1.
Mi sono trasferita in questa cittadina pittoresca piena di teppisti a
causa di una relazione segreta con il fidanzato di mia madre.
John era il classico ragazzetto di vent’anni che
ammirava le donne più mature per le loro scintillanti carte
di credito.
Ma non credo che fosse sessualmente attratto da mia madre.
Un motivo in più per fare sesso con me, la
primogenita, decisamente più giovane e con le tette ancora
dritte sul petto.
La nostra non era una relazione amorosa. Non potrei nemmeno
definirci amanti.
Avevamo sviluppato una sorta di compromesso:
“Facciamo sesso, ma per il resto del tempo stai lontano dalla
mia vita”.
Funzionava abbastanza bene e nessuno dei due aveva nulla da
ridire.
Quando mia madre l’ha scoperto però, non
l’ha presa così bene come avevo sperato.
Deve essere piuttosto traumatico ritrovare la tua prima figlia
nel tuo stesso letto mentre sta per avere un orgasmo con il tuo
fidanzato, ma in fondo ci sono lati positivi e negativi
nell’avere un compagno più giovane e questo
è uno di quelli negativi.
Non voglio credere che mia madre non l’avesse
sospettato, bastava guardare John mentre si parlava di sesso a cena.
Il suo sguardo cadeva dritto sulla mia camicetta e cominciava
a sudare per la tensione.
Fatto sta che mia madre è uscita fuori di testa.
Si è messa a gridare e a scalpitare come
un’ossessa.
Sembrava un’enorme salsiccia ondeggiante e
sputacchiante.
Ha preso me per un braccio lanciandomi letteralmente fuori
dalla camera e mi ha chiuso la porta in faccia, lasciandomi nuda nel
corridoio.
Sono seguiti insulti di ogni genere contro John la sua scarsa
morale e la sua stronzaggine.
Penso che gli abbia anche tirato qualche schiaffo, ma lui
è stato zitto per tutto il tempo.
Dopodiché mia madre è uscita di casa
piangente.
Io e John siamo andati in salotto, ci siamo seduti sul divano
e ci siamo accesi una sigaretta senza nemmeno parlarci, fissando il
vuoto.
Della serie: che ci vuoi fare? Ormai è successo.
Prendiamola con filosofia.
Mezz’ora dopo è tornata con gli occhi
sbavati di trucco e il naso rosso, decretando la sentenza.
Non posso credere che mia madre abbia perdonare un lurido
stronzo come John e che abbia pensato che è tutta colpa mia.
Voglio dire, lei crede davvero che si stata io a sedurlo con
la mia ignobile lussuria e lui, povero idiota, sia caduto nella mia
tentazione.?
Si, John, annuisci John, rifugiati nelle braccia di mia madre
ammettendo che è così, proprio così.
Piangi, piangi, fatti accarezzare la testa con paroline dolci,
mentre mia madre mi fissa con disprezzo.
Patetico.
“Sei spregevole sia come figlia che come donna! Non
posso fare altro se non mandarti da tuo padre. In fondo è
stato soldato. Lui saprà insegnarti la disciplina e la
correttezza!”
Il giorno dopo ho preso un treno e sono andata da
papà.
E ora sono qui, davanti ad una catapecchia dipinta di blu che
d’ora in avanti dovrei chiamare casa, con dentro un
papà.
I miei genitori si sono separati quando ero piccina e mio
padre non ha mai voluto sapere niente di me.
Quando mia madre l’ha chiamato però,
è stato ben felice di ospitarmi qui.
Non sembrava nemmeno poi così scandalizzato da
ciò che avevo fatto.
Meglio un padre mai visto che una madre che non mi vuole
nemmeno.
Sorprendente quante cose possano capitare in due giorni.
E tra l’altro, non sono nemmeno riuscita a
raggiungere l’orgasmo.
Bella merda.
2.
Quando mio padre apre la porta, ( non si è degnato nemmeno
di venirmi a prendere alla stazione) mi accoglie con
un’occhiata perplessa e accenna un sorriso piuttosto forzato.
“Eff?”
Si, lo so, sono cambiata parecchio. Pensavi che sarei rimasta
uguale a una mocciosetta di tre anni?
“Già. Weila.”
Un altro sorriso forzato.
“Sei cresciuta molto. Quanti anni hai?”
Solleva la mia valigia e mi fa cenno di entrare.
“Vieni vieni, ti mostro la tua stanza.”
Sembra che si sia già scordato della domanda.
Tanto meglio.
Mio padre vive in un condominio piuttosto ben messo, di un
colore blu pastello che a guardarlo per troppo tempo ti viene mal di
testa.
Non è lontanamente paragonabile a dove vivevo con
mamma, ma è situato nel centro della città ed
è piuttosto accogliente.
La mia prima impressione, si è rivelata errata.
L’appartamento di papà non è
molto grande: possiede due camere, una sala che fa anche da cucina, e
due bagni, ma è molto luminoso e fa pensare in tutto e per
tutto alla casa di una rock star.
La mobilia è eccentrica e di qualità
scarsa, ma ne rimango affascinata.
Il piccolo corridoio che porta dal salottino alle camere e ai
bagni è interamente ricoperto da una base di ferro, dove
appoggiano più di venti chitarre, ognuna posizionata in modo
diverso.
Inizia a piacermi, qui.
Camera mia è meglio di quanto mi aspettassi.
Nulla di particolare, rispetto al resto della casa, ma in ogni
caso accogliente con i suoi colori di crema.
Mio padre mi ha messo a disposizione un letto matrimoniale e
questo mi rallegra.
Ho sempre detestato i letti singoli.
“Sistemati e prenditela comoda. Preferenze per la
cena?”
“Una pizza può andare bene.”
Chiude la porta, lasciandomi sola.
Mi sento a disagio e la cosa mi turba: non ho mai patito la
solitudine.
Scosto le tende dell’unica grande finestra della mia
nuova stanza.
La visuale è strana.
Sono abituata a vedere un grande giardino che dà su
una strada affollata.
Ora mi trovo a rimirare un’enorme piazza circondata
da alcuni pioppi e tanti edifici come questo ma di colori diversi.
Rossi, gialli, verdi, rosa... colori accesi.
Se assottiglio lo sguardo riesco a vedere persino il porto.
Accendo una sigaretta e mi sdraio sul letto.
Non ho la forza di ricominciare tutto da zero per una misera
storia di sesso.
Se avessi avuto una mamma normale, adesso avremmo chiamato la
polizia per abuso su minori e sarei stata io quella piangente tra le
braccia della mia genitrice.
Invece no.
Sbuffo.
“Che merda”
John non è nemmeno questo granché.
Si, ha un bel sorriso, e i capelli a spazzola, proprio come
piacciono a me, ma nel complesso è solo uno sfigato che vive
dipendente dagli stipendi di donne insulse come mia madre.
Mi chiedo come farà adesso.
Non ce lo vedo John a fare sesso con mia madre.
Probabilmente la tradirà.
Un sorriso mi sale automatico.
Sono proprio stronza.
Di questo passo sarà difficile farsi delle amicizie
in questa città.
Sarò davvero così sola?
La sigaretta la spengo in un portacenere che raffigura la
faccia di un bulldog infuriato e bavoso.
E mi viene in mente mia madre, quando ha scoperto me e John
nel suo letto.
Sarò sola, si, ma mai sola quanto quella povera
donna.
Tanto meglio.
3.
Papà a cena è stato molto cortese.
Mi ha chiesto di nuovo la mia età e quando gli ho
risposto che ne ho diciassette è rimasto un po’
turbato.
“Pensavo fossi più grande.”
Si è nascosto dietro una bottiglia di birra ed
è rimasto in silenzio per un po’.
“Secondo me tua madre ha sbagliato a mandarti da me.
Avrebbe dovuto mandare via quel...”
Ha lasciato la frase in sospeso e mi ha sorriso.
“Dovrò parlarle.”
Mio padre ha un bel sorriso.
“Non farlo, papà, preferisco stare
qui.”
Il sorriso è diventato più luminoso alla
parola “papà” e in quel momento ogni
rimorso che avevo per quella casa è sparito.
***
Vado a scuola con uno zaino praticamente vuoto.
Dentro ho messo solo una penna e il sushi che ho comprato con
mio padre.
Non ci penso nemmeno a mangiare i panini che vendono a scuola.
La strada è molto semplice e, nonostante
papà me l’abbia consigliato, non ho preso una
mappa della città.
Basta prendere un autobus di fronte al ristorante giapponese e
scendere dopo tre fermate.
Sull’autobus ci sono molti ragazzi della mia
età.
Mi sento come un pesce fuor d’acqua.
Sembra che tutti facciano parte di una di quelle bande di
teppisti che si vedono nei film.
Pantaloni bassi fino all’inimmaginabile, boxer in
bella vista, giacche di vernice, cappellini super colorati e tutti con
una sigaretta in bocca.
Accesa.
Nella mia città ti fanno una multa salatissima se
ti scoprono con una sigaretta accesa su un trasporto pubblico.
Ma a quanto pare, qui è permesso.
Le ragazze sono vestite in modo indecente: tutte con addosso
camicette scollate, minigonne vertiginose e alcune indossano persino
dei tacchi a spillo.
Le supero comunque tutte in altezza, ma questo non mi rincuora.
Vedo che molti posano il loro sguardo divertito su di me.
Non voglio sentirmi in imbarazzo.
Mi giro e stringo la mano a pungo con forza.
Resisti, Eff, ancora una fermata e sei arrivata.
L’autobus si ferma e scendo di corsa.
Sigaretta.
Zippo.
Fuma, respira, rilassati.
Non ce la posso fare.
Non per una ridicola storia di sesso.
Fisso con esasperazione l’edificio: è
molto moderno, ma la sua superficie e quasi interamente ricoperta da
strani disegni e scritte.
Vandalismo.
Che città insulsa.
La campanella suona, ma nessuno degli adolescenti che sta
stazionando di fronte all’entrata si degna di entrare.
Nessuno di loro.
‘Fanculo, io non sono nemmeno di qui.
Cicco per terra ed entro nell’edificio.
Sono ben conscia degli sguardi perplessi e beffeggianti che mi
rivolgono tutti, ma li ignoro.
Non voglio avere a che fare con queste persone ridicole.
L’interno dell’edificio è
fortunatamente immacolato.
Le pareti bianche si stagliano anche troppo abbaglianti di
fronte a me, e mi bruciano gli occhi.
L’occhio destro inizia a lacrimare ed entro nel
panico, per la paura che qualcuno mi veda piangere.
Okay, Eff, calma.
Inizio a cercare la segreteria.
Secondo la segretaria, una donna bene in carne
dall’accento russo, sono nella classe I°K.
Dall’interno dell’aula non si sente alcun
tipo di rumore e una mano di ferro sembra afferrarmi lo stomaco.
Ma non è tempo per concedersi certi sentimenti da
codarda.
Questo è il momento di reagire, è il
momento in cui devo dimostrare che ce la posso fare.
Anche per una ridicola storia di sesso.
Entro, ma nell’aula c’è solo
una persona.
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