Ok,
questa volta vi scrivo all’inizio, nella speranza che dopo
aver letto non vi
salterà l’improvvisa voglia di decapitarmi.
Questa
storia era partita con tutt’altra idea, ma poi si
è trasformata (infatti ho
pubblicato con un giorno di ritardo). Comunque.
Le
note della storia verranno messe alla fine, spero che il mio tentativo
di
ricreare un minimo di mondo tradizionale non sia stupido.
Tutta
al storia non ruotava intorno a Thriller Bark, ma Sanji ha preso
l’iniziativa
su di me – a quanto pare.
Il
discorso tra i due è davvero folle e così anche
il finale, ma l’ispirazione
si è un po’ bloccata a metà
strada: mi farò perdonare! *sparge
cuori*
Oh,
tecnicamente la storia si svolge dopo Thriller Bark e Kuma (quindi spoiler per l’anime in tv) e
– quindi –
dopo che il Marimo si è fatto dilaniare.
Per
il
resto… uh, partecipa a “A year together”
del Collection of
Starlight. Con il
prompt:
183. Vetri
appannati nel bagno di un motel.
So
che
molti mi ammazzeranno per il mancato yaoi, prometto che la prossima
sarà
assolutamente una NC_17.
Ora
pubblico e cerco di dimenticare il prima possibile questo orrore. Amen.
{ Yuki }
雪
N e v
e
Il
Mondo era totalmente bianco, quella sera, come immerso in una tazza di
latte
freddo.
Dopo
una leggera spruzzata di fiocchi lanuginosi sul terreno brullo, le
nuvole cineree
continuavano a vorticare pigramente nel cielo coperto.
Usopp
sbuffò per l’ennesima volta – alla vista
di Rufy che cercava di legarsi da solo
l’obi1 del kimono scuro – e
guardò in alto.
«Sta
per mettersi a nevicare di nuovo?»
«No,
la temperatura è troppo alta» fece Nami,
attraversando il piccolo ponte
dall’intarsiata balaustra rossa. «Questi abiti sono
magnifici!» Esclamò poi,
mentre si legava i corti capelli alla base della nuca; indossava un
elegante
Furisode2 chiaro dai ricami aranciati e
l’obi scura le fasciava
strettamente la vita.
Avevano
attraccato sull’isola di Hanfu3 qualche
giorno prima, seguendo il
Log Pose che li aveva portati verso Nord-Est rispetto a Triangle
Florian ed erano rimasti abbagliati dalla bellezza di quel
posto: l’isola era punteggiata da un gran numero di rivoli
dall’acqua limpida e
fresca, sormontati da ponti e passerelle decorate oppure percorsi da
imbarcazioni sottili e aggraziate.
Il
villaggio era formato da piccoli raggruppamenti di case a uno o due
piani, con
alberi di ciliegio – in quel periodo rivestiti di neve
– tutt’intorno. Da
quello che gli abitati avevano raccontato loro, quella era una delle
rare isole
della Grand Line a possedere un clima quasi normale, nonostante il
tempo
sembrasse scorrere lentamente come acqua di montagna.
Il
silenzio quasi innaturale di quel luogo venne sospeso dal solito
guastafeste
che ancora si lamentava contro tutti i vestiti tradizionali
dell’Universo.
«Rufy,
la pianti?» Sbuffò la navigatrice, guardandolo
disfare la lunga cintura rossa e
rischiando tra l’altro di spogliarsi davanti al Mondo.
«Ahh,
ti ho detto di smetterla!» Sbottò ancora,
tirandogli un pugno nel frattempo che
arrossiva come il sole al tramonto.
E
addio pace, pensò il cecchino infilando le mani nelle lunghe
maniche del kimono
verde.
«Ma
Nami, non è colpa mia se questo coso è
scomodissimo!» Si lamentò lui,
accigliandosi.
«Non
capisci proprio niente di raffinatezza, tu. Il solito
cafone… vieni qui!»
Rispose la ragazza, mentre gli sistemava la cintura
all’altezza dell’ombelico,
rischiando di segarlo in due.
E
il
loro elegante Capitano non era l’unico ad avere problemi con
le tradizioni e le
memorie di quell’isola fuori dal tempo, così come
poté costatare Sanji mentre
mugugnava all’aria tutto il suo disprezzo.
«Cuoco
finiscila di borbottare, mi fai venire il mal di testa»
grugnì Zoro, prima di
rallentare il passo per girarsi a guardarlo. «Cosa
c’è?» Chiese poi,
accigliandosi allo sguardo incredulo dell’altro.
Sanji
emise un versetto di disgusto, mentre si appoggiava al parapetto
dell’ennesimo
ponte sul largo sentiero innevato che stavano percorrendo.
«Non
hai fatto altro che lamentarti per tutta la giornata, abbi almeno la
decenza di
non rimproverarmi ora!» Sbottò e Zoro
sbuffò «Che ci posso fare se questo posto
non mi piace?»
Il
biondo si girò a contemplare il tortuoso fiume che scorreva
sotto di lui, fino
a raggiungere la foce che si gettava nel mare tranquillo
all’orizzonte: davvero
non si capacitava della mancanza totale di una qualche forma di delicatezza in quella testa bacata.
«Marimo,
ti ho già detto oggi che sei insensibile come un tronco di
legno?» Fece
ironicamente.
«Mmh,
non ricominciare. Dico solo che questo posto sembra finto»
ribatté lo
spadaccino. «E l’isola è tutta uguale»
continuò, allargando le braccia.
Sanji
ghignò «Ah, solo? E comunque non capisci un cazzo
di eleganza tu».
«Beh,
complimenti Signor Finezza» fece l’altro,
appoggiando le mani all’obi chiara
che cingeva il kimono nero-verde che indossava. «Me ne vado
alle terme!»
Continuò a voce alta, ritornando a camminare.
«Ma
perché diavolo urli, idiota…»
«Almeno
così non c’è tutto questo noioso silenzio!»
Pochi
minuti dopo, Zoro si ritrovò placidamente immerso
nell’acqua bollente delle
terme Fujiyama, scavate naturalmente nelle rocce laviche che
costeggiavano la
parte Ovest dell’isola. “Placidamente”
almeno fino a quando il solito pazzo sclerotico
in slip indecenti non annunciò la sua presenza, urlando come
un ossesso.
«Yaah!
Testa Verde spostatii!»
Fece
a
malapena in tempo a salvarsi, che una buona quantità
d’acqua andò a invadere il
terreno circostante, mentre una capigliatura azzurra galleggiava sulla
superficie ancora agitata.
«Franky
non potevi immergerti come una persona
normale?»Domandò, in via puramente
retorica s’intende.
Il
cyborg emerse sputando acqua «Così è
più divertente» replicò logicamente,
con
un ghigno a trentadue denti. Ovviamente Zoro non fece in tempo a
lamentarsi che
anche Chopper e Brook li raggiunsero, facendo più casino
possibile e
approfittando del fatto che gli abitanti avevano –
evidentemente – deciso di
voler preservare la propria sanità mentale.
«Yohohoh,
che belle le terme!» Stava esclamando Brook, con la solita
risata trascinante.
«Tutta
questa neve e i ciliegi mi ricordano Drum» fece invece
Chopper, emozionato,
appoggiandosi al bordo della vasca.
«Oi
piccoletto, vedi di non affogare!» Sbottò Franky,
mentre gli altri ridevano.
Sanji
si avvicinò lentamente, fumando la solita sigaretta
«La piantate di fare tutto
questo casino?» Provò a dire, lanciando
un’occhiataccia ovviamente alla Testa
D’Alga.
«Suuuper,
Torciciglio! Vieni anche tu a divertirti con noi!»
Urlò Franky, schiaffeggiando
l’acqua davanti a sé.
Sanji
li fissò per un attimo «No, grazie. Credo proprio
che andrò ad annoiarmi
un po’ in camera» sibilò,
entrando nel piccolo ryokan4; si tolse i sandali
di legno e si avviò
verso la sua camera.
A
guardare quel mondo bianco aveva la sensazione di essere immerso in un
limbo di
percezioni attutite, come se la realtà si fosse diluita
nella neve l’istante
stesso che avevano attraccato.
O
forse semplicemente non era abituato a tutta quell’assenza di
colore.
Non
si
era mai soffermato a pensare che un panorama così diverso da
quello a cui era
abituato avrebbe potuto causargli quelle strane sensazioni; dopotutto avevano visto infinite
terre e isole,
tuttavia neanche l’isola del Cielo gli aveva causato tutta
quell’ inquietudine.
«Oi,
cuoco…»
Zoro
aprì
la porta socchiusa con una spalla, nel frattempo che si sistemava
l’asciugamano
e sbadigliava a pieni polmoni.
«Idiota!»
Esplose il cuoco, tirandogli dietro uno dei sandali in legno che
venivano
offerti agli ospiti del piccolo albergo.
«Ahia!
Ma cosa diavolo ti è preso?!» Sbottò lo
spadaccino, massaggiandosi la parte
lesa – come al solito la fronte, dove l’altro
presumeva ci fosse il vuoto
totale.
«Già
hai osato definire noioso un posto
del genere e ora te ne torni seminudo in camera, mentre sto pensando? Termine che tra
l’altro tu non
sai neanche cosa significa!» Proruppe Sanji, alzandosi a
fronteggiarlo.
Nonostante
la sua bellezza, Hanfu era un’oasi sconosciuta e priva di
turisti; quella era
in assoluto l’unico albergo dell’isola e loro erano
stati costretti a dividersi
le poche camere esistenti. Per inciso, lui era ancora lì a
chiedersi quale
maledizione lo avesse portato a condividere qualcosa
con l’essere più rozzo e più
insopportabile del pianeta.
«Oh,
scusami se ho interrotto il tuo profondo pensare, cuoco, ma questa
è anche
camera mia ed io vado in giro come diavolo mi pare»
grugnì Zoro, buttandosi
sfrontatamente sul futon, senza darsi certo la pena di rivestirsi.
Sanji
alzò gli occhi al cielo con uno sbuffo «Mi chiedo
ancora perché non sia
capitato con Nami-chan o Robin-swan, invece che con un
Uomo-Alga».
«Perché
tu sei un maniaco bavoso» replicò
l’altro, mentre si passava un asciugamano sui
corti capelli ancora bagnati.
«Va
al
diavolo» lo liquidò il biondo, ritornando a
dedicarsi al suo paesaggio
imbiancato, incorniciato dai vetri inumiditi.
«Si
può sapere cosa ci trovi di tanto bello nella
neve?» Mugugnò brusco Zoro, dopo
qualche minuto di silenzio; il cuocastro isterico gli rompeva le
scatole da due
giorni con la bellezza e la delicatezza di tutto quello, ma lui proprio
non ci
vedeva niente.
Sanji
sospirò lievemente, poi si sdraiò sul futon,
abbandonando le braccia lungo il
corpo «Non lo so, però la neve mi
piace… è così delicata e leggera, ma al contempo abbagliante e
forte. Salta tanto agli occhi
che fa male» spiegò, socchiudendo gli occhi contro
il soffitto color pastello.
Zoro
lanciò un’occhiata alla finestra, soppesando le
sue parole, poi tornò a
fissarlo «A me sembra solo… piatta».
Sanji
fece un versetto, seguito da una risata sempre più forte
«Marimo sei davvero un
caso perso!» Esclamò, mentre si alzava.
«Magari è solo una mia
impressione…»
continuò, mentre andava verso il bagno.
Zoro
sentì il getto d’acqua che scivolava nella vasca e
la voce del cuoco che
intonava sommessamente qualcosa, attutita dalla porta scorrevole.
Effettivamente una singolare sensazione di quiete lo aveva colto
già qualche
ora prima; quiete che non era più noia, ma qualcosa di diverso: starsene lì a parlare
tranquillamente col cuoco, a fare
riflessioni, a sentirlo cantare, mentre si muoveva delicatamente per la
stanza,
facevano parte di quel mosaico d’impressioni.
Tuttavia
non era da lui fermarsi a ragionare sulle sensazioni e le percezioni
che
particolari attimi gli causavano, soprattutto perché lui non
era davvero
portato a rimuginare sulle cose. Molto spesso accadeva solo che lui
–
semplicemente – decidesse e basta; agiva e faceva cose, cose
che lo facevano
stare bene e quello bastava.
«Marimo,
vieni un attimo qui».
La
voce scazzata del cuoco arrivò a interrompere
l’esile filo dei suoi pensieri,
ovviamente senza sprecarsi a domandarlo con un minimo di garbo.
«Che
gentilezza, cuoco, davvero!» Sbottò, mentre
indossava un kimono da camera blu
scuro.
«Non
rompere e muoviti o ti prendo a calci!»
Maledicendo
la strega che li aveva costretti a convivere, Zoro spalancò
la porta del bagno
con un cipiglio, ritrovandosi un cuoco alquanto schifato che reggeva il
suo
reggipancia tra due dita.
«Allora?»
Grugnì Sanji, con espressione disgustata.
«Allora?»
Ripeté Zoro, appoggiando una spalla alla parete di legno.
«Perché
questa cosa è
qui?!» Sbottò l’altro,
perdendo la pazienza.
«Perché
è mia» replicò lui, con la faccia di
chi comunica qualcosa di molto logico.
«Mi
pare di averti detto che fine faceva, se la ritrovavo in giro nella mia camera».
«Nella
nostra camera, intendi
dire» ribatté
lo spadaccino, già sul sentiero di guerra.
Sanji
sospirò «Marimo, ho la sventura di condividere un
buco di stanza con te e
dobbiamo stare qui altri tre giorni, vorrei evitare di doverti spaccare
il
cranio…» provò a dire, con somma
sopportazione.
Zoro
ghignò «Non farmi ridere, casomai sono io che
dovrei sprecarmi ad usare le mie
katane su di te, cuoco da strapazzo».
Stallo.
Si
fissarono per un po’, poi lo sguardo del biondo
scivolò sull’altro,
squadrandolo «Ora non hai le spade» gli fece notare
con leggerezza.
«Credi
davvero che abbia bisogno delle spade per darti una lezione?»
Chiese
sinceramente sorpreso lo spadaccino, allontanandosi dalla parete.
Le
soluzioni erano due: cominciare il solito giro e passare le successive
ore a
mandarsi morsi e calci, rovinando definitivamente quella magnifica
giornata, o
lasciare correre – almeno per una notte.
Tutto
sommato a Sanji piaceva credere di essere intelligente, qualche volta.
«D’accordo,
tieniti questa roba e lasciamo stare» rimbrottò
stizzito, tornando a smanettare
col rubinetto.
Zoro
fissò alternativamente panciera e cuoco, come per decidere
il da farsi, poi
ghignò «Peccato cominciavo a
divertirmi…»
L’altro
lo liquidò con un frettoloso gesto della mano
«Gioca da solo per stanotte
Marimo, ora voglio rilassarmi» scandì, infilando
una mano per controllare la
temperatura dell’acqua, mentre l’altro lo guardava.
Successivamente
avrebbe attribuito la colpa all’Universo intero, dalla neve
– assolutamente
colpevole di aver reso schifosamente delicato l’animo
già profondamente
instabile del cuoco ̶
,
ai vapori annebbianti del suo
maledetto bagno che gli avevano, senza alcun dubbio, mandato in avaria
il
cervello. In ogni caso, qualunque giustificazione adducesse a
quell’insignificante momento durato meno di un battito di
ciglia, la verità era
che un calore che aveva poco a che vedere con il vapore, stava
gradualmente
avendo la meglio sulle sue residue capacità intellettive.
Quel
posto era contagioso.
L’animo
da fiero spadaccino non gli avrebbe certo permesso di tirarsi indietro,
peccato
che lui non avesse la più pallida idea di cosa fare e, una
volta tanto, si
ritrovò a pensare senza una meta ben precisa.
«Le
alghe che hai nel cervello si sono rinsecchite per caso?» Gli
fece Sanji,
guardandolo perplesso.
A
lui
non fregava un accidente della presenza più o meno
silenziosa del Marimo, ma
essere fissato per più di dieci secondi
all’interno di un ambiente così piccolo
gli dava su i nervi.
«Devi
dirmi qualcosa?» Provò di nuovo, sarcastico.
Zoro
batté le palpebre un paio di volte, probabilmente rimettendo
in moto la materia
grigia, e lo guardò «Eh? No, niente.
Muoviti» riuscì a biascicare, prima di
dileguarsi con suprema dignità.
Sanji
sospirò, immergendosi finalmente nella vasca invitante.
Ora,
lui era un guerriero dedito al sacro Bushidō5 non
una donnicciola
malamente travestita da cuoco megalomane, quindi non aveva idea di
quanto
dovesse esattamente durare un “bagno rilassante”.
In
linea generale Zoro era particolarmente convinto che due ore fossero
troppe.
«Cuoco,
sei vivo?» Chiamò a occhi chiusi, senza ottenere
risposta. «Oi è ritornata
anche la tua dannatissima neve!» Gridò ancora,
mentre all’esterno una leggera
nevicata cominciava a posarsi sul villaggio.
Dopo
aver tentato un altro paio di volte, soprattutto per ricordargli che il
bagno
non era di sua esclusiva proprietà, mandò la
tregua a farsi benedire e si
avvicinò alla porta – porta che si aprì
abbastanza facilmente, senza neanche il
bisogno di sfiorarla quasi.
«Un
pesce in ammollo…» commentò con un
ghigno, alla vista dell’altro inabissato
fino al naso nell’acqua bollente – e nel vapore che
aveva inondato la stanza.
«Dimmi,
perché mi rompi le palle, anche se per una volta non sono io
a infastidirti?»
Domandò Sanji, davvero troppo sereno anche solo per pensare di litigare con chiunque e,
soprattutto, non con lui che
gli faceva venire l’emicrania ogni volta.
«Mi
annoio e tu sei l’unico diversivo vivente da queste
parti» ribatté lo
spadaccino, scrollando le spalle.
Il
biondo aprì un occhio, resistendo al violento impulso di
alzarsi e affogarlo,
poi sospirò «Parla quanto vuoi, tanto ho il
cervello scollegato».
Zoro
rise «Quest’isola ti fa davvero uno schifoso
effetto, cuoco. Peggio di una
donna!» Esclamò, incrociando le braccia e
inclinando il capo.
«Meglio
essere una donna che un Essere insensibile»
replicò lui.
«Credi
davvero che io sia insensibile?»
D’accordo
non era stata una domanda intelligente, soprattutto perché
sapeva già la
risposta. Sempre per colpa della situazione vagamente surreale
però, quel
pensiero gli si era formulato sulla lingua, quasi prima ancora di
pensarlo.
Sanji
si rizzò contro il bordo della vasca e lo guardò
senza quella familiare voglia
di prenderlo in giro, tanto per cambiare. Anzi, senti quasi di poter parlare con lui – cosa che
avrebbe
felicemente negato fino alla morte, fuori da quella stanza.
«Mah,
alla fine ognuno ha un suo tipo di sensibilità… e
tu sei uno spadaccino, quindi
non ci si può aspettare poi tanto da te» rispose
con fare saccente.
«E
che
cazzo centra?» Borbottò Zoro, lanciandogli
un’occhiataccia.
Sanji
scrollò il capo, sorridendo «Tutte quelle regole
che ti dai per vivere non ti
aiutano di certo».
Zoro
sospirò: aveva capito fin dall’inizio dove sarebbe
andato a parare quel
discorso.
«Non
sono regole vere e proprie, però mi fanno vivere bene. Anche
tu hai delle tue
regole, no?» Grugnì, appoggiandosi al basso
ripiano in legno scuro.
«Però
le mie regole non m’impediscono di provare
emozioni» replicò il biondo,
allungando una gamba nuda sul bordo della vasca.
«Non
prendermi in giro, io provo emozioni e tu
lo sai».
«Sì…»
replicò
fievolmente Sanji, ripensando a quel preciso momento lì, a
Thriller Bark:
quando quel cretino aveva deciso di fare l’eroe e lui aveva
smesso di respirare
per due giorni interi.
«Però
non mi faccio controllare» continuò aspro lo
spadaccino, mentre l’altro si
accendeva una sigaretta, con un sorriso amaro: quel giorno si era
buttato tra
le braccia dello Schichibukai seguendo ciecamente proprio il suo
stupido
orgoglio, senza permettersi di guardare altro.
Senza
pensare che la sua decisione potesse fare male a qualcun altro.
«Non
è
vero» decise di dire, mentre espirava il fumo.
«Quando segui le tue emozioni,
ti fai prendere e non pensi ad altro, anzi proprio non pensi, testa
vuota»
disse, fissandolo severamente.
Zoro
lo guardò indecifrabile per qualche istante
«Magari è proprio il mio scopo,
cuoco, ci hai mai pensato?»
«Allora
vuol dire che sei egoista» ribatté lui, sfidandolo
con un’occhiata arrogante.
Dopotutto
le azioni in cui quell’idiota si era lanciato, rischiando di
farsi affettare,
non erano nemmeno numerabili: al Baratie, a Whiskey Peak, ad Alabasta,
a
Skypiea, a Thriller Bark; aveva sempre anteposto le sue azioni ai
sentimenti
dell’intera ciurma.
Zoro
si passò una mano nei capelli, con nervosismo «Non
capisco dove vuoi andare a
parare, non mi sembra che ci siano mai state conseguenze negative, no?
Sono
sempre stati tutti bene!»
Sanji
represse un mugugno di rassegnazione «E questo che diavolo
centra? Io parlo di
sentimenti non di azioni. Hai sempre rischiato più del
necessario, anche quando
non serviva e non hai mai pensato a nient’altro!»
«Non
è
vero, pensavo a combattere!» Insorse Zoro, avvicinandosi alla
vasca.
Sanji
sospirò, chiudendo gli occhi «Lasciamo
perdere… ora esci che devo vestirmi»
borbottò, appoggiando le mani ai lati della vasca. Dopotutto
a discutere con la
sua testa cava non ci guadagnava un bel niente.
Peccato
che quello fosse più cocciuto di un mulo.
«No,
adesso mi spieghi, cuocastro!» Sbottò, infatti,
mettendosi in mezzo.
Sanji
lo guardò di sotto in su come se si fosse rimbecillito
«Non posso stare in
ammollo solo perché tu non capisci una cosa tanto semplice,
Marimo!»
Non
finì la frase che un candido asciugamano gli volò
in faccia.
«Muoviti»
grugnì Zoro.
Sanji
emise una sorta di ringhio «Devi per forza rovinarmi le
giornate, spadaccino
idiota» rimbrottò, alzandosi tranquillamente in
tutta la sua nudità e
circondandosi la vita con l’asciugamano.
Tranquillamente
era una parola grossa, così come lo era chiamare
“indifferenza” quella che
stava ostentando l’altro in quello stesso momento. Per la
precisione, uno
desiderava ardentemente liquefarsi nella stessa acqua che gli lambiva
le
caviglie, mentre l’altro avrebbe volentieri optato per
un’onorevole e veloce uscita
di scena.
«Cuoco
non ti avevo ordinato di fare presto? Mica devi fare una
sfilata!» Sbottò Zoro,
che si chiedeva stupito quanto diavolo durassero due secondi.
Sanji
sbuffò «Stupido Marimo, se sei così
vergognoso vattene di là!» Ribatté,
mentre
assumeva una vaga colorazione rosata.
«No,
dobbiamo finire il discorso! E nell’altra stanza te ne
andresti!»
«Come
se fossi io quello che tronca i discorsi a metà, Signor
“non voglio mai
parlare”. E almeno girati!»
Zoro
si girò di spalle con un profondo sospiro d’immane
sopportazione «Donnicciola…»
bisbigliò, ma a voce abbastanza alta.
«Fino
a prova contraria, sei tu che hai fatto l’isterico»
replicò Sanji, infilandosi
velocemente il kimono azzurro.
«Io?!
A me non ha fatto assolutamente niente,
mi lamentavo per la lentezza!» Sbottò, girandosi
di scatto e con la voglia di
farlo fuori. «E poi, non è che tu sia proprio un
bello spettacolo!»
Sanji
scosse il capo per la duecentesima volta «Come se a me
interessasse la tua
opinione…»
«Però
sei arrossito» commentò, con un ghigno brutalmente
sincero.
Sanji
arrossì – visibilmente stavolta – cosa
che non fece altro che aumentare la sua
voglia di prenderlo a calci «E’ il
vapore!»
Quella
l’aveva già sentita. Soprattutto perché
era stato lui ad inventarla.
Toccò
a Zoro scrollare il capo spazientito, tuttavia si ritrovò a
sogghignare per la
stramba e irreale situazione in cui si trovavano.
«E
poi
come mai tu puoi andartene in giro nudo ed io no?»
Continuò ancora la voce del
cuoco, mentre lui lo fissava.
«Io
non ero nudo, sei tu che sei facilmente impressionabile, grande conquistatore»
precisò Zoro.
«Non
è
che tu sia proprio come Nami-chan, brutto scorfano verde»
rimbeccò Sanji,
mentre si stringeva l’obi alla vita con tocco esperto.
«Ti
ho
già detto che non sei un bello spettacolo?»
Ripeté lo spadaccino, squadrandolo
da capo a piedi.
Uno
scocciatore
che lo fissava come merce in esposizione all’interno di uno
spazio ristretto
riuniva decisamente tutte le cose che più detestava al
Mondo, dopo lo spreco di
cibo.
«Non
guardarmi in quel modo! E comunque c’è un sacco di
gente che non la penserebbe
come te, ci scommetti?»
«Non
penso proprio» tagliò corto lui, con tono pungente.
Sanji
lo guardò per qualche istante, soppesando la sua espressione
arcigna «Cos’è
quella faccia?»
«E’
la
mia faccia, cuoco, non è cambiata negli ultimi dieci minuti
che abbiamo
discusso» ironizzò l’altro.
«Idiota,
dicevo l’espressione» ribatté il biondo,
senza che i suoi occhi lo
abbandonassero.
Zoro
emise una specie di grugnito «Mi risparmierai la tua visione
nuda in giro per
l’isola, vero?»
«Scherzavo,
Marimo deficiente».
«Bene»
terminò lui, portando lo sguardo verso la vetrata appannata
dal calore della
stanza. «Dovremmo far passare dell’aria. Vado di
là» annunciò dopo una piccola
esitazione, con il solito tono da capo-gorilla e mollandolo a chiedersi
cosa
diavolo gli fosse passato nel cervello.
Sanji
gli mandò qualche maledizione mentale, prima di svuotare la
vasca a rendersi
conto di quanto male avesse indossato il kimono, tutto per colpa dello
sguardo
da pesce lesso del Marimo urticante.
Dall’altra
parte Zoro sospirò, pensando lietamente di aver evitato la
realizzazione di un
incubo; perché il cuoco che andava in giro nudo in un
albergo affollato di gente doveva
senza dubbio
essere in suo incubo più ricorrente – ritornando
al fatto che il corpo del
cuoco non era esattamente una bell’immagine.
«Allora
Marimo, qual’era il discorso folle che stavamo facendo prima
della parentesi
“nudità”?» Gli
fece il cuoco, uscendo dal
bagno con un asciugamano a scompigliarsi i capelli bagnati.
Di
certo
non era una cosa da tutti i giorni vederlo disordinato e, soprattutto,
non
insopportabilmente studiato come capitava sulla nave. E doveva essere
proprio
per quel motivo che Zoro si ritrovò a parlare, ancora una
volta senza aver
prima collegato la lingua al cervello.
«Così
sembri quasi umano».
Frase
che non poteva far altro che riportare alla cara discussione che
avevano così
amenamente iniziato in un bagno.
Sanji
si bloccò in mezzo alla stanza «Non avevamo detto
che sei tu l’androide?»
«Questo
è quello che dici tu, cuoco. Io seguirò anche
delle regole che non ti
piacciono, ma non è che tu sia il massimo della
naturalità» commentò,
avvicinandoglisi.
«Ma
che cazzo stai dicendo?»
«Che
sei un damerino sdolcinato e melenso» lo prese per il culo,
con un ghigno.
«Il
fatto che io sia dotato di buona educazione non è la stessa
cosa di te che fai
la prima donna!» Sbottò lui.
Zoro
sospirò, stanco dei giri di parole che loro due erano soliti
usare quando
incautamente si lanciavano in quelle discussioni.
«Perché?»
Sanji
sospirò «Perché non sei più
un Cacciatore di taglie solitario, c’è un intera
ciurma che ti segue. E non puoi buttare al vento la tua esistenza tutte
le
volte che vuoi, perché questa volta ci sarebbero persone che
soffrirebbero per
te» buttò fuori, giusto perché quel
discorso lo aveva stancato.
L’altro
lo guardò stupito «Io non rischio la vita a caso,
lo faccio per aiutare la
ciurma, lo sai».
«Cazzo,
Marimo, cerca di seguirmi: Rufy si butta come un pazzo in ogni
situazione, ma
lui è di gomma, tu no. Potresti usare di più il
cervello, invece dei muscoli!»
Ribatté Sanji, mollandogli un calcio ad una gamba.
«Guarda
che non sono imbecille, io uso il cervello!»
Sbottò Zoro, ma il biondo rise «Oh,
quella mossa sacrificale con l’orso lì
è stata geniale davvero!» Ironizzò,
tornando verso il bagno.
«Era
l’unico
modo per salvare Rufy e comunque eravate tutto svenuti, quindi ho
pensato che
nessuno di voi avrebbe potuto stare male» rimbeccò
in difesa Zoro, seguendolo.
Sanji
gettò a casaccio l’asciugamano e si
girò a fronteggiarlo «E una volta che ci
saremmo svegliati senza trovarti? Che cazzo di ragionamento! E io mi
sono
svegliato, pensa se lo avesse fatto Rufy e avrebbe capito che ti stavi
sacrificando per lui!» Lo aggredì, tirando fuori
tutto quello che avrebbe
preferito dimenticare, almeno per un po’.
«Lui…
lui non poteva svegliarsi, era troppo ferito».
«Non
ci hai pensato vero?» Fece il cuoco, lanciandogli
un’occhiata.
«E
comunque
è andata tutto bene alla fine: lo Schichibukai ci ha
risparmiato e io ho
rimediato solo qualche ferita» replicò cocciuto
Zoro,appoggiandosi al lavello
dove Sanji lasciava scorrere l’acqua.
«Ancora
con questo discorso idiota…» ribatté,
roteando gli occhi.
«No,
sei tu che ragioni come un idiota. Con i ‘se’ e i
‘ma’ non si agirebbe mai!»
Sanji
lo inchiodò sul posto con sguardo furioso «Ma io ho visto e questo non cambia»
tagliò corto, chiudendo il rubinetto.
Nel
silenzio del bagno, Sanji sentì il suo cuore battere in modo
inconsulto e la
sua mente mandargli segnali di pericolo: aveva esagerato, aveva detto
persino
troppo al Marimo, tuttavia non poteva farci nulla: l’immagine
di lui che
gocciolava sangue in una radura completamente schizzata di rosso gli
affollava
i sogni.
«Allora
è questo il problema? Ti sei spaventato?» Gli
domandò sprezzante Zoro,
allungando un braccio che il cuoco gli schiaffeggiò via
«Potevi anche ucciderti,
non mi interessa quello che fai della tua vita, però tieni
conto che ci sono
altre sette persone che possono
piangerti. Non devi farle soffrire inutilmente» disse in un
sussurro roco, dandogli
le spalle per sparire verso la camera.
Zoro
gli tirò un lembo del kimono, trattenendolo «Mi
dispiace cuoco, ma io l’ho fatto
per salvarci tutti, per salvare la ciurma, non per me. E’ per
quello che ti ho
colpito, non volevo che tu o qualcuno altro fosse lì, ma
soprattutto tu».
Sanji
sospirò «Mi hai colpito perché non
volevi che ti convincessi?»
«Io…
non volevo che ti sacrificassi, non avrei avuto la forza di
guardare» rivelò,
con la voce che si abbassava di qualche tono.
«Però
io
te l’ho permesso, mi sono fatto colpire e sono svenuto. Non
ho visto» continuò
il biondo, passandosi una mano sugli occhi lucidi.
Zoro
scrollò il capo, mentre lo faceva girare
«E’stata colpa mia, io sono quello
egoista. Tu volevi solo aiutarmi».
«Ma
mente io perdevo i sensi, tu stavi soffrendo per tutti noi, cazzo.
Potevi
morire mentre io dormivo!» Sbottò Sanji, cercando
di liberarsi dalla sua
stretta.
Zoro
gli strinse un braccio, mentre l’altra mano gli circondava la
vita «Non devi
sentirti in colpa, non è stata colpa tua»
ripeté, con sguardo fisso su di lui.
«Non
ripeterlo come se fossi davvero un isterico!» Proruppe Sanji,
mollandogli un
calcio. L’altro strinse la presa e lo avvicinò,
fino a quando non se lo ritrovò
quasi addosso «Tu non sei isterico, ti preoccupi per tutti
e
questo è bello».
Sanji
smise di agitarsi e lo guardò, scoprendolo sorprendentemente
vicino. Se il
cuore non avesse smesso di battere, probabilmente avrebbe cominciato a
sentirlo
pure lui «Sono un idiota» disse atono, come se solo
in quell’istante si
rendesse conto di tutto quello che gli aveva detto.
Zoro
ghignò «Lo sapevo già!»
Esclamò, poi il sorriso gli scivolò via dal viso,
mentre gli afferrava una ciocca di capelli umidi.
«Scusa» fece solo.
Sanji
lo guardò sconvolto e – sebbene fosse la prima
volta che lo sentiva scusarsi –
tutta la sua attenzione era mentalmente rivolta alle misere due dita
che
scivolavano giù per quella maledetta ciocca di capelli.
«N-niente.
Prova a non suicidarti, la prossima volta»
balbettò l’altro, sentendosi ancora
più idiota nel frattempo.
Si
guardarono in silenzio, mentre mille istanti che non avevano il
coraggio o la
forza di vivere scivolavano tra loro, aleggiando nella piccola sala
umida.
«Io
voglio andare a vedere la neve. Hai detto che è tornata a
cadere, no?» Annunciò
Sanji, liberandosi dalla sua presa per correre alla finestra.
«Mi chiedo ancora
come diavolo possa non piacerti! Sarai anche sensibile, in
fondo, ma non apprezzare uno spettacolo del genere
è da rozzi
cavernicoli!» Esclamò, con tono vagamente
nevrotico.
In
realtà il suo pensiero preciso era quello di rimuovere
qualsiasi azione, cosa,
pensiero e parole fatti o pronunciati meno di due ore prima e
– ovviamente –
cancellare il fotogramma che vedeva loro due incastrati tra il lavello
e la
parete di un bagno.
Zoro
fece qualche cauto passo verso la soglia del bagno, nel caso di altri
sandali
dalla suola dura volanti, poi si avvicinò alla finestra
«Comincio a credere che
tu abbia ragione, cuoco» fece, mentre quello lo fissava
circospetto. «La neve
sembra davvero leggera e forte come dici… e, oh,
abbagliante».
«Non
prendermi per il culo, Marimo!»
Zoro
lo guardò con aria terribilmente seria «Non sto
scherzo, solo pensavo… se ti
piace tanto dovrà pur avere qualcosa di bello, altrimenti
risulteresti davvero
stupido!» Replicò, scocciato.
«Vuoi
che ti prenda a calci?» Ringhiò Sanji, girandosi a
fronteggiarlo.
Tuttavia
il Marimo doveva essere già stato malmenato da qualcuno o
comunque doveva aver
battuto la testa, perché quell’espressione strana
non abbandonava i suoi occhi
scuri.
Sanji
continuò a sentirli addosso per parecchi secondi,
mandandogli non pochi brividi
- colpa sempre del solito vapore che gli aveva causato di certo una
sorta di
scompenso termico -, prima di abbandonarlo per ritornare a guardare
fuori, dove
le terme e il villaggio sembravano scomparire sotto il bianco
illuminato da una
timida luna.
«Parlami
della neve, cuoco».
«Ancora?!»
Sbottò lui, incredulo.
Zoro
annuì, senza arrabbiarsi come faceva ogni volta.
«Sì, ancora».
Per le
note:
1
L’obi
è la cintura tradizionale per i kimono giapponesi. Qui
tutte le
informazioni.
2
Il
Furisode è un tipo di kimono femminile dalle maniche molto
larghe, indossato di
solito dalle giovani nubili. Per altre informazioni, here.
3
Hanfu
è il vestito tradizionale cinese. Cosa centra? Beh,
è da qui che è nato e si è
sviluppato il kimono giapponese, quindi ho deciso di chiamare
l’isola in questo
modo. Ancora, per informazioni, qui.
4
Il
Ryokan
è un albero
tradizionale giapponese, spesso creato proprio nei pressi delle terme
(onsen).
Proprio per questo ho parlato di futon, terme, eccetera. Anche nella
descrizione ho provato a ricordare la tradizione.
In
più
volevo sottolineare che il nome delle terme deriva dal famoso monte
Fuji,
simbolo del Giappone, il cui nome completo è Fujiyama.
Beh,
non ho altro da dire, aspetterò le vostre recensioni di
morte. XD
Buona
lettura!
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