Lascio questa lettera per spiegare questo
mio gesto estremo. In modo da far capire a tutti i motivi che mi hanno
spinto a
suicidarmi.
La mia vita non è stata mai semplice ho
dovuto lottare contro l’indifferenza e l’odio di
certe persone a cui non avevo
fatto niente di male. Per loro, molestarmi e ingiuriarmi, era un
piacevole
passatempo, era un modo come un altro per ingannare la noia. Non
è solo a causa
loro, che voglio porre fine alla mia esistenza, ci sono anche le
ragazze come
Giada che prima si dimostrano dolci e comprensive e poi quando non gli
servi
più ti buttano via come se fossi spazzatura. Il vero motivo è
che sono stanco di essere
solo, senza avere nessuno che mi conforti quando sono triste per poi
ripagarlo
donandogli il mio amore e la mia vita. Spesso sono preso da attacchi di
malinconia e tristezza che mi buttano a terra e mi lasciano nello
sconforto più
totale. Mi sento come un naufrago sballottato dalle onde in mezzo
all’oceano durante
una tempesta senza nessuno che mi aiuti a rimanere a galla.
La mia morte sarà solo una delle tante
non
degne di essere menzionate o se invece qualcuno ne parlerà,
vi dirà che è morto
un ragazzo insignificante.
Nessuno dei miei parenti sentirà la mia
mancanza. I miei genitori sono morti quando avevo tre anni e gli zii
materni, a
cui sono stato affidato mi trattano come un peso morto che sono
costretti a
trascinarsi dietro.
Chiunque ritroverà questa lettera sappia
che
il mio non è stato un gesto deciso senza rifletterci almeno
un milione di
volte, ma questa è l’unica soluzione per non
soffrire più.
Ero
giovane
quando scrissi questa lettera, ma non riesco a pentirmi del mio
tentativo di
suicidio, leggendo capirete il perché.
Quel
giorno
avevo ricevuto il colpo finale. I soliti bulli mi avevano trovato,
mentre scrivevo
sul mio fidato quaderno nell’attesa che suonasse la
campanella, dopo avermi preso,
avevano cominciato a denudarmi costringendomi a fare il giro della
scuola con i
calzoni e le mutande abbassate fino alle caviglie, a niente era servito
ribellarmi e implorare, arrivare perfino a piangere, anzi godevano
della mia
sofferenza, fino a quando il loro “gioco
perverso” non fu interrotto
dall’arrivo di un professore. Avevano fatto
in tempo a scappare ma io non fui altrettanto veloce a rivestirmi. Quel
professore mi sgridò severamente per essermi calato i
pantaloni in un posto
pubblico, a niente valsero i miei tentativi di difendermi dalle accuse
che mi
lanciava. Decise di portarmi dal preside, così ci avrebbe
pensato lui a farmi
smettere di fare l’esibizionista. In quel momento compresi di
aver toccato il
fondo. Ero punito dall’unico mio appiglio con la vita, che
era la voglia di
apprendere dai professori, nonostante avessi tenuto sempre un
comportamento
integerrimo. Così decisi di scappare dalla scuola di corsa,
con il professore
che mi ordinava di tornare indietro immediatamente.
Non
sentivo
più niente era come se mi trovassi in una bolla, che
impediva ai suoni che mi
circondavano di arrivarmi alle orecchie. Era giunto il momento di farla
finita
perché solo in quel modo avrei potuto smettere di subire le
amarezze che il
destino avverso m’infliggeva.
Avevo
deciso
di morire in modo che per una volta potessi sentirmi libero e leggero.
Volevo
farlo
subito, sull’onda delle
emozioni che
provavo in quel momento, ma non volevo che qualcuno intervenisse,
quindi dovevo
aspettare la notte in modo che nessun passante si potesse trasformare
“nel buon
samaritano”.
L’attesa
si
annunciava lunga, poiché il posto era sempre gremito di
gente, ma non
m’importava. Pensavo che l’attesa mi avrebbe
calmato e mi sarebbe passata la
voglia di porre fine all’inferno che chiamavo vita. Ma
continuavo a vedere
nella mia testa le immagini di quella mattina, la vergogna che avevo
provato e
il senso di umiliazione e d’inferiorità che il
professore mi aveva inflitto.
Gli occhi tornarono a riempirsi di lacrime ma feci di tutto per
ricacciarle
indietro, non potevo piangere per lui.
Volevo
andarmene sereno e con il sorriso sulle labbra, perché per
una volta, nella mia
vita miserabile, volevo essere felice.
Ormai
era buio
inoltrato, le strade erano deserte e il ponte da cui avevo deciso di
gettarmi
mi attirava come una falena è attratta dalla fiamma.
Deposi
lo
zaino.
Presi
un bel
respiro.
Svuotai
la
mente.
E
incominciai
a scavalcare la balaustra, aldilà di essa vidi il fiume nero
sotto di me,
sorrisi con le mani pronte a lasciarmi cadere nel vuoto, ma
all’improvviso due
braccia esili mi avvolsero in vita. Andai nel panico, ma riuscii ad
afferrarmi
saldamente al ponte, evitando di portarmi dietro anche il misterioso
salvatore,
se c’era una persona che doveva morire quella, ero io e
nessun altro.
“Non
lo
fare…………. Ti
prego!” mi disse una voce sottile e rotta
dall’emozione
all’orecchio.
“Va
bene……”
gli dissi conscio che il mio volo era solo rimandato.
Riuscii
a
ritornare dentro il ponte, nonostante l’abbraccio mi rendeva
difficoltoso il
rientro. Appena si allontanò, mi girai per vedere chi aveva
ritardato
l’inevitabile e rimasi rapito da due occhi grigi velati da
lacrime, che mi
guardavano con una tristezza infinita.
Non
riuscivo a
emettere alcun suono. Avevo di fronte a
me la creatura più bella che avessi mai visto. Rimanemmo a
fissarci per un
tempo indefinito, finché lei non ruppe il silenzio.
“Ne
vuoi
parlare con me, davanti a una cioccolata calda?” mi disse con
quella sua voce
delicata.
Assentii
con
la testa all’istante, non avevo il coraggio di parlare,
perché pensavo di
sognare, quindi temevo che se avessi anche solo bisbigliato, lei
sarebbe sparita
come quando ci si sveglia dopo un sogno meraviglioso. Pensavo che solo
in un
sogno uno sfigato come me avrebbe potuto parlare con un angelo come lei.
Mi
tese la
mano lanciandomi un tacito invito ad afferrarla, gliela presi
delicatamente con
una certa titubanza. Mi accorsi subito che era morbida e liscia, il
contatto
con la sua pelle era un balsamo per le ferite della mia anima.
Camminammo
per
dieci minuti distanti l’uno dall’altra nonostante
fossimo mano nella mano, quel
contatto aveva il potere di annullare la mia volontà, in
quel brevissimo tempo
avevo provato più emozioni positive che nell’arco
della mia vita fin lì
vissuta. Arrivammo in un bar deserto, dove ci sedemmo uno di fronte
all’altra e
finalmente potei notare meglio i suoi capelli lunghi e castani e il suo
bellissimo viso a forma di cuore.
Ero
così perso
ad ammirarla che non mi ero accorto dell’arrivo del barista
che mi chiedeva
cosa volessi da bere, farfugliai qualcosa d’insensato e lui
se ne andò un po’
stranito borbottando sottovoce, mentre lei rideva di cuore.
“Perché
volevi
farlo?” mi chiese ritornando seria e con il viso preoccupato.
“Mi
chiedi
perché? ………. La mia
è una vita che non vale la pena di essere vissuta”
le dissi
sorridendo amaro.
“Ogni
persona
al diritto e il dovere di vivere………. e
tu non fai eccezione” mi disse lei con
ardore.
“Belle
parole…………
ma tu non sai niente della mia vita” gli dissi stizzito.
“Allora
perché
non mi parli di te e non mi fai capire quant’è
insulsa la tua vita” disse lei
che cominciava ad arrabbiarsi.
“Io……..
non ho
legami con nessuno, perché la gente tende ad evitarmi, si
ricorda di me solo se
hanno bisogno, vengo umiliato ogni giorno, per i miei parenti sono solo
una
palla al piede………… solo la
passione per la scrittura mi ha tenuto in vita, mi
fa sentire bene, mi permette di essere me stesso,
altrimenti……” mi fermai, non
avevo la forza di proseguire, la mia era proprio una vita di merda.
“Pensi
di
essere l’unico al mondo a essere trattato male?...... prendi
ad esempio me,
sono costretta a subire l’invidia della gente
perché mi trova troppo bella e
mette in giro menzogne per screditarmi, dice che sono una sgualdrina
una poco
di buono e che non ho cervello. Secondo te che dovrei fare?”
mi chiese
guardandomi dritto negli occhi.
“Cerco
di
andare avanti e penso che prima o poi me ne andrò da questo
posto popolato da
gente ignorante e piena di astio, così potrò
finalmente iniziare una nuova
vita……..” disse con fervore e
determinazione.
“Io
sono
invidioso della tua forza di volontà….. ne avessi
anche solo la metà penso che
potrei camminare sui carboni ardenti, il mio problema forse e che mi
perdo nei
meandri della mia testa per sfuggire alla realtà e quando
essa mi viene a
reclamare mi trova totalmente impreparato ad affrontarla, purtroppo
solo nei
miei racconti riesco a fronteggiare le avversità della
vita” dissi ammettendo
davanti a lei le mie debolezze.
“Mi
fai
leggere qualcosa di tuo?” mi chiese speranzosa.
Ero
tentato di
dirle di no, ma pensai che in fondo per me era già finita,
allora cosa
importava se lei mi diceva che scrivevo idiozie.
Presi
il
quaderno dallo zaino e glielo porsi e lei lo prese avidamente neanche
fosse
qualcosa dal valore inestimabile. Mentre lei leggeva concentrata, mi
alzai per
andare al bagno, avevo bisogno di stare un attimo solo e di
rinfrescarmi la
faccia, al mio ritorno vidi che era ancora immersa in una mia storia.
Dalle
espressioni sul viso intuivo che quello che stava leggendo le procurava
una
serie di emozioni secondo il tono del capitolo.
Quello
che non
mi aspettavo era che si emozionasse al tal punto da piangere lacrime di
felicità, non ero preparato a una reazione del genere.
“Tu
devi
vivere per regalare anche agli altri emozioni così
belle……………. Hai
altri
racconti?” mi chiese mentre si asciugava le lacrime.
“Si……………
ma
non sono un granché” dissi senza falsa modestia,
non potevo credere che un mio
racconto riuscisse a suscitare tali emozioni.
“Se
hanno
anche solo la metà dell’intensità che
aveva questo, saranno comunque
bellissimi, quindi devi farmeli leggere altrimenti, verrò a
cercarti……… e una
promessa” mi disse cercando di risultare minacciosa.
“Solo
se li
leggerai con me, vicino” dissi senza pensare, dove
erano andati a finire i miei propositi di suicidio?
“Affare
fatto………….. a proposito io
mi chiamo Laura è stato un piacere conoscerti
Luca”
mi disse mentre scriveva il suo numero di cellulare su un tovagliolo
usando la
penna che tenevo sempre appesa al quaderno di turno.
Se
ne andò
salutandomi con la mano, sorridendomi felice. Mentre ero ancora seduto
al
tavolo stringendo in mano il suo numero di cellulare, mi chiedevo come
avesse
fatto a scoprire il mio nome, finché riprendendo il quaderno
lo vidi scritto a
mano. Stavo percorrendo la strada per ritornare a quella che qualcuno
diceva
fosse la mia casa e mi sorpresi a pensare che potevo provare a vedere
se avevo
qualche possibilità che Laura diventasse mia amica, forse in
mezzo alla
tempesta che era la mia vita avevo finalmente trovato un porto sicuro
in cui
rifugiarmi in attesa che finisse. Perciò decisi che fin
quando c’era quell’illusione
di amicizia, il suicidio poteva aspettare.
Quello
che non
avevo previsto è che mi sarei innamorato di lei, ogni volta
che c’incontravamo
i miei sentimenti nei suoi confronti diventavano sempre più
chiari a me stesso.
Nei nostri incontri parlavamo di tutto, soprattutto di libri, era
piacevole
avere accanto una persona che mi capiva e con cui potevo essere me
stesso.
Quello cui non ero preparato, era che anche lei s’innamorasse
di me, la prima
volta che me lo disse non potevo crederci, ma dovetti ricredermi mentre
guardavo l’intensità del suo sguardo quando mi
prese il viso tra le mani per
scambiarci il nostro primo bacio.
Adesso
che
sono passati dieci anni dal nostro primo incontro e il nostro amore
è stato
suggellato dalla nascita dei nostri due splendidi bambini non posso
fare a meno
di pensare che se non avessi avuto tanta voglia di morire non avrei mai
incontrato la mia unica ragione per vivere.
Da
quell’esperienza
ho capito che andare incontro alla morte è facile, mentre
affrontare la vita
ogni giorno con coraggio e a viso aperto è difficile ma ti
può regalare gioie
ed emozioni indescrivibili.
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