TOOTHPASTE
Peter era sdraiato a pancia in su nel suo letto, fermo, con gli occhi
fissi sul soffitto. Le dita grassocce correvano lungo il lenzuolo
bianco, disegnando piccoli cerchi.
Asfodelo, il suo gatto fulvo, gli saltò sulle ginocchia,
cominciando a fare le fusa, strusciando il muso sulle mani del
padroncino. Peter si girò su un fianco, per guardare il
calendario sul suo comodino. Il gatto protestò, per essere
stato scalzato dalla sua comoda posizione, ma Peter lo
ignorò, mettendosi a sedere.
La data del giorno successivo, sul calendario, sottolineata con
inchiostro magico, riluceva, implacabile mandando bagliori rossastri in
tutta la stanza in penombra.
“Domani compirò undici anni.”
Sentenziò, mentre il labbro inferiore cominciò a
tremargli leggermente. Undici anni senza aver mostrato la
benché minima inclinazione per la stregoneria. Si
abbracciò le ginocchia, sconsolato.
Aveva meno di quattro ore per sprizzare un incantesimo qualsiasi, una
magia qualunque, ma, constatò il ragazzo con amarezza,
quello che non gli era riuscito in così tanti anni, non
poteva di certo accadere in poco tempo.
Sollevò incerto il pesante libro di incantesimi che, in
preda alla disperazione, aveva rubacchiato dallo studio di suo padre,
cercando di imparare qualcosa, e lo sfogliò. Ormai ne
conosceva le pagine a memoria, le aveva provate davvero tutte: si era
perfino messo in pericolo, cosa assai ardita per uno come lui, ma non
era successo proprio niente, anzi, aveva guadagnato solo ferite,
lividi, escoriazioni e, soprattutto, tanti scapaccioni da sua madre.
“Forse sono un magonò. Anzi,
sicuramente.” Mormorò in tono piatto, riportando
Asfodelo sulle sue ginocchia, il quale, tutto contento, vi si
acciambellò immediatamente, fissandolo con aria
interrogativa.
“Come vorrei essere al tuo posto, Asfy. Domani tu non sarai
una vergogna per nessuno, se non arriverà nessuna lettera da
Hogwarts.” Proseguì, soffiando sul muso
dell’animale.
Peter pensò che sarebbe stato meglio non ricevere alcuna
lettera, e vivere per sempre in uno stato di dubbio, che permetteva una
remota speranza, piuttosto che una in cui era confermata la sua teoria.
“Ti immagini la scena, Asfy? ” Recitò il
ragazzo, solennemente, facendo il verso alla lettera che aveva visto
ricevere a suo cugino Alfred, l’anno prima.
Come l’aveva invidiato, quel giorno! Era rimasto chiuso nella
sua stanzetta per ore, apatico, continuando a rigirarsi tra le mani la
missiva del cugino, domandandosi quel che avrebbe provato lui, se mai
l’avesse ricevuta. Una lacrima solitaria rigò il
volto del ragazzino, che si ripulì col dorso della mano,
tirando rumorosamente su col naso. Ora basta piangere, domani avrebbe
dovuto rassegnarsi e ricominciare daccapo.
“Ho sentito di ottimi corsi di Magia per corrispondenza,
potremo provare con quelli, no Asfy?” Disse, ma senza
convinzione.
Asfodelo, quasi comprendendo il padroncino, annuì
vigorosamente col capo, mentre Peter si infilava il suo solito pigiama
azzurro a righine rosse, con le iniziali ricamate sul taschino il
lettere dorate.
Aprì piano la porta, per non svegliare i suoi genitori,
andando in bagno.
Afferrò il tubetto di dentifricio, spremendolo sulle setole
dello spazzolino, ma non uscì nulla. Peter
constatò che era quasi finito, così lo
arrotolò con cura, sperando di raccoglierne il fondo, e
premerlo verso l’alto, ma anche questa volta, non
uscì proprio nulla.
Già frustrato per la sua inettitudine magica, Peter
imprecò con astio, arrabbiandosi. Il suo umore
peggiorò notevolmente quando intravide che sua madre aveva
riposto le scatolette nuove di dentifricio nel ripiano alto del bagno.
Come da manuale, Peter era quasi certo che nel bagno mancasse anche il
solito sgabello che usava per raggiungere lo scaffale, e si
girò a cercare una conferma, che, puntuale come un orologio
svizzero, arrivò: al posto del seggiolino, si trovava
un’enorme pianta verde brillante, dai fiorellini azzurri
uguali al colore del tappeto del bagno.
Il ragazzo fu tentato di afferrarla e di tirarla fuori dalla finestra,
ma si trattenne, pensando che probabilmente sua madre, scopertolo,
avrebbe lanciato lui fuori dalla finestra, e la cosa non era
consigliabile, dato che non possedeva uno straccio di magia che gli
avrebbe attutito la caduta.
Scocciato, si arrampicò sulla vasca da bagno, restando in
bilico sul bordo. In quella precaria posizione, Peter
allungò una gamba, poggiandola sul lavandino, che
scricchiolò sotto il suo peso. Un brivido freddo
attraversò la sua schiena, mentre si ritrovava tutto sudato,
con la canottiera di cotone incollata alla pelle, in modo alquanto
fastidioso.
Allargò le braccia, cercando di trovare un certo instabile
equilibrio, e quando si sentì abbastanza sicuro,
allungò la mano destra, sporgendosi verso il tubetto di
dentifricio, che sporgeva fuori dal ripiano, quasi sfidandolo.
Le sue dita tozze sfiorarono la plastica della confezione,
più volte, facendola girare, col risultato di spingerla
ancora più indietro lungo la mensola.
Peter, paonazzo, si arrabbiò sul serio, e con uno scatto
d’ira, dimentico della sua solita prudenza, con un ruggito
saltò sul lavandino, che cedette sotto di lui, facendolo
franare sul pavimento con un tonfo sordo, che, con ogni
probabilità, risuonò in tutta Londra.
“Peter, ma che diamine fai?” Ululò sua
madre, comparendo all’improvviso sulla porta, preoccupata.
Dolorante e arrabbiato, senza dentifricio e con un lavandino addosso
che lo schiacciava, Peter scoppiò in un pianto isterico,
condensando in quelle lacrime calde tutta la delusione che aveva
accumulato in undici anni senza magia.
I suoi genitori, vedendolo in quello stato penoso, decisero di non
infierire, preferendo sistemare il tutto con un
“Reparo” la mattina successiva, lontano dallo
sguardo sconfortato del figlio.
Lo presero di peso e lo trascinarono nel letto, restando con lui fino a
che il sonno, pesante e russante, non sopraggiunse a calargli le
palpebre.
L’alba filtrò attraverso le spesse tende di
velluto giallo della camera di Peter, lasciando che un raggio di luce
dispettoso si insinuasse sotto le coperte del ragazzo, che
boccheggiò, in una muta imprecazione, rotolandosi nel letto.
“Ahia!” Gracchiò, con la voce impastata
dal sonno, sentendo qualcosa di appuntito pungerlo a livello dello
sterno. Sulle prime, Peter pensò fosse uno dei tanti lividi
causatogli dalla sua spettacolare caduta in bagno, e si
massaggiò distrattamente il punto dolente, trattenendo a
stento un’esclamazione stupita.
Fece scorrere la mano lungo il taschino del pigiama, con circospezione.
Sembrava che qualcosa di lungo e appuntito fosse stato riposto nella
tasca, ma Peter era certo di non averci infilato proprio nulla, la sera
precedente. Curioso, infilò la mano nella tasca, estraendo
quello che sembrava proprio essere...
“Un tubetto di dentifricio!” Gridò,
stupito, balzando in piedi sul materasso. La sua mente correva veloce,
rapida cercando di formulare un pensiero coerente: in tasca non aveva
messo nulla, il dentifricio era finito, si era arrabbiato, si era
arrampicato, non era riuscito a prenderlo, si era arrabbiato davvero
tanto, poi era caduto, e si era arrabbiato ancora di più, ma
non era riuscito comunque a prendere il tubetto. Non aveva proprio idea
di come quel tubetto si fosse trovato nel suo taschino, sembrava che ci
fosse finito...
“Per magia!” Sussurrò il ragazzo, a
mezza voce, incredulo rigirandosi il dentifricio per le mani. Senza
nemmeno capire bene quel che stava facendo, il ragazzo saltò
giù dal letto, schiacciando per errore la coda di Asfodelo,
che soffiò, irato, piantandogli le unghie nei talloni.
Peter, non se ne curò nemmeno, anzi, in preda ad uno stato
di incosciente felicità, si fiondò in cucina,
sorprendendo i genitori nella colazione.
“Dentifricio!” Ululò, mostrando
trionfante lo scatolino a suo padre, che per poco non si
strozzò col caffè, per lo spavento.
Peter si arrampicò su una sedia con un saltino, continuando
a sventolare l’astuccio, senza smettere di gridare
“Dentifricio!”.
Sua madre, scioccata e preoccupata dall’idea che il figlio,
dopo la tanto rovinosa quanto suggestiva caduta, avesse perso qualche
rotella, cercò di riportarlo a terra, ma fu quasi atterrata
da una palla piumata che si era fiondata all’interno della
cucina, lasciando una lettera fra le mani di un attonito Peter.
Il ragazzo, con mano tremante, l’aprì, strizzando
gli occhi fino a ridurli a due fessure e lesse.
“Caro Signor
Minus,
con la presente missiva,
Le comunichiamo che lei è ufficialmente iscritto alla Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts...”
Peter non fece in tempo a finire di leggere la lettera, che cadde a
terra, perdendo i sensi per la felicità, riuscendo a leggere
il post scrittum finale solo due ore dopo.
“PS:
Converrà con me che non tutti i mali vengono per nuocere,
né tutti i tubetti di dentifricio vuoti, vero Signor Minus?
Nella speranza di una
pronta guarigione dei suoi lividi,
Albus Silente.”