Questa
piccola storia è nata in occasione del concorso
“Di giovani fanciulle, donne
misteriose e ritratti” indetto da Alaide. Il contest
prevedeva di inventare una fic che ruotasse attorno ad un dipinto
famoso, da scegliere fra quelli elencati dalla stessa Alaide. La mia
scelta è ricaduta su "The Lady of Shalott" di J. Waterhouse.
Quella che segue
è la piccola cosa senza pretese che ne è venuta
fuori... Spero vi faccia sorridere!
xxx M.
autrice:
menestrella
07
titolo:
Affinità
elettiva ♥
tipologia:
originale;
oneshot
genere:
romantico,
sentimentale
rating:
verde
credits:
la
citazione in
calce al testo è tratta dalla canzone
“L’amore verrà” di Nina
Zilli;i versi menzionati
dai protagonisti della storia appartengono al poema di A. Tennyson,
“The Lady
of Shalott”; la frase riportata dallo
screen saver di Ines è il titolo di una canzone delle
Supremes.
L’amore
verrà,
lo
sentirò subito
lo
capirò subito
Nina
Zilli
I
~
Affinità
elettiva
♥
“Me
l’hanno chiesto di nuovo, sai?”
Gabriele
le rivolse uno sguardo obliquo,
abbandonando la presa sul cucchiaino di plastica con cui mescolava
accuratamente la ‘bevanda al gusto di cioccolato’
generosamente somministrata
dal distributore della biblioteca. Già dalla metà
del primo semestre aveva
preso l’abitudine di dividere la propria pausa pomeridiana
con Ines che, come
lui, frequentava il primo anno della Facoltà di Lettere pur
essendo di un anno
più giovane – tutta colpa dell’anno
perso nel tentativo di compiacere le
ambizioni di suo padre, che lo avrebbe voluto avvocato.
“Ti
hanno chiesto... cosa?”
La
cautela si dimostrava sempre una gran virtù
con le donne – in questo, invece, i consigli del padre erano
stati illuminanti
– soprattutto con quella
donna,
dall’animo tanto dolce quanto insondabile; almeno per le sue
scarse capacità di
lettura psicologica.
“Eh,
indovina...”
Ines
faceva tamburellare le dita della mano
destra, macchiate di inchiostro scuro, sul bicchiere di carta ormai
vuoto. Non
era a suo agio. Questo il ragazzo lo poteva indovinare facilmente;
quanto al
resto, con buona approssimazione poteva dire di brancolare nel buio.
L’amica
si accomodò sulle panche accanto alla
vetrata che dava sul bel cortile interno
dell’Università e lui le si mise di
fronte, le spalle contro il distributore.
“Non
saprei...”
“Be’,
sforzati.”
Una
nota di tensione nella voce della ragazza,
se non addirittura di acidità. Per quanto si sforzasse
– e lo faceva davvero –
Ines rimaneva un mistero ai suoi occhi.
“Un
aiutino?”
Ines
fissò delusa la piastrella graffiata su
cui posavano le sue scarpe, per poi rivolgergli uno sguardo spazientito.
“Mi
hanno chiesto se...”
Il
ragazzo si fece più attento.
“...
se... treschiamo...”
Quella
parola tanto compromettente quanto buffa
era stata appena sussurrata, al punto che Gabriele
gliel’aveva quasi dovuta
leggere sulle labbra.
“La
devo intendere come una citazione
letterale?” fu, tuttavia, il suo unico commento.
“Fai
pure lo spiritoso,” lo redarguì l’amica,
“tanto le tue guance parlano per te!”
“Almeno
io ho la barba... Te l’ho detto tante
volte che non ti conviene rasarti...”
E
quell’ultima battuta che, assieme
all’espressione scandalizzata di Ines, avrebbe potuto far
precipitare la
situazione la risolse, invece, di colpo in una fragorosa risata.
Accarezzandosi
il mento con una mano, Gabriele
prese posto accanto all’amica che, finalmente, lo guardava
con aria più
rilassata.
“Non
ti turba neanche un po’ che i nostri amici
spettegolino su di te?” chiese lei, comunque.
“A
te sì, deduco... E ti scoccia pure
parecchio, a quanto vedo...”
“Be’...”
Di
nuovo l’imbarazzo.
“...
Non è che mi scocci... Più che altro mi preoccupa che si ostinino a discutere di
questa cosa...”
“Gli
affairs
fra colleghi sono un cliché
da
sempre, no?”
“Pensi
sia solo una questione di cliché?”
Ines
gli aveva lanciato un’occhiata profonda ed
ora era in attesa di una risposta che, tuttavia, non ottenne.
“Ad
ogni modo,” riprese, decisa a portare
avanti la discussione, “perché lo pensano, secondo
te?”
“Vuoi
sapere che cosa facciamo di
male?” ironizzò l’amico.
“Vorrei
sapere che facciamo di dubbio...”
spiegò Ines dopo un attimo di
silenzio, “Ammesso che lo facciamo davvero...”
Gabriele
finse di riflettere e quindi si
produsse in una enumerazione di fattori: “Studiamo insieme,
pranziamo insieme,
ridiamo insieme... Mi sembra abbastanza per dare adito alle
chiacchiere..”
“Ma
non è neanche lontanamente sufficiente!” si
arrabbiò la ragazza. “Stiamo parlando dei nostri
amici, ti ricordo...”
“Puoi
sempre avanzare proposte più pertinenti,
se ti vengono in mente!”
Innervosito,
Gabriele perlustrò l’atrio con una
rapida occhiata alla ricerca del cestino per la plastica e,
individuatolo a
poca distanza, vi lanciò dentro il suo bicchiere. Ma,
nonostante la sponda, il
canestro non riuscì.
“Ops...”
mormorò l’amica, raccogliendo l’oggetto
da terra.
“Già,
chissà cosa direbbero ora i tuoi
amici...”
*
* *
–
—
Erano
tornati alle loro postazioni in
biblioteca: l’una rigorosamente sistemata al tavolo davanti
all’ampia finestra
che si apriva sul chiostro; l’altro, a pochi centimetri da
lei, a litigarle
l’unica lampada disponibile. E mentre l’accensione
del computer di Gabriele
richiese qualche minuto, le dita leggere dell’amica
iniziarono a percorrere
rapidamente la tastiera del suo netbook, facendo risuonare la sala
semideserta
di un allegro ticchettio.
“Shhhh!”
sibilò poi Ines, fingendo di
risentirsi quando il pc del ragazzo si decise finalmente ad avviarsi
intonando
una ridicola sigla.
Per
tutta risposta, Gabriele le spense la luce.
“E
ora non approfittarne per copiare...”
aggiunse, coprendo con le mani lo schermo che aveva catturato
l’attenzione
della ragazza.
Ines,
però, non sembrava in vena di scherzi:
fattasi d’improvviso tutta seria, pareva non riuscire a
staccare gli occhi dal
Mac del collega.
“L’immagine
che hai sulla scrivania...” mormorò
senza fiato, suscitando l’attenzione dell’amico a
cui era capitato di rado di
vederla così colpita.
“...
Ce l’avevo anch’io sul mio desktop...
L’ho
cambiata proprio ieri sera...”
“Lei?”
domandò allora meravigliato Gabriele, non potendo impedire
che qualche barlume
del suo spirito romanzo bucasse il suo usuale contegno borghese e
misurato.
“Fino a ieri sera anche tu guardavi lei?”
“Sì,”
confermò Ines, rabbrividendo
impercettibilmente per quella scelta lessicale, “La Dama di Shalott...”
Il
sorriso mefistofelico che si dipinse sul
volto del ragazzo non lasciava presagire nulla di buono.
“But
Lancelot mused a little space / He said:
‘She has a lovely face’...”
recitò, sfidandola a continuare.
“Che Dio
le conceda il paradiso...” concluse
malinconicamente Ines, ripensando alla
storia triste dell’eroina arturiana.
I
due amici rimasero a guardarsi per qualche
secondo, in silenzio.
“Questo
pittore mi fa impazzire,” si animò alla
fine Gabriele. “Guarda come ha saputo rappresentare i tratti
morbidi di questo
volto, il suo sguardo languido e insieme disperato...” Ma
Ines non pensò neppure
per un attimo di concentrarsi sui dettagli pittorici elencati dal
collega,
perché questo avrebbe significato perdersi la sua
espressione rapita. Così,
quando i suoi occhi furono nuovamente puntati su di lei, si accorse di
essersi
persa gran parte del discorso.
“...
Dicevi?” si riscosse, tentando di
riprendere contatto con la realtà senza arrossire.
Gabriele
la squadrò incerto per qualche
secondo.
“Dicevo,
Quindi
piace anche a te?”
“No,
che cosa te lo fa pensare? L’ho scelta
appositamente perché mi dava noia...”
L’amico
incassò sportivamente la battuta.
“Che
fai?” gli domandò Ines, osservandolo
mentre raccoglieva le sue cose.
“Mi
sposto là in fondo...” spiegò, tenendo
in
equilibrio computer, libri e astuccio di latta. “... prima di
scoprire qualche
altra sconcertante affinità...”
L’amica,
un sorriso di trionfo consapevole e
un’occhiata alla scritta che campeggiava come screen saver
sul suo schermo,
riaccese la luce.
You can’t hurry love,
you’ll just have to
wait...
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