti
al cancello di una villetta comodamente adagiata fra altre due uguali.
Dall’autobus
uscì un ragazzo di circa sedici anni trascinandosi dietro un
grosso baule.
«Allora
ci
vediamo, Thomas!» esclamò con un sorriso cordiale
una donna ossuta con il naso
a matita agitando la mano in direzione del ragazzo.
«Sì,
certo
Wanda» rispose lui distratto mentre trascinava il baule
davanti al vialetto.
Aspettò
che l’autobus
ripartisse e guardò a lungo il cancello come per decidere se
attraversarlo o
no. Alla fine, con un movimento risoluto lo aprì e si
avviò nel giardino dall’erba
alta pieno zeppo di cespugli e vasi armoniosamente disposti fino a
raggiungere
la porta. Esitò nuovamente prima di bussare, cosa che fece
dopo un’intensa
opera di auto-convincimento.
Ci
volle
qualche minuto prima che un uomo in vestaglia dai capelli argentati e
folti
venisse ad aprire. Spalancò gli occhi quando riconobbe il
visitatore. «Sirius?
Ma cosa…?»
«Chi
è,
Charlus?» Dorea Black in Potter era appena apparsa alle
spalle del marito,
allacciandosi la veste da camera blu. Guardò per un secondo
il ragazzo nel vano
nella porta, stanco e smagrito, e spalancò gli occhi.
«Sirius? Caro, cos’è
successo?»
Si
udì un
rumore di passi affrettati e le scale parvero produrre un ragazzo magro
e alto
di circa sedici anni. «Padfoot!» esclamò
vedendo il ragazzo. Non chiese
spiegazioni, si avvicinò solamente all’amico con
un sorriso. «Te ne sei andato
alla fine, allora!» Gli prese il baule facendo da parte gli
esterrefatti
genitori. «Be’, era ora, direi! Mamma, non
è che metteresti su un tè?» aggiunse
dopo aver scortato Sirius nell’ingresso. «Sir
è gelato…»
«Ma
certo,
caro!» esclamò la signora Potter avviandosi verso
la cucina, sorda alle
assicurazioni di Sirius di non aver bisogno di un tè e di
non scomodarsi per
questo.
«Pa’,
credo
che potremmo dargli la camera accanto alla mia, se non mi sbaglio il
letto è
ancora fatto, vero?»
«Tua
madre ha
portato via le lenzuola stamattina, Jim» rispose il padre
seguendo su per le
scale un ciarliero James e un taciturno Sirius. «Ma ci
metterò meno di trenta
secondi a rifarlo…»
«Davvero,
non
c’è bisogno…»
borbottò Sirius.
«Ma
certo che
c’è, zuccone!» esclamò
affettuosamente James spalancando la porta e continuando
a trascinarci dentro il baule. «Credi che ti metteremmo mai
in soffitta? Non
sperare di cavartela così a buon mercato, ho appena
acquistato un fratello a
vita e non intendo tenermelo lontano!» Scaricò con
poca grazia il baule ai
piedi del letto e si stropicciò le mani, soddisfatto.
«Be’,
avrai
tempo per raccontarmi tutto bene dopo, ma ora voglio che scendiamo in
cucina a
prendere il tè di mamma e poi mi spieghi come
stai» disse senza dare il tempo a
Sirius di parlare e pilotandolo di nuovo giù lasciando al
padre l’incombenza di
preparare la camera.
Tutto
quello
che Sirius poté fare fu seguire il suo migliore amico fino
al tinello, dove la
signora Potter stava versando del tè bollente in grosse
tazze decorate a motivi
floreali.
Gli
sorrise
quando entrò, e James si affaccendò subito per
aiutare la madre, dopo essersi
assicurato che Sirius si fosse accomodato e avesse davanti una tazza di
tè.
Poi
si sedette
di fronte a lui, dopo aver galantemente – e con molta ironia
– scortato la
madre al posto ed averle porto la sedia.
«Bene,
e ora
faremo del nostro meglio per levarti dal viso quella faccia da
annegato.»
Sirius
sospirò
dalla contentezza sorseggiando il tè.
Era
veramente
difficile ricordare gli urli di sua madre, le fatture di suo padre e
gli occhi
di Regulus nella cucina piccola ma ben distribuita della signora
Potter,
circondato solo da simpatia e affetto. Era veramente difficile sentire
l’oppressione
al petto e la soffocante sensazione di perdita che gli gravava sullo
sterno
ascoltando James parlare a raffica di assolute sciocchezze con
l’unico scopo di
distrarlo.
Se dovessi
scegliere tra il tradire il mio paese e tradire il mio
amico, spero di avere il fegato di tradire il mio paese. (Edward Morgan
Forster)
Era
un
assolato ed afoso pomeriggio di giugno. Ragazzi di tutte le
età si
affaccendavano sul binario unico di un treno dalla locomotiva rosso
fiammante.
Cinque
ragazzi
erano rimasti un po’ indietro, guardando le merlature lontane
di Hogwarts
salutarli con una certa mestizia.
«Non
posso
credere che questa potrebbe essere l’ultima volta che la
vediamo…» sospirò una
ragazza dai bellissimi occhi verde chiaro guardando con rimpianto le
torri
svettare il lontananza.
Il
ragazzo che
le circondava le spalle con un braccio le baciò i capelli.
«Non lo sarà»
promise con un sorriso. «Non credo che Hogwarts resisterebbe
molto con noi
lontano…»
«Penso
proprio
di no, Prongs» commentò un ragazzo dai capelli
scuri e lunghi e un sorriso
beffardo. «La Mc
come minimo avrà una crisi di identità prima
della fine del prossimo anno, e
Gazza si darà al whisky e finirà per entrare nel
club degli alcolisti anonimi…»
«Senza
contare
che Lumacone si sentirà solo senza il suo piccolo genietto
da lodare» aggiunse
con un sogghigno James guardando Lily.
Lei
gli fece
una smorfia. «E Hogwarts probabilmente si
accorgerà di essere sola soletta
quando nessuno cercherà di farla saltare in aria per una
intera settimana.»
«Questo
è
ingiusto, Evans!» esclamò Sirius con
un’aria di falsa virtù che li fece ridere
tutti. «Abbiamo passato intere
settimane
senza far saltare in aria niente…»
«A
parte
banchi, Serpeverde e voi stessi» concluse ironico un ragazzo
dai capelli biondi
e gli occhi chiari.
Sirius
sbuffò.
«Oh, non farla tanto lunga, Moony, anche a te mancheranno i
nostri scherzi da
malandrini…»
«Non
ci credo che
è già finita…»
sospirò il più basso del gruppo guardandosi alle
spalle con un
luccichio rivelatore negli occhi.
Quasi
loro
malgrado, gli altri annuirono.
«Sembra
solo
ieri che eravamo su quello stesso treno per venire qui ed è
già finita…»
concordò James con un moto di tristezza.
«E
rompevi già
allora» commentò Sirius con una smorfia nel
tentativo di alleggerire l’atmosfera.
«Se penso a quel ragazzino petulante che “sarebbe
stato mio maestro nell’insegnarmi
il solletico” ci sto male…»
«Be’,
se non
altro ora non sei più il cocco di mammina, tutto smorfie e
espressioni
arroganti» lo canzonò malignamente James
guadagnandosi una pacca dietro la
nuca.
«Quello
che io non posso
credere» disse Remus dopo
che le risate si furono calmate e il silenzio tornò a
imperversare, «è che d’ora
in avanti quando mi sveglio potrei non vedervi più per tutta
la giornata… che
potrebbero passare intere settimane senza che ci
vediamo…»
«Oh,
non ci
sperare, Moony» ribatté James con un sogghigno.
«Se pensi di esserti liberato
di noi solo perché la scuola è finita puoi
liberamente toglierti l’idea dalla
testa. Ti verremo a rompere esattamente alle stesse ore in cui siamo
sempre
venuti.»
«Le
tre di
notte?» Remus se ne uscì con una smorfia.
«Grazie dell’informazione, mi sa che
dovrò ben blindare la mia casa… altro che
attacchi da Mangiamorte, qui
bisognerebbe preoccuparsi degli attacchi dei malandrini, specie se in
massa…»
«Pensate
che
sarà molto pericoloso, là fuori?»
chiese Peter con una piccola esitazione
mentre tutti e cinque salivano sul treno.
Gli
altri si
strinsero nelle spalle.
«Siamo
in
guerra, ovviamente non sarà una passeggiata»
cominciò Remus.
«Ma
direi
proprio che dopo aver passato anni interi a tenere al guinzaglio un
ferocissimo
Remus-Mannaro possiamo vedercela con qualunque scagnozzo il caro Voldie
deciderà di mandarci contro» rispose Sirius.
«E
poi, Peter,
ci siamo sempre noi, no?» disse Lily rivolgendogli un
sorriso. «Voglio proprio
vedere chi riuscirà a batterci, se siamo tutti
insieme…»
«Già»
ridacchiò James mentre prendeva posto nel suo
scompartimento. «Il caro vecchio
zio Voldy può tranquillamente dire addio alle sue ore
tranquille ora che
abbiamo arruolato questa bomba ad orologeria nelle nostre
file…» Rise
stringendo a sé la sua ragazza. La
sua
ragazza. Che bel pensiero…
«E
noi ci
saremo sempre, lo sai, vero?» aggiunse Remus guardando
l’amico sorridere con
una punta di incertezza.
«Già,
se ti
senti in pericolo vieni dal caro vecchio zio Pad e ti
mostrerà lui cos’è il
vero pericolo…»
«Già,
Peter,
se sei sopravvissuto a sette anni con questi due direi che Voldemort e
compagnia cantante ti fanno un baffo…» rise Lily.
«Noi
siamo
qui, Peter, per qualunque cosa. Diamine, credo che sarei capace di
uccidere per
salvare la vostra pellaccia…» esclamò
James.
Sirius
rise.
«Ci saresti molto utile in versione assassino, in
effetti… diciamo che saresti
capace di tradire l’Inghilterra pur di salvarci e siamo molto
più a cavallo…»
«Mhm»
ponderò
James. «Tradire è una cosa che non mi
piace… diciamo che sarei capace di
tradire per voi, ma preferirei di gran lunga non farlo.»
«Bene,
così
noi possiamo restare sicuri che sei ancora il vecchio James di
sempre» concluse
Remus con la sua solita saggezza.
|