Titolo:
Shoddy Whisky
Personaggi:
Sirius Black e Remus Lupin (non slash)
Genere:
Sentimentale,
malinconico
Rating:
Verde
Note
dell'autrice:
Innanzitutto, mi
preme sottolineare che non
esiste alcun whisky denominato “Shoddy
whisky”. Io bevo solo whisky buono – che snob! -
indi non so
quali siano le marche più scadenti. La parola
“shoddy”, in
inglese, significa proprio “scadente”,
così... ta-dan!
Ecco il perfetto whisky da quattro spiccioli.
Ho
mantenuto in lingua originale solo i nomi dei malandrini (sfido
chiunque a dire che la traduzione della Salani è
accettabile). Per
il resto, ho mantenuto tutto invariato. I Babbani sono Babbani e non
Muggle, il Whisky è Incendiario e non Firewhiskey e-- il
sidro
nanica non esiste. Non compare nei libri di Harry Potter, perlomeno.
Ma, sinceramente, vi pare che Sirius Black beva Burrobirra!?
È analcolica,
miseria!
Scritta per 2010:
a year together, indetto da C.o.S -
Collection of Starlight.
Il prompt era il numero 64 - "Mi ricordi un fantasma" (che doveva
comparire nella fan fiction).
°°°
Attraverso
le gocce che scivolavano sul vetro freddo della finestra, gli edifici
Babbani di Grimmauld Place sembravano disciogliersi nella strada
principale. Portoni, cancelli e gradinate parevano immersi nella
stessa pozza evanescente – come se non esistessero
più né bianco
né nero, ma solo una sola e triste tonalità
grigia per ogni cosa.
Dacché
avesse memoria, Remus aveva sempre provato per la pioggia
un'attrazione piuttosto calamitante. Eppure, da bambino aveva una
folle paura dei tuoni che squarciavano le notti della tranquilla
cittadina di Pembury. Quando la luce abbagliante dei lampi illuminava
d'improvviso la sua cameretta, lui infilava la testa sotto al cuscino
e premeva con tutte le sue forze contro le orecchie, sperando di
attutire il rimbombo della tempesta. Per distrarsi, iniziava a
ripetersi a mezza voce cosa avesse fatto durante il giorno, cosa
avesse in programma di fare per l'indomani o, il più delle
volte, la
storia che la madre gli aveva letto quella sera. Di norma, il suo
modesto stratagemma funzionava.
Poi
è arrivato lui.
Remus
si portò istintivamente la mano alla spalla sinistra e
strinse le
dita attorno alla stoffa rovinata della propria camicia. Con una
smorfia di disappunto, si rese conto che il terrore della luna aveva
nettamente sormontato quello per i temporali.
“Se
il cielo è plumbeo”,
si ripeteva spesso, “la
luna non è visibile”.
Poco
importava, naturalmente, e Remus ne era consapevole: nessuna
perturbazione avrebbe mai potuto risparmiarlo dall'ennesimo
plenilunio. Tuttavia, non vedere la luna sopra la testa, di tanto in
tanto, era una discreta consolazione.
«Finiscila
di leggere o diventerai troppo intelligente ed io non avrò
più
nessuno con cui parlare» disse una voce annoiata dietro di
sé.
Abbassando
lestamente il braccio, Remus distolse lo sguardo dalla finestra.
Sirius trascinò i piedi verso la poltrona vicino al
treppiedi di
mogano, estrasse la propria bacchetta dalla tasca della giacca e
l'agitò con aria distratta a mezz'aria. Evocò due
calici di vetro
riccamente ornati e un'anonima bottiglia sulla quale si leggeva
l'etichetta “Shoddy Whisky”.
Remus
inarcò pensieroso il sopracciglio sinistro, mentre osservava
Sirius
armeggiare con il tappo.
«“Shoddy
Whisky”?» domandò con tono divertito.
«Da quando in Inghilterra
esiste qualcosa di similey?».
Sirius
gli allungò uno dei due calici, si accomodò sulla
poltrona e gli
rivolse uno sguardo estremamente greve.
«Molly
ha bonificato le scorte del fu Orion Black. Non c'è rimasto
più
niente. Siamo senza Whisky Incendiario, senza vino elfico, senza
sidro nanico e senza rhum» spiegò funereo,
scrutando il bicchiere
che oscillava nella sua mano con un smorfia disgustata.
«Oh»
esclamò Remus, annuendo comprensivo. «Ne deduco
che questo non
è
whisky».
«C'è
scritto sulla bottiglia, Moony. Vedi? “Shoddy
Whisky”.»
ribatté stancamente Sirius, lasciandosi scivolare fra i
cuscini. «Me
l'ha passata Mund».
Remus
gli rivolse un'occhiata eloquente.
«E
con questo abbiamo appurato che qualunque liquido stiamo bevendo non
può essere whisky».
«Se
preferisci del latte di mandorle, va' a prendertelo in
cucina».
«Abbiamo
del latte di mandorle?» s'informò ironico Remus.
Sirius
gli rivolse un ghigno appena accennato.
«Fottiti
e bevi, Moony» decretò, sollevando il braccio.
«“Giuro
solennemente...”».
Remus
fece uno sbuffo divertito nel sentirlo recitare quella vecchia
filastrocca. Inclinò vagamente il proprio calice verso di
lui,
scrutandolo con un sorriso appena accennato.
«“...di
non avere buone intenzioni”»
concluse sommessamente.
Si
scambiarono un'occhiata eloquente e bevvero in silenzio. Per qualche
istante, il solo rumore fu quello della pioggia che ticchettava
incessante contro la finestra.
«Detesto
quando piove» sbuffò d'un tratto Sirius, guardando
con la fronte
aggrottata verso Grimmauld Place. «Sopratutto a
primavera».
«Tu
detesti praticamente qualunque cosa, Sirius»
replicò con finto
disinteresse Remus, sorseggiando lentamente il proprio whisky.
«Non
è affatto vero».
Remus
gli rivolse un'occhiata sardonica.
«No?».
«Amo il
whisky» replicò con ovvietà
Sirius, indicando con un cenno
del capo la bottiglia sul treppiedi. «E amo follemente
il mio grandioso essere».
«Quale
nefasta sventura fu il giorno in cui ti innamorasti di te
stesso»
recitò melodrammatico Remus, scuotendo lievemente il capo e
poggiando i polpastrelli dell'indice sulla fronte.
«Puoi
ben dirlo, Moony» aggiunse con tono di sfida l'altro.
«È la
relazione più duratura e complicata in cui mi sia
impantanato».
«Hai
la mia totale ammirazione, Sirius. Nessun altro mago di mia
conoscenza avrebbe mai potuto sopravvivere così a lungo
nella tua
testa. Non senza perdere totalmente la ragione, perlomeno. Ti hanno
mai detto che sei un pazzo terrorista?» aggiunse con una
punta di
sarcasmo.
Sirius
gettò la testa indietro e scoppiò in quella
risata tutta sua che
ricordava il latrato di un cane. Remus l'aveva sentita echeggiare
così tante volte che credeva di poterla riconoscere anche a
cinquanta piedi di distanza. Era rumorosa, trascinante e priva di
contegno, esattamente come Sirius.
Ci
si sarebbe aspettato che il discendente di una delle più
nobili
famiglie di Purosangue fosse più compito. Sirius, al
contrario,
sfatava questa credenza popolare da oltre trent'anni – e
Remus
ricordava perfettamente ogni singola onta gettata sullo stendardo dei
Black.
In
verità, Remus aveva ricordi piuttosto nitidi di ogni
dettaglio della
propria gioventù. Sarebbe stato capace di rievocare nella
propria
mente qualunque giorno di quei sette anni che trascorse fra le mura
di Hogwarts.
Rivedeva
se stesso, un pallido e schivo undicenne seduto su uno sgabello sotto
gli occhi dell'intera Sala Grande, mentre la professoressa McGranitt
gli calava il Cappello Parlante sulla testa. Lo stupore nell'essere
Smistato a Grifondoro – come suo padre e suo nonno
– quando
credeva non esistessero posti adatti a quelli come lui.
C'era
James, con quel suo sorriso sfacciatamente divertito e gli occhiali
tondi che continuavano a scivolargli sul naso. C'era Sirius, con
quell'aspetto da principe un po' fuori dagli schemi e la sua risata
prorompente. E c'era anche Peter, nei suoi ricordi – ed erano
proprio quelli che Remus avrebbe voluto eliminare. Timido,
impacciato, invisibile. Un'ombra che inseguiva disperatamente la scia
di James, tentando sempre di afferrare un soffio di quell'ondata di
fama e talento da cui era avvolto.
Si
erano prodigati molto, per lui.
L'affetto
che provavano per il loro amico era davvero sincero, nonostante le
malelingue sibilassero che l'unico motivo per il quale facesse parte
del loro gruppo fosse perché a James piaceva essere adulato.
Era
vero, naturalmente: la modestia non era mai stata né fra i
pregi di
James né fra quelli di Sirius. Tuttavia, erano onesti e
fedeli –
dei veri Grifondoro – e non avevano mai sfruttato le
debolezze di
Peter per il loro personale tornaconto.
Remus
si accorse di essere rimasto in silenzio per diversi minuti. Gli
occhi grigi di Sirius lo fissavano intensamente attraverso i ciuffi
scarmigliati di capelli neri, con le labbra sollevate appena in un
triste sorriso.
«A
cosa stai pensando, Moony?» gli chiese in tono accorto,
appoggiando
il mento al dorso della mano.
«Non
vuoi indovinare?».
«No»
ribatté franco l'altro. «Detesto vincere troppo
comodamente».
Remus
fece uno sbuffo sarcastico.
«Che
bugiardo» scherzò. «Ami vincere senza
difficoltà quasi quanto ami
te stesso. Ed è tutto dire, credimi».
Senza
distogliere lo sguardo dall'amico, Sirius bevve distrattamente un
altro sorso di whisky.
«In
quale triste ricordo ti stavi perdendo, vecchio mio?» gli
domandò
con ostentata leggerezza.
«Credi
davvero che i nostri ricordi siano così tristi?».
Sirius
sollevò le spalle.
«Non
lo sono?».
«No»
rispose debolmente Remus. «È triste solo il fatto
che non ci sia
rimasto altro che quelli».
Sirius
fece un sorriso un po' storto e bevve l'ultimo sorso di whisky con
una smorfia un po' capricciosa.
«Non
siamo rimasti neanche noi due» commentò con tono
piatto.
Remus
gli rivolse un'occhiata interrogativa.
«Siamo
così diversi, Moony» riprese
con mestizia Sirius. «Io
sono diverso. Tu sei diverso».
«Il
tempo cambia ogni cosa, Padfoot. E dodici anni sono considerevolmente
lunghi».
L'altro
scosse il capo.
«Non
sono stati gli anni trascorsi a cambiarci».
«E
cosa, allora?».
«Come
sono trascorsi».
Remus
socchiuse le palpebre con espressione addolorata. Avvertiva una morsa
soffocante stringersi con foga alle sue viscere: conversare con
Sirius del passato gli faceva sempre quell'effetto.
«Non
hai mai l'impressione che non sia io, a
parlare?» riprese
Sirius, fissandolo con intensità. «Come se il
ragazzo che sono
stato non fosse mai esistito realmente?».
«L'hai
anche tu?» chiese Remus gentilmente.
Sirius
annuì.
«È
come se non ti conoscessi affatto, Moony. Come se non fossi
più tu»
spiegò amaramente. «Come se ti fossi sbiadito con
il passare dei
giorni».
Remus
fece uno sbuffo divertito.
«Cosa
ti fa ridere?» chiese con interesse Sirius.
«Sbiadito»
ripeté. «Mi ricordi un fantasma».
Sirius
fece una smorfia
abbattuta.
«E
dire che non sono
ancora morto».
Non ancora.
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