Prologo - Narciso
NdA:
Ho scritto quanto segue due anni fa, quasi tre. Mi era tornata la
voglia di scrivere dopo diversi anni di totale lontananza da carta e
penna. Per questo ringrazio di cuore la mia vecchia coinquilina che mi
ha ricordato questa mia vecchia passione.
Tentai di rimettere mano a una
mia vecchia storia ma, inevitabilmente, quella mutò, la
protagonista (una dei protagonisti in effetti) mutò e posso dire
con tutta tranquillità che è diventata uno dei personaggi
che detesto di più.
Questo prologo parla di lei...
è un piccolo scorcio nella sua anima e nei suoi pensieri.
L’ho cambiato tante volte, plasmato in mille modi diversi e
questa versione è l’ultima, scritta più di un anno
fa.
La mia scrittura è
cambiata, io sono cambiata, tanto che questa storia iniziata e mai
conclusa non mi sembra più scritta da me. Eppure, rileggendola
per caso, mi è piaciuta e mi sono resa conto di amare ancora le
mie creature e di non volere che morissero così, dimenticate
dentro un computer.
Ho deciso di metterla qui, nella
speranza che voi lettori mi possiate aiutare nel migliorare il mio modo
di scrivere, che possiate apprezzare questi personaggi tanto quanto li
ho apprezzati io.
Buona lettura.
Prologo – Narciso
La stanza era completamente
buia, non un raggio di luna filtrava dalla finestra. La ragazza,
Eleanor, era sola. Non che le dispiacesse, non era certo un tipo
socievole ed estroverso. Si trovava accucciata sotto le coperte, ma non
aveva nessuna intenzione di dormire. Sfruttava, infatti, quei momenti
che precedono la caduta nelle braccia di Morfeo per pensare con calma.
La sua mente stava ripercorrendo e analizzando i fatti di quel
pomeriggio. Sicuramente le conseguenze non sarebbero state rilevanti al
punto da poterla sconvolgere. Il suo cuore inaspettatamente
sperò. Il volto di lui le apparve nitido e sorridente e si
sentì meglio. Tuttavia era meglio non sottovalutare nulla, non
era così sciocca da non prendere in considerazione una reazione
così innocente, decisamente semplice e ingenua. Ma non era mai
successo prima e la ragazza non se lo sarebbe mai aspettato. Eleanor
non aveva un buon rapporto con le sorprese, non sopportava che le
situazioni le sfuggissero di mano o non fossero prevedibili. Un leggero
fastidio le arricciò il naso. Cercò appoggio e
soddisfazione nelle sue scelte e nelle sue azioni. Li trovò e,
finalmente, sorrise.
***
Si alzò presto, anche se
era sabato. Di solito non disdegnava di rimanere a letto fino a tardi
ma sentiva di dover approfondire una certa questione. E prima ancora le
avrebbe dovuto raccontare: chi la voleva sentire, se poi borbottava che
non le diceva mai nulla. Si fece una bella doccia. Riposante.
Distensiva. Dopo andava meglio. Naturalmente passò un bel
po’ di tempo davanti allo specchio. Era orgogliosa di se stessa,
e chi la conosceva, senza sforzarsi troppo, la chiamava
“Narciso”. Che originalità. “Folletto”
era quasi peggiore. Secondo il suo modesto parere, nessuno meglio dei
folletti era padrone di decoro, eleganza e imperturbabilità. E
doveva essere una sensazione magnifica, avere tutto quel potere nelle
proprie mani. Chissà come si sentivano, chissà cosa
provavano… Non lo avrebbe mai saputo. La seccava, quindi,
sentire usare quel nome come qualcosa di strano da cui stare lontani.
Senza contare che avrebbe potuto essere tranquillamente una di loro,
come tutti le ricordavano, non senza una certa esasperazione. Oh
sì, era davvero orgogliosa.
Ultimò di sistemarsi e
scivolò in cucina, prese un bicchiere di latte. Mentre lo
sorseggiava, si ritrovò ad apprezzare l’amabile suono del
silenzio. Lavò il bicchiere: sarebbe stato molto sgradevole
lasciarlo nel lavello sporco, non era quello il suo posto. Scrisse un
biglietto ai genitori, li avvertiva che era uscita e che sarebbe
tornata per pranzo. Che ragazza premurosa. Sorrise di nuovo.
Uscì.
***
Per strada non c’era quasi
nessuno, ottimo. La giornata era cominciata splendidamente, poteva
ritenersi molto soddisfatta. Già fuori di casa
s’iniziavano a sentire gli uccellini che cantavano, il fruscio
del vento fra gli alberi, il ronzio leggero degli ultimi grilli. Addio
dolce silenzio, alla prossima… Ammise a se stessa che, se i
passeri e i pettirossi avevano da pigolare così già di
prima mattina, non poteva che andare tutto bene, e si sentì
felice per loro. Il vento, inoltre, porta il profumo di posti lontani,
conosce tutto. A volte sembra, quasi, che voglia iniziare a raccontare.
‘Merita rispetto e
ammirazione’ pensò. I frassini e i pioppi si stagliavano
alti e imponenti contro il cielo, alcune foglie iniziavano a dorarsi.
Belli, bellissimi. La natura è meravigliosa, quanto piacere per
gli occhi… Anche i suoni potevano avere la loro utilità,
se rivelavano la presenza di ciò che è più puro
nel mondo. Sorrise ancora. E contemplò i colori di tutti quei
giardini. Contemplò la cura e la precisione. Contemplò le
morbide corolle che si crogiolavano sotto le carezze dell’aria.
Contemplò quel verde, quel verde che non dava spazio al respiro,
che era pieno e che sapeva di speranza. Si accorse di essersi fermata.
Le sue labbra s’incurvarono sotto il peso della consapevolezza.
Le sue iridi, avide, sfiorarono il marciapiede largo e dritto, la
strada ordinatamente selciata. Non contente, lambirono gli edifici di
pietra, il vetro lucido delle botteghe. Toccarono le cassette della
posta e i lampioni sparsi qua e là. La soddisfazione le avvolse
il cuore, e la mente, paga, le ricordò i suoi impegni. Si
può indovinare come reagì a questi pensieri. Un buon
inizio davvero.
I viali iniziarono a riempirsi
di mattinieri e coloro così sfortunati da dover lavorare il
sabato. Si alzò gradualmente un certo brusio. Quante
parole…
‘Troppe’ inutile
voglia di comunicare… La ragazza fu riconosciuta da un paio di
persone che la salutarono. Eleanor rispose cordialmente. Che personcina
educata. Continuò a camminare, anzi diciamo passeggiare:
avanzava con calma, con esasperante lentezza, si guardava intorno con
noncuranza, il tempo non le metteva fretta. Entrò in un bar e
comprò due caffè, passò dal forno e prese due
cornetti fragranti. Forse così non si sarebbe dovuta sorbire
troppe lamentele sulle visite inaspettate di sabato mattina. Dopo
avanzò più speditamente, che tragedia se il caffè
si fosse raffreddato prima di poterselo gustare.
Si fermò davanti a una
casa con finestre di legno scuro e con un giardino molto grande e
decisamente più curato dei suoi vicini. Quanta pace sembrava
emanare quella casa. Se tutte le apparenze fossero così!
Oltrepassò il cancello, percorse il vialetto e prese una chiave
da dietro un vaso di tulipani accanto alla porta. Prevedibile. E
sciocco. Entrò con sicurezza e senza far rumore.
***
Si trovò in un piccolo
atrio. Lo oltrepassò e girò a sinistra dentro la cucina,
poggiò la busta con cornetti e caffè. Uscì salendo
le scale sulla sinistra e varcò silenziosamente una porta,
sempre a sinistra. Facile, davvero facile. La stanza non era buia come
la sua: attraverso le tendine rosse, il sole si poggiava delicatamente
ovunque gli riuscisse. Meglio, molte meno probabilità di andare
a sbattere. Si avvicinò al letto, una massa di riccioli neri
spuntava da sotto le coperte. Scosse con garbo quella che doveva essere
una spalla, per sentire gorgogliare qualcosa sul sabato e sullo
stramaledetto diritto di dormire. Quanta classe…
“Ti aspetto in cucina, ti
ho portato la colazione” disse, non riuscendo a reprimere il tono
condiscendente della sua voce. Due occhi sorpresi spuntarono in mezzo a
quelle ciocche scure. Nella fretta di alzarsi la migliore amica della
nostra Narciso cadde malamente dal letto. Quanta grazia… Eleanor
scese in cucina e attese seduta al tavolo.
***
Dopo mezz’ora la ragazza
la raggiunse con un’espressione piuttosto contrariata.
Com’era diversa da Eleanor. Innanzitutto l’aspetto, poi il
carattere. Dovrebbe importare? A loro sicuramente no. Il suo nome era
May.
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