Autore:
Ayako_Chan
Titolo:
Passo dopo passo.
Genere:
Introspettivo, AU.
Rating: Verde
Personaggi (ed eventuali
Paring): Neji, Hinata, Altri.
Prompt:
Francese, sedia, porta colori.
Uso beta reading:
No
Introduzione:
Si può conoscersi da una vita senza realmente conoscersi?
Quando i pregiudizi e le apparenze diventano più importanti
della vera persona, bisogna imparare a metterli tutti da parte, a
mettere in discussione tutto quello in cui si è creduto fino
a quel momento per capire che, magari, dietro a due burattini della
società ci sono due persone vere, ciascuna con le sue forze
e debolezze.
[Neji, Hinata]
Note dell'Autore:
Questa
fanfiction ha partecipato al contest "Naruto at School" indetto da
Vain_girl, classificandosi seconda.
Devo ammettere che - visto e considerato che era il primo contest a cui
partecipavo - sono davvero soddisfatta del risultato *___* A solo mezzo
punto dal primo posto.. i miei complimenti alla prima classificata e a
tutte le altre partecipanti. *____* Riporto qua l'introduzione che
avevo fatto per la giudice (tenendo presente che la coppia era fissa e
non decisa da me):
Ormai mi sono rassegnata al fatto che devo, in ogni modo, complicarmi
la vita. Perché era assolutamente più facile
descrivere la nascita di un amore tra questi due, o un rapporto di odio
da parte di Neji; e invece no, ho fatto una scelta che, a dire la
verità, avendo loro come personaggi, alla fine è
diventata l’unica scelta possibile, per me. Ho deciso di
descrivere quel rapporto che è il più complesso
di tutti, quello di affetto all’interno di una stessa
famiglia; o, ancora meglio, la nascita di un rapporto che era rimasto
sepolto sotto i pregiudizi e l’invidia. La nascita di un
qualcosa, ancora non ben definito, che può evolversi in
mille modi possibili, a seconda della volontà dei diretti
interessati. In secondo luogo, sono una perfezionista e dunque ho
spulciato internet alla ricerca di informazioni sul sistema scolastico
giapponese, per renderlo il più fedele possibile. Tutte le
informazioni sono prese da wikipedia. Tutte le note necessarie si
trovano alla fine della fan fiction.
Infine (mi rendo conto che queste note stanno diventando chilometriche,
ma sopportatemi!): il rapporto tra Hinata e Neji nel manga è
molto dinamico cambia col tempo. Io ho scelto di prenderli nella
situazione in cui Hiashi ha affidato la figlia a Kurenai asserendo che
non era di alcuna utilità per lui; Hinata è una
ragazza oppressa dalla presenza del padre; Neji un ragazzo vissuto
all’ombra dell’invidia di Hizashi. E ho trasferito
tutto in un’agiata ed importante famiglia giapponese.
Buona lettura!
Passo dopo passo
~» Step 1
Ferma davanti allo specchio, Hinata si allacciò gli ultimi
bottoni del fuku alla marinara[1], avendo cura
di non creare la minima piega. Alcune di quelle che sarebbero diventate
le sue nuove compagne di classe, probabilmente già
dall’indomani avrebbero iniziato a modificare le divise, in
modo abbastanza spregiudicato da dare mostra del loro anticonformismo
ma non così tanto da macchiare la reputazione loro e delle
rispettive famiglie.
Lei, ovviamente,
no.
Udì un sommesso bussare sul legno dello shoji, prima che
questo venisse parzialmente aperto rivelando la figura della sorella,
impeccabile nella sua uniforme blu scuro, che sembrava disegnata
apposta per lei.
“Hinata-san...”
Incurvò appena le spalle per l’uso di quel
suffisso di rispetto anche da parte sua; non era mai riuscita a
convincerla a chiamarla solo col nome, per quanto lo desiderasse.
“Sì?”
“Oto-san[2] e io siamo già
pronti, ti aspettiamo in macchina. Lui ha detto…”
una piccolissima esitazione. Poi, si schiarì la voce e
riprese: “ha detto che non è accettabile che tu
faccia tardi il primo giorno…”
Soprattutto quando non
ti sei classificata tra i primi agli esami di ammissione.
Quella frase non detta aleggiò nello spazio vuoto tra di
loro, nell’aria fattasi all’improvviso pesante.
Hinata si morse il labbro inferiore, recuperò la cartella e
seguì la sorella minore senza dire una parola.
Sempre troppo poco brava per gli standard del padre; mai
all’altezza delle sue aspettative.
Sempre surclassata da Hanabi.
Sempre, sempre, sempre troppo poco perfetta per gli Hyuuga.
Salì in macchina sul sedile posteriore, sotto lo sguardo
indagatore del padre, che fece cenno all’autista di partire.
“Hinata, sistemati quel fiocco. Mi aspetto che, almeno nelle
apparenze, tu sia perfetta.”
Lei annuì, tirando il fiocco di quel paio di centimetri
necessari a renderlo perfettamente simmetrico e cercando, nel
frattempo, di ignorare il senso d’inadeguatezza che la
presenza di Hiashi le provocava sempre.
Lui, intanto, riprese. “Forse te l’ho
già detto, ma quello in cui stai per entrare è lo
stesso istituto che frequenta tuo cugino. Sarebbe opportuno che
passaste del tempo insieme, almeno per i primi giorni, così
da farti spiegare tutte le regole e le cose che devi sapere.”
“Certo.” Rispose lei, cercando di darsi un
tono…come? Determinato? Interessato?
Le sembrò soltanto sconfitto, come sempre; si morse
l’interno della guancia, arrabbiata con se stessa per quella
sua debolezza che non riusciva a vincere.
Sentendo che il padre si era messo a discutere con Hanabi,
appoggiò con un leggerissimo sospiro il volto al finestrino,
approfittando di quell’attimo di tregua.
Neji.
Sapeva della presenza del cugino alla sua scuola, perché
aveva visto il suo nome in cima alla lista dei cartelloni di
graduatoria dei voti del secondo anno, quando si era recata a
controllare il risultato del suo test.
E il suo nome era là, primo fra tutte le classi; perfetto
come sempre.
Da quanto tempo non lo vedeva?
Si ricordava un ragazzo freddo, rigido e serio, cresciuto forse troppo
in fretta: il figlio che suo padre aveva sempre desiderato.
Osservò le case e i pedoni sfrecciare davanti a lei senza
ordine né motivo, senza che potesse fare nulla per fermarli
e, in una strana visione tragica e comica allo stesso tempo, le
sembrò quasi una grottesca metafora della sua breve vita: totalmente fuori dal suo
controllo.
Quel senso di pesantezza non la abbandonò neanche quando,
nella fresca aria di quel mattino di Aprile, varcò il
cancello della più prestigiosa scuola media superiore di
Tokyo, un istituto ovviamente privato, ovviamente celebre per la sua
severità e disciplina.
~» Step 2
Neji camminava, serio e perfettamente composto, lungo il corridoio del
piano terra, lanciando di tanto in tanto delle occhiate distratte verso
la finestra, da cui poteva osservare i numerosi studenti che
affollavano il cortile per la pausa pranzo.
Più spesso, comunque, la sua attenzione era rivolta alla
ragazza che gli camminava a fianco, reggendo un plico di fotocopie che
continuava a controllare.
“Quando saranno pronti i programmi per questo primo mese,
TenTen?” le chiese, spostando gli occhi di un azzurro
innaturalmente chiaro verso di lei, che ormai da un paio
d’anni era diventata vice presidentessa del Comitato
Studentesco, e sua assistente.[3]
“A breve, Presidente.” Rispose lei, sollevando una
mano per scostarsi una ciocca dei capelli castani dietro
l’orecchio. “E il suo discorso?”
“Pronto.”
“Bene.”
Non c’erano mai troppe parole tra di loro; TenTen era una
ragazza pratica e in gamba, che prendeva sul serio il suo lavoro e lo
svolgeva con cura. Era questa la parte del suo carattere che il giovane
Hyuuga apprezzava di più: lavoravano bene insieme, e lei non
passava il tempo a stressarlo con inutili domande.
Chinando appena il capo verso uno studente che lo aveva appena
salutato, spostò di nuovo lo sguardo verso il cortile,
fermandosi quasi immediatamente. Poco distante, seduta sotto uno dei
numerosi ciliegi non ancora in fiore, stava seduta Hinata, intenta a
disegnare qualcosa, probabilmente per i compiti di Arte.
“Presidente?”
“Mh?”
“Cos’hai visto?”
Neji si limitò ad indicarle la figura della cugina con un
cenno del capo. TenTen, che pure non aveva mai visto la primogenita
degli Hyuuga, conosceva la sua storia, perché più
volte il compagno se ne era lamentato.
“Oh. Capisco. Non…non vi siete ancora
parlati?”
Lui le lanciò un’occhiata di sufficienza.
“Perché dovrei parlarle?”
“È tua cugina.”
“È una parente dalle capacità
mediocri.” La corresse lui, con un tono che sembrava tanto
una cantilena ripetuta più volte.
La ragazza sospirò. “Da quanto tempo è
che non vi vedete?”
“Anni.”
“E allora come fai a dire che non vale la pena parlarle?
Magari è cambiata.”
Neji si fermò, osservandola corrucciato.
“Perché ci tieni tanto?”
TenTen sorrise, alzando le spalle. “Credo che sia sciocco che
una persona come te rimanga attaccata ai pregiudizi senza
verificarli.”
Lo Hyuuga non ebbe nemmeno il tempo per pensare ad una risposta
intelligente da darle, perché la compagna si era
già allontanata con la scusa di dover consegnare le
fotocopie.
Irritato con lei e con se stesso, rimase per qualche istante immobile
in mezzo al corridoio; poi lanciò un’altra
occhiata alla cugina – che ora era in compagnia di un ragazzo
che non riconosceva – uscendo a sua volta in cortile con
un’imprecazione appena sussurrata, ma che suonava molto come
“Al diavolo,
TenTen!”
Hinata era rimasta piacevolmente sorpresa quando Kiba si era parato
davanti a lei, togliendole i raggi del sole primaverile e la visuale
dello scorcio di giardino che stava disegnando.
“Compiti per arte?” le aveva chiesto, come se si
fossero visti non più tardi del giorno prima.
“Kiba!” aveva invece esclamato lei, felice,
abbandonando per un attimo la matita.
Il ragazzo aveva riso, sedendosi accanto a lei e regalandole un leggero
abbraccio, pur sapendo quanto l’amica fosse a disagio col
contatto fisico.
“Come stai?”
“Bene, grazie. Si tira avanti.”
“Non pensavo di ritrovarti qui… gli
altri?”
“Sparsi in giro per le scuole di Tokyo.”
Hinata sorrise, ripensando ai ricordi felici che aveva condiviso con
L’Inuzuka, e con gli altri suoi ex-compagni. Kiba era
l’unico figlio maschio di una famiglia specializzata
nell’allevamento e nell’addestramento di cani di
razza e, pur non appartenendo all’élite
commerciale giapponese, i suoi genitori erano riusciti a garantirgli
un’istruzione nelle migliori scuole private.
Si erano conosciuti alle Medie Inferiori, quando frequentavano la
stessa classe. Pian piano a loro si erano aggiunti altri ragazzi, che
erano diventati i primi e unici amici della ragazza, pur con i loro
caratteri all’apparenza così diversi.
Col tempo, era arrivata ad apprezzare ogni loro sfumatura, cogliendo
dietro alle loro caratteristiche più irritanti un profondo
disagio che li accumunava alla sua situazione: Sasuke, Sakura, Shino,
Ino, Naruto erano tutti ragazzi che, come lei, dovevano affrontare i
propri demoni personali, spesso incarnati nella forma di famiglie
oppressive.
“Capisco. Naruto come sta?”
“Un po’ giù di morale. Sai, sperava di
riuscire ad entrare anche lui in questa scuola..”
Hinata sollevò le sopracciglia, perplessa.
“Oh, non perché si sia improvvisamente innamorato
dello studio, tranquilla!” Rise “Più che
altro perché qui sono riusciti ad entrare molti di
noi.”
“Davvero?” chiese, interessata. “Non ho
ancora visto nessuno.”
“Non mi sorprende. Hai ripreso ad isolarti come al
solito?”
Lei sospirò, abbassando lo sguardo.
“Mi è difficile fare nuove amicizie.”
“Lo so… ma adesso che ti ho ritrovata ci
penserò io a tirarti fuori dal tuo guscio, visto che Naruto
non c’è!”
Ridendo, la Hyuuga aprì il porta colori che teneva poggiato
di fianco, prendendo un pastello di un giallo acceso. Lo tenne sospeso
per qualche istante sopra al foglio, prima di aggiungere a quel disegno
in bianco e nero delle forti sfumature là dove la luce
avrebbe dovuto colpire gli oggetti.
“Un bel tocco di colore.”
“È un tocco di speranza in un mondo
grigio.”
Spiegò, riponendo la matita. Poi raccolse le sue cose mentre
la campanella scandiva la fine della pausa pranzo. Accettò
la mano di Kiba che la aiutò ad alzarsi.
“Grazie di tutto, Kiba.”
“E di cosa? Vienimi a trovare, piuttosto. Sono finito in
classe con Shino, prima C.”
Annuendo, iniziò ad allontanarsi, col foglio e i colori
stretti tra le braccia, e un sorriso sulle labbra; il primo vero
sorriso da quando, pochi giorni prima, aveva iniziato la scuola.
Si girò di scatto, richiamandolo: “KIBA!”
“Sì?”
“Ringrazia da parte mia Naruto, quando lo vedrai…
e digli che grazie a lui ho capito di non dovermi mai arrendere. Che
vale la pena lottare.”
Il ragazzo sorrise. “Certo!”
Hinata rimase a guardarlo allontanarsi per un po’, prima di
affrettarsi a sua volta verso la lezione successiva.
Poco distante, Neji si appoggiò ad un albero, pensieroso.
Aveva ascoltato quasi tutto il dialogo tra la cugina e il ragazzo, e ne
era rimasto turbato – non che avesse intenzione di origliare,
intendiamoci, ma era arrivato nel bel mezzo della conversazione e aveva
deciso di aspettare, prima di palesarsi alla
ragazza…finché non aveva sentito le parole che si
scambiavano, e la sua risata.
Così libera.
Non ricordava di aver mai sentito Hinata ridere.
Il loro ultimo incontro risaliva a molti anni prima, quando lei doveva
iniziare le medie inferiori. L’aveva vista poche volte, senza
ricavarne un’impressione favorevole.
Ricordava una ragazza insicura, debole, chiusa in se stessa e senza
autostima. Nessun talento e nessuna volontà di riuscire a
dimostrare di essere qualcuno.
In quel momento l’aveva disprezzata, quasi.
Chi era, ora, quella ragazza che rideva felice, che
ricordava con nostalgia degli amici?
Chi era quella persona che affermava di voler lottare per se stessa?
Più turbato di quanto gli piacesse ammettere, si
recò a passi lenti verso l’edificio.
~» Step 3
“Des milliers
et des milliers d’années..”
recitava, a memoria, Hinata, sforzandosi di non storpiare troppo la
pronuncia di quella lingua straniera così difficile, mentre
era impegnata a sistemare l’aula, vuota oltre a lei.
“Ne sauraient
suffire pour dire..” Prese tra le mani il vaso
di fiori per spostarlo in modo da poter pulire il ripiano, il volto
aperto in un sorriso rilassato mentre le potenti parole di un poeta che
amava riempivano l’aria in un francese stentato, ma pieno
d’emozione.
“..le petite
seconde d’étern—”
“Hinata-san.”
La voce fredda e pacata che la interruppe arrivò
così all’improvviso da spaventarla. Presa alla
sprovvista, allentò la presa sul vaso, che si
fracassò al suolo in una pioggia di acqua e schegge di vetro.
Con gli occhi spalancati, si voltò verso la porta, dove Neji
osservava i resti del recipiente con una smorfia infastidita.
Imbarazzata per essere stata colta mentre parlava in francese proprio
da lui, arrossì di colpo.
“N-Neji-san.”
Lui lasciò vagare lo sguardo – che non esprimeva
assolutamente nulla – sull’aula vuota, aggrottando
le sopracciglia. “Dove sono i tuoi compagni?”
“Sono già andati a casa.”
Mormorò lei, chinandosi a raccogliere i fiori sparsi sul
pavimento.
“Le pulizie dell’aula devono farle tutti.”[4]
Hinata sollevò appena le spalle. “Avevano tutti
degli impegni, mi hanno chiesto se mi dispiaceva fare da
sola…”
Neji sbuffò. “Tutti?” Disse, sarcastico.
“Hinata-san, si sono semplicemente approfittati di
te.” Dichiarò, lapidario.
“Lo so.”
L’affermazione lo spiazzò. “Lo sai? E
allora perché lo permetti? Sei qui solo da pochi giorni ma
sono bastati ai tuoi compagni per capire come approfittarsi del tuo
carattere debole. Se continui così nessuno ti
rispetterà mai.”
La ragazza incassò appena la testa fra le spalle, per il
tono gelido del cugino. Strinse le mani attorno agli steli dei fiori,
prima di mormorare: “A me non importa, davvero.”
Sempre più perplesso e incapace di capire, coprì
quei pochi metri che li separavano, afferrandola per un braccio e
costringendola a guardarlo negli occhi. “Come sarebbe che non
t’importa?”
“Ecco...” si morse il labbro, abbassando lo sguardo
al pavimento. “Neji-san, io so perfettamente di non essere
adatta a succedere a mio padre nell’organizzazione della
famiglia, so di non averne le capacità…”
“Non ti impegni neanche! Il tuo è soltanto un
atteggiamento vittimistic—”
“MA IO NON VOGLIO!” Lo interruppe lei, urlando,
questa volta.
Respirò pesantemente, mentre un paio di lacrime che non era
riuscita a trattenere scendevano sulle sue guance. Con gli occhi lucidi
e un peso all’altezza dello stomaco, riprese a dire a lui
– quel cugino quasi sconosciuto, che tanto la metteva in
soggezione – ciò che non era mai stata in grado di
dire al padre “Non mi interessa niente dei soldi, della
posizione, del nome. Io…
voglio soltanto essere libera di scegliere il mio futuro.”
Quella frase, unita a quello sguardo che tra le lacrime esprimeva
soltanto un profondo dolore e una piccola ma tenace decisione, ebbe per
Neji l’effetto di un pugno nello stomaco.
Le lasciò subito andare il braccio, quasi che scottasse.
Hinata è
soltanto una bambina debole, senza talento né
capacità. Non farà mai strada, e la sua posizione
la deve soltanto alla fortuna di essere nata come figlia di Hiashi.
Le parole astiose di Hizashi, di suo padre, gli risuonarono ancora una
volta nelle orecchie.
Aveva visto quella bambina debole nella cugina incontrata anni prima,
ed era stato d’accordo con lui.
Neji, tu devi diventare
perfetto. Devi fare vedere al mondo che meriti molto più di
lei il posto di guida della famiglia.
Era vissuto nell’incrollabile convinzione che le parole di
suo padre fossero vere, e che lui avesse il dovere di riscattare quello
che era suo di diritto. Aveva passato gli ultimi anni con in mente
l’immagine di una bambina sottomessa e senza
volontà, che si beava dei privilegi ricevuti senza merito.
Mai, mai aveva
pensato che quei privilegi potessero essere per lei una prigione.
Dov’era, ora, quella bambina spaurita?
Vedeva nella sua mente quegli occhi spenti e tristi, e la loro immagine
non combaciava con quel fuoco bruciante che – solo per un
attimo – aveva scorto nello sguardo di quella cugina che non
conosceva.
“Mi spiace, Neji-san.” Aggiunse lei dopo poco,
riassumendo un contegno. “Non avrei dovuto reagire
così.”
Lo Hyuuga non rispose. Si volse invece verso una sedia poco distante,
dove era posato un volume.
Incuriosito, si avvicinò, prendendolo e osservandone il
titolo – Jacques
Prévert, Poesie d’amore.
Notò che aveva l’apertura
all’occidentale e, sfogliandolo e lanciando degli sguardi
distratti sulle poesie in lingua originale e sulla loro traduzione, si
rivolse alla ragazza.
“Francese?”
Lei annuì appena, ancora mortificata per aver perso il
controllo, e timorosa del giudizio del cugino. “Dato che non
c’è nel programma di studio, sto cercando di
impararlo io.”
“Non c’è perché è
poco utile. L’inglese serve molto di
più.”
“Ma è meno bello.” Sussurrò,
riponendo i fiori su un ripiano e accingendosi a togliere le schegge di
vetro da terra.
“Hinata..”
Sollevò lo sguardo, sorpresa per essere stata chiamata solo
col nome.
“Ti aiuto.”
Lei trattenne il fiato, incredula, mentre Neji prendeva scopa e paletta
e iniziava a pulire.
Rimase a osservarlo, incerta su cosa dire, su cosa fare.
“Intanto che raccolgo il vetro potresti finire di recitare
quella poesia?”
“Ma.. Neji-san, tu conosci il francese?”
“No. Ma mi era piaciuto il suono.”
Fu il piccolo, impercettibile sorriso che le rivolse, a convincerla.
Col cuore che le martellava nel petto per la gioia, le guance ancora
imporporate, riprese a recitare.
“Des milliers
et des milliers d’années
Ne sauraient suffire
Pour dire
Le petite seconde
d’éternité
Où tu
m’as embrassé
Où je
t’ai embrassée…”
Neji sorrise fra sé e sé, raccogliendo quei cocci.
Ancora non sapeva cosa sarebbe successo. Si era semplicemente reso
conto di non conoscere la persona che gli stava davanti più
di quanto conoscesse uno qualunque degli studenti che gli passavano
accanto.
Aveva deciso di dare una possibile a quella crisalide che lottava
dentro di sé con la paura e il desiderio.
Una crisalide che aveva capito che nella vita vale la pena combattere.
Una crisalide che studiava il francese da sola non perché
era utile ma perché era bello.
L’avrebbe osservata, cercando di capirla.
Per vedere se sarebbe tornata bruco, o diventata farfalla.
“Un matin dans
la lumière de l’hiver
Au parc Montsouris
à Paris
À Paris
Sur la terre
La terre qui est un
astre.”[5]
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NOTE
[1] fuku alla marinara:
è la tipica divisa femminile giapponese, con la gonna corta,
la camicia e il fiocco. Quella che indossano anche i personaggi di
Sailor Moon, per intenderci. Il corrispettivo maschile è il
gakuran.
La scuola in Giappone inizia nel mese di Aprile e finisce nel mese di
Marzo.
[2] Oto-san:
padre. Il suffisso –san, aggiunto a un qualunque nome, indica
rispetto. In Giappone è molto raro che per chiamare una
persona si utilizzi solamente il nome, in genere si aggiungono dei
suffissi colloquiali come –chan e –kun.
[3] Comitato Studentesco:
questa è una cosa che si vede in moltissimi manga di
ambientazione scolastica. Ogni scuola ha un comitato/organizzazione
studentesca che si occupa dell’organizzazione dei vari eventi
della scuola.
Tra l’altro, nelle scuole giapponesi viene incentivata la
competitività, pubblicando ogni anno i risultati degli esami
in graduatoria.
[4] pulizie delle aule:
è un compito che spetta a tutti; ogni giorno dopo le lezioni
un gruppo di studenti deve fermarsi per pulire l’aula.
[5] La poesia è “Le jardin”
(il giardino) di Jacques Prévert. Qui la traduzione:
Mille anni e poi mille
Non possono bastare
Per dire
La microeternità
Di quando m’hai baciato
Di quando t’ho baciata
Un mattino nella luce dell’inverno
Al Parc Montsouris a Parigi
A Parigi
Sulla terra
Sulla terra che è un astro.
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