Autore: Red
Diablo
Titolo: Primavera
di Novembre
Fandom: Kuroshitsuji
Numero scelto: 4
Personaggi/Pairing: Sebastian,
Ciel, Grell, Undertaker;
[SebastianCiel, accenni UndertakerGrell]
Genere: Drammatico
Rating: Arancione
Avvertimenti: Yaoi,
AU (Alternative Universe),
OneShot, Angst, Death Charachter
Beta-reading: Sì
Note dell'Autore ( se ce ne
sono ): ho
inserito in fondo le NdA per
evitare spoiler ^^
Introduzione: Si
portò con lentezza luttuosa
alla finestra, e scandagliò con i suoi occhi smeraldo il
mondo esterno, così
misero di oggetti realmente allettanti: il colore cupo della strada, la
monotonia dei muri tutti uguali, le glaciali insegne al neon, le nuvole
plumbee
che ruggivano nel cielo…
Un
brivido gli percorse la schiena, reagendo alla freddezza che
quell’anonimia gli
trasmetteva.
-Under-chan…-
bisbigliò, appoggiando la fronte al ghiaccio del vetro.
–Perché la primavera
non arriva mai?-
Dedicata alla sorella angst e a
Shino-kun <3
Perchè sono scrittrici
fantastiche ed amiche ancora migliori ^_^
Primavera
di Novembre
La
sigaretta agonizzò lentamente prima
di spegnersi contro la superficie del posacenere.
-Ancora
ad incancrenirti i polmoni con
quella robaccia?- disapprovò una voce alle sue spalle.
-Lasciami
soddisfare le mie pulsioni suicide-
rispose mellifluo l’interpellato, lasciandosi cadere sul
divano.
-Se
proprio vuoi ammazzarti, potresti
farlo in un modo meno pestilenziale- protestò il giovane,
sventagliandosi il
viso con una mano. –Mi ci vorranno ore per togliere questo
tanfo dalle tende!-
si lagnò, esaminando quasi con disperazione il tessuto
impregnato di
quell’odore acre.
-Potresti
fumare fuori- fece notare una
terza persona, stesa sul pavimento in un’improbabile
posizione yoga.
-No,
non potrei- ribatté serafico colui
che aveva appestato l’ambiente. –E’
gennaio: la temperatura è decisamente
troppo bassa per uscire-
-Solo
tu riesci a vedere la primavera in
questo mese, Grell- dichiarò il ragazzo dal viso
seminascosto dalla lunga
frangia argentea, rotolando prono. –Te lo diceva sempre
anche…-
Un
soffocante velo di silenzio calò sui
tre, pesante come lo sanno essere solo i ricordi felici ottenebrati dal
grigiore del presente.
Fu
Grell ad interrompere quella specie
di imbarazzo funereo:
-Sebas-chan,
Under-chan, che ne dite di
andarlo a trovare? Sarà felice di rivederci-
Undertaker
si stuzzicò il mento con una
delle sue lunghe unghie nere prima di borbottare:
-Sì,
penso anche io che una nostra
visita gli farebbe piacere…-
Due
teste scattarono verso l’unico individuo
che ancora non aveva esplicitato il suo volere, in un invito piuttosto
pressante a condividere con loro i suoi pensieri.
Ma
Sebastian si rifiutò di proferire
parola: si alzò con lemma dal divano e si coprì
le spalle con la giacca prima
di avviarsi verso la porta di casa.
-Sebas-chan,
aspe...- tentò di
trattenerlo Grell, ma venne fermato dalla mano di Undertaker, che corse
rapida
ad afferrargli il braccio.
-Lascialo
andare- gli consigliò. –Non
credo ci voglia con sé in questo momento-
Il
ragazzo più impulsivo si arrese a
malincuore, inghiottendo controvoglia il groppo amaro che sembrava
ostruirgli
la gola.
Si
portò con lentezza luttuosa alla
finestra, e scandagliò con i suoi occhi smeraldo il mondo
esterno, così misero
di oggetti realmente allettanti: il colore cupo della strada, la
monotonia dei muri
tutti uguali, le glaciali insegne al neon, le nuvole plumbee che
ruggivano nel
cielo…
Un
brivido gli percorse la schiena,
reagendo alla freddezza che quell’anonimia gli trasmetteva.
-Under-chan…-
bisbigliò, appoggiando la
fronte al vetro ghiacciato. –Perché la primavera
non arriva mai?-
L’interpellato
rimase in silenzio,
lanciando un’occhiata al ritaglio di giornale abbandonato sul
tavolo: quell’inusuale
finestra di mattoni, così erosa dal tempo e sbiadita dalla
filigrana scadente
del giornale, non gli era mai apparsa tanto simile al cancello
dell’Ade.
Erano
amici da tanto tempo.
Forse
troppo.
Per
questo entrambi potevano intuire con esattezza
quali
pensieri affollassero la mente di Sebastian,
mentre
i piedi lo conducevano alla sua meta.
Quali
ricordi venissero risvegliati dal suo animo
tormentato.
Non
c’era niente che facesse male come il passato.
Non
era tanto l’impossibilità di tornare indietro
per correggere gli errori,
quanto
il fatto che si poteva ricordare ciò che era
stato infinite volte,
fin
nei minimi particolari,
ma
non si poteva mai riviverlo davvero.
Le
emozioni provate, le sensazioni innescate, i
pensieri formulati…
non
sarebbero mai stati evocati con l’intensità che
li aveva resi degni di essere vissuti.
Era
questo che faceva male del passato.
***
Gemmea l'aria, il sole
così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore...[*]
-Io
dico che quest’anno la primavera
arriverà in anticipo- dichiarò Grell,
stiracchiandosi sonnacchioso come un
gatto.
-Impossibile-
lo liquidò impietoso
Sebastian, senza neppure distogliere lo sguardo dal caffè
che la macchinetta
automatica stava generosamente versando nella tazzina.
-Ma
quanto sei borioso! Sentiamo, perché
è così improbabile, secondo te?- lo
rimbeccò il primo, porgendo
contemporaneamente una pasta al cliente al di là del
bancone: l’irritazione,
però, gli fece serrare le dita con troppa forza, ed il
malcapitato avventore si
ritrovò con la marmellata presente più sul
tovagliolo che all’interno della
pasta.
-Per
quanto sia un’ipotesi originale, è
escluso che la primavera anticipi tanto il suo corso da arrivare in
novembre-
spiegò serafico il secondo, poggiando il caffè
richiesto sul piano di legno
sintetico.
-Temo
che Sebastian abbia ragione…-
s’intromise Undertaker, di ritorno dal giro di ordinazioni ai
tavoli.
-Ah,
quindi io avrei torto? Bene, tu stasera
dormi sul divano!- s’irritò Grell, voltandosi di
scatto in modo da frustare con
la chioma scarlatta il volto del maldestro fidanzato.
Assistere
a quegli scontri di lotta verbale
era uno dei motivi di maggior richiamo del locale gestito dai tre. La
gente si
divertiva un mondo
ad assistere alle
loro schermaglie, peraltro condotte in perfetta sincronia con il lavoro
del
bar, quasi per loro fossero naturali come respirare: servivano un
caffè e
bisticciavano, prendevano le ordinazioni e battibeccavano, pulivano per
terra e
si provocavano.
Ciò
che attivava quel processo
esilarante erano i caratteri opposti dei tre interessati: il moro
distaccato e
altero, il rosso incendiario e permaloso, ed infine il… il
ragazzo con quelle
inquietanti cicatrici sul viso, sempre pronto a ridere su tutto, che
fosse un
numero comico o una persona squartata.
-Vi
sembra il caso di fare tutto questo
chiasso di fronte ai clienti?- li ammonì l’ultimo
arrivato sulla scena.
Da
qualche mese, a quella strana
compagnia si era aggiunto un quarto elemento: un ragazzino austero in
ogni fibra
del suo essere e costantemente chiuso in un silenzio superbo,
interrotto solo
dalle sporadiche occasioni in cui sentiva la necessità di
manifestare la sua
disapprovazione per certi comportamenti poco contenuti.
-E
poi, Grell, dovresti saperlo che
Sebastian ha l’insopportabile vizio di avere sempre ragione-
sentenziò
perentorio, assestando il grembiule lievemente stropicciato.
-Condividi
la mia opinione?- si sorprese
l’uomo dai capelli corvini, esprimendo la sua meraviglia con
un unico movimento
del sopracciglio destro.
-Quando
una persona è nel giusto, lo è a
prescindere da quanto sia sgradevole nella vita reale- si
limitò a spiegare
Ciel, tornando rapido alle sue mansioni.
-Uno
minaccia di far dormire sul divano
il prossimo, l’altro insulta…- meditò
Undertaker, con il consueto tono
strascicato e derisorio. –E’ una specie di rivolta,
per caso?- ghignò.
-Non
hai nulla di più produttivo da
fare?- s’inviperì Grell, rassettando i capelli
sfuggiti alla presa
dell’elastico. –Ad esempio servire
i
clienti?- specificò, intuendo immediatamente che
quell’imprevedibile
ragazzo dal sogghigno sardonico non gli avrebbe concesso altra risposta
che non
fosse un largo, insolente sorriso canzonatorio.
-Io
vorrei sapere perché quel
nanerottolo si schiera sempre contro di me!-
s’invelenì Grell, rivolgendo uno
sguardo incollerito al collega di bancone.
-Perché
lui possiede un realismo
migliore del tuo- si defilò Sebastian, riprendendo con
noncuranza il suo
lavoro. –E non scambia il caso fortuito di una giornata mite
per l’arrivo della
primavera-
-Tu
saresti da ammazzare, Sebas-chan-
decretò Grell, scattando stizzito al suo posto.
Un
enorme sospiro di disappunto si levò
nel locale, nel vederli tornare alle loro attività.
Per
quel giorno, lo spettacolo della
guerra domestica era finito.
Ma
secco è il
pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.[*]
Le
dita lisciarono alacremente ogni più
minuscola piega della divisa, riponendola con impeccabile cura
all’interno
dell’armadietto.
-A
domani, Sebas-chan!- trillò Grell,
avviandosi rapido alla porta: non odiava il proprio lavoro, ma era ben
felice
quando le lancette dell’orologio gli davano il diritto di
tornarsene a casa.
-Cerca
di sopravvivere fino a domattina-
lo salutò Undertaker, sparendo nella notte con una delle sue
inconfondibili
risate.
Chissà
gli psicoanalisti cosa avrebbero
pensato della strana amicizia che univa i tre: forse avrebbero detto
che
Sebastian soddisfaceva i suoi reconditi desideri masochistici
torturandosi con
la compagnia di persone che non facevano altro che contraddirlo; oppure
avrebbero supposto che gli inconsci intenti sadici di Undertaker
spingessero
quest’ultimo a tenere accanto a sé due persone da
seviziare psicologicamente; o,
ancora, avrebbero dichiarato che la traboccante libido di Grell
attirava
inesorabilmente gli altri due come il nettare fa con le api.
-Se
ne sono andati?- domandò una voce
sottile, mentre un viso che ancora non aveva perso del tutto le
rotondità
dell’infanzia si affacciava alla porta.
Ed
anche quel ragazzino costituiva un interessante
caso per gli psicologi: quale moto irrazionale poteva spingere un
giovane serio
e composto come lui a rimanere in compagnia di simili individui
palesemente
affetti da nevrosi?
-Già-
confermò quieto Sebastian,
richiudendo l’armadietto.
Silenzioso,
Ciel si portò al suo fianco
e, lento e metodico, cominciò a spogliarsi a sua volta della
divisa.
-Non
capisco perché Grell si ostini a
vedere la primavera dove c’è l’inverno-
rimuginò, sbottonando la camicia.
-E’
una malattia piuttosto comune di
questo tempo: si chiama “idiozia”-
asserì Sebastian, appoggiando le spalle
all’armadietto in modo da essere più comodo
nell’attendere il ragazzo.
-Non
ha senso essere ottimisti…- ribatté
Ciel, piegando con più forza del dovuto il capo appena
tolto. -Non vi è nulla
che lasci presagire qualcosa di buono in questo mondo…-
Non
vi era nulla, e lui lo sapeva bene.
Non
vi era alcun senso dietro le azioni umane.
Tutti
si illudevano che il proprio agire si riversasse in un qualche piano
superiore,
in
cui ogni cosa etichettata come maligna si sarebbe rivelata portatrice
di bene.
Ma
lui non era il tipo da credere a facili superstizioni.
Non
esistevano né il bene né il male.
Solo
il nulla.
E
questa forse era la cosa peggiore.
Perché
il bene o il male erano entità che potevano essere definite,
seguite o
combattute…
Il
nulla no.
Con
la sua consistenza impalpabile, figlia della caducità, il
nulla non si poteva
afferrare, né descrivere, né razionalizzare.
E
gli uomini non possono reagire a ciò che non comprendono se
non con la cieca
paura.
Il
nulla si subiva e basta.
-Stai
tremando-
La
constatazione, veicolata dalla voce
vellutata dell’uomo, lo ridestò dalle sue
meditazioni come uno scossone.
Sperando
ardentemente di non aver fatto
trasparire il suo turbamento durante quel momento di debolezza, riprese
impassibile a spogliarsi della divisa, sorvegliato da due occhi rubino
che lo
puntavano con l’insistenza di un falco che caccia la preda.
-Forse
anche tu aspettavi con tanta
impazienza la primavera da non resistere alla tentazione di alleggerire
il
vestiario come faresti nella bella stagione?- una lieve nota di scherno
colorò
la voce ed il ghigno del moro, quando quest’ultimo
formulò quella frase. –E’
per questo che tremavi…-
-E’
solo perché ho le spalle scoperte-
sbottò inespressivo il ragazzo più giovane,
percependo il disgustoso sapore
della presa in giro nelle parole dell’uomo, sebbene abilmente
mascherato da dolci,
quanto fasulle, gentilezze lessicali.
La
carezza liscia del tessuto dell’interno
di una giacca vezzeggiò le sue spalle infreddolite,
regalandogli una sensazione
di calore per nulla spiacevole.
-Abbi
più cura della tua salute- si
raccomandò Sebastian, tornando ad incrociare le braccia dopo
aver protetto con
il suo giubbotto il torso nudo del ragazzo da ogni possibile spiffero
maligno.
-Sarebbe un vero fastidio doverti sostituire al lavoro- aggiunse,
premuroso di
rimarcare il fatto che quel suo gesto non era una gentilezza gratuita,
ma
unicamente una mossa ben calcolata per evitare disturbi futuri.
Il
capo del ragazzo si inclinò di lato,
mentre gli occhi blu si vestivano di un manto di ineguagliabile
fierezza.
-Se
non vuoi che mi ammali, allora fai
qualcosa per non farmi più tremare- ordinò il
ragazzino, con la stessa nobiltà
ed alterigia che un conte avrebbe serbato per impartire un comando al
suo
maggiordomo.
-Non
è un posto un po’ troppo… disadorno?-
disapprovò Sebastian, criticando con lo sguardo lo
spogliatoio in cui si
trovavano.
-Io
ho freddo adesso- dichiarò il
giovane, stringendo i lembi della giacca in modo da trattenere meglio
il
calore. –Non so se lo avrò anche dopo…-
soppesò, allungando una mano per
prendere la maglia da infilarsi.
Ma
il braccio sottile si ritrasse
velocemente per non essere ghigliottinato dall’anta
dell’armadietto, chiusa di
colpo da una mano che si era stancata di aspettare.
Ciel
avvertì un brivido elettrico
accapponargli la pelle quando la bocca morbida dell’uomo
scese a viziargli con
sapienza la pelle sensibile dietro l’orecchio, prima che i
denti scherzassero
con la cartilagine, stringendola delicatamente tra di loro.
Le
mani del più giovane si lasciarono
andare contro la superficie metallica dell’armadietto,
scivolando su di essa
quasi volessero imitare la discesa delle labbra dell’uomo
lungo il collo,
ricoperto con celerità di baci umidi.
Sebastian
trattenne a stento un ghigno
contro la pelle nivea del ragazzo, quando sentì i suoi
muscoli tendersi nel
soffocare un sospiro.
Lo
divertiva assecondarlo nei risvolti
più dignitosi, quasi principeschi, del suo carattere,
così come ridacchiava
nell’intimo del suo animo diabolico quando quel ragazzino gli
si rivolgeva
sdegnoso quasi fosse il suo padrone. Era decisamente piacevole
illuderlo di
avere il comando: non sarebbe stato altrettanto appagante capovolgere
la
situazione, altrimenti.
-Forse
è meno sciocco di quanto si
pensi- flautò l’uomo, avvolgendo l’esile
vita semiscoperta del ragazzo con le
braccia forti.
-Chi?-
chiese di malavoglia Ciel, senza
riuscire a dissimulare del tutto la sua seccatura per
quell’interruzione.
I
palmi dell’uomo imposero la loro
volontà sul corpo del ragazzo, costringendolo a girarsi in
modo che la
noncuranza distaccata degli occhi blu potesse essere incenerita
dall’incandescente lussuria delle iridi amaranto.
-Grell-
annunciò Sebastian, issando
senza sforzo il sottile fisico del giovane sui suoi addominali,
sostenendolo
per le cosce e facendogli appoggiare la schiena, ancora difesa dalla
giacca,
contro la sottile parete dell’armadietto.
–L’altro giorno mi ha spiegato perché
il suo ottimismo sarebbe la giusta chiave di lettura del cosmo-
-Quell’esagitato
avrebbe afferrato il
senso dell’esistenza?- diffidò il più
piccolo, torcendo le labbra in una
smorfia dubbiosa e stringendo le gambe attorno al bacino
dell’uomo. -E quale
sarebbe?-
-Mi
ha confidato che, secondo lui, si
può vedere la primavera anche quando non
c’è… è sufficiente che ci
sia qualcuno
a riscaldarci se ci renderemo conto che in realtà
è inverno- disse,
distanziando i bordi della giacca così che il petto scoperto
del ragazzo
potesse essere raggiunto ed accarezzato dalla sua mano. –Un
pensiero molto
comodo per rischiare nella vita e allo stesso modo avere… le
spalle coperte,
non trovi?- domandò lusingatore, lanciando
un’occhiata sardonica alla giubba
adagiata sulle scapole del ragazzo.
-La
vita è un inferno, non è un tripudio
di colori- dichiarò secco Ciel, al quale la disillusione
aveva spento da tempo
ogni sorriso residuo. -Però, se la tua ipotesi è
corretta…-
-Io
ho l’insopportabile vizio di avere
sempre ragione, rammenti?- gli ricordò l’uomo,
slacciando e sfilando con
nonchalance la cintura del giovane.
-Forse
potrei concedermi il lusso
dell’ottimismo, tanto ci sarà sempre la tua giacca
a coprirmi le spalle-
proclamò, serio.
Non
era una richiesta, né una domanda
implicita: era una semplice affermazione di verità.
Quell’uomo lo avrebbe
sempre protetto perché lui aveva deciso così. Non
vi era spazio per i dubbi.
-Ma
non credo che vedere i fiori dove ci
sono i rovi sia compatibile con il mio carattere- concluse infine,
senza una sola
punta di rammarico nella voce: conosceva la sua indole, sapeva
benissimo di
essere incline al pessimismo ed al cinismo. Lo sapeva e lo aveva
accettato.
Inutile sperare di poter condividere il punto di vista spensierato di
Grell.
-Temo
proprio di no…- convalidò
Sebastian, liberando il giovane dal peso della giacca, ormai totalmente
inutile:
l’epidermide che le sue labbra baciavano era sufficientemente
bollente da non
aver più bisogno di alcun ausilio per riscaldarsi.
Due
persone come loro, una
pericolosamente simile ad un demone e l’altra tremendamente
somigliante ad un
nobile presuntuoso, non potevano certo sperare di ottenere dalla vita
la pace o
la felicità. Ma era certo che, finché fossero
rimasti insieme, sarebbero stati
vicendevolmente un ottimo amuleto per esorcizzare la noia.
I
gracili muscoli delle gambe del ragazzo
si contrassero, sforzandosi di stringere i fianchi dell’uomo
con il maggior
vigore possibile, mentre il busto si abbandonava in una totale adesione
con
quello del compagno. Le mani si tuffarono nella chioma corvina, quasi
per dare
un sostegno al corpo quando le labbra dell’uomo rapirono le
sue, rubandogli il
respiro.
-Hai
ancora freddo?- lo sfidò Sebastian,
formulando la domanda a pochi millimetri dalla bocca ansante del
ragazzo.
-Solo
gli stupidi perdono tempo in
domande inutili- fu la secca replica di Ciel, non appena il respiro si
fu
stabilizzato.
Il
primo era troppo impassibile per
lasciarsi coinvolgere in discorsi romantici, il secondo era troppo
arrogante
per permettere a se stesso di sciogliersi in parole sentimentali. Ma il
corpo
non soffriva le stesse limitazioni delle parole: le mani non avevano
restrizioni per le carezze, che esploravano audaci tutto il corpo
dell’altro,
curiose di scoprire quali reazioni avrebbe scatenato il loro tocco
lascivo. Allo
stesso modo, la bocca non aveva intenzione di accettare alcun limite
alla sua
libertà: lavorava quasi freneticamente sulla pelle
sconosciuta, talmente avida
di quel sapore da rimarcare con vistosi segni rossi il suo possesso
esclusivo
su quell’epidermide inebriante. Neppure le orecchie
accettarono compromessi:
assorbirono avide ogni suono, che fosse un ansito soffocato od un
gemito
sfuggito al controllo.
Solo
gli occhi si mantenevano saldi
all’indole dei padroni: le iridi cremisi non cessavano di
lanciare occhiate perfidamente
maliziose agli oceani cerulei, che ricambiavano con sguardi di
sufficienza,
quasi disgustati dalla perversione di quei pozzi sanguigni.
-Oh
cielo, tremi di nuovo- constatò
beffardo Sebastian, notando il tremito che scuoteva i muscoli magri del
giovane
tra le sue braccia. –Forse questo non è il metodo
migliore per ottenere
calore…-
-Se
ti sembra di non aver adempiuto al
tuo dovere, allora datti da fare per rimediare- protestò
Ciel, allontanando risentito
la testa.
Quell’espressione
perentoria tipica di
un padrone fece sbocciare un ghigno sarcastico sulle labbra
dell’uomo, prima
che esse tornassero ad imprimersi su quelle del giovane, vincendo dopo
qualche
istante la reticenza impermalita delle compagne più piccole.
Non
riusciva ad illudersi di vedere la primavera… ma in quei
momenti trovava
estremamente accogliente il suo inferno personale.
E
questo era sufficiente.
***
Silenzio,
intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. E' l'estate
fredda, dei morti.[*]
Il
posto era proprio quello: un muro di
mattoni con un foro rettangolare nel mezzo, che con un po’ di
fantasia si
sarebbe potuto definire “finestra”.
Proprio
come era raffigurato nella foto
di quel maledetto giornale che aveva dato loro la notizia. Ciel era
passato
bruscamente dall’essere una persona ad essere un numero: era
stato divorato da
quelle cifre ingrossate ogni anno dal sangue dei giovani assassinati
senza
apparente motivo.
La
polizia si interrogava sulle
possibili cause di quella tragedia: forse il gesto sconsiderato di un
ubriacone, oppure il desiderio malato di un pazzo. O magari, come
diceva Ciel,
non esisteva una vera spiegazione, poiché non vi era alcun
senso superiore
dietro le azioni umane: era successo e basta.
Il
tempo di sferrare quattro pugnalate,
e tutto era finito.
Game
over.
Cosa
aveva provato, Ciel, nel capire che
tutto stava finendo? Quando aveva realizzato che quel sangue che gli
imbrattava
i vestiti era il suo, a cosa aveva pensato? Quanto terrore gli aveva
causato la
consapevolezza che la morte era vicina ed inevitabile?
Chissà
se aveva rivisto tutta la sua
vita, come si dice avvenga alle persone ad un passo
dall’aldilà. Se era
successo, sicuramente doveva aver commentato, con le labbra lorde di
sangue:
-Che spreco di tempo-.
Chissà
se aveva mantenuto la sua aria
aristocratica anche in punto di morte, o se si era lasciato andare alla
disperazione.
Chissà
se aveva avuto tempo di sentire
il dolore tra una pugnalata e l’altra, se aveva avuto modo di
provare a
difendersi, quale percorso lo aveva portato a stramazzare proprio in
quel
punto…
Non
lo sapeva, e mai avrebbe potuto
scoprirlo.
Lui
non era stato lì, in quel momento.
La
sua giacca non aveva protetto le
spalle del piccolo da quell’uragano invernale.
C’era
una cosa, però, di cui era certo:
sicuramente lo stava osservando con il naso arricciato da un qualche
punto
indefinito nel cielo, rinfacciandogli: -Hai visto? Non ha senso tutto
quello
che ho fatto e per cui mi sono prodigato nella vita: è
terminato tutto per la follia
improvvisa di un perfetto estraneo. Alla fine, ciò che
domina le nostre vite è
solo il nulla-
Magari
prima o poi avrebbero trovato
l’assassino. Ma a che sarebbe servito? Anche strappandogli
una confessione o
costringendolo a subire l’iniezione letale, nulla avrebbe
fatto correre al
contrario le lancette dell’orologio supremo: Ciel era morto,
e tale sarebbe
rimasto qualunque cosa fosse successa su quel piccolo atomo
dell’universo
chiamato “Terra”.
Accarezzò
quasi distrattamente i mattoni
della strana finestra: moltissime persone vi sarebbero passate davanti,
in
futuro, e a tutte loro sarebbe apparsa un’innocua costruzione
di mattoni.
Solo
lui avrebbe sempre visto un corpo
minuto e sconquassato riverso sul suo sinistro davanzale, solo lui
avrebbe sempre
visto lo sbiadito colore di quei mattoni rinvigorito da una cascata di
sangue
giovane…
Era
assurdo odiare una cosa inanimata.
La responsabilità di quanto accaduto non era certo di quella
parete, la cui
unica colpa era quella di avere fatto da scenografia
all’ultimo atto della vita
troppo breve del ragazzo dai distanti occhi blu.
Eppure
lui non riusciva proprio a
trovare piacevole la sua vista. Non perché, come avrebbe
detto Grell, “sarebbe
dovuta crollare sulla testa di quel maniaco omicida per difendere quel
moccioso
sciocco ed ingenuo”, quanto perché aveva offerto
asilo e copertura alla persona
che lo aveva privato di uno dei suoi più valenti
collaboratori.
Era
un vero incubo lavorare al bar,
senza di lui: non solo dovevano coprire i suoi turni, ma erano
costretti a
subire la compassione esagerata che tutti i clienti si sentivano in
dovere di
esibire platealmente, quasi facessero a gara a chi soffriva di
più per loro; a
lui parevano più simili a dei pavoni esibizionisti che a
delle persone
sinceramente commosse.
-Ti
rendi conto della situazione assurda
ed imbarazzante in cui ci hai messo?- domandò alla muta
finestra. –Non avresti
potuto avvertire in qualche modo quel ragazzino sprovveduto?-
No,
non avrei potuto.
I
miei mattoni sono stati cementati tra loro tanto tempo fa, proprio da
voi
uomini.
Come
avrei potuto aiutare quel giovane?
Non
ho una bocca per urlare,
né
braccia per allontanare i malintenzionati.
Credi
che mi sia divertita a vedere un innocente massacrato da un pazzo?
No.
Ho
assistito impotente alla scena.
L’unica
cosa che ho potuto fare è stata offrire un riparo a quello
sventurato
dove esalare
l’estremo respiro.
Non
so se ti farà piacere saperlo, ma il suo ultimo fiato
suonava
molto simile a:
“La
primavera… non esiste”
L’uomo
non sentì la replica della
finestra: era stata formulata con una voce incorporea, quella che solo
i
bambini riescono a sentire quando affermano ingenuamente di poter
parlare con
le bambole.
Il
gelo del vento dicembrino lo fece sussultare,
convincendolo che era giunta l’ora di lasciare quel posto
lugubre.
“Quei
due” lo avrebbero sicuramente
assillato di domande sul perché fosse tornato senza giacca,
ma non importava:
quel tessuto nero aveva trovato il suo posto lì, a
riscaldare le pietre su cui
il corpo del ragazzino si era raggelato.
Non
poteva affermare di sapere cosa Ciel
avrebbe incontrato nel prossimo mondo, o addirittura se esistesse
effettivamente un aldilà… ma, in qualunque posto
si trovasse in quel momento,
sarebbe stato più al sicuro con una giubba a proteggergli le
spalle.
Si
distanziò con flemma dalla finestra,
prima che un pensiero lo cogliesse a metà strada.
Si
voltò, e rivolse al rettangolo
complice dell’assassinio la cosa più simile ad una
preghiera che il suo animo
miscredente e scettico potesse formulare:
Spero
solo una cosa per te, ovunque tu sia…
Il
vento giocò con il tessuto della giacca, sollevando una
manica quasi
l’indumento lo stesse salutando.
Spero
che lì la primavera duri tutta una vita…
Note
dell’autrice:
[*]
Giovanni Pascoli, “Novembre”
Dunque,
il primo e l’ultimo spezzone
sono ambientati nel presente, mentre le due parti in mezzo ambientate
nel bar e
nello spogliatoio fanno parte del passato.
Ho
deciso di avere uno scarto netto tra
presente e passato perché, a parer mio, quando una persona
si immerge nei
ricordi il secondo prima è nel presente, quello dopo
è giù immersa nel passato,
tanto che spesso occorre chiamarla più volte per ottenerne
l’attenzione.
Anche
i due ricordi sono staccati tra
loro perché, nel flusso della memoria, difficilmente si
segue una linea
cronologica rigorosa, ma si tende a concentrarsi sui punti
più salienti e ad
eliminare gli altri.
Questa
è la spiegazione per la
disposizione un po’ particolare dei vari passaggi ^_^
Ciò
detto, spero davvero che la fic non
sia risultata troppo orribile xD
Correttezza
grammaticale: 9,5/10
Stile e lessico: 10/10
Trattazione dei
personaggi: 9,5/10
Attinenza al tema
( l'immagine ): 10/10
Originalità: 9/10
Apprezzamento
personale: 5/5
Voto complessivo: 53/55
Giudizio: stupenda.
E' la prima cosa che mi viene da dire.
Tu dici che non è un granché, ma io ti smentisco.
E' incredibile come tutto
quello che scrivi riesce
ad essere così realistico, così emozionante; hai
uno stile unico, gradevole,
elaborato ma al contempo diretto ed incisivo. Così come il
lessico che
utilizzi, curato e ricco, e mai ripetitivo.
Grammaticalmente parlando
è praticamente perfetta,
ho notato solo due errorini, uno di grammatica ed uno di punteggiatura:
un
"sulla scapole" ed un "sé stesso" che va senza accento. A
parte questo, tutto ok. Complimenti anche per la punteggiatura,
praticamente
impeccabile.
Ho apprezzato le citazioni
tratte da Novembre,
splendida poesia di Giovanni Pascoli, una delle mie preferite; si
sposano
perfettamente col testo della storia, regalandogli un fascino ancor
maggiore.
Sai cos'è che mi
è piaciuto di più?
Il modo in cui hai usato
l'immagine che ti ho
inviato. E' vero, la finestra appare solo nel finale ( e nella prima
parte, ma
vi è solo un accenno alla foto sulla pagina di giornale ), e
questo
inizialmente mi ha fatto un po' storcere il naso, ma poi mi sono
ricreduta. La
tua finestra è stata in un certo senso personificata, e
l'hai fatta parlare con
quella voce che, come dici ( splendido questo pezzo, uno di quelli che
più ho
adorato ), solo i bambini riescono a sentire quando ingenuamente
affermano di
poter parlare con le bambole. Ho pensato, quando ho letto quella frase,
che
essa potesse riferirsi anche allo stesso Ciel che, nonostante
l'altezzosità e
la consapevolezza che al mondo in realtà non esiste nulla di
buono, dentro di
sé conserva ancora un po' di fanciullesca
ingenuità. Forse, prima di esalare
l'ultimo respiro, potrebbe aver provato a chiedere perché,
alla finestra che
silenziosa osservava la sua anima abbandonare il corpo mortale. Ho
trovato il
tutto molto evocativo e commovente, mi hai davvero toccato il cuore.
I personaggi sono stati
trattati molto bene,
l'unica minima perplessità ce l'ho avuta su Sebastian sul
finale, perché mi è
parso un pochino troppo "umano"; è vero che, nella tua
fanfiction,
lui, Grell ed Undertaker sono persone normali e non sono presenti
elementi
sovrannaturali, però durante tutto il corso della storia
Sebastian mantiene il
suo carattere ed anche quel non so che di diabolico che lo
contraddistingue,
mentre alla fine cambia un po', in ogni caso non è risultato
fastidioso. Gli altri
sono perfetti, nulla da eccepire.
Grell l'ho trovato
adorabile nel suo cercare la
primavera nei timidi raggi del sole di novembre, e nei suoi battibecchi
con
l'inquietante fidanzato ( ah, quanto ho amato quegli accenni
UndertakerGrell!
). Ciel e Undertaker sono assolutamente loro, non saprei cosa dire, se
non che
sei stata bravissima.
Un altro particolare che mi
è piaciuto molto è
stato il rapporto fra i protagonisti soprattutto nel posto di lavoro (
e poi,
come ben sai, io di bar ne so qualcosa XD ).
La storia è
anche piuttosto originale, non per il
suo esito ( l'omicidio è un tema molto trattato, anche dalla
sottoscritta ),
quanto per il suo svolgimento e per il modo in cui le varie parti che
la
compongono sono suddivise, e per la trattazione del tema.
In conclusione una
fanfiction splendida sotto
tutti gli aspetti, mi è piaciuta veramente moltissimo e, lo
ammetto, ho versato
qualche lacrima sul finale.
Complimenti!
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