DISCLAIMER : Harry Potter e tutti i suoi personaggi appartengono
a JK Rowling e a chi ne detiene i diritti. Questa storia è stata scritta senza
alcuno scopo di lucro.
N.B. le parti in corsivo sono i pensieri dei
personaggi.
Fanfiction partecipante al Multicolour
Contest indetto da _Mary,
fierobecca93 e
Nabiki93
AFTER THE STORM, THE SUN WILL SHINE
AGAIN
Era stata una giornata davvero infernale. E
se pensava che al Ministero le cose continuavano a scorrere più o meno alla
normalità le veniva voglia di urlare e rompere qualcosa: c’era la sua solita
scrivania, il suo solito mucchio di scartoffie, il suo capoufficio che come ogni
giorno l’aveva rimbrottata per il solito ritardo…
Ma non era così che dovevano andare le cose,
no! Non quando il Ministro della Magia era stato assassinato da nemmeno
ventiquattro ore, proprio in uno di quegli uffici! Non quando Voldemort aveva di
fatto appena preso il potere, attraverso il suo burattino O'Tusoe! Non quando i
Mangiamorte erano finalmente liberi di agire e seminare morte indisturbati! Non
quando la nuova, sanguinaria politica verso i Nati Babbani era già bella che
pronta ad essere messa in pratica! Non quando…
Oh, ma lei aveva già deciso: se erano quelle
le condizioni in cui avrebbe dovuto lavorare da quel momento in poi, avrebbe
fatti i bagagli e tanti saluti. Non avrebbe certo giocato a fare l’aiuto
Mangiamorte, dando la caccia al suo stesso padre o a suo marito, in attesa che
la cara zia Bellatrix venisse a farle un saluto. L’aveva detto a Kingsley quel
giorno: non aveva il carattere adatto per una cosa del genere, in capo a una
settimana avrebbe mobilitato una sommossa e si sarebbe fatta
ammazzare!
Oltretutto, sommando tutti i fattori, non
era nemmeno da escludere che fossero loro a tagliarla fuori, visto che non aveva
mai fatto particolare mistero di essere del partito di Silente e Malocchio. E,
causa il suo recente matrimonio, parecchia gente, Umbridge in testa, già
l’accusava di "fare comunella con il nemico", neanche fosse stata sposata con
Fenrir Greyback in persona! Per non parlare del bambino: un’Auror incinta serve
a ben poco…
In effetti, a ben pensarci, probabilmente il
suo capo sarebbe stato più che lieto di aiutarla a sgombrare la scrivania e
indicarle l’uscita, invitandola gentilmente a non farsi più vedere!
Tonks sospirò, frustata, camminando più
veloce che poteva verso casa, i sensi all’erta: voleva solo arrivare il prima
possibile, dimenticare di essersi mai alzata e farsi coccolare un po’ dal suo
lupo preferito, al resto ci avrebbe pensato in seguito… Ci avrebbero pensato in
seguito, lei e Remus, insieme.
Arrivò al modesto appartamento che di lì a
poco non avrebbe più potuto permettersi appena in tempo per evitare l’acquazzone
che si preparava a scatenarsi, sentendosi immensamente sollevata: ora era finita
sul serio, poteva rilassarsi, dimenticarsi della guerra almeno per qualche ora e
concedersi di essere felice per sé stessa, il suo matrimonio con l’uomo migliore
del mondo e il loro bambino… Purtroppo, come avrebbe scoperto solo di lì a poco,
il peggio di quella giornata infernale doveva ancora arrivare.
"Sono tornata" si annunciò, chiudendosi la
porta alle spalle e riattivando tutti gli Incantesimi difensivi.
Quando non le giunse risposta, corrugò la
fronte, perplessa: che Remus fosse uscito? Ma le avrebbe certo lasciato un
biglietto da qualche parte in bella vista. E poi per andare dove a fare
che?
Quasi senza accorgersene, sfoderò la
bacchetta, tesa come una corda di violino. Paranoia? No, semplice vigilanza
costante, come avrebbe detto Malocchio. "Remus, ci sei?".
"Sono in camera".
Tonks fu talmente sollevata di sentire la
sua voce che non registrò il tono strano, quasi rassegnato, con cui le rispose:
invece sorrise, dirigendosi a passo saltellante verso la camera da letto e
rischiando di ammazzarsi sul tappeto nel pur breve tragitto.
"Ehi, non è che mi aspettassi un saluto
trionfale con orchestra e coriandoli, ma almeno un bacio e un abbraccio dopo
questa giornata penso di essermelo meritato… A meno che…". Ridacchiò
maliziosamente tra sé. "Non è che hai preparato qualche sorpresina divertente,
vero? In caso, penso che potrei anche perdonarti il bacio mancato…".
Ma, quando approdò in camera, non trovò ad
aspettarla nessuna delle numerose sorpresine divertenti che le erano passate per
la mente, né il tanto sospirato bacio, né le attese coccole per dimenticare
l’inferno del Ministero: trovò invece il letto occupato da una valigia semipiena
e Remus con in mano una delle sue lise camicie e in volto la tipica aria da
ladro colto con le mani nel sacco.
Era proprio la tipica espressione che lei
odiava tanto, quell’espressione che diceva "Sto per fare una cosa che odierai e
che pure io odierò e che ci farà stare tutti male, ma che devo fare perché non
posso agire altrimenti": l’aveva già vista tante volte, quell’espressione, e
aveva sperato di non doverla rivedere mai più.
E tuttavia, malgrado già sapesse come
sarebbe finita, volle fare finta di nulla, credere che fosse tutto un equivoco e
che tutto si sarebbe risolto semplicemente e felicemente… Ma con Remus non
finiva mai nulla in modo semplice e felice.
"Vai da qualche parte?" domandò con voce
atona, mentre il sorriso le moriva sulle labbra.
Per un attimo, Remus sembrò indeciso,
abbassò il capo come se non sopportasse di guardarla e probabilmente era così.
"Non credevo che tornassi così presto…" disse alla fine.
"Sono le sei passate" obiettò Tonks
indicando la sveglia sgangherata che ticchettava diligente sul
comodino.
"Ah… Devo aver perso la cognizione del
tempo: non mi ero reso conto che…".
"Che cosa, Remus? Che tua moglie stava per
tornare a casa? Altrimenti che avresti fatto, te la saresti squagliata alla
chetichella come un ladro?" lo aggredì Tonks, mentre la rabbia le montava
dentro: perché, perché lo stava facendo un’altra volta? Negli ultimi giorni
l’aveva sentito un po’ distante, certo, ma l’aveva attribuito allo stress della
situazione, alla guerra, alla morte di Malocchio… Ma non avrebbe mai pensato che
sarebbero arrivati a quel punto.
"Io… No, ti avrei aspettato…" fu la
risposta. "Non volevo farmi trovare con la valigia ancora da fare…".
Tonks scosse il capo, incredula: non poteva
essere vero, doveva essere solo un orrendo incubo… Sì, da un momento all’altro
si sarebbe svegliata e tutto sarebbe tornato al suo posto. Ma non accadde,
perché quella era solo la dura realtà e Remus la stava davvero lasciando
un’altra volta.
"Perché?" fu tutto quello che riuscì a dire.
"E abbi almeno la decenza di guardarmi mentre me lo dici!".
Dopo un attimo di esitazione, Remus si
decise infine ad alzare la testa, l’incertezza sostituita da un cipiglio deciso.
"È stato uno sbaglio, Dora: non dovevamo sposarci…".
"Oh, non ricominciare ancora con la storia
del ‘troppo vecchio, troppo povero e troppo pericoloso’, Remus, per piacere! In
che lingua devo dirtelo che non mi importa?!".
"Importa a me: ti ho trasformato in una
reietta, Dora, non puoi quasi uscire di casa senza essere segnata a dito… E solo
perché hai sposato me! Ti meriti di meglio, molto meglio del
sottoscritto".
Mentre lo diceva, aveva ripreso a ficcare in
valigia quel che restava ancora dei suoi effetti: era proprio deciso ad andare
fino in fondo, allora.
"Io voglio te, Remus!" protestò Tonks, pur
sapendo che ormai nulla l’avrebbe fermato, nemmeno quella più che sincera
dichiarazione che gli aveva già fatto un milione di volte. "Per favore, Remus,
perché ti è così difficile credere che potrò essere felice solo con
te?".
"Forse adesso lo credi, Dora, ma tra qualche
anno…Tra qualche anno, quando incontrerai l’uomo davvero giusto per
te…".
Tonks scosse freneticamente il capo: perché
non voleva accettare i sentimenti che sentivano l’uno per l’altra? Perché non
poteva semplicemente amarla e dimenticarsi del resto del mondo?
Remus chiuse la valigia e si avviò verso la
porta, senza mostrare traccia di esitazione. Cercando di non farsi prendere
dalla disperazione, Tonks si decise a giocare la sua ultima carta: gli corse
dietro, frapponendosi tra lui e l’uscita, implorandolo con gli occhi a restare.
"Dora, per favore, devo andare…" dichiarò
Remus, cercando di superarla.
"E il bambino? Cosa mi dici di tuo figlio?
Anche lui starà meglio senza di te?".
Remus si bloccò, le spalle rigide e il viso
contratto. "Il bambino?".
Tonks annuì con vigore. "Sì, tuo figlio,
rammenti?".
Per qualche istante, Remus non rispose e
Tonks quasi si illuse di essere riuscita a farlo ragionare… Illusione che si
infranse miseramente quando scosse il capo con aria affranta e ancora più
colpevole di prima. "Il bambino… Il bambino è stato forse lo sbaglio
peggiore…".
Se pensava che peggio di così non poteva
sentirsi, Tonks si sbagliava di grosso: Remus non avrebbe potuto farle più male
nemmeno se l’avesse colpita. Come poteva dire una cosa del genere del loro
bambino?
Certo, non aveva reagito proprio in maniera
entusiastica quando gli aveva detto di essere incinta, ma aveva voluto dirsi che
gli ci voleva solo un po’ di tempo per abituarsi all’idea di diventare padre: in
fondo, era andato tutto così in fretta, anche lei si era sentita stordita da
come si erano evolute le cose, ma non avrebbe mai potuto definire suo figlio un
"errore"! Un incidente di percorso assolutamente non programmato, forse, ma non
certo un errore!
"Come puoi dire una cosa simile?" domandò in
un sussurro.
"Dora, quelli come me non dovrebbero
riprodursi, mai, per nessuna ragione: il bambino sarà malato…".
"Non è affatto una certezza" obiettò Tonks:
poteva ancora farlo ragionare, ne era certa. "Mi sono informata: se solo uno dei
genitori è un licantropo, c’è solo il venticinque per cento di possibilità che
anche il bambino lo sia…".
"Non ha importanza" ribatté Remus, caparbio.
"Se anche sarà sano, starà molto meglio senza in giro un padre di cui
vergognarsi…".
Tonks lasciò cadere le braccia tese per
fermarlo, scoraggiata e quasi fisicamente esausta: tornavano sempre lì, tutto
tornava sempre lì, potevano cambiare luoghi e parole, ma tutto si riduceva
sempre e comunque alla licantropia di Remus e alla sua pressoché inesistente
fiducia in sé stesso. Era come un muro che non sarebbe mai riuscita ad
abbattere: per ogni mattone che lei tirava giù, Remus sembrava aggiungerne altri
tre, rendendole il compito impossibile.
Aveva creduto che con il matrimonio i loro
problemi si fossero finalmente risolti, ma si era solo illusa, finalmente lo
capiva: anche senza il bambino, Remus avrebbe trovato un’altra scusa per
andarsene, forse non così presto, ma l’avrebbe trovata. Non avrebbe mai potuto
essere felice con lui finché non riusciva ad accettare quello che era e i
sentimenti che provavano l’uno per l’altra e lei era troppo spossata per
continuare a picchiare sul muro.
Sono stata proprio una stupida, una stupida
accecata dall’amore… "Non so più cosa dirti,
Remus" disse, scuotendo il capo. "Non so più che fare per farti capire… Se solo
potessi farti vedere come ti vedo io, sarebbe tutto più semplice".
"Mi dispiace, Dora…".
"Non dirlo, Remus!" scattò lei, facendolo
trasalire e assumere un’aria ancora più afflitta. "Non dire "mi dispiace": sono
stanca di tutti i tuoi "mi dispiace", "non posso", "è uno sbaglio", "starai
meglio senza di me" e il resto del teatrino! Se vuoi andartene, vattene, ma non
dire che ti dispiace: se ti dispiacesse sul serio, non te ne
andresti!".
Remus tentò di dire qualcosa, ma Tonks lo
fermò con un gesto perentorio della mano, improvvisamente furiosa. "Fuori dalla
mia casa! Fuori! Non voglio più vederti né tanto meno sentire le tue patetiche
scuse!".
Forse sorpreso da quello scoppio di rabbia
improvviso, Remus non si mosse, senza parole, facendola arrabbiare ancora di
più. "Beh, cosa stai aspettando, che Merlino discenda in terra?! Fino a poco fa
non vedevi l’ora di andartene: e allora, vattene!".
"Dora…".
Tonks lo colpì senza nemmeno rendersene
conto: semplicemente la mano le partì quasi avesse vita propria, atterrando a
pugno sulla spalla di Remus, nemmeno con troppo forza, in realtà. "Zitto, zitto!
Non voglio più ascoltarti, Remus, voglio solo che tu te ne vada, adesso! O ti
sbatto fuori io!".
E praticamente lo fece, visto che quasi lo
spinse sul pianerottolo per poi scagliargli contro la valigia. "E un’altra cosa:
sta alla larga da me e mio figlio d’ora in poi!" e sbatté la porta con
tutta la forza che aveva, facendo tremare i quadri appesi alle
pareti.
Si appoggiò ad essa, mentre la rabbia,
veloce com’era montata, svaniva lasciandola svuotata e priva di energie. Si
lasciò scivolare in terra, mentre le lacrime cominciavano a scorrere e il suo
sguardo si posava sull’ora vuoto e grigio appartamento: se n’era andato, se
n’era andato sul serio… E stavolta non sarebbe più tornato, era sola, sola con i
suoi sogni infranti e dei progetti che non avrebbe mai realizzato…
No, non è vero, non sono sola: c’è anche
lui, si corresse subito, accarezzandosi la pancia
ancora piatta. Doveva essere forte, per suo figlio: in qualche modo se la
sarebbero cavata. Sono la pupilla di Alastor Moody, posso tirarmi fuori da
qualunque situazione spinosa, anche da questa…
Non per la prima volta in quegli ultimi
giorni, desiderò che Malocchio non fosse morto: in quegli ultimi anni era stato
quasi un secondo padre per lui, sentiva la sua mancanza come se le avessero
strappato un arto. Appena fosse riuscita a mettere le mani su Mundungus, gli
avrebbe fatto rimpiangere di non essere caduto nelle mani di
Voldemort…
Si rese conto che indirizzare la propria
rabbia contro qualcun altro la faceva sentire giusto un pochino meglio, quel
tanto che bastava per mettersi a riflettere seriamente sulla sua situazione:
capì subito che non avrebbe tollerato di stare in quell’appartamento ora che lui
se n’era andato, per quanto ci avesse vissuto molto più da single che da
sposata.
Ora so cosa devo fare.
Risoluta, si tirò in piedi e andò in camera.
Cercò il più possibile di non indugiare sul letto perché sarebbe stato troppo
facile cedere di nuovo alle lacrime (e già sapeva che presto avrebbe ceduto di
nuovo), perciò raccolse il più in fretta possibile tutti i suoi effetti
personali, li cacciò di mala grazia in un paio di borse e uscì di
nuovo.
Si prese due minuti per scrivere un
messaggio a Remus, nel remoto caso in cui fosse tornato, dicendogli dov’era
andata perché non si preoccupasse ma invitandolo a non farsi vedere per un po’ e
lo affidò alla sua vicina di casa, certa di potersi fidare, dopodichè lasciò
l’appartamento.
Pochi minuti dopo, si era Smaterializzata
direttamente nel giardino di casa dei suoi genitori. Entrò dal retro, trovando
sua madre che preparava la cena: era una scena così dolcemente famigliare che
Tonks si sentì un po’ risollevata.
Andromeda si girò verso di lei, senza
nascondere la sua sorpresa di vederla a quell’ora e per di più carica di
bagagli. "Ninfadora, che cosa è successo? Ted, vieni qui!".
L’uomo comparve nel giro di pochi istanti,
con già la bacchetta in mano. "Che c’è, ‘Meda? Oh, ciao, tesoro, ti
aspettavamo?". Poi notò le valige e si accigliò. "Che cosa succede,
Dora?".
"Mamma, papà, vi devo dire alcune cose
piuttosto importanti…".
Tre mesi dopo
Piantato sul marciapiede dall’altra parte
della strada, Remus fissava la casa da almeno mezz’ora, incapace di convincersi
ad attraversare, suonare il campanello e affrontare la difficile conversazione
che sarebbe seguita.
Ennesima riprova del fatto che Harry aveva
ragione: era soltanto un grandissimo codardo. Aveva passato gli ultimi tre mesi
a dirsi che aveva solo agito per il meglio, che aveva fatto quello che andava
fatto ed era Harry a non capire: la situazione era molto più complicata di
quanto il ragazzo pensasse… O no?
La realtà era che non aveva fatto altro che
ripeterselo per convincere sé stesso. Codardo, codardo, codardo… Quella
parola non faceva che risuonargli in mente da quel giorno a Grimmauld Place ed
era la verità: l’aveva mascherata con tante belle parole, ma sempre codardia
rimaneva.
E probabilmente ormai era troppo tardi per
rimediare ai suoi errori: di certo, quando Dora l’avesse visto, gli avrebbe
sbattuto la porta in faccia. Non che potesse biasimarla: anche lui si sarebbe
chiuso la porta in faccia. Aveva sbagliato troppo e troppe volte per poter
ancora sperare nel perdono: che razza di stupido idiota…
Gli mancava perfino il coraggio di
attraversare la strada e bussare alla porta di Casa Tonks: finché fosse rimasto
lì, una parte di lui avrebbe ancora potuto continuare a sperare bellamente che
Dora avrebbe perdonato la sua cocciuta stupidità ancora una volta.
Remus Lupin, oltre che un codardo, sei pure
il più patetico degli illusi, si rimbrottò tra sé.
Era decisamente più probabile che Dora lo cacciasse a calci nel sedere. Ma
doveva pur tentare di ottenere il perdono: non farlo sarebbe solo stata la prova
che era davvero il più grande dei codardi, nonché probabilmente il suo ennesimo
e più grave errore.
"Remus? Che cosa ci fai qui?".
L’uomo si voltò, colto alla sprovvista:
perso com’era nei suoi pensieri, non si era nemmeno accorto del suo arrivo.
Remus aveva l’impressione che in quei tre mesi in cui non si erano visti fosse
diventata ancora più bella di come la ricordava, anche se forse era una semplice
impressione dovuta alla lunga lontananza. Cercò qualche segno della gravidanza,
ma non notò nulla di particolarmente evidente: forse era merito della giacca
larga che indossava o delle sue capacità metamorfiche che per qualche motivo
sfruttava per mascherare la sua condizione… O più semplicemente, era ancora
troppo presto.
Forza, è arrivato il momento di combinarne
una giusta, tanto per cambiare… Respirò a fondo,
raggranellando tutto il coraggio che aveva. "Ciao, Dora".
La donna non ricambiò il saluto, limitandosi
a continuare a fissarlo con espressione a metà tra lo stupito e l’irato. "Che ci
fai qui, Remus?" domandò di nuovo, stringendosi al petto la busta che stava
portando.
"Che cos’hai lì?" chiese Remus, eludendo la
domanda.
"A mia madre servivano latte e uova: ho
fatto una scappata in paese… Non che debba renderti conto di
qualcosa!".
"È pericoloso muoversi da soli di questi
tempi: Bellatrix ti sta ancora cercando…".
"Bellatrix è un problema mio, non tuo"
ribatté in tono secco Tonks. "Sono un’Auror, nel caso te lo sia dimenticato: so
badare a me stessa quanto basta per andare a fare la spesa!".
"Non intendevo dire questo…" protestò Remus:
la conversazione stava già cominciando a prendere una brutta piega.
"Che cosa ci fai qui?" ripeté lei per la
terza volta, con una sospiro frustrato. "E rispondi alla domanda!".
"Sapevo di trovarti qui e avevo bisogno di
vederti…".
"Bene, mi hai visto" dichiarò in tono
asciutto Tonks. "Ora puoi anche andartene, prima che…".
"Prima che cosa?".
"Prima che mamma ti veda e decida di
mandarti al creatore: il suo umore è parecchio instabile in questi
giorni!".
"Non dovresti essere tu quella con gli
sbalzi ormonali?".
Tonks alzò gli occhi al cielo, parzialmente
infastidita. "È preoccupata per papà: per quanto cerchi di convincerla che ha la
scorza troppo dura per farsi prendere, non vuole saperne di lasciarsi
persuadere!".
Remus annuì con aria grave: aveva letto
sulla Gazzetta della nuova politica del Ministero verso i Nati Babbani,
senza la minima sorpresa, e il nome Ted Tonks gli era subito balzato all’occhio
nella lista di coloro che non si erano presentati all’udienza.
"Sono certo che tuo padre sta bene,
Dora…".
"So che sta bene" ribadì Tonks, con uno
sguardo che lasciava pensare che avesse bisogno di ripeterselo in continuazione
per continuare a crederci. "È meglio che entri in casa prima che mamma chiami
l’esercito per denunciare la mia scomparsa…".
Si voltò, con tutta l’intenzione di
andarsene, ma Remus la fermò, afferrandola per un polso per poi piazzarsi di
fronte a lei.
"Tu guarda, questa scena mi ricorda
vagamente qualcosa…" fu l’acido commento della ragazza. "Levati dai piedi,
Remus, o giuro che mi metto a strillare: ci sono parecchie persone nel quartiere
che saranno ben felici di accorrere in mio aiuto. Ergo, se non vuoi farti
arrestare per aggressione…".
"Dora, per favore…".
"No, Remus, niente per favore, niente occhi
da cucciolo ferito, niente toni supplichevoli: qualunque cosa tu voglia dirmi,
non mi interessa e non la voglio sentire!".
Diede uno strattone per liberarsi il polso
per poi marciare a passo di carica verso la porta di casa sua.
"Mi dispiace!" gridò Remus, senza sapere
cos’altro fare: quelle parole suonarono stupide e patetiche perfino alle sue
orecchie, ma almeno ebbero l’effetto di fermare Tonks, che rimase impalata in
mezzo a strada, immobile come una statua.
Con rinnovata speranza, Remus le corse
dietro, mettendosi di nuovo di fronte a lei. Tonks ricambiò il suo sguardo con
occhi velati di lacrime. "Mi dispiace?" ripeté con voce rotta. "Dopo tre mesi di
silenzio, tutto quello che sai dire è ‘mi dispiace’? Per cosa ti dispiace,
Remus?".
"Per tutto, Dora, mi dispiace per tutto: per
essermene andato come un coniglio, per aver lasciato te e il bambino, per non
essere nemmeno lontanamente degno del tuo amore, per essere un idiota colossale,
per non riuscire ad amarti come meriteresti, per non essere riuscito a capire
tutto questo prima… Credo che potrei continuare all’infinito: mi dispiace anche
per questo!".
"E pensi che sia sufficiente? Pensi che
queste parole bastino a ripagare tutto quello che ho sofferto, tutto quello che
ho passato per te? Mi hai spezzato il cuore, andandotene in quel modo, lo sai
questo? Tutti i ‘mi dispiace’ di questo mondo non potranno mai cancellare quello
che hai fatto…".
"Lo so, lo so, ma sono comunque qui a
chiederti di perdonarmi e darmi un’altra possibilità, pur sapendo di non
meritarmelo affatto… Vuoi che ti supplichi in ginocchio? Sono disposto a fare
qualunque cosa per farti capire che sono pentito e che non farò mai più una cosa
del genere…".
E l’avrebbe fatto sul serio: per lei avrebbe
fatto praticamente qualunque cosa. Ma perché aveva dovuto rendersi conto così
tardi che quella piccola strega gli era entrata nel cuore e che ormai non poteva
più vivere senza di lei?
Prima che potesse inginocchiarsi veramente,
però, Tonks lo bloccò, scuotendo il capo. "È troppo tardi, Remus" disse,
cercando di mantenere la voce ferma. "Il mio cuore vuole perdonarti, lo vuole
davvero, ma non riesco più a fidarmi di te: cosa mi garantisce che fra una
settimana non cambierai idea e sparirai di nuovo?".
"Io te lo posso garantire, Dora. Ti prego,
devi credermi: ti amo più di quanto credessi avrei amato qualcuno… Per favore,
Dora, dammi modo di dimostrartelo, per favore…".
"Non ho mai dubitato del tuo amore, Remus:
nemmeno quando ripetevi strenuamente di non volermi ho mai smesso di credere nei
tuoi sentimenti per me… Anch’io ti amo" dichiarò con un sorriso mesto. "Ma
l’amore ormai non basta più, non senza la fiducia e io non riesco più a
concederti la mia, mi dispiace…Ora, se vuoi scusarmi…".
Lo superò di nuovo e stavolta Remus non
provò a fermarla, sentendosi svuotato: l’aveva persa, adesso glielo aveva detto
chiaro e tondo, l’aveva persa per sempre e poteva biasimare solo sé stesso per
questo. Che grande, immenso imbecille…
Fu allora che, come altre volte nei momenti
di crisi, pensò a come avrebbero reagito James e Sirius se l’avessero visto in
quel momento. Sirius probabilmente gliele avrebbe date con un bastone, per il
modo in cui aveva fatto soffrire così la sua adorata cuginetta e James l’avrebbe
rimproverato per il suo comportamento, probabilmente con le stesse identiche
parole che Harry gli aveva sputato addosso tre mesi addietro. Riusciva a vedere
distintamente le loro facce deluse: già, nessuno dei sarebbe stato molto
contento di come aveva gestito le cose con Dora, senza dubbio…
Ma dopo i rimproveri, Sirius se ne sarebbe
uscito con una delle sue "trovate geniali", James gli sarebbe andato dietro a
ruota e in men che non si dica avrebbero elaborato un folle, strampalato e
assurdo piano per aggiustare tutto: nessuno dei due conosceva il significato
della parola resa, perseguivano anche la più disperata delle cause finché non
erano certi di aver tentato tutto il possibile.
Ma lui non era come Sirius e James: lui non
era mai stato capace di tirare dritto per la proprio strada nonostante le
sconfitte, lui faceva dietrofront o cambiava direzione. Ma in questo caso,
questo avrebbe implicato perdere Dora…
Che cosa farebbero quei due pazzi al mio
posto? Continuerebbero a provare, provare e provare ancora, per quanto il
successo sembri impossibile…
Si voltò verso Casa Tonks: Dora aveva ormai
raggiunto la porta.
"Non mi arrendo, Dora" gridò. "Non mi
arrendo".
Anche se lei non si girò ed sparì in casa,
Remus era certo che l’aveva sentito e che forse lo stava guardando mentre
tornava alla sua postazione originale e si sedeva sul ciglio del marciapiede.
Non mi arrendo, ripeté tra sé. Anche se ci volessero mille anni, non
mi arrenderò…
*******
Quella notte, Tonks si rigirava senza pace
nel letto, apparentemente incapace di prendere sonno. Il breve incontro con
Remus l’aveva turbata molto più di quanto avesse voluto lasciare a intendere a
sua madre: quando Andromeda si era resa conto che il presunto vagabondo che
sostava di fronte a casa loro in realtà era il suo genero, ci era voluto del
bello e del buono per non farla uscire e sfogare su di lui la sua ira
repressa.
Tonks era riuscita a calmarla prima che
facesse qualcosa di irreparabile dicendole che aveva parlato a Remus e gli aveva
detto di non volerlo vedere, perciò se ne sarebbe certo andato
presto.
Stizzita, Andromeda aveva passato la
giornata borbottando come una pentola a pressione, spostando tutti i
soprammobili della casa per la centesima volta in un paio di settimane e
cucinando una squisita torta al cioccolato che figlia e nipotino avevano molto
apprezzato.
Tuttavia, nessuna delle due aveva più
menzionato Remus e Tonks si era sforzata di non pensarci tenendosi il più
possibile occupata. La cosa aveva funzionato, almeno fino al momento di mettersi
a dormire: il sonno non voleva saperne di venire, ma in compenso non mancavano i
pensieri.
Perché era dovuto ricomparire proprio ora?
Con quale faccia si era presentato alla sua porta dopo tutti quei mesi,
facendole quei discorsi accalorati? Perché doveva confonderla di nuovo, proprio
nel momento in cui stava finalmente mettendosi l’animo in pace e cercando di
proseguire con la sua vita, nei limiti del possibile, visto il figlio che aveva
in grembo.
Soprappensiero, si accarezzò la pancia
appena accennata. Che cosa devo fare con quello stupido del tuo papà, piccolo
mio? Scommetto che perfino tu sapresti cosa fare meglio di me!
Si girò sul fianco, osservando fuori dalla
finestra la sottospecie di diluvio universale che si era scatenato verso l’ora
di cena. Che tempaccio da lupi, pensò, per poi ritrovarsi a sorridere tra
sé per la battuta involontaria: gira che ti rigira, sempre sui lupi
tornava…
Scomoda, cambiò di nuovo posizione
mettendosi sulla schiena, quasi sperando di trovare scritto sul soffitto la
risposta ai suoi problemi.
Remus le mancava, questo era innegabile: le
mancava la notte, quando desiderava di accoccolarsi contro il suo corpo in cerca
di calore; le mancava quando temeva per la vita di suo padre e avrebbe voluto
essere abbracciata; le mancava quando pensava al bambino e avrebbe voluto
dividere con lui la gioia che provava. Praticamente, le mancava ogni ora di ogni
giorno, ma nonostante questo, non riusciva a perdonarlo: avrebbe voluto
riaccoglierlo nella sua vita più di qualunque altra cosa al mondo, ma come
poteva fidarsi dopo tutto quello che le aveva fatto passare?
Perché l’amore deve essere così complicato?
Non dovrebbe essere come nelle favole, dove ogni principessa ha diritto al suo
bel principe e al suo "per sempre felici e contenti"… Dovrebbero scrivere un
manuale d’istruzioni per quando l’uomo dei tuoi sogni ha più complessi di un
drago incapace di sputar fuoco e meno autostima di un vermicolo!
Quasi dal nulla, l’immagine della torta di
sua madre cominciò a galleggiarle davanti agli occhi, invitante come non mai.
Beh, tanto non riesco a dormire comunque… E il cioccolato non è un buon
antidepressivo?
Era già in cucina con un’enorme fetta di
torta davanti quando si ricordò che quest’ultima informazione l’aveva ricevuta
proprio da Remus almeno un paio di anni prima. Per un attimo, quasi le passò la
fame, ma il bambino aveva evidentemente voglia di una bella botta di calorie,
così fu comunque con soddisfazione che addentò il primo boccone. Spero che tu
sia contento, mostriciattolo, perché questa roba sta andando a depositarsi
direttamente sui miei fianchi!
Si stava già servendo la seconda porzione
(perché si sa, una fetta tira l’altra), quando un tuono la fece trasalire.
Rivolse lo sguardo alla finestra: praticamente stava venendo già a secchiate.
Se va avanti così, finisce che domattina dobbiamo uscire con la zattera…,
pensò la ragazza, scostando la tendina per controllare com’era esattamente messa
la situazione.
E fu allora che lo vide: apparentemente
indifferente alla pioggia, Remus era ancora lì, seduto sul marciapiede che
guardava dritto verso la sua casa. "Non mi arrendo" le aveva gridato dietro quel
pomeriggio, ma Tonks non credeva che avrebbe preso la cosa così sul serio.
Dannazione a quello scemo, si prenderà un
accidente con questo tempaccio! Si morse il
labbro, sentendosi colpevole: certo, non glielo aveva chiesto lei, ma Remus
stava facendo tutto questo per lei, perciò se si fosse preso una polmonite,
sarebbe stata almeno in parte colpa sua. Forse dovrei invitarlo a entrare,
almeno per stanotte…
"Ninfadora, che cosa fai?".
Spaventata, Tonks sobbalzò, voltandosi di
scatto. "Merlino santo, mamma, mi hai fatto quasi venire un
infarto!".
Andromeda corrugò la fronte, portando le
mani ai fianchi. "Cosa stavi facendo che non dovresti fare?" domandò, neanche
stesse parlando con una bambina di sei anni.
Tonks roteò gli occhi, insofferente: sua
madre non sarebbe mai cambiata. "Non riuscivo a dormire e mi è venuta fame, così
sono scesa a prendermi una fetta di dolce…".
Il viso di Andromeda si addolcì in un
sorriso complice. "Già con le voglie notturne, eh?".
Tonks si limitò a borbottare qualcosa di
indefinito. "Non c’è nulla di male a concedersi un peccatuccio di
gola…".
"Oh no, certo, specie se consideri che tanto
ingrasserai ugualmente: ricordo che quando ero incinta, mangiavo quintali di
quei biscotti al caramello della pasticceria degli Hummer…".
"Veramente? Ma se non ti ho mai visto
mangiarne nemmeno mezzo!".
"Già, perché mi hanno stomacata al punto che
non riesco più a vederli" rispose Andromeda con un sorriso. "Che guardavi fuori
dalla finestra?".
"La finestra?" ripeté Tonks, allontanandosi
di scatto dalla stessa: era decisamente meglio che sua madre non vedesse Remus
piantonato davanti alla loro casa.
"Sì, la finestra da cui ti sei appena
scostata con aria colpevole: cosa c’è là fuori che non vuoi farmi
vedere?".
Per qualche istante, la ragazza accarezzò
l’idea di continuare a fare la gnorri e cercare di distrarre Andromeda in
qualche modo, solo per ricordarsi subito che era praticamente impossibile
distrarla quando assumeva quella posa decisa, da autentica Black: se non glielo
avesse detto lei, l’avrebbe scoperto da sola, questo era il messaggio. Perciò,
tanto valeva rendere la cosa il più indolore possibile…
"Remus… È seduto sul marciapiede dall’altra
parte della strada".
Con sua somma sorpresa, Andromeda non si
mise a strepitare, a sputare fiamme o a lanciare inconsulte minacce di morte
contro il genero: si limitò a stringersi nelle spalle e commentare: "Oh, è
ancora lì?".
"Ancora lì? Che cosa vuol dire ‘ancora lì’?
Tu lo sapevi?".
"L’ho visto dopo cena, mentre finivo di
lavare i piatti…".
"Perché non me l’hai detto?".
"Non ti volevo turbare ulteriormente… E
credevo che con questo tempo, ci avesse rinunciato e se ne fosse
andato".
Tonks scosse il capo. "Invece, è ancora lì…
E si prenderà una broncopolmonite se passa tutta la notte all’addiaccio sotto la
pioggia".
Scostò di nuovo le tende, sentendosi il
cuore pesante: come prevedibile, Remus non si era spostato di un millimetro.
Tonks poteva immaginare il cipiglio deciso che aveva in volto il marito in quel
momento: capì che non si sarebbe mosso da lì finché non le avesse parlato di
nuovo, che avrebbe tentato qualunque cosa per convincerla del suo sincero cambio
di rotta.
Che cosa doveva fare? Il suo cuore le urlava
di correre fuori, abbracciare quel pazzo e tornare a essere una famiglia, la sua
testa non faceva che ricordarle tutto quello che le aveva fatto passare, tutto
quello che aveva patito in quei mesi di separazione e prima ancora. D’altra
parte, Remus era pur sempre il padre del suo bambino: se aveva deciso di voler
far parte della vita di suo figlio, lei non aveva diritto di impedirglielo…
Oppure sì? In fondo, aveva abbandonato anche il bambino, non solo lei: non è che
poteva andare e venire come gli pareva, appena si stancava o lo ricoglievano le
vecchie paranoie.
Scosse il capo, sentendosi più che mai
confusa: forse per la prima volta nella sua vita, non aveva idea di cosa
fare.
Andromeda le posò una mano sulla spalla in
segno di appoggio. "Devo andare a cacciarlo a colpi di bacchetta?".
Tonks non poté evitare di ridacchiare:
quello sarebbe stato uno spettacolo decisamente interessante, considerò, ma non
avrebbe mai lasciato Remus (o qualunque altro essere umano) alle grinfie di una
Andromeda Black in Tonks imbufalita. "No, grazie mamma" rispose perciò scuotendo
il capo, senza distogliere gli occhi dalla finestra.
La madre le sorrise comprensiva. "Tu hai
intenzione di perdonarlo, vero?".
"No… Sì… Forse… Non lo so!" concluse con uno
sbuffo. "Non so cosa fare, mamma, non lo so davvero… Tu cosa
faresti?".
"Stai sul serio chiedendo il mio consiglio,
Ninfadora?".
"Sì, lo sto facendo, mamma" rispose Tonks,
per nulla certa di volerlo sentire.
"Tesoro, credo che in questi mesi non ho
fatto particolare mistero di cosa penso di quell’uomo e del vostro matrimonio,
ma qui non parliamo di me, bensì di te: solo tu puoi decidere quello che vuoi
fare".
"Grazie, mamma: sei stata davvero
illuminante!" commentò Tonks, sarcastica. "Fin qui ci arrivavo anche da
sola…".
"Vedi di moderare un po’ i toni,
signorinella" la rimbrottò piccata Andromeda, prima di addolcirsi di nuovo. "Io
credo che Remus si sia pentito e so che tu sei talmente innamorata da poterlo
perdonare: non penso di poter ancora dire di approvare la vostra relazione, ma
sento che quello è l’unico uomo con cui ti sentirai mai felice".
Tonks sorrise amaramente. "Sembra che questa
cosa l’abbiamo capita tutti tranne il diretto interessato… Tu cosa faresti al
mio posto?".
"Sinceramente, non lo so, anche se sono
convinta che con i giusti tempi, sarei capace di perdonare tuo padre di
qualunque cosa… Posso dire che un uomo disposto a passare una notte di novembre
sotto la pioggia per dimostrare il suo amore vale quanto meno un pensierino! Io
torno a letto, Dora: vieni anche tu?".
"Tra un momento…" promise Tonks.
La ragazza aspettò di sentire sua madre
chiudersi la porta della sua camera alle spalle, dopodichè corse a infilarsi
l’impermeabile e afferrò un ombrello. Pochi minuti dopo, era a fianco di Remus e
lottava per riparare entrambi dalla pioggia battente. "Sei un cretino,
Remus".
"Preferisco definirmi perseverante" ribatté
lui, alzandosi in piedi.
"Perché non hai Evocato un
ombrello?".
"Sarebbe stato come barare".
"Sei un cretino, Remus" ribadì con ancora
più convinzione Tonks. "Sei troppo vecchio e malconcio per fare di queste azioni
eroiche: se non fossi stata sveglia, domani ti trovavo morto sul
marciapiede".
"Tanto, sarebbe importato a ben poca
gente…".
"Sarebbe importato a me, Remus! Brrr, dai,
entriamo in casa…".
"Vuoi sul serio farmi entrare?". Remus
sembrava sinceramente sorpreso.
"No, ho affrontato il diluvio solo per dirti
che sei un imbecille… Andiamo, devi toglierti quegli abiti fradici!".
Lo condusse in casa e gli procurò dei
vestiti di suo padre per potersi cambiare.
"Grazie, ma posso semplicemente asciugarmi
questi…" cercò di protestare Remus.
"Stupidaggini: non puoi metterti a dormire
in giacca e camicia!" lo rimbeccò Tonks. "Non dispiacerà a nessuno…".
"Nemmeno ad Andromeda?".
"Oh, non preoccuparti di lei: se farà
storie, me la vedrò io… Avrai fame: vuoi qualcosa da mangiare?" domandò poi la
ragazza, in cerca di una scusa per lasciare con discrezione la stanza: ok che
l’aveva già visto spogliato, ma non le sembrava il caso di restare, visto che
non era ancora certa al cento per cento di cosa volesse fare. "Mamma ha
preparato una torta fantastica!".
"Non ti disturbare, Dora: posso sopravvivere
fino a domattina…".
"Domattina di quella torta resterà solo
l’essenza" ribatté Tonks: tutto quel discorrere di cibo le aveva ricordato che
aveva una voglia pazzesca. "Sai che ti dico: ora vado a prenderne un po’ per
tutti e due!".
E prima che Remus potesse sollevare altre
proteste, uscì dal salotto a passo di carica. Sul tavolo della cucina, la torta
incriminata la fissava tentatrice: forse era soltanto una sua impressione, ma
sembrava gridare "mangiami, mangiami". Dannato bambino, vuoi farmi diventare
una balena? Ne ho già pure mangiata una fetta… No, no, ne prendo giusto una
piccola, piccola, giusto perché non posso lasciare Remus a mangiare da solo:
sarebbe maleducazione e forse lo metterei pure a disagio. Ma sì, un po’ di
cioccolato non ha mai ucciso nessuno!
Ma, alla faccia di tutto, si riservò una
porzione che era almeno il doppio di quella di Remus (la quale non è che fosse
proprio modesta), che infatti la guardò stralunato quando lo
raggiunse.
"Hai intenzione di mangiarti tutta quella
roba?" domandò, finendo di stendere su una sedia gli abiti bagnati: i vestiti di
Ted gli andavano un po’ grandi, ma era comprensibile data la differenza di
corporatura.
"Ah, ah… Se ti dicessi che è già la seconda
fetta della nottata e la terza in totale, visto che ne ho mangiata una anche
dopo cena, cosa diresti?".
"Che sei un autentico pozzo senza
fondo".
"Ehi, se non vuoi che tuo figlio nasca con
una voglia di cioccolato grande come una casa, sarà meglio che taci e mi lasci
mangiare in pace!" dichiarò Tonks in tono perentorio, stravaccandosi sul divano,
allungando i piedi sul tavolino di fronte e appoggiandosi il piatto sulle
gambe.
Remus la guardò con un sopracciglio
inarcato, prendendo posto al suo fianco in una posa decisamente più composta.
"Che c’è? Una non ha nemmeno diritto di
mettersi comoda a casa propria?".
"No, no, in ogni caso ti ho visto in pose
ben peggiori di questa! Stavo pensando che ti manca solo una bottiglia di Whisky
Incendiario per essere tale e quale a Sirius".
"Uhm, però un po’ di Whisky ci starebbe
proprio bene…".
"Dora!" fu il commento scandalizzato di
Remus.
Tonks scoppiò a ridere. "Stavo scherzando,
Remus, rilassati! Primo, mia madre considera quella roba alla stregua di un
prodotto del demonio e brucerebbe la casa prima di comprarla; secondo, non sono
così scema da bere alcolici, incinta come sono!".
L’uomo sorrise debolmente, prima di
addentare un grosso boccone per darsi una scusa per non dover parlare. Anche
Tonks seguì il suo esempio e calò così un silenzio teso e carico di tante cose
non dette.
La ragazza trattenne uno sbuffo di
frustrazione: aveva intuito (non che fosse difficile) che Remus si era
ammutolito perché aveva infilato nella conversazione ben due riferimenti al suo
stato in meno di cinque minuti, ma in qualche modo la situazione doveva pur
sbloccarsi. Remus non poteva sul serio aspettarsi che lei lo riaccogliesse nella
sua vita senza prima aver capito se considerava ancora un problema (no, uno
sbaglio!) il loro bambino. Ma capì anche che avrebbe potuto aspettare cent’anni
prima che si decidesse a intavolare quella conversazione, perciò decise di
prendere in mano le redini del gioco.
"Senti Remus, presto o tardi di questa cosa
dovremo parlare" esordì in tono deciso, appoggiando la forchetta: quello non era
un discorso da torta al cioccolato. "Del bambino intendo… O pensi che abbia
dimenticato certi dettagli della nostra ultima conversazione al
riguardo?".
"No, non lo penso…".
"E allora? Pensi ancora che questo bambino
sia uno sbaglio? Perché se è così, puoi anche andartene: o me e lui o niente,
non ci sono mezze misure".
Remus sospirò, mentre giocherellava con la
torta senza guardarla in faccia. "Sai, ho sempre pensato che sarei morto solo: i
miei genitori se ne sono andati quando ero giovane e dopo di loro, anche James,
Lily e Sirius, che sono stati la cosa più vicina a una famiglia che abbia mai
avuto. Non credevo che avrei mai trovato una donna disposta a sposarmi a causa
del mio essere un lupo mannaro; quanto all’avere un figlio, l’ho sempre ritenuto
impossibile proprio perché sono un lupo mannaro".
"Credevi di essere sterile?".
"No, non è per questo: lo sai anche tu, la
licantropia è ereditaria, si può tramandare dai genitori ai figli. Ho giurato a
me stesso che non avrei mai, mai rovinato la vita di qualcuno come Greyback fece
con me…".
"Remus, allora è questo all’origine di
tutto, la possibilità che il bambino sia infetto? È soltanto per questo che te
ne sei andato?".
L’uomo non rispose e Tonks lo interpretò
come un sì: scosse il capo, lottando contro la forte tentazione di picchiarlo a
sangue. "Remus, sei un cretino: credi sul serio che mi importerebbe se il
bambino fosse un licantropo?".
"Importa a me" fu la dura replica. "E
importa al resto del mondo: hai visto come la società tratta quelli come me e
chiunque mi stia vicino. Lui o lei non avrà un trattamento migliore: è
condannato a essere un reietto solo per il fatto di essere figlio
mio!".
"E allora noi lo ameremo tre volte tanto e
lo stesso vale per tutti quelli che gli staranno vicino: sarà il bambino più
amato e felice di questo mondo e non importerà a nessuno che sia un lupo
mannaro, un umano o una manticora a tre teste!".
"Ma…".
"Non ci sono ‘ma’ che tengano questa volta,
Remus" lo interruppe in tono risoluto Tonks. "Solo una domanda conta per porre
fine alla questione: tu vuoi o no questo bambino?".
"Sì, lo voglio" fu la risposta, dopo qualche
eterno secondo di silenzio.
Tonks sorrise, intimamente sollevata: aveva
detto sì, aveva detto sì, per loro c’era ancora una speranza. "Allora, il resto
non conta, come non contava quando ci siamo sposati e come non conterà in
futuro: dimentica il Ministero, la Umbridge, Greyback e tutti gli altri, ci
siamo solo io, tu e lui o lei che sia".
"Vorrei fosse così semplice…".
"È semplice, Remus: sei solo tu che ci vedi
tante difficoltà. Cosa posso dire che non ti ho già detto per convincerti?". Gli
prese il viso tra le mani, per costringerlo a guardarla. "Ascoltami, Remus: ti
amo e ti amerò sempre, dovesse cascare il mondo; nostro figlio per essere felice
avrà semplicemente bisogno di una madre e un padre che gli stiano vicino e gli
vogliano bene; noi tre saremo una famiglia, fosse l’ultima cosa che faccio, e
che la Umbridge e tutte le vecchie befane acide e razziste come lei possano
bruciare all’inferno se solo provano a ostacolarci! Ma perché tutto questo
discorso abbia importanza e non siano solo parole al vento, ho bisogno che tu
smetta di remarmi contro e decida cosa desideri: ti voglio accanto a me sempre,
non solo quando la luna ti gira per il verso giusto!".
Per qualche istante, Remus rimase zitto a
guardarla. "Sono un cretino" disse infine, scatenandole un attacco di
risate.
"Io l’ho sempre detto, ma l’importante è che
alla fine il messaggio sia trapassato".
"Stavo per mandare al diavolo la cosa
migliore della mia vita".
"Ma per tua fortuna, io sono cretina quasi
quanto te e sufficientemente magnanima da perdonarti… Ma solo se giuri in
ginocchio che non oserai farlo mai più".
"Dora, ci ho messo pure troppo a capirlo, ma
non riesco più a stare senza di te".
Tonks sorrise. "Queste sono le esatte parole
che volevo sentirti dire" e lo abbracciò, stringendolo a sé come desiderava fare
da mesi a quella parte, inspirando il suo profumo e beandosi della sua
presenza.
Remus, dal canto suo, si aggrappò a lei
quasi con troppa forza, quasi temesse che da un momento all’altro lei potesse
cambiare idea e cacciarlo a calci.
"Andiamo a dormire" si decise infine a dire
la ragazza, dopo parecchi minuti che restavano immobili in quella posizione. "Ti
avverto, ho un letto a una sola piazza, perciò dovremo ingegnarci…".
"Posso sempre stare sul divano" suggerì
Remus, incontrando la ferma opposizione della ragazza.
"Non sopporterei di passare un’altra notte
senza di te sapendoti così vicino: piuttosto dormo sul pavimento!".
Si alzò in piedi, stringendogli la mano, e
così facendo fece miseramente cadere in terra il piatto con la torta, di cui si
era completamente scordata. "Oh, dannazione, che razza di spreco!".
Remus si chinò, aggiustando il piatto
scheggiato con un veloce Reparo per poi raccogliere la torta. "Io credo
che sia ancora salvabile: questa è forse la casa più asettica e pulita che abbia
mai visto".
"Già, mamma considera la lotta contro
disordine e microbi una specie di crociata personale…". Annusò al torta e poi ne
staccò un pezzetto: le sue papille gustative danzarono in cerchio dalla gioia.
"Il cioccolato è peggio di una droga: ne assaggi un pochino e non riesci più a
smettere. Si vede che è proprio figlio tuo" commentò distrattamente,
accarezzandosi la pancia con una mano e spiluccando dolce con l’altra.
"Qualcosa mi dice che il buon proposito di
dormire sia passato in secondo piano" disse Remus, seguendo i gesti della moglie
con la fronte aggrottata.
"È colpa tua, mostro tentatore: mi sventoli
questa cosa sotto il naso, come faccio a resistere?".
Nel mentre i due avevano finito con il
risedersi sul divano: Tonks esitò un attimo, ancora incerta di come muoversi
nella sua appena ritrovata relazione, ma alla fine si decise ad acciambellarsi
contro il fianco di Remus, che dopo altrettante esitazioni la circondò con il
braccio non impegnato a reggere il piatto.
Tonks respirò a fondo, soddisfatta come un
gatto durante la siesta: ci sarebbe voluto un po’ di tempo, ma le cose tra loro
sarebbero tornare come prima e lei non chiedeva altro. Le bastava quel semplice
contatto per sentirsi bene come non le capitava da tempo. "Mi sei mancato,
Remus".
"Anche tu, ogni giorno…".
Non c’era bisogno di dire altro: Tonks
continuò a mangiare la sua torta e Remus continuò ad abbracciarla. Quando il
dolce fu finito, la ragazza si appoggiò con la testa alla sua spalla. "Cinque
minuti e andiamo a letto" promise. "Sei troppo comodo per alzarsi
subito".
Quasi non aveva finito di dirlo che già
ronfava beata come una bambina.
"Dora?" la chiamò Remus, dopo un po’, senza
ricevere risposta. "Dora, ma ti sei addormentata?".
Un tenue mugolio fu tutto quello che
ottenne, prima che la ragazza si sistemasse più comodamente addosso a lui. Remus
sorrise, intenerito, senza trovare il coraggio di svegliarla e portarla nel suo
letto. Alla fine, ha vinto il divano, pensò, mentre con movimenti cauti
cercava a sua volta una posizione che non gli procurasse dolori a tutta la
schiena al risveglio.
"Ti amo, Dora" sussurrò, accarezzandole i
capelli rosa, prima di chiudere gli occhi.
Prima di addormentarsi, si ripromise che la
volta successiva però glielo avrebbe detto da sveglia.
*******
La mattina dopo, aveva smesso di piovere e
un debole sole faceva capolino tra le nubi.
Andromeda si avviò giù per le scale,
infilandosi nel contempo la vestaglia e chiedendosi cosa avesse infine deciso di
fare sua figlia la notte precedente: aveva controllato e Lupin non era più sul
marciapiede, il che voleva dire che Dora l’aveva convinto ad andarsene oppure
l’aveva portato in casa.
Fu quasi tentata di fare dietrofront e
bussare alla camera della figlia per verificare se fosse sola, manco fosse stata
una quindicenne al primo fidanzato, ma alla fine zittì le sue paranoie da madre
apprensiva: Ninfadora era adulta e vaccinata e aveva diritto di fare quel che le
pareva.
Chi era lei in fondo per tenerla lontana dal
padre di suo figlio? Sua madre, certo, ma Dora non aveva mai brillato molto per
la sua capacità di prestarle ascolto: piuttosto, tendeva a fare l’esatto
contrario. In compenso, era sempre stata pappa e ciccia con suo padre: guai, nel
gioco di ruoli, lei era sempre stata il poliziotto cattivo e Ted quello buono,
non importava quale fosse la situazione.
Sentì una fitta di nostalgia accompagnata da
paura e ansia: cosa stava facendo Ted in quel momento? Dov’era? Stava bene?
Tutte domande che non avrebbero trovato risposta: poteva solo continuare a
sperare e aspettare…
Per poter raggiungere la cucina e iniziare a
preparare la colazione, dovette passare per il salotto e fu così che trovò
comunque risposta al suo primo quesito: Dora se ne stava comodamente allungata
sul divano, con la testa appoggiata al petto di Remus, strizzato mezzo storto in
un angolo con un braccio intorno alla vita della moglie. Entrambi erano ancora
profondamente addormentati.
La prima cosa che Andromeda si ritrovò a
pensare fu che Lupin si sarebbe risvegliato con un torcicollo da far invidia a
una giraffa. Subito dopo notò i piatti sporchi e le briciole di torta sparse per
tutto il pavimento e maledì silenziosamente quella casinista disordinata di sua
figlia. Solo allora, mentre appellava un paio di coperte e le posava alla bell’e
meglio sui due addormentati realizzò quello che stava vedendo: la sua Dora e
Lupin, abbracciati, sul suo divano, in apparente pace con il
mondo.
E così alla fine l’hai perdonato, bambina
mia, pensò, mentre a passi felpati si dirigeva in
cucina e metteva sul fuoco il bollitore dell’acqua.
Non che si fosse mai seriamente aspettata il
contrario: già il giorno prima, quando aveva visto Lupin alla finestra, aveva
capito come sarebbe finita.
Ma se Lupin pensava di poter abbindolare
anche lei così facilmente si sbagliava di grosso: l’avrebbe marcato stretto da
quel momento in poi, oh sì. E se solo avesse pensato di far soffrire di nuovo la
sua bambina a quel modo, avrebbe solo dovuto sperare di avere qualche santo
particolarmente affezionato in cielo, perché nulla l’avrebbe salvato dalla sua
furia.
Ma, in fondo, sperava davvero di sbagliarsi.
Era evidente che si amassero e per amore si fa di tutto: lei ne sapeva qualcosa
sull’argomento. Se Dora fosse stata felice con Remus, avrebbe gioito con loro.
Sbirciando i due belli addormentati mentre
aspettava che l’acqua del the si scaldasse, sentì nel cuore delle vibrazioni
positive: forse la cosa poteva non andarle totalmente a genio, ma quei due erano
anime gemelle, con un po’ di fortuna più nulla avrebbe potuto separarli.
Desiderò che Ted fosse lì per vederli:
quando se n’era andato, Dora aveva il cuore in frantumi. Chissà quanto sarebbe
stato felice di vederla di nuovo sorridere… La vedrà quando tornerà. Saremo
tutti una famiglia, noi due, Dora e Remus e il piccolo… Ma non riuscì a
scacciare completamente il brutto presentimento che si sentiva nel cuore: aveva
come la sensazione che quello scenario utopico non si sarebbe mai
realizzato.
Sciocchezze, si disse. Sono tutte sciocchezze: devi pensare positivo,
Andromeda. La romantica scenetta di là è la prova che a volte l’amore può
davvero trionfare su tutto il resto.
Sì, doveva smetterla con quei pessimistici
pensieri: Ted sarebbe presto tornato a casa, sua figlia era di nuovo felice con
l’uomo che amava e presto avrebbe avuto un bel nipotino da
vezzeggiare.
Alla fine, il sole torna sempre a splendere,
anche dopo la più violenta tempesta.
Lyrapotter’s corner
Ed ella si ritrovò a scrivere l’ennesima
Remus/Tonks…
Non so se è più preoccupante che parli di me
in terza persona o che, su due contest a cui ho partecipato, due Remus/Tonks ho
scritto… Ma che colpa ne ho io se mi è toccato in sorte proprio questo pairing,
che è uno dei miei preferiti (non l’avreste mai detto, eh?)? Infatti, il bando
del concorso prevedeva di scegliere un colore e scrivere qualcosa in base alla
traccia abbinata, che nel mio caso era appunto questa coppia. Beh, una volta
tanto che ho una botta di fortuna…
Oltretutto, questa storia vegetava
nell’etere della mia mente da parecchio tempo, in palpitante attesa di essere
messa per iscritto, così ho pensato bene di prendere due piccioni con una
fava!
Bon, mi pare di non avere altro da dirvi, a
parte che le recensioni, critiche e quant’altro sono sempre ben accetti, ammesso
e non concesso che qualcuno sia arrivato fino a qui!
Alla
prossima!
Per chi volesse, riporto il giudizio
Prima classificata
After the storm, the sun will shine again,
di Lyrapotter
Ramato – Remus/Tonks
Giudizio di fierobecca93
Grammatica e sintassi: 10. Ho notato
solamente pochissimi errori di battitura come per esempio "frustato" invece di
"frustrato" ma per il resto è assolutamente perfetta. Complimenti!
Stile: 9. Semplice e scorrevole! Brava!
Sviluppo della trama: 9.5. Mi ha molto
colpito l’intero sviluppo della trama. È stato a dir poco fantastico. Tonks che
torna a casa e trova il marito pronto ad andarsene, abbandonandosi tutto alle
spalle, per poi ritrovarselo tempo dopo ai piedi di un marciapiede in piena
bufera. Molto toccante e ben studiato!
Originalità: 8.5 Direi che con l’originalità
ci siamo. Sono stata un po’ severa su questa parte, forse perché la gran parte
delle persone tendono a rimarcare questo tratto della loro storia
d’amore…ovviamente più importante. Comunque tu l’hai saputo rendere gradevole!
IC dei personaggi: 9.5. il carattere dei
personaggi è perfetto eccetto per Lupin, che in un secondo momento non mi è
sembrato proprio lui al cento per cento, ma ti sei rifatta alla fine!
Congratulazioni.
Gradimento personale: 7.
La tua storia è stata fantastica. Mi è
piaciuta tantissimo tanto da meritarsi il massimo dei voti. Mi ha colpito molto
Tonks, era praticamente perfetta sotto ogni punto di vista e tutto era studiato
nei minimi dettagli.
Che dire…Brava! E spero che andrai bene in
questo contest, sperando di reincontrarci nel prossimo!
Saluti, fierobecca93
Quindi il mio punteggio totale è di: 53.5
Giudizio di Nabiki93
Grammatica e sintassi: 9/10
A parte alcuni errori di battitura, mi è
sembrato tutto corretto.
Stile: 9 /10
Stile semplice, lineare e allo stesso tempo
coinvolgente.
Sviluppo della trama: 10/10
Davvero brava!!! Hai saputo sviluppare la
traccia in modo avvincente. Passare dal momento in cui Lupin lascia Tonks, fino
a quando ritorna e poi descrivere anche i sentimenti di Andromeda.
Originalità: 9/10
IC dei personaggi: 9.5/10
I personaggi sono IC. Lupin è insicuro,
titubante, ha questa paura di rovinare la vita al figlio, però allo stesso tempo
è buono e dolce. E Tonks pure: imbranata e contemporaneamente anche risoluta e
decisa.
Gradimento personale: 6.5/7
Non c’è che dire!! Davvero una fan fiction
avvincente, intensa di avvenimenti!!! Complimenti!!
Totale: 53
Giudizio di _Mary
Grammatica e sintassi: 9.5/10
Stile: 10/10
Sviluppo della trama: 10/10
Originalità: 9/10
IC dei personaggi: 10/10
Gradimento personale: 7/7
Totale: 55.5/57
Sarò antipatica e precisina, ma ti segnalo
alcuni banali errori di battitura: ‘greyback’, ‘frustato’ – invece di
‘frustrato’ – ‘impalata in mezzo a strada’, ‘spiluccando dolce’ – penso che ti
sia dimenticata un articolo. A parte questo non ho trovato nemmeno una virgola
fuori posto in tredici pagine di fanfiction, complimenti!
Sullo stile non so davvero cosa dire, a
parte una parola: ‘lineare’. Chi ti legge riesce perfettamente a seguire il filo
del discorso, sembra quasi di seguire un sentiero ben tracciato in mezzo ad un
bosco. Hai la capacità di scrivere in modo articolato ma non confusionario, e
questa è una delle caratteristiche che apprezzo di più in un autore – autrice,
nel tuo caso.
Hai studiato, scavato, analizzato, passato
al microscopio e smembrato ogni singola caratteristica dei tuoi personaggi e
ogni dettaglio della tua trama, dal ‘tempo da lupi’ fino alla torta al
cioccolato. Hai sviluppato al massimo la traccia che ti era stata assegnata, non
penso proprio che avresti potuto fare meglio.
Hai rischiato grosso per quel che riguarda
l’originalità: temevo di trovarmi con qualcosa di usato ed abusato – i soliti
dubbi di Remus, il solito ‘non mi importa’ di Tonks. E, in effetti, nella tua
storia compaiono entrambi questi elementi, ma quello che mi è piaciuto è che non
li hai esasperati. Insomma, non ti sei soffermata troppo, tanto per fare un
esempio, su Tonks che si gira e rigira nel suo letto pensando a Remus. L’hai
inserita, certo, ma poi sei andata avanti.
E così arriviamo all’IC. I tuoi personaggi
sono perfetti. Tonks è forte, battagliera e divertente (carinissimi i ‘dialoghi’
tra lei ed il ‘mostriciattolo’), e Lupin è il licantropo pieno di problemi che
conosciamo, ma tu gli hai dato una marcia in più, mostrandoci anche la sue
crescita dopo l’incontro-scontro con Harry. E non dimentichiamoci di Andromeda
che, pur se secondario, è un personaggio perfettamente disegnato ed inserito nel
suo contesto – a questo proposito, ho apprezzato anche il cambio di POV alla
fine, che ti ha permesso di farcela conoscere meglio di quanto avessi già fatto.
Ho dato dei punteggi altissimi a questa
storia per quel che riguardava forma e cosette varie, e non posso non metterle
il massimo anche come gradimento personale. Al di là del pairing, a mio parere
molto interessante, questa storia sembra presa e copiata dal blocco di appunti
della Rowling in cui giacciono abbandonate tutte le sottotrame che, per un
motivo o per un altro, non hanno potuto essere sviluppate nella saga di Harry
Potter. In maniera più concisa, dato che uso sempre troppe parole, questa
fanfiction potrebbe tranquillamente averla scritta la Rowling stessa, tanto mi
sono ritrovata a mio agio con i tuoi personaggi. Potrebbe essere davvero andata
così prima e dopo la ‘visita’ di Remus a Grimmauld Place, chi lo sa? Anzi, è
quasi sicuramente andata così, per quel che mi riguarda.
Bravissima.
Totale: 162/171
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