Another
Opportunity
CAPITOLO 1
“Potresti
restare…„
“Che
bella idea…che
folle, pazza, meravigliosa idea…ma non
posso…„
“Non
posso…„
“Non
posso…„
“Non
posso…„
-Ma insomma,
Tarrant! Vuoi svegliarti?!-
L’uomo, seduto
sull’enorme poltrona situata a capotavola,
sussultò.
-Hai avuto di nuovo
gli incubi, per caso?-
Il Cappellaio chinò lo
sguardo, un tempo d’un verde simile a
fresca e giovane erba campestre e ora cupo, spento, disperso.
Abbassò gli occhi,
si osservò le mani rovinate per qualche secondo, per poi
portarsele lentamente al
volto.
-Ho indovinato…-
Il cucchiaino che si trovava
all’interno di una tazzina
dall’altro capo della tavola iniziò lentamente a
muoversi, formando dei cerchi
regolari.
-Sei…tu…-
La voce dell’uomo era
flebile, a malapena percettibile,
mentre il vuoto dei suoi occhi continuava a fissare un punto che solo
lui
conosceva. O forse no.
-Che buffo…-
Pian piano iniziò a
materializzarsi, accompagnato da un
leggero alone oscuro, il corpo di un grosso gatto striato di blu dagli
occhi a
forma di palla davvero troppo, troppo grandi: due pianeti turchini
attraversati
da una sottile pupilla nera. Il suo smisurato sorriso, adornato da
denti
bianchi e acuminati, andava da un orecchio all’altro. La coda
felposa ondeggiava
adagio, il suo sguardo fisso sull’uomo seduto due tavoli
più avanti.
-Proprio buffo…un
Cappellaio Matto che non è più
matto…che matto è?-
Il felino sorseggiò il
thé, senza smettere di sfoggiare il
suo strano ed inquietante sorriso.
-Non ha senso…del
resto, cosa ha senso qui a Sottomondo?-
Le mani del Cappellaio
s’allontanarono di qualche centimetro
dal suo volto sciupato, gli occhi spalancati, se possibile, ancora di
più di
quanto non lo fossero già.
-Hai ragione,
Stregatto. Nulla ha senso. Nulla ha più senso…-
-Ma di cosa stai parlando
esattamente, Tarrant?-
La voce del gatto era monotona,
profonda, tranquilla, con
una strana punta di provocazione. Era sempre stato così, lo
Stregatto.
-Io…-
Il Cappellaio osservò la
tazzina che aveva apparecchiata
davanti a lui da ormai non si sapeva quanti giorni, quanti mesi, quanti
anni.
All’interno di essa, i residui di quello che una volta doveva
essere un pregiato
thé alla pesca.
-Non si sa se sei
diventato più matto adesso, o prima che Alice tornasse a
Sottomon…-
-Aaaaaaargh!!!-
Fu un attimo. Lo Stregatto si
aspettava quella reazione da
parte dell’amico, che lanciò un urlo straziante e
gli scagliò contro la tazzina
di porcellana. Naturalmente, il felino fu pronto a svanire
all’istante, mentre
la sfortunata stoviglia andò a frantumarsi contro
l’albero più vicino.
Calmati,
Cappellaio…è
solo un incubo…
Il gatto riapparve qualche secondo
dopo, beatamente
accovacciato al centro della lunga e bizzarra tavola da thé.
Sorrideva, come
sempre. E sapeva bene ciò che diceva, studiava sempre ogni
situazione. Amava
stuzzicare le persone.
-Cosa t’è preso,
Tarrant? Ho detto qualcosa di sbagliato?-
Il volto dell’uomo
s’era infiammato, gli occhi e le guance
avevano raggiunto una colorazione porporea, mentre le mani si
tormentavano,
stringendosi con tanta foga da sanguinare.
-Sei cambiato, sai?
Non sei più matto…direi che sei completamente
impazzito!-
Lo Stregatto si lasciò
andare in una piccola risatina
nevrotica, afferrando la prima tazza capitatagli sottomano e versandosi
un
altro po’ della bevanda profumata che, in quella bizzarra
tavola, regnava
sovrana, in mezzo a piatti ricolmi di pasticcini d’ogni
genere, oramai andati a
male.
Il respiro del Cappellaio si
tranquillizzò, tornando quello
di sempre. Il suo volto ricominciò a manifestare quella sua
malinconica faccia
di cera, reimmergendosi nei meandri della sua mente vuota, paragonabile
al più
profondo dei buchi neri.
-Hai ragione,
Stregatto…sono impazzito…come ho
potuto…?-
Quasi non fece in tempo a finire la
frase che l’uomo balzò
sul tavolo, facendo rovesciare gran parte delle stoviglie e dei piatti
di
dolciumi a terra. Il Cappellaio aggrottò la fronte e, dopo
aver preso un
profondo respiro, iniziò a correre sul bancone, lo
oltrepassò, investendo il
povero Stregatto. Questi si voltò verso di lui, con gli
occhi ricolmi di
tensione e il sorriso, per la prima volta, morto sul suo musone.
-E-Ehi…ma dove credi
di andare?!-
***
Correva, il
Cappellaio.
Solo, in quel folle sentiero ricolmo
di foglie secche, di
ricordi di dolore, un dolore che, normalmente, dovrebbe essere estraneo
in un
posto come Sottomondo. Ma cosa…cosa è normale?
Chi, in quel luogo, aveva la
benché minima idea di cosa fosse la normalità?
Forse il matto Cappellaio lo
stava iniziando a sperimentare. Era diventato triste come quel viale
spoglio.
Non lo rallegravano più i party con la Lepre Marzolina e il
Ghiro, non lo
animavano più gli inviti alle feste a Corte, non era
più capace a ballare la
sua famosa, folle Deliranza, che riusciva a far sorridere anche la
creatura più
sconsolata. Era forse questo essere normali? Perché se
davvero era
così…ringraziava il cielo di essere un Cappellaio
Matto! Ma nulla lo faceva
sembrare più stravagante come una volta…e doveva
rimediare. Al più presto.
Correva, il
Cappellaio.
La leggera brezza serale che gli
faceva danzare gli assurdi
capelli ramati, le foglie che scricchiolavano e si spezzavano, al suo
passaggio. Il sentiero non gli era mai sembrato così
infinito, con la ripetuta
immagine di quegli alberi che circondavano la stradina del bosco. Tutto
scorreva così velocemente e così adagio, ma
l’uomo continuava imperterrito a
correre, finché non se lo ritrovò davanti,
l’imponente castello di zucchero
filato dell’amabile Regina Bianca. Il Cappellaio si
fermò, in preda al fiatone,
poggiandosi le mani sulle ginocchia, per poter riempire di nuova aria i
suoi
polmoni. Non aspettò che pochi secondi per riprendersi:
doveva entrare, subito.
A sbarrare l’entrata dell’imponente edificio, due
omini buffi, grassottelli,
vestiti da una bella armatura bianca.
-Che piacere
rivederti, Cappellaio!-
I due omini paffuti parlavano
all’unisono, quasi come se
leggessero l’una nella mente dell’altro.
-La
Regina Bianca
–che regni per sempremila anni, la dolce sovrana!-
sarà felice di vederti!
Prego, amico!-
La Regina Bianca. L’unica,
la sola che avrebbe potuto
aiutarlo a ritrovare la sua follia, la sua vitalità, la
sua…moltezza. La
moltezza! Ecco! Ecco cosa
aveva perso! Ma…come ritrovarla?
Finalmente il grande portone marmoreo
si spalancò e il
Cappellaio entrò nel Castello, dove tutto si mescolava con
tutto: i mobili, i
divani, le finestre. Ogni cosa sembrava invisibile, bianco
com’era, tutto si
mimetizzava col perlaceo colore delle mura, dei soffitti, del
pavimento.
Davanti a lui, una figura che mai, mai avrebbe potuto confondere con
qualcos’altro.
La Dama Bianca vestiva un abito di polvere di diamanti, i suoi capelli
di latte
cadevano vaporosi sulle sue delicate spalle, le sue labbra e i suoi
occhi d’un
nero intenso, che quasi sgraziava con il candore dell’intero
luogo. La bella
corona d’argento dalle preziose pietre azzurrine sulla sua
piccola, elegante
testa, dimostrava l’immenso potere di cui era investita.
L’uomo si tolse il bizzarro
cappello e s’inchinò alla sua
Regina.
-Bentornato a
Corte.-
La dolce e stralunata voce della
donna entrò subito nel
cuore del Cappellaio, che si tranquillizzò di colpo, ancora
più convinto
dell’aiuto che la sua sovrana le avrebbe potuto sicuramente
dare.
-Che cosa posso fare
per te, Cappellaio? Qualunque cosa per chi ha combattuto nella
battaglia per riottenere
la gioia! Ma…Tarrant…-
La Regina Bianca si
avvicinò volteggiando verso l’uomo. Lo
scrutò con attenzione, perforando quelle pupille irregolari
nelle quali non
trovò nulla, se non una sensazione di pura disperazione. Il
suo sguardo
sognante si fece malinconico. Sfiorò con una mano pallida
guancia del
Cappellaio.
-Non mi sembri molto
felice…- dichiarò quella, con una punta
d’amarezza nella voce.
-Mia Regina…io…temo
d’aver perduto la mia moltezza.-
La donna sussultò, quasi
sconvolta da quelle parole.
-Ma come…proprio tu?
E ora, come faremo, con un Cappellaio Matto che non è
più matto?-
-Me lo chiedo anche
io, mia Regina…-
Lo sguardo dell’uomo cadde
di nuovo in basso, tornando a
fissare nel vuoto, una chiara smorfia di disperazione che attraversava
il suo
strano viso.
-Su, su! Non
crucciarti! C’è sempre qualcosa che si
può fare!-
-No, è impossibile…-
La Regina Bianca aprì la
bocca, ma non ne uscì alcun tipo di
suono. Era triste anche lei, a non poter fare nulla per aiutare il suo
amato
servitore. Non conosceva la causa del suo male, da cosa era provocato
il suo
vuoto inspiegabile.
Il Cappellaio chiuse gli occhi e
chinò il capo, nel vedere
la sua Regina esitante. Neanche lei lo avrebbe potuto aiutare, neanche
la sua
sovrana avrebbe potuto fare qualcosa. Se avesse perduto una volta per
tutte la
sua follia, sarebbe scomparso da Sottomondo, non avrebbe fatto
più parte di
quel Paese meraviglioso, dove gioia e allegria sono
all’ordine del giorno. Sarebbe
stato spazzato via come un granello di polvere nel vento. Sarebbe
svanito.
Come un
sogno.
Questi erano i pensieri che
attraversavano la mente del
Cappellaio, mentre sentiva la sua follia continuare
a scivolargli via dalle mani come acqua, quand’ecco una cosa
insolita gli
apparve sotto gli occhi di smeraldo: una curiosa, minuta boccetta,
contenente
uno strano liquido violetto. A porgerglielo era niente di meno che la
Regina
Bianca stessa. Il Cappellaio alzò lo sguardo su di ella, che
sfoggiava uno dei
suoi radiosi seppur stravaganti sorrisi. L’uomo
afferrò con cautela la piccola
bottiglia, rigirandosela tra le mani.
-Fosti tu a dire che nulla è impossibile, basta
che pensi che non lo
sia. Sbaglio…?-
Il
Cappellaio fece scattare gli
occhi al volto della Regina, la bocca semiaperta, senza sapere cosa
dire.
No…per favore…non aveva intenzione di
ricordare…
-Ricordi quando l’hai detto, vero..-?
Perché? Perché mi sta facendo
questo?!
Il labbro inferiore del
Cappellaio iniziò a
tremare. Non aveva mai sentito le gambe così pesanti,
né il fiato diventargli
così corto.
Non voglio…ricordare…
-Tarrant…a chi lo
hai detto?-
Perché Altezza? PERCHE’?
L’uomo
si gettò con le ginocchia a
terra, le mani tra gli assurdi e spettinati capelli rossi. E per la
prima volta
in tutta la sua esistenza, gli occhi del Cappellaio bruciarono forte,
molto
forte. Erano come mille spilli conficcati nelle palpebre, come fuoco
alimentato
da tonnellate di legna da ardere, il dolore indescrivibile. Poi,
finalmente
arrivò qualcosa a raffreddare i suoi occhi. Fu in quel momento che
sentì una strana
sensazione di prurito che partì dalla parte
dell’occhio più vicina al naso, che
poi andava scendendo giù, lungo gli zigomi, le guancie e il
mento. Fu allora
che la Regina Bianca aprì la boccetta di vetro,
l’avvicinò al volto del
Cappellaio e raccolse qualche goccia dello strano liquido trasparente.
L’uomo
sentiva quelle scie d’acqua continuare a scendere copiose dai
suoi occhi
impauriti.
-Cosa…cosa mi succede, Altezza…?-
La
Regina Bianca chiuse la
boccetta e la agitò leggermente,
come
per far amalgamare il nuovo ingrediante appena ottenuto. Poi si
chinò davanti
al Cappellaio, per poterlo osservare in volto. Gli posò la
mano destra sulla
guancia bagnata, l’altra gli porgeva la bottiglietta di vetro
contenente lo
strano fluido, ora diventato d’un bianco opaco. Sembrava un
pezzetto di nuvola
imbottigliato. L’uomo la prese e notò un
bigliettino attaccato al collo della
boccetta.
-“Bevimi…„-
-Volevo renderla più invitante!-
-Che
cos’è, Altezza?-
-Oh, non ne ho la più
pallida idea!-
La Regina rise, iniziando a fissare
senza motivo il
lampadario di cristallo bianco del corridoio. Il Cappellaio la
guardò con aria
incuriosita. Effettivamente, quel liquido zuccherino lo tentava,
ma… che cosa
sarebbe potuto capitare? Certo, se glielo aveva donato la Regina,
avrebbe
portato senza ombra di dubbio a qualcosa di buono, ma…
-Hai solamente un tre
sorsi a disposizione. Stà bene attento a ciò che
fai, ci vogliono Tantimila
anni per preparare quella pozioncina…e le lacrime di un
abitante di Sottomondo.
Sai quanto sono rare, Cappellaio?-
Un’altra risatina senza
senso, un’altra pazzia che si espandeva
nell’aria, nutrendo Sottomondo. Il Cappellaio strinse la
boccetta di vetro, la
stappò e si bagnò appena la lingua del fluido
perlaceo. L’uomo tossì
violentemente, mentre gli arti del suo corpo s’irrigidivano,
la vista gli si
annebbiava e le orecchie gli si ovattavano. Le mani iniziarono a
prudergli furiosamente,
invase da un forte formicolio, le guancie erano in fiamme. Poi, pian piano, i sensi decisero
d’abbandonarlo e
il Cappellaio cadde a terra, scosso da un violento capogiro.
L’ultima cosa che
vide fu la Regina Bianca, in un sorriso malinconico, ma gli occhi
fiduciosi nel
suo amato servitore. Non l’avrebbe delusa, la
Regina…
FINE CAPITOLO
Sapete?
Ho imparato una cosa importante. Quando si vuole veramente una cosa che
sai che mai potrai avere, allora devi fartela da solo. E questo
è il mio caso! >.< Tim Burton non ha fatto la
storia d'amore tra il mio amato Cappellaio e Alice? Beh, alla faccia
tua Burton! Me ne sono scritta una!! U__U Porca miseria, dall' inizio
del film non si vedevano altro che loro due, si notava chiaramente
quanto il Cappellaio fosse stracotto di Alice e, alla fine,
quella mentecatta l'ha lasciato come un carciofo! °A°
Poi la scena sul balcone, con la luna e le stelle, loro due soli...e
quando Alice prende il volto del Cappellaio tra le sue mani... voglio
dire!! Cavolo!!! Almeno non farci sperare, no? Se già sai
che non succederà nulla! TAT Poi è chiaro che uno
ci rimane deluso! Ho scritto questa ficcy per far contento il mio
Cappellaio, che non sono riuscita a vedere il suo volto triste, il suo
sorriso morire, alla fine del film, mentre Alice lo lasciava!
ç.ç Mi sono immaginata cosa sarebbe accaduto dopo
la partenza della ragazza, a Sottomondo. Spero quindi che vi piaccia,
ci ho messo il cuore!
Spero
che vi sia piaciuto il primo capitolo!
Un bacio,
DolceRosellina
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