Restless heart
Restless heart syndrome
1 - Jack
Aprile 1973
La neonata non somigliava né a Cassie, né a Thompson. A
Jack ricordava piuttosto un ranocchio. O un grosso ragno. O un
coniglietto scorticato, a voler essere gentili.
Quella era la figlia di Cassie. Quel povero coniglietto scorticato che
lottava contro la morte, con la pelle rossa e grinzosa, gli occhi
grigio bluastri aperti ma ciechi, il respiratore nel naso per aiutare i
polmoni non ancora abituati all'aria.
Sarebbe sopravvissuta? E se fosse sopravvissuta, sarebbe mai stata una
bimba normale? Un neonato di ventotto settimane, che riuscisse a
sopravvivere, poteva andare incontro a chissà quanti problemi. A
volte, talmente tanti da preferirne la morte.
Jack sentì lo stomaco ribaltarsi, la cena della sera prima,
già digerita, tornargli acida nella gola, e dovette portarsi la
mano sulla bocca per reprimere un conato. Poi, lentamente, si
passò la mano sugli occhi.
"Jack? Tutto bene?" la voce di Janice, come da lontano.
"No. Per niente."
"Dovresti farti visitare, adesso", disse lei.
"Non ne ho bisogno", replicò lui.
"Non hai per niente una bella cera", Janice gli accarezzò una spalla. "Prima non ho insistito, ma ora..."
"Non ne ho bisogno", ripeté lui.
"E io non ho bisogno che tu mi svenga. Abbiamo già troppe gatte da pelare."
"Non sverrò."
Janice sospirò. "Come vuoi."
"Che posso fare, Jan?" quella di Jack suonò come una supplica. "Che posso fare per lei?"
"Quello che puoi fare per Ennis", disse Jan "Pregare. E sperare."
"Quindi niente, in sostanza. Non posso fare un accidenti di niente."
"Jack..."
"Bell'uomo che sono", sbottò lui. Si sentiva impotente e di
nuovo sull'orlo delle lacrime, ma non avrebbe più pianto davanti
a Janice, a costo di strapparsi via gli occhi. "Non sono stato nemmeno
capace di difendere la mia famiglia. Proprio un bell'uomo, come no."
"Non è stata colpa tua. Tu non potevi fare niente."
"Le avevo promesso..." il senso di colpa gli stava strozzando la gola,
impedendogli di respirare, peggio delle mani di Thompson poche ore
prima. Si strofinò gli occhi, sentendoli bagnati e brucianti,
poi rivolse lo sguardo al vetro della nursery, all'unica incubatrice,
che sembrava enorme in confronto al suo minuscolo contenuto. Era una
vista straziante, ma non voleva che Janice lo guardasse in faccia,
né voleva abbassare lo sguardo, mostrandosi ancora più
debole di quanto si era già mostrato. "Avevo promesso a Cassie
che sarebbe andato tutto bene... e invece... lei è morta."
"E' morta, sì. Ma era serena."
"E che differenza fa?"
"La fa eccome. Prima di entrare in sala operatoria, quando mi ha detto
che avrebbe voluto che voi allevaste il suo bambino, sapeva che
probabilmente ci avrebbe rimesso la pelle, ma era tranquilla. Sapeva
che ti prenderai cura di questa bimba, proprio come ti sei preso cura
di lei. Sapeva di potersi fidare di te."
"Ma tu credi proprio che io potrò tenere questa bimba, se anche
sopravvive?" domandò Jack. Dopo il primo momento di sconcerto,
l'idea di allevare la figlia di Cassie l'aveva entusiasmato. Ma
purtroppo c'era più di un ma. "Non me la lasceranno mai. Io non
sono sposato, vivo con Ennis... e molta gente sa, o comunque sospetta,
che stiamo insieme. E credo che quando questa storia farà il
giro del paese, perché lo farà, tutti quanti lo verranno
a sapere. Verranno i servizi sociali, no? E quando vedranno
quest'orfana, bastarda, la porteranno in un orfanotrofio, non la
lasceranno nelle mani di una coppia di uomini, anche se sua madre l'ha
espressamente chiesto prima di morire, anche se non è scritto da
nessuna parte che Ennis e io siamo una coppia." Fece una pausa, poi
aggiunse, amareggiato: "Anzi, è scritto... e ormai le prove
saranno già in mano proprio alle persone più sbagliate."
"Che intendi dire? Casa vostra?"
Lui annuì. "Prima ho chiamato Don a casa sua, per dirgli che
cos'era successo e chiedergli di organizzare il lavoro finché
questa storia non si sistema. Poi l'ho richiamato al ranch, e lui mi ha
detto che la polizia sta controllando nel portico, e nel resto delle
stanze. E' naturale, è nelle loro procedure... ma se vanno in
camera da letto, e ci andranno... non che ci sia niente di strano, ma
credo che un letto matrimoniale in una casa dove vivono due uomini sia
già una cosa sufficientemente strana."
Jan rivolse lo sguardo al vetro, all'incubatrice. Poi, risoluta: "Ascoltami bene. Quella è tua figlia."
"Jan, per quanto io lo voglia, non me la lasceranno mai."
"Non hai capito", lei si voltò di nuovo verso Jack. "E' tua figlia, tua figlia biologica."
"Cosa..." ora che stava iniziando ad afferrare quello che Jan gli stava dicendo, Jack avrebbe preferito continuare a non capire.
"Ti sei scopato Cassie", asserì lei. "E l'hai messa incinta."
"Che cosa? Io non ho mai..."
"Lo so", Jan lo fissò. "Io so com'è andata, lo sai tu, lo sa Ennis, e lo sapeva anche Cassie."
"Io..."
"Se vuoi occupartene, la riconoscerai come tua figlia. Tua figlia biologica. Altrimenti te la porteranno via."
"Me la porteranno via comunque."
"Probabile. Avrai tutti addosso, servizi sociali, polizia...
indagheranno, sospetteranno che tu ed Ennis siete amanti, sospetteranno
che la piccola non sia tua figlia, probabilmente lo verranno a sapere
di per certo... ma se vuoi avere una possibilità di tenerla con
te, dovrai dire che lo è."
"Un sacco di gente sa che è Thompson il padre di quella bambina."
"Nessuno può provarlo, lui e Cassie sono morti. Tu dirai che
Cassie andava sì con Thompson, ma che contemporaneamente non
disdegnava di divertirsi anche con te."
"Cassie non era così", disse Jack, cupo. "E nemmeno io."
Jan alzò le spalle. "A volte bisogna mostrarsi peggiori di
quello che si è. Decidi tu, se il gioco vale la candela.
Preferisci che questa creatura finisca in un istituto, per mantenere
intatto il tuo onore e quello di Cassie? L'onore di quello che la gente
sa essere un finocchio... e di quella che considerava una puttana?"
"Grazie del complimento."
"E' brutto, però è così. Non hai un grande onore da mantenere intatto. E Cassie meno ancora."
Jack sospirò. Si sentiva esausto, abbattuto, come se tutto il peso del mondo gli fosse piombato sulle spalle.
Dovrò dire che è mia figlia, che sono un frocio traditore
che si è scopato una donna e l'ha messa incinta. E per cosa?
Forse non servirà a niente, forse non me la lasceranno comunque,
forse morirà.
Questo coniglietto scorticato.
Forse anche Ennis morirà.
E Cassie è già morta.
Quanto avrebbe voluto andare a casa, mettersi a letto, rannicchiarsi in
posizione fetale sotto le coperte e restare lì, in attesa che
succedesse qualcosa, qualsiasi cosa, che quel coniglietto tirasse
l'ultimo respiro o fosse dichiarato fuori pericolo, che Ennis morisse o
uscisse dal coma.
Tanto, non poteva fare molto altro.
Si voltò verso Janice per dirle quello che aveva intenzione di
fare, andare a casa, fare una doccia bollente, farsi una sigaretta e
magari un bicchiere o due e mettersi a letto in attesa della tragedia
finale, e si vide negli occhi di lei: gli occhi cerchiati di nero e
iniettati di rosso, l'aria smarrita di una persona che spera di
trovarsi in un brutto sogno malgrado sappia benissimo di essere nella
realtà, l'abbigliamento trasandato di chi si apprestava a trascorrere una tranquilla
serata casalinga e si è invece trovato ad affrontare
un'aggressione improvvisa. Niente cappello e, a completare il quadro,
il labbro superiore spaccato e tumefatto, un'ecchimosi sullo zigomo
destro, una collana di lividi al collo.
Un quadro davvero misero.
Il quadro di un poveraccio che non era stato in grado di difendere la
propria famiglia, e ora non trovava di meglio da fare che commiserarsi.
Poveraccio era un eufemismo.
La parola giusta era finocchio.
Ci tieni tanto a dimostrare che sei un uomo, no? Eccotene l'occasione.
Come aveva previsto Janice, l’assistente sociale non tardò
ad arrivare, presentandosi nel tardo pomeriggio. Quel mattino, prima di
entrare nella nursery, Jack aveva dichiarato all’ostetrica di
essere il padre della piccola, che avrebbe voluto chiamare Cassandra
Junior, C.J., e lo ripeté alla signora Emily Jameson, una megera
sui sessant’anni, o forse cinquantacinque mal portati, magra e
rugosa come un arbusto secco, con il seno tanto floscio da arrivarle
alla pancia, che più di un’assistente sociale sembrava una
strega delle fiabe.
Da sopra gli occhialetti rotondi, la Jameson squadrò Jack
dall’alto in basso, poi guardò Janice, di fianco a lui.
"Non prendiamoci in giro, signor Twist", disse. "Quella non è
sua figlia."
Jack non si fece intimidire. "E come può dirlo?"
"Abbiamo trovato una lettera, nell’appartamento del signor
Thompson", rispose la Jameson, gelida. “Scrive di essere il
padre della bambina, di volersi vendicare della signorina Cartwright
che l’ha incastrato rimanendo incinta, come di lei e del signor
del Mar che l’avete protetta… di volersi vendicare di sua
moglie che l’ha cacciato di casa e alla quale deve il denaro del
locale… e poi scappare in Messico."
"Grandioso", replicò Jack. "E lei si fida di quello che ha scritto un pazzoide del genere?"
“Francamente no. Ma se tutto questo fosse successo perché
il signor Thompson credeva di essere il padre della bambina della
signorina Cartwright, mentre il padre era in realtà un
altro… mi capisce, signor Twist?”
“La capisco benissimo. Ma…”
"Signor Twist, nella lettera Thompson si riferiva a lei e al signor del Mar definendovi…”
Si metteva male. Ma Jack non avrebbe mollato, anzi avrebbe giocato
d’anticipo. "Luridi froci”, terminò per la
donna. "O forse maledetti culattoni?”
"Invertiti”, lo corresse lei.
"Dubito che George Thompson ci abbia definiti in un modo così raffinato.”
"Non faccia lo spiritoso, signor Twist.”
Jack allora iniziò a scaldarsi. "Ah, certo, come
no”, sbuffò. Forse sarebbe stato controproducente, la sua
impulsività spesso l’aveva danneggiato, ma ormai non aveva
più nulla da perdere. Come aveva detto la Jameson, era inutile
stare lì a prendersi in giro. "Quel Thompson non aveva
alcun diritto di farci una cosa del genere, che fosse o no il padre
della bambina. E’ entrato in casa mia, ha ammazzato il mio cane,
ha ammazzato la mia migliore amica e l’ha fatta abortire, poi ha
sparato anche al mio…”
"Jack…” tentò Janice.
Jack la guardò, e lei capì e tacque. Lui si rivolse
nuovamente alla Jameson, che lo ascoltava, zitta, il volto
inespressivo: "Ha tentato di ammazzare il mio compagno, cazzo,
che si trova in coma e probabilmente non ce la farà… e
quella piccola di là, forse anche lei non arriverà a
domani… e lei mi viene a dire di non fare lo spiritoso. Sa cosa
le dico? Che non ho alcuna voglia di fare lo spiritoso, non ho bisogno
che me lo dica lei. Quello di cui ho veramente voglia è piangere
e gridare e sbronzarmi fino a perdere i sensi, porca puttana, ma non
posso fare neanche questo.”
"Ha finito?" domandò la Jameson.
"Sì, dannazione", sbottò Jack.
"Dovrebbe imparare a controllarsi e moderare il linguaggio”, l’ammonì la Jameson, calma.
Jack alzò le spalle.
"Signor Twist”, fece la Jameson. "In trent’anni
di lavoro, non mi era mai capitata una situazione come questa. Vediamo
di non complicarla ulteriormente.”
"Io voglio tenere la bambina”, insisté Jack. "Ne ho tutto il diritto. E’ mia figlia.”
"Lei è… un deviato. Le piacciono gli uomini.”
"Sono innamorato di Ennis, sì. Io non la vedo come una devianza.”
"Se è tanto innamorato del signor del Mar, perché ha messo incinta la signorina Cartwright?”
Jack sussultò come se la Jameson gli avesse tirato un
manrovescio. "E’… è stato un errore.”
"Quella non è sua figlia, neanche per sbaglio.”
"Lei non può dimostrarlo.”
"Via, signor Twist. Non lo è, quanto non si può mungere un toro.”
"Okay”, concesse Jack: era inutile continuare a insistere.
"Non lo è. Ma voglio tenerla con me. Me l’ha chiesto
Cassie, e sono perfettamente in grado di poterlo fare. Sarò
anche un maledetto finocchio, ma mi ritengo molto migliore di quel
figlio di puttana di George Thompson.”
La Jameson si rivolse a Janice: "Signora Hamilton, lei cosa ne pensa?”
"Io penso che Jack sarebbe un ottimo padre”, rispose Jan, senza esitare. "E anche Ennis.”
"Signora, sta parlando di una coppia di…”
Jan annuì. "Di omosessuali. Già. Ma stanno insieme
da dieci anni, vivono insieme, hanno un’attività
insieme… sono una coppia più collaudata e più
unita della maggioranza delle coppie che comunemente definiamo
normali.”
La Jameson alzò gli occhi: Diosanto, questa è più svitata di quell’altro.
"Sono due ragazzi perfettamente sani di mente, glielo posso
garantire”, aggiunse Janice. "Gli omosessuali non sono
tutti dei travestiti o delle drag queen come si vedono alla televisione
o ai raduni. Anche mio marito e io… bè, immagini come mi
sono potuta sentire quando mio fratello mi ha detto che aveva un
ragazzo. Ma poi mi hanno fatto cambiare idea.”
"Allora”, disse la Jameson. "L’alternativa
sembra essere mettere quella bambina in un istituto, o affidarla al
signor Twist. Non ho molta scelta. Lei che farebbe se fosse in me,
signor Twist?”
"Io… l’affiderei a me.”
"A un deviato.”
"Mi guardi”, esclamò Jack, allargando le braccia. "Cosa le sembro?"
La Jameson abbassò lo sguardo.
"No, mi guardi", ripeté Jack. Era stufo di
quell’assurda conversazione. "Perché abbassa gli
occhi? Sono così strano? Ho due braccia, due gambe, due occhi,
un naso… cos’ho di tanto diverso dagli altri?"
"Signor Twist…"
"Vada pure anche a casa mia, tanto a quest’ora ci
sarà anche la polizia. Non ho niente da nascondere, guardi pure
dappertutto, anche in cantina, anche nelle stalle, nelle scuderie, dove
le pare. Non troverà niente di strano, proprio niente di niente,
a parte un lago di sangue nel porticato e nel corridoio da basso."
"Signor…"
"No, scusi," continuò Jack. "Ho dimenticato
alcune cose che potrebbero disturbarla. Troverà un letto
matrimoniale, è quello in cui dormiamo Ennis e io, e spesso ci
facciamo anche sesso. A proposito, nel secondo cassetto del mio
comodino c’è anche un tubo di lubrificante…"
Jan lo tirò per la manica, e la Jameson fece una smorfia, ma lui
ignorò entrambe: il pensiero di tutto il sangue sparso, della
propria abitazione violata da Thompson e dalla polizia che la stava
perquisendo, del letto in cui dormiva con Ennis e nel quale, forse,
d’ora in poi avrebbe dovuto dormire da solo, lo stava riempiendo
di angoscia, e se non si fosse sfogato sarebbe impazzito. "Sa,
è necessario, altrimenti può fare un male cane,
specialmente quando si fa sesso per la quarta volta dietro fila…
non sa che noi froci siamo anche ninfomani? Non pensiamo altro che a
scopare, facciamo sesso tutti i giorni, almeno due volte." rise
amaramente. "Ah, e la stanza accanto… è la stanza
di Cassie. Tutta la roba in quell’armadio è la sua…
era la sua, così come i cosmetici nel comò. A essere
sincero, ho provato a farmi prestare una guepière, ma purtroppo
non era della mia taglia… e nessuno dei suoi rossetti si
abbinava al colore dei miei occhi."
"Molto divertente", osservò la Jameson.
"Vada pure, se vuole", ripeté Jack. "Ma non
troverà materiale pornografico, o chissà cos’altro
crede di trovare. Immagino che idea lei abbia di me, e degli
omosessuali in generale. Posso capirla. Ma non siamo orchi, non siamo
pervertiti, non siamo ninfomani e non siamo pedofili. Non siamo persone
malvagie. Siamo persone come le altre, e siamo malvagi nella stessa
misura in cui lo sono gli eterosessuali."
"Il signor Thompson stava per strangolarla", lo
apostrofò la Jameson. "Ma vedo che non è riuscito a
toglierle il fiato… anche se ha una voce che sembra venire
dritta dall’oltretomba."
"Me la lasci, la prego", mormorò Jack. Non sapeva
più cos’altro tentare. Non aveva mai supplicato nessuno,
nemmeno suo padre quando lo picchiava, quando picchiava sua madre. Ma
questa volta aveva già deciso di mettere da parte l’onore.
"La prego, io… la supplico. Non la faccia finire in un
istituto. Cassie… le ho promesso che sarebbe andato tutto bene.
E se quella piccolina finisce in orfanotrofio… io… non
potrei mai perdonarmelo."
"Non c’è bisogno di supplicare", disse lei. "In casi come questo, non serve a molto."
"Io… io potrei farla stare bene", insisté
Jack. "Le potrei garantire una vita migliore di quella che
avrebbe in un istituto. Ennis e io… abbiamo un ranch, un
maneggio… starebbe bene, potrebbe stare all’aria aperta,
con gli animali… e non le farei mancare niente, non abbiamo
problemi di denaro…"
"Non mi faccia quegli occhioni da cane abbandonato", disse
la Jameson. "Non è per nulla convincente, dati i suoi
gusti sessuali… e io sono troppo vecchia per farmi abbindolare
da uno sbarbatello."
"Mi scusi, non intendevo… ma…"
Lei guardò l’incubatrice, al di là del vetro della
nursery. "La cosa più probabile è che quella
bambina muoia entro una settimana", sentenziò. "E
anche se non morisse, probabilmente resterà ritardata. Dubito
che capirà di abitare con due uomini, dubito che
conoscerà mai il significato della parola omosessuale… e
ci sono tre orfanotrofi qui nella contea, ma sono già affollati
a sufficienza e non si possono sobbarcare un’handicappata."
"Mi sta dicendo…"
"Quella è sua figlia, signor Twist."
Jack non era preparato. Sentì il cuore esplodere di gioia, e
d’impulso strinse la Jameson in un abbraccio: "Grazie… grazie!"
"Signor Twist!" lei cercò di divincolarsi, inutilmente.
Lui la lasciò, rendendosi conto di avere abbondantemente
superato il limite: "Mi scusi… grazie…
io…"
Lei si scrollò la giacca come se fosse appena uscita da un
fossato pieno di insetti. "Non creda che sarà facile. Se
anche quella bambina non muore, potrà restare ritardata,
fisicamente o mentalmente o tutte e due."
"Lo so. Ma la curerò, farò tutto il possibile per…"
"Appena uscita da qui, andrò a casa sua e
controllerò tutto quanto. Se vedo qualcosa che non va, a parte
quello che mi ha anticipato, tornerò qui e farò
stracciare quello stato di famiglia."
"Va bene. Non ce ne sarà bisogno."
"Ogni due settimane verrò a casa sua e controllerò che le cose vadano come devono andare."
"Sissignora. Certamente."
"E se vedo o sento qualcosa che non mi piace, non esiterò
a toglierle la bambina, e la patria potestà. Se lo ricordi
bene."
"Certo."
"La minima cosa. Intesi? Non le lascerò scappare niente."
"Sì, intesi. Grazie. Grazie mille."
"Signora Hamilton… mi può garantire che lo sorveglierà?"
"Ma certamente", confermò Jan, sorridendo. "Dovrò farlo per forza. Jack non ha idea di come si tratta
un neonato, dovrò insegnargli tutto quanto. Non sa nemmeno come
si cambia un pannolino. Dovrà rassegnarsi ad avermi sempre in
giro per casa, insieme a mia figlia grande."
Ottobre 1976
La signora Jameson si era sbagliata riguardo a C.J.: non solo era
sopravvissuta, ma aveva sempre goduto di ottima salute, sia mentale sia
fisica, malgrado un leggero sottopeso durante i primi anni di vita. Era
anche naturalmente curiosa, e presto aveva iniziato a fare domande a
proposito della sua famiglia piuttosto atipica. Dapprima innocenti e
generiche, compatibilmente con l'età e con l'esperienza, poi
sempre più dettagliate e approfondite.
Testarda com'era, non ci si poteva salvare: aveva sempre preteso una risposta.
E una risposta aveva sempre avuto.
Talvolta le spiegazioni l'avevano accontentata, più spesso
l'avevano lasciata perplessa o spiazzata, se non addirittura addolorata
o fatta arrabbiare. Ma Jack ed Ennis erano sempre stati d'accordo nel
non nasconderle nulla, vista la situazione a dir poco particolare in
cui si trovavano. Avevano sempre cercato di risponderle con parole il
più possibile adatte alla sua giovane età, chiedendo
l'aiuto femminile di Janice e Hope per le questioni più
delicate, a volte anche quello di Emily Jameson, ma la regola era
essere sinceri. In quel modo, credevano potesse essere pronta a tutto,
dai pettegolezzi dietro le spalle a quelli più aperti, dalle
calunnie infondate e insensate a quelle con una base di verità.
Perché la vita fuori da quel rifugio sicuro che era il ranch,
per C.J., poteva rivelarsi molto, molto difficile: proprio come quella
che Ennis e Jack avevano sperimentato dopo che il fermento per la
follia di Thompson si era spento, la sua ex moglie andata ad abitare a
Riverton con i tre figli (non prima di essere andata a trovare Jack,
bisognava dargliene atto: ma l’incontro si era risolto in una
patetica inondazione di lacrime da parte di entrambi, che a Jack non
piaceva affatto ricordare, al pari del giorno dei funerali di Cassie),
ed era rimasto solo il brusio di sottofondo che indicava il fratello di
Janice Hamilton e suo cugino come amanti senza più
alcun’ombra di dubbio, facendo spegnere la simpatia nei riguardi
delle vittime dell'aggressione.
Jack aveva potuto notare come una minoranza avesse sentenziato che lui,
Ennis e Cassie se la fossero cercata, non giustificando Thompson ma
nemmeno condannandolo. Altri, più numerosi, avevano iniziato a
guardarlo, a guardare lui ed Ennis, in modo strano: e non era solo una
paranoia insensata come quelle di Ennis, questa volta Jack ne era
proprio sicuro. C'era chi si scansava al supermercato, o in fila per il
cinema; una cameriera al ristorante, dopo avere domandato loro se erano
i due del ranch sulla strada per Edgerton, si era eclissata e aveva
spedito al loro tavolo una collega - al che, si erano scambiati uno
sguardo ed erano usciti senza una parola dal ristorante, con Ennis nero
di rabbia e Jack colmo di delusione e insieme rassegnazione: sapeva che
situazioni del genere sarebbero capitate, ma quando capitavano non si
era mai pronti.
Avevano inoltre perso due clienti buoni, uno meno buono, e il fornitore
del materiale per il maneggio - telefonate su telefonate e fax su fax
non avevano risolto nulla, al che Jack, certo del motivo delle
defezioni, aveva deciso di lasciare perdere.
Inoltre, Anthony Mustang, uno degli operai, assunto l'anno precedente, aveva dato le dimissioni.
Jack si consolava pensando che avrebbe potuto andare molto, molto
peggio. Era seccante, certo, ma si trattava di casi isolati, non della
quotidianità: eccezioni, non regole. La maggior parte degli
abitanti di Casper aveva continuato a comportarsi come se nulla fosse
successo, al massimo sollevando un sopracciglio o storcendo la bocca,
niente di più. Seccante anche questo, ma niente a che vedere con
le aggressioni, verbali e fisiche, che Ennis aveva sempre temuto, e che
in un passato non troppo lontano erano quasi all'ordine del giorno
verso le coppie omosessuali.
Alla fine, anche nella sfiga, può sempre andare peggio, aveva
spesso considerato Jack. Ennis è sopravvissuto e sta bene, C.J.
è sopravvissuta e non è ritardata e sta bene. Al diavolo
tutto il resto.
In ogni caso, molte persone gli erano rimaste amiche e gli avevano
dimostrato solidarietà: il fatto che stesse o no con Ennis non
aveva cambiato nulla per loro, anzi Jack aveva scoperto che c'era chi
lo sapeva già da prima, e gli era stata amica comunque. Tutti i
loro operai, per esempio, eccetto Tony: quando Jack era tornato a casa
stremato, dopo cinquantotto ore di ospedale accanto a Ennis e C.J. e
più che altro in sala di aspetto, cinquantotto ore che avevano
incluso l’arrivo di K.E. e di Emily Jameson, aveva trovato tutti
quanti ad attenderlo alla fine del vialetto ghiaiato, nel giardino
davanti al portico di fronte. Don gli aveva riferito che, dopo avere
chiesto l'autorizzazione a Janice, avevano riordinato e pulito la casa,
e tirato a lucido il portico sul retro, lavato dal sangue di Cassie, di
Ennis, di Thompson.
"Spero che la cosa non ti dispiaccia", aveva aggiunto Don. "Abbiamo
pensato che non sarebbe stato piacevole per te ritornare a casa, da
solo, e trovare tutto in disordine."
Quello dei suoi operai era stato solo un atto di gentilezza,
benché
sapere che anche loro gli fossero entrati in casa e avessero messo le
mani sui suoi effetti personali gli avesse rimescolato lo stomaco.
"Avete pensato bene", aveva risposto Jack, cercando di sorridere. "Ho
una voglia matta di una doccia e di una dormita... ma allo stesso
tempo, avevo una fifa boia di entrare in casa, di quello che ci avrei
trovato."
"Qualsiasi cosa ti serva", aveva continuato Don. "Davvero, Jack, noi siamo tutti qui."
Jack si era sentito più stanco che mai e sul punto di piangere,
non per la prima né per l'ultima volta in quei giorni. "Don,
io... grazie. Davvero."
"E di che?"
"Io..." ora o mai più. "Devo dirvi una cosa. A tutti. Forse lo sapete già, ma..."
"Tu ed Ennis", aveva detto Megan Norton, l'istruttrice di equitazione.
Jack aveva sospirato. "Lo sapete. Se non vi va bene, se per voi è un problema, io... io non posso trattenervi."
"Certo che lo sappiamo", aveva ribattuto Meg. "Ma non da oggi."
"Cosa?"
"Via... credi sul serio che, dopo tanti anni che ci conosciamo, ormai non ce ne siamo resi conto?"
Jack era sbalordito. Che idiota… davvero aveva pensato che i
suoi uomini non se ne fossero accorti? "E... per voi non è un
problema?"
Don gli aveva battuto una spalla. "Sei un ottimo capo, Jack. E anche
Ennis. Lavorare per voi è un piacere, non un problema."
"Grazie, Don, veramente. Mi dispiace di non avervi detto niente per così tanto… ma…"
"Lascia perdere", aveva detto Meg. "E’ normale che non ce lo voleste dire."
Era stato allora che Jack aveva notato l'assenza di Tony, e ne aveva domandato il motivo.
"Per lui evidentemente era un problema", aveva sbuffato Ellen Butler, la giovane impiegata part-time. "Che stronzo."
Uno su nove. Jack non si era aspettato una sola defezione su nove
lavoranti: se ne era aspettate nove. Non si era aspettato tutta quella
solidarietà, specialmente da persone che conosceva da anni e a
cui aveva sempre cercato di nascondere, invano, il suo rapporto con
Ennis. "Grazie, ragazzi", era riuscito a mormorare. "Grazie a tutti."
"Andrà tutto bene", l’aveva rassicurato Meg,
mettendogli la mano su una spalla. "Ora vai a fare una doccia.
Poi, se hai fame, mi sono permessa di lasciarti qualcosa di pronto nel
frigorifero. So che vai matto per il mio pollo ripieno."
"Meg…"
"Ma guai a te se ti sbronzi", l’aveva ammonito lei.
Accidenti, se lo conosceva: lo conosceva più di quanto lui
avesse mai potuto credere. "Ti concedo un bicchierino per dormire
tranquillo, anche due. Ma non ubriacarti. Ci servi intero, Jack. A noi
e a Ennis, e a quella creatura."
E Jack non era riuscito a toccare il pollo, ma aveva bevuto solo due
dita di whisky e poi si era messo a letto. Meg aveva ragione, doveva
farsi forza per tutti quanti. Se le cose fossero precipitate, avrebbe
avuto fin troppo tempo per disperarsi e ubriacarsi.
A Casper, la storia di Jack come vero padre di C.J. era venuta fuori
solo alla stregua di un pettegolezzo, non del tutto certo ma neanche
del tutto da escludere. Certo, Jack Twist aveva dato il suo cognome
alla piccola, ma bisognava pur darle un cognome, e siccome Jack l'aveva
voluta tenere con sé...
Chissà poi come avevano fatto a lasciargliela, a lasciarla a un
omosessuale: forse, l'unica spiegazione era che fosse davvero sua
figlia. Ma se era omosessuale, come aveva fatto a portarsi a letto
Cassie Cartwright? Forse che fosse addirittura bisessuale? Ma Cassie
non era rimasta incinta di George Thompson, che per questo l'aveva
ammazzata?
La gente di Casper aveva spettegolato per un po’ sulla questione,
poi, dopo qualche tempo, se n’era stancata, passando a calunnie
di altro genere su altre persone, come poi sempre accade nelle piccole
comunità. Speculare sulla paternità di C.J. Twist era
come arrovellarsi sul sesso degli angeli, e c’erano molti
avvenimenti più eccitanti ai quali interessarsi.
E Jack ed Ennis, siccome la questione non era di primaria importanza,
avevano deciso di non rivelarle la verità. Jack avrebbe voluto
dirglielo, ogni volta che C.J. lo chiamava papà gli si
scioglieva il cuore, mentre ogni volta che sentiva la piccola chiamare
il suo compagno semplicemente En, era come ricevere una pugnalata. Ma
Ennis era irremovibile. Era convinto che C.J. ne sapesse già
troppa per essere una bambina: le era più che sufficiente sapere
di essere figlia di Jack e Cassie, sapere che Jack ed Ennis formavano
una coppia, e che Thompson aveva ucciso sua madre. Per il momento, non
doveva sapere niente altro riguardo a Thompson. Glielo avrebbero detto
quando avrebbe potuto capirlo.
Aprile 1978
"Allora, questa era la mia ultima visita ufficiale",
annunciò Emily Jameson, accomodandosi sul divano del salotto e
appoggiando la borsa accanto a sé. "Finalmente si sono
decisi a mettermi in pensione."
"Cosa?" esclamò Jack, sorpreso, facendosi quasi sfuggire il vassoio con le tazze e la caffettiera.
"Ho finito di lavorare", ribadì lei. "Era ora, no? Direi che me la sono guadagnata."
Emily Jameson aveva sessant’anni, era naturale che presto sarebbe
andata in pensione, ma non gliene aveva mai parlato. Cos’era
questa novità, così all’improvviso?
Nel corso del tempo, le sue visite erano passate da una ogni quindici
giorni nel primo anno, a una al mese nei tre successivi, a una ogni due
mesi nell’ultimo: quelle ufficiali almeno, perché la
Jameson si era talmente affezionata a C.J., e C.J. alla Jameson, che la
donna, zitella e con nessun altro passatempo che l’uncinetto, il
giardinaggio e la lettura, passava al ranch per una visita non
ufficiale almeno due volte alla settimana.
Adesso ci sarebbe stata una nuova assistente sociale da ingraziarsi
–la Jameson era diventata una sorta di nonna per C.J., ma
all’inizio era stata dura da cuocere. Ogni visita era stata un
incubo, peggio di un’ispezione della polizia, e nei due giorni
che la precedevano, Jack aveva corso per tutta la casa come un tarantolato
per lavare, pulire, spolverare e lucidare e mettere in ordine: invano,
poiché la Jameson trovava sempre immancabilmente qualcosa da
ridire, benché mai avesse trovato qualcosa per cui portarsi via
C.J..
Alla fine, Jack aveva imparato a volerle bene e a stimarla, e lei
sembrava averlo preso in simpatia, mentre Ennis, ricambiato, la
detestava cordialmente.
"Sicuro", Jack appoggiò il vassoio sul tavolino. "Ma, ehm… sa mica chi la sostituirà?"
"Sostituirmi?" lei prese una tazza, ci versò il caffè e un rivolo di latte.
"Sì… chi verrà per i soliti
controlli", Jack era sulle spine. "Se è una persona,
come dire… "
"E perché mai qualcuno dovrebbe sostituirmi?" lei
sorbì un sorso di caffè, posò la tazza e ci
aggiunse un cucchiaino di zucchero. "Sono cinque anni che vengo
qui, e non ho mai trovato niente da ridire… a parte qualche
inezia, naturalmente. Ormai è certo che la bambina cresce bene,
e che qui con voi non ha nessun problema."
"Buono a sapersi", commentò Ennis, entrando nel salotto con una bottiglia di birra in mano.
"Ennis, non dovrebbe bere a quest’ora del pomeriggio", lo redarguì lei.
Lui rispose con un grugnito, si sedette sulla poltrona di fronte e bevve un sorso.
"Quindi", riprese Jack, "Nessuno verrà più a controllare come sta C.J.?"
"Verrò io", disse la Jameson. "Non credere che
ti libererai tanto facilmente di me, anche se sono in pensione. Mi sono
talmente affezionata a quella bambina…"
"E C.J. si è affezionata a lei."
"Già", sospirò la Jameson. "Un’assistente sociale non dovrebbe farsi coinvolgere in
questo modo dai casi che segue. Sono diventata davvero troppo vecchia
per fare questo lavoro."
"Ma no, che dice?" ribatté Jack. "E’ in
perfetta forma. Non si ricorda quando ci siamo conosciuti?"
Lei sorrise: "Accipicchia se me lo ricordo. Mi hai tenuto un
comizio sugli omosessuali da fare impallidire Harvey Milk."
"Lei era prevenuta", protestò Jack, imbarazzato.
"Sì, lo ero. Ma mi hai fatto ricredere… anche se non grazie a quel comizio."
"Allora, come mai ha deciso di lasciarmi C.J.?"
"Non lo so", ammise lei. "Forse mi hai fatto pena."
"Uh… grazie."
"Non prenderla come un’offesa", disse la Jameson. "Le hai provate tutte, si vedeva che avevi davvero voglia di
tenere quella bambina. Hai provato a dire che era tua figlia.... mi hai
persino supplicata."
Ennis guardò Jack, che abbassò la testa, rosso in viso.
"Non c’è nulla di cui vergognarsi", disse la
Jameson. "E comunque, se avessi pensato che non ne eri in grado,
per una ragione o per l’altra, non te l’avrei lasciata.
Come se fossi stato… diciamo, un altro genere di
omosessuale."
"Come Harvey Milk."
"Esatto."
"Dio non voglia", bofonchiò Ennis, e lei rise. Poi
seguitò: "In ogni caso, ogni due settimane ero qui, potevo
controllare quel che avresti fatto."
"Lo so", confermò Jack. "E’ stato un
vero incubo. Ma mi è stata utile... mi ha anche consigliato,
quando non sapevo dove sbattere la testa. Non è facile allevare
un bambino."
"Sei stato bravo, invece. E C.J. diventata una brava bambina.
E’ merito tuo…" poi guardò Ennis, e si
corresse: "Merito vostro."
"Accidenti, è davvero invecchiata", bofonchiò
Ennis. "Il primo complimento che mi concede in cinque anni."
"Mi secca doverlo ammettere", sbuffò lei. "Ma è un buon padre anche lei, Ennis del Mar."
Jack ridacchiò.
Novembre 1979
Come Jack ed Ennis avevano previsto, C.J. aveva dovuto imparare presto
a difendersi: per la precisione, fin dalla prima elementare, a sei
anni. All'asilo, lei e i suoi compagni erano troppo piccoli per
attaccarsi a causa della famiglia di origine, al massimo i diverbi
avevano avuto come oggetto un giocattolo ambito da più bambini,
o al massimo l'aspetto fisico o un difetto di pronuncia - da quel punto
di vista, C.J. era fortunata: era sempre stata una ragazzina forte e
sana, di aspetto gradevole, e non aveva altro difetto di pronuncia che
il lieve accento del Wyoming sudorientale, comune al novantanove per
cento delle persone con le quali aveva a che fare.
Alle elementari invece, si era presto dovuta rendere conto che avere un
padre omosessuale che vive con il compagno può portare non pochi
problemi, anche se si è bionde e carine e non si hanno difetti
di pronuncia. Alcuni dei suoi compagni erano dei veri mostri di
ignoranza (Jack sospettava che non fosse tanto colpa loro, quanto dei
genitori che li avevano educati in quel modo), ma C.J. non si era mai
fatta intimidire da nessuno: né da Michael Blunt, che all'inizio
dell'anno le aveva detto che i suoi genitori non volevano che le
parlasse, perché viveva con quei due cowboy finocchi, né
da quella viziatella di Amanda Owen, che una volta la liquidò
dicendole che lei non avrebbe mai giocato con una bastarda che non si
sapeva bene di chi fosse figlia, abitava con due culattoni e puzzava di
stalla.
C.J. aveva risposto a Michael che quelli che lui aveva definito cowboy
finocchi almeno si amavano, mentre suo padre aveva picchiato sua madre
a tal punto che, dopo l'ultimo ricovero in ospedale, lei si era stufata
e aveva chiesto il divorzio: questo, Jack lo era venuto a sapere da una
delle bidelle, che aveva assistito al diverbio, e glielo aveva
raccontato quando era andato a prendere la figlia, alla sera,
aggiungendo: "Quella ragazzina si sa difendere, eh?"
"Bè..."
"Meglio così", aveva sentenziato la bidella. "E' giusto che non
si faccia mettere i piedi in testa... specialmente da ragazzini
spocchiosi come il figlio dei Blunt."
A casa, C.J. non aveva fatto parola dell'accaduto, e Jack aveva deciso
di non entrare nei suoi affari e tenere per sé quello che
sapeva.
La faccenda di Amanda invece fu più grave: C.J. non stette
nemmeno a sprecare fiato e le tirò un pugno in faccia,
stendendola a terra.
La maestra mise sia C.J. sia Amanda in punizione, e la direttrice ne
convocò i genitori, mentre C.J. strepitava che Amanda aveva
insultato la sua famiglia e aveva solo avuto quel che si meritava,
mentre Amanda si difendeva dicendo che erano stati i suoi genitori a
dire per primi quelle cose su C.J. e la sua famiglia.
Venne poi fuori che era stata la madre di Amanda a definire C.J. nel
modo in cui l'aveva chiamata la compagna - impossibile che una bambina
di sei anni e mezzo potesse dire una cosa del genere di propria
iniziativa - e la cosa si chiuse lì, senza altre punizioni verso
le due bambine, quella che aveva ferito con la lingua altrettanto
innocente di quella che aveva colpito con un pugno.
Gli Owen, però, anche se imbarazzati, non si scusarono né
con C.J., tantomeno con Ennis e Jack. Segno che erano convinti di
quello che si erano lasciati sfuggire in presenza della figlia, e che
in futuro si sarebbero lasciati sfuggire qualcosa di ancora peggiore.
Di ritorno a casa, sul furgoncino, Ennis, nero di rabbia, si
lasciò sfuggire: "Bell'educazione che quei due figli di puttana
danno alla figlia."
"Ennis", sospirò Jack. Poi tacque, anziché replicare, o
semplicemente redarguire Ennis per avere usato un'espressione indecente
davanti a C.J..
"Non si sono nemmeno scusati con noi", rincarò Ennis.
Jack sospirò di nuovo, guardando la strada.
"Allora, non dici niente?" domandò Ennis, innervosito dal silenzio di Jack.
C.J., in mezzo a loro, tentò di calmare le acque: "Avete visto,
però?" intervenne. "Ho dato una bella lezione a quella stronza."
"Modera il linguaggio, signorina", la rimproverò Ennis. "E non
mi pare che ti abbiamo mai insegnato a picchiare la gente."
"Ma lei ha detto che io sono una bastarda che..."
Jack accostò al lato della strada, inchiodando, facendo stridere
i freni e le ruote, sollevando una nuvola di polvere. Si voltò
verso di lei e la prese per le spalle, dolce ma fermo: "Ascoltami bene.
Tu non sei una bastarda, okay? Tu sei mia figlia."
"S-sì", rispose C.J., sorpresa.
"E non si picchia la gente. Ma se qualcuno osa di nuovo dirti una cosa
del genere, sei autorizzata a spaccargli tutti i denti. Intesi?"
"Intesi."
A casa non parlarono più dell'accaduto, ma alla notte, dopo che
C.J. fu andata a letto, Jack chiuse la porta del salotto, prese il
pacchetto di Camel e l’accendino dal cassetto del mobile,
aprì la finestra e si accese una sigaretta.
"Sapevamo che sarebbe successo, prima o poi", disse, sbuffando fumo verso l'esterno.
"Questo non significa che sia giusto che succeda", replicò Ennis, seduto sul divano.
"Da quando ti preoccupi di quel che è giusto o no? Non sei tu
quello che dice che se non puoi cambiare le cose, devi fartene una
ragione?"
"Da quando c'è lei", Ennis si alzò e raggiunse Jack alla
finestra. Prese una sigaretta dal pacchetto di Jack, se l'accese, prese
un tiro, espirò una nuvola di fumo. "Non è giusto che una
bambina di sei anni debba essere insultata in quel modo."
"Ma succederà di nuovo, e lo sai. Per questo le abbiamo sempre
detto tutto... o quasi. Perché si sappia difendere se la
attaccano. Anzi, forse sarebbe meglio che le dicessimo anche che
Thompson è..."
"No."
"Ennis..."
"No", ripeté Ennis. "Ogni cosa al suo momento, e adesso non è il momento. Anche la Jameson dice…"
"Ma non è giusto", sbottò Jack. "Non è
giusto per lei, e non è giusto per te. Tu hai diritto quanto me
di essere chiamato papà, sei suo padre quanto me."
"Fregatene di me. A me basta che C.J. sia qui con noi."
"Io vorrei che fosse felice... e tranquilla."
"Lo è."
"Ma se continuano ad attaccarla..."
"E' tosta. Si sa difendere. Non hai visto oggi? Ha steso quella stronzetta della figlia degli Owen."
"Ennis!"
"Non dire che non ne sei orgoglioso. Sei stato tu a dirle che se
qualcuno la insulta in quel modo, gli può spaccare tutti i
denti."
Colpito. Jack tacque, imbarazzato. Raggiunse il tavolo, spense la
sigaretta nel posacenere di alabastro bianco, poi lo portò sul
davanzale. Ennis spense la propria, poi se ne accese un’altra,
brontolando: "Ma quand'è che ti deciderai a fumare della roba
seria?"
Jack l'ignorò: c'era altro a cui pensare, invece delle marche di
sigarette. E in ogni caso, Ennis denigrava tanto le Camel, ma quando
non aveva le sue Marlboro a portata di mano riusciva a fumare di tutto,
anche delle Philip Morris Light.
"Mi dispiace", riprese Jack. "Io vorrei solo che fosse felice… che non dovesse subire delle offese a causa nostra."
"Succederà ancora, purtroppo, lo sai. Ma quella ragazzina è una dura. E noi ci saremo sempre, per lei."
"Ennis... sei sicuro che non glielo vuoi dire?"
"Che cosa?"
"Che suo padre non sono io", Jack sospirò. "Che suo padre è lo stesso tizio che ha ammazzato sua
madre."
"E' presto", Ennis prese un tiro dalla sigaretta. "Non capirebbe."
"Ma se qualcuno glielo dice, come le hanno detto che è una bastarda... se qualcuno anche solo insinuasse..."
"Tu sei suo padre, punto. Nessuno può affermare il contrario."
"Anche tu lo sei, allora. Esattamente come me."
"No. Fossi stato io al tuo posto, non so se l'avrei tenuta. No, niente
non lo so, non l’avrei tenuta e basta, me la sarei fatta sotto.
E' giusto che chiami papà solo te."
Jack guardò Ennis, dritto negli occhi. "No. Non è
giusto, non lo è per niente. Non puoi dire che non
l’avresti tenuta, non puoi sapere cos’avresti fatto al
posto mio."
"Sì che lo so. Non mi conosci?"
"Sì che ti conosco. Ma in certe situazioni bisogna
trovarcisi, non si può dire a priori cosa si farebbe.
Anch’io avevo una paura matta, non sapevo di fare la cosa
giusta…"
"L’hai fatta", Ennis schiacciò la sigaretta
nel posacenere. "Non vedi? Lei è… la nostra
luce."
"Sì", confermò Jack. "E’ la
nostra luce, la nostra gioia… ma lei è davvero felice?
Quando ho deciso di tenerla con noi, ho pensato a quel che avrebbe
dovuto sopportare... ma poi ho anche pensato... l'alternativa era
lasciare che finisse in un istituto, e mi sono detto, Io posso farla
stare meglio. A volte però... non sono sicuro di avere preso la
decisione giusta. Forse sono stato solo egoista, Cassie mi aveva
chiesto di occuparmi di C.J. e io desideravo farlo… ma C.J. non
poteva dirmi cosa preferiva, e tu non c'eri, ho dovuto per forza fare
da solo, non potevo chiederti..."
Ennis gli passò entrambe le mani intorno alle spalle e lo
strinse a sé. "Tranquillo, piccolo. Hai preso la decisione
migliore."
Jack si lasciò abbracciare, appoggiò la fronte sulla
spalla di Ennis, gli passò le mani intorno alla vita. Ogni volta
che si trovava fra le braccia di Ennis, si sentiva protetto, al sicuro:
proprio quello che gli era mancato quell’aprile di sei anni prima
quando, solo e frastornato e distrutto, aveva dovuto prendere una
decisione che non solo avrebbe cambiato la propria vita, ma che avrebbe
influito anche sulla vita di Ennis, il quale non poteva dire la sua, e
su quella di una piccola bambina innocente e inconsapevole che nemmeno
aveva chiesto di nascere.
"Sai una cosa?" disse a un tratto Ennis. "Quando sono
uscito dall’ospedale, e sapevo che tutti sapevano di noi…
avrei voluto seppellirmi. Mi vergognavo come un infame… me la
sono fatta sotto, davvero."
"Me n’ero accorto."
"Avevo paura ad uscire di casa… e avrei voluto chiederti
di piantare tutto qui e scappare via. In Africa, in Cina, in
Australia… il più lontano possibile."
"Però non me l’hai mai chiesto."
Ennis ridacchiò, imbarazzato. "E’ stato per lei.
C’era questa piccola ranocchietta che aveva bisogno di
noi… e tu, pur di tenerla, avevi dichiarato che era tua figlia,
con tutto quello che comportava… e io, con che diritto potevo
tornare fuori con le mie solite, vecchie paranoie?"
Anche Jack ridacchiò: "Vedi che non sei così codardo come pensi, cowboy?"
"No", disse Ennis. "Quella ragazzina ha fatto un miracolo."
Aprile 1980
Quel pomeriggio, Jack era nello studio, alle prese con il libro dei
conti. Quel mese, le cose erano andate piuttosto bene: c'era chi non
voleva trattare con due uomini che vivevano insieme, è vero, ma
c'era anche chi se ne fregava, a patto che i due uomini in questione
sapessero fare il proprio lavoro e fornissero carne, latte e derivati
di prima qualità.
"Papà?"
"Sì?" Jack alzò la testa, tolse gli occhiali che,
già da due anni, usava per leggere. In fin dei conti non andava
male: a trentaquattro anni, il suo viso aveva solo pochi segni
d’espressione, i suoi capelli erano tutti ancora neri e ben
piantati in testa, e i vecchi jeans di dieci anni prima gli stavano
alla perfezione. Se il prezzo da pagare era un lieve astigmatismo,
nessun problema.
"Posso chiederti una cosa?" C.J. entrò nello studio, quasi
tentennante, le mani dietro la schiena. Era diventata una bella
ragazzina, aveva ereditato la corporatura tornita di Cassie, i suoi
occhi scuri e i suoi lineamenti morbidi, mentre grazie al cielo dal
padre aveva preso solo i capelli biondi e crespi, tagliati in un
caschetto all’altezza del collo. Nel complesso, somigliava molto
più ad Ennis che a Jack, e Jack sapeva che le malelingue, in
città, avevano pane per i loro denti anche da quel punto di
vista: non solo non era chiaro se la bimba fosse figlia di George
Thompson o di Jack Twist ma, considerata la somiglianza, poteva
benissimo essere anche di Ennis del Mar.
Assolutamente ridicolo.
E pure piuttosto buffo: Ennis, altrimenti detto Mister Lungo e Duro, il
signor Io-non-sono-un-maledetto-finocchio, non aveva praticamente mai
toccato una donna in vita sua, il suo primo e unico partner era stato
un altro uomo, eppure poteva essere indicato come il padre di una
bambina semplicemente a causa di una presunta somiglianza.
"Non sapevo che Ennis fosse un tale drago", aveva
commentato Jack quando Megan gli aveva riferito del pettegolezzo. "Mette incinte le donne senza neanche guardarle. Devo stare
attento, o prima o poi rimarrò incinto anch’io."
Meg, che come gli Hamilton e tutti gli altri operai ben sapeva di chi fosse realmente figlia C.J., aveva riso fino alle lacrime.
"Certamente", disse Jack. "Dai, vieni qui."
C.J. raggiunse Jack, si sedette sulle sue ginocchia. "Come nascono i bambini?"
Jack inarcò le sopracciglia. "E che domanda sarebbe?"
"Così. Oggi Angela Lewis ha detto che sua madre e sua padre le
regalerà un fratellino o una sorellina... sua madre le ha detto
che il suo fratellino è nella pancia, e che fra circa sei mesi
verrà fuori. Più o meno come gli animali, no?"
Ops.
C.J. aveva visto nascere tanti animali al ranch, cavalli, vitelli,
anche gattini e pulcini, ma era sempre solo rimasta intenerita dalle
bestioline e non aveva mai domandato niente. Ormai però stava
per compiere sette anni, era naturale che si ponesse certe domande.
Jack si maledisse per non avere previsto una domanda del genere, e non
avere mai pensato ad una risposta.
"Sì, più o meno è come per gli animali",
confermò. "Hai visto delle donne incinte, con il pancione,
no? Il pancione conteneva un bambino tutto raggomitolato."
"Sì, lo so. Me l'ha detto Angie. Ma come ha fatto il bambino ad
andare nella pancia della mamma? Non è troppo grande? Da dove
è passato?"
"Bè... non è che ci vada proprio un bambino. Ci va...
ecco, hai presente le uova delle galline? Il bambino, prima di
diventare un bambino, è un uovo piccolissimo."
"Un... uovo?" C.J. era poco convinta.
"Sì, un uovo... piccolissimo, microscopico... che piano piano, in nove mesi, si trasforma in un piccolo bambino."
Uff, andata.
"Ma come fa quest’uovo ad andare dentro alla mamma?"
Jack quasi sussultò sulla sedia. Come si fa a spiegare a un bambino come nascono i bambini?
O meglio, come fa un papà omosessuale a spiegare a sua figlia,
che poi sua figlia non è ma lei non lo sa, come nascono i
bambini? Gesù, che casino. C.J. aveva accettato di buon grado il
fatto che lui ed Ennis stessero insieme, per lei era una cosa naturale
avendoli sempre visti così, fin da quando era nata, ma vai a
spiegarle…
Che casino. Ne sarebbe bastato la metà.
"Allora?" insisté C.J., seria. "Le galline le fanno,
le uova, e poi le covano e nascono i pulcini. I cavalli, i gatti, le
mucche, no. Perché?"
"Le galline sono uccelli, fanno le uova e le covano. Gli esseri umani,
i cavalli, i gatti, le mucche, sono mammiferi, e non fanno le uova."
"E allora cosa fanno?"
"Ehm... le femmine dei mammiferi... e anche le donne... le uova le hanno dentro, e..."
"Anch'io?"
"Bè, ancora no. Tu sei una bambina. Quando diventerai una donna, però, sì."
"E quando diventerò una donna?"
"Più o meno... quando avrai dodici, quattordici anni... forse
anche di più." Cristo, cosa le avrebbe detto per prepararla al
ciclo mestruale? A questo avrebbe decisamente dovuto pensare in anticipo.
Anzi, l’avrebbe mandata da Janice, e che se la sbrigasse lei. Ci
voleva una donna, per le cose da donne.
"E allora avrò un bimbo anch'io nella pancia?"
"Ma no... l'avrai quando sarai più grande."
"Ah. Quando?"
"Fra tanto, tanto tempo, e solo se lo vorrai. Quando avrai più
di vent'anni, credo... Tua madre aveva trentadue anni. Mia madre, tua
nonna, ne aveva ventitre, e la mamma di Ennis..."
"Ah." C.J. rifletté un momento. Poi: "Ma come fa l'uovo a trasformarsi in un bambino?"
Gesù. "Bè... ehm… ci vuole un seme, che gli entri dentro e..."
"Un seme? E di che?"
Jack stava sudando freddo. "Un seme... come quelli dei soffioni. Più o meno."
"Sì, ma da dove viene questo seme?"
"C.J., non è che vuoi andare a giocare?"
"Papà." Quando assumeva quell’espressione contrita, C.J. somigliava sorprendentemente ad Ennis.
"Allora... viene... di solito viene da un uomo."
C.J. rifletté di nuovo, pensierosa. "Ma come fa il seme dell'uomo ad andare dall'uovo della donna? Lo mangia?"
"Ma no!" Nonostante la situazione a dir poco imbarazzante, Jack per
poco non scoppiò a ridere. Se le donne avessero potuto rimanere
incinte anche in quel modo, la terra sarebbe stata decisamente
sovraffollata.
"E allora come?"
"Bisogna che l'uomo e la donna vadano..." Jack esitò, "Ehm, a letto insieme."
"Così poco?"
"Non è poco."
"Come no. Se basta che dormano insieme…"
Jack colse l’occasione per chiudere il discorso, o almeno provarci: "Effettivamente…"
"Tu quindi hai dormito con la mamma", concluse C.J..
"Bè…"
"E dormi anche con Ennis."
Jack deglutì. C.J. stava finendo in un discorso che non gli
piaceva per niente. Se gli avesse chiesto perché aveva dormito
con Cassie mentre, contemporaneamente, dormiva con Ennis…
Forse era una buona occasione per dirle che no, lui non aveva affatto
dormito con Cassie, un pensiero del genere non gli aveva mai nemmeno
sfiorato l’anticamera del cervello. Cassie, sua madre, aveva
dormito con Thompson, che per quanto terribile fosse, poi l’aveva
mollata e licenziata, e poi l’aveva ammazzata. Suo padre non era
Jack Twist, come aveva sempre creduto: suo padre era quel fuori di
testa di George Thompson, lo stesso uomo che aveva poi ammazzato sua
madre.
Avrebbe capito, C.J.?
No. Probabilmente no. O forse sì, se avesse usato le parole
giuste avrebbe capito, era una ragazzina sveglia… ma non
l’avrebbe accettato tanto facilmente.
Chi potrebbe accettare facilmente una realtà simile?
"Ma allora perché non mi date un fratellino?"
Jack, che stava per prendere fiato e cominciare uno dei discorsi
più difficili della sua vita, rimase spiazzato. Ma certo: per
C.J. andare a letto insieme significava letteralmente dormire insieme.
Non c’era alcuna malizia in lei, non sapeva che andare a letto
insieme fosse un sinonimo di fare sesso.
Non sapeva nemmeno cosa fosse, il sesso: l’unica cosa che sapeva
era che esistevano i maschi e le femmine, i maschi avevano il pisello e
le femmine la farfallina. Stop, punto, fine dell’argomento.
Discorso rimandato. Perfetto, ci penserò un’altra volta,
quando sarò più preparato, quando lei sarà
più grande e magari lo capirà meglio. Un discorso del
genere non si può improvvisare così, su due piedi. Glielo
dirò in presenza di Ennis, quando anche lui sarà
d’accordo, e magari chiameremo anche Jan ed Emily.
"Perché siamo due maschi", rispose. "Ci
vogliono un maschio e una femmina, per fare un bambino. La femmina che
ha l’uovo, e il maschio che le dà il seme e lo
feconda."
"Ah", concluse lei. "Bè, meglio così.
La sorellina di Norma Dugan è una vera rompiscatole, è
solo capace di piangere e di fare cacca e pipì."
Jack rise apertamente: "Anche tu eri così, da piccola."
"E voi come facevate?"
"A fare cosa?"
"A sopportarmi."
"Vieni qui", Jack l’abbracciò, aspirando il
suo buon profumo. Aveva sempre avuto quel buon odore, C.J.: un odore di
pulito, di nuovo, di innocenza… di vita che si schiude.
Chissà se tutti i bimbi odoravano così. Se avesse potuto,
a Jack non sarebbe dispiaciuto regalarle un fratellino, o anche due.
"Io non ti ho mai sopportata, principessa. Io ti ho sempre solo
voluto bene."
"Lo so, papà", lei gli passò le braccia
intorno al collo. "Anch’io ti voglio tanto bene."
Jack sorrise, con il naso nei suoi capelli. Quando aveva iniziato a
parlare, verso i tredici mesi, il termine che C.J. aveva usato per dire
che voleva bene a qualcuno era ‘ende. Baciava la persona scelta,
o la bestia, o il giocattolo, si stringeva a lei e infine diceva
‘ende, con un’espressione che a Jack aveva sempre sciolto
il cuore. Non che il cuore di Jack fosse difficile da sciogliere,
specialmente quando si trattava di C.J..
Com’era cresciuta. Era stato faticoso, e lo sarebbe stato ancora,
ma quando lei gli diceva che gli voleva bene, tutte le fatiche e i
dubbi e le paure svanivano come per incanto.
Nota: alla fine, ho scritto un seguito – l'avevo in mente
già da un po’, il problema era che non credevo di
potercela fare, per mancanza di tempo, mentre sapevo che di tempo ne
avrei avuto bisogno per affrontare la trama con calma. C'era abbastanza
carne al fuoco per un romanzo, figuriamoci per una semplice fic, e non
volevo che venisse fuori una soap opera, né avevo voglia di
scrivere qualcosa tirandolo via. Ero inoltre indecisa sul fatto che
Jack ed Ennis raccontassero a C.J. tutta, o in parte, la storiaccia di
Cassie e Thompson e, da mamma, ho deciso che al loro posto avrei scelto
di essere sincera, ovviamente nei limiti del possibile. I limiti qui
sono dati dal fatto che nessuno si sente di parlare della
paternità di Thompson, e come al solito, più si va avanti
a nascondere qualcosa, più è difficile confessare la
verità.
Piuttosto... questa serie di storie si sta allungando, spero di non diventare ripetitiva!
Nota 2: alla "veneranda" età di trentaquattro anni,
Jack è ancora il solito ragazzotto passionale, emotivo e
sognatore che vorrebbe cambiare il mondo: ogni tanto ci riesce (non a
cambiare il mondo, ma insomma…), più spesso sbatte la
testa, raccoglie i cocci e ci riprova – in questa parte della fic
mi ci sono abbastanza identificata, lo ammetto. Non so ancora bene come
si evolverà Ennis (anche se so bene quello che deve
succedere)… ma prima, devo dedicarmi alla vera protagonista di
questo racconto, cioè Cassandra Junior Twist.
Nota 3: Harvey Milk, primo politico gay dichiarato, ha iniziato la sua
carriera nel 1973 ed è stato assassinato il 27 novembre 1978.
Credits: "Restless heart syndrome" è una canzone dei miei
adoratissimi Green Day, che mi hanno aiutata a tornare a casa da Milano
guidando con un piede rotto (che strizza ho avuto!).
Disclaimer: I personaggi di Jack Twist, di Ennis del Mar e dei suoi
fratelli e di Cassie Cartwright, appartengono ad Annie Proulx.
Se qualcuno riconoscesse nella mia storia idee che ritiene di sua
proprietà, mi creda se gli dico che non l’ho fatto
apposta, e spero non si offenda.
Infine, preciso che questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
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