TB8
“Lasciami”
continuavo a ripetere.
Non mi stava
proprio bloccando, ma le sue braccia mi circondavano come una morsa d’acciaio.
Mi abbracciava, tenendomi stretta a sé, ma io mi sentivo più come un animaletto
braccato da un leone. Era intento ad annusarmi, mentre aspettava una mia
reazione.
Gli avevo appena
dato uno schiaffo, ma la sua guancia, da un attimo più rosea, stava già
ritornando bianca. Era inutile, la pelle di Eric era inscalfibile, ed Eric era
destinato ad essere immutabile ed immortale, e tutto il resto attorno a lui, a
sciuparsi e a dissolversi. A volte lo dimenticavo, sembrava essere su questo mondo quanto me, ma
non era così. Sapevo ogni cosa sui vampiri, ma in realtà, non capivo, non comprendevo cos’era, chi era. Ero in
braccio a qualcosa che andava al di là di ciò che avrei mai potuto concepire.
Avevo baciato e schiaffeggiato qualcosa di… Divino? Demoniaco? Qualcosa che
sarebbe esistito per sempre. Mi sentii così piccola, così impotente. Poi mi
ricordai che non era esattamente così: a Eric scivolava addosso il tempo, non
la morte. Poteva ancora di fatto morire e non esistere più, solo che ormai, per
lui non era più una cosa naturale, doveva
essere indotta. “Eterno finché dura” pensai.
“Sei calda, e la
tua pelle è dolce. Scommetto anche il tuo sangue. Sai di buono.” mi sussurrò
con le labbra sulle mie.
“Si, di sudore e
di alcool, che mi hanno versato addosso, laggiù in quel buco, mentre cercavo di
passare tra la folla. L’avrò sicuramente anche sui capelli” dissi, più
innervosita per il fatto di sentirmi sporca, che per altro.
Rise. Prese a
baciarmi e leccarmi il collo e la gola, fino a risalire sulle mie labbra.
“I tuoi baci sono
falsi come Giuda” cercavo di divincolarmi dalla sua bocca, ma mi teneva premuta
contro di sé.
“Shhh”continuò
imperterrito. “Baciami” mi ordinò, prendendomi le braccia e portandosele
attorno al collo.
“No, io sono
arrabbiata con te” sfortunatamente per lui usai le mie braccia per allontanarlo
dal mio viso.
“Per cosa, per
averti chiesto di uscire?!”
Veramente, non
stavano proprio così le cose.
“Non cambiare le
carte in tavola! Tu mi avevi chiesto di uscire, mentre invece ti servivo come
passatempo per il tuo altro appuntamento!”
“Ma noi siamo
usciti, e abbiamo passato una bella serata, e ora siamo qui io e te. Non ti
rovinare la notte per una piccola parentesi del mio lavoro” si riattaccò al mio
collo, succhiando con foga la mia pelle.
“Veramente…”
avevo perso il filo del discorso. Perché dovevo essere arrabbiata con Eric? Era
successo davvero così?
“Lo stai dicendo
per tenermi buona non è vero?”
“Si” rise “però
lo penso davvero”. Mi distese sul sedile, e lui fu sopra di me. Mi sentì
affondare verso il terreno. Iniziai a pensare che, oltre me, anche la macchina
non avrebbe retto il peso di Eric.
Guardandomi negli
occhi, iniziò a baciarmi sulle labbra, aspettando che io schiudessi la bocca e
gli rispondessi. Al diavolo, così feci.
Mi accarezzava i
capelli, mentre la sua lingua si muoveva in perfetto accordo con la mia. Questa
volta non furono baci violenti, ma dolci e molto passionali. Il problema si
presentò poco dopo, quando mi accorsi che ad Eric i baci non bastarono più, ed
era già pronto per qualcos’altro…
“Cosa vuoi
fare?!” chiesi stupidamente.
“Voglio scoparti”
a volte dimenticavo la franchezza di Eric.
“No” dissi contro
voglia, ma Eric si stava già dando da fare con le mani sotto la mia gonna.
“Il tuo corpo
dice il contrario” disse mostrandomi le dita bagnate, portandosele alla bocca.
“Sei un animale”.
Avevo
fantasticato parecchie volte sulle prestazioni sessuali di Eric, e avevo fatto
anche parecchi sogni a riguardo. Certo, avrei preferito una situazione più
romantica, ma aveva ragione, desideravamo la stessa cosa.
Aveva un viso
maledettamente bello, dai lineamenti dolci, brillanti occhi azzurri, labbra
sottili, leggermente imbronciate… così contrastante dall’imponenza del suo
corpo.
Si lo desideravo,
e avrei passato volentieri notti intere tra le sue braccia a sentirlo dentro di
me, lo volevo davvero, ma cosa sarebbe successo dopo? Sapevo come sarebbe
andata, me l’avrebbe rinfacciato a vita, come solo Eric sapeva fare. Per non
parlare delle questioni di potere e possesso che sarebbero venute a crearsi,
seguite da priorità politiche e supremazie sociali. Perché Eric era questo, e
gli interessava solo questo, il potere, in ogni sua forma. Eric non aveva una
casa, aveva un territorio; non aveva amici, aveva seguaci; ed io non ero né
un’amica né una compagna, ero un’alleata, e sarei divenuta una sua proprietà
se l’avessi lasciato fare.
“No. Fermati” gli
tolsi la mano dalle mie gambe.
“Perché?”
continuava a baciarmi.
“Non voglio,
portami a casa” cercai di scansarmi da lui.
Si fermò di
colpo, non per rispetto, ma perché rimase interdetto. A Eric non si diceva mai
di no, e non lo permetteva nemmeno. In certi casi non usava la forza, ma
subdolamente, induceva le persone a fare il suo volere manipolandole. Questo
era uno di quei casi, e se conoscevo abbastanza bene Mr. Northman, avrebbe
fatto lo stesso anche con me.
“Ho fatto
qualcosa che non va?” disse riprendendo ad accarezzarmi.
Infatti.
Eric non si
metteva mai in difetto, se non aveva un secondo fine.
Non dovevo
girarci attorno, o mi avrebbe riportato sulla sua strada.
“No, ma voglio
tornare a casa. Subito”.
Si fermò.
“Che hai?” mi
chiese con voce dolce.
Se avessi
iniziato a gocciolare, come
diceva lui, mi avrebbe scaricato davanti alla porta di casa in due secondi. Era
una cosa che lo metteva a disagio, ma in quel momento proprio non ci riuscivo,
mi era difficile piangere a comando; mi ero promessa più volte di chiedere ad
Arlene come si facesse, ma era come confessarle che sapevo un suo segreto, e si
sarebbe arrabbiata.
“Voglio solo
tornare a casa, sono stanca e non mi va” dissi con aria spazientita.
Eric si tolse da
me guardandomi con ostilità, stava covando una certa irritazione.
“Aspetta qui” mi
disse uscendo dalla macchina.
Cercai di
ricompormi rimettendomi a sedere, sistemandomi il vestito. Feci per aggiustare
i capelli e il trucco guardandomi nello specchietto retrovisore, e lo vidi,
dietro la macchia. Appena capii la situazione, tolsi lo sguardo, imbarazzata;
poi la curiosità fu più forte, e senza voltarmi, allungai gli occhi sullo
specchietto, e lo spiai. Era buio, vedevo solo un ombra, ma rimasi ferma a
spiarlo lo stesso. Poi lo vidi avere uno spasmo.
Quando ritornò in
macchina, si rimise alla guida dirigendosi verso Bontemps, senza dire una
parola.
Speravo tanto che
non sapesse del mio piccolo atto di voyeurismo.
Guardavamo la
strada davanti a noi senza emettere suono. Ogni tanto lanciavo un’occhiata, per
controllare la sua espressione, ma era sempre immobile ed inespressivo.
“Ho lasciato la
macchina al Fangtasia” dissi a bassa voce.
“Te la ritroverai
davanti a casa domani mattina” rispose freddamente.
“Non devi
disturbare Ginger per questo”
“Ginger fa quello
che dico io. Avevi fretta di ritornare a casa giusto?”
Non risposi.
Il rumore del
motore era l’unica cosa che spezzava quell’imbarazzante silenzio.
“Sei arrabbiato?”
chiesi con una certa cautela.
Non rispose.
“Eric è stato
meglio così. Già tutta la serata è nata come una cosa sbagliata e fraintesa,
volevo solo non pentirmene ulteriormente” cercai di spiegargli.
“Perché
sbagliata? Perché sono una delle creature assurde che ti fanno il filo?! Forse
dovresti iniziare a chiederti se in te ci sia qualcosa di sbagliato,
se tutte queste cose assurde ti stanno intorno” disse con voce calma, senza particolari
emozioni. Mi sentii come se avesse preso un pugnale e me lo avesse piantato
nello stomaco, e questa volta dovetti impegnarmi per ricacciare indietro le
lacrime.
Ritornò il
silenzio per parecchi minuti.
“Perdonami. Non
penso ciò che ho detto. Volevo solo farti male” disse, posandomi una mano sul
ginocchio, distogliendo il viso dalla strada.
“Bhe, missione
compiuta sceriffo” dissi levandogli la mano.
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