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canzone. Vi servirà a momento debito.
EPILOGO
BELLA
La sua risata è dolce, pulita, chiara.
Sembrano cento angeli che ridono insieme.
Alza le manine in su, inarcandosi all’indietro, mentre Emmett
la fa volteggiare in aria per poi caricarla sulle sue spalle con un
gesto rapido, ma delicato.
Con i pugnetti stretti, afferra una ciocca dei suoi capelli e tira con
forza.
Alla risata di mia figlia, si accompagna quella di Emmett, cui seguono
quelle di Alice e di Jasper, i suoi angeli custodi.
Alice non la perde mai di vista. Mai.
Dal momento in cui Reneemse è venuta al mondo, tra loro due
s’è instaurato un legame strano, unico.
Alice non ha più avvertito alcun tipo di dolore
dall’istante esatto in cui mia figlia è uscita dal
mio grembo e la piccola l’ha guardata per la prima volta
dritto negli occhi.
La sua mente s’è come schiarita, come se tutta la
nebbia che l’avvolgeva si fosse dipanata d’un
tratto. E nel momento in cui l’ha presa tra le braccia e le
sue manine piccole ed esitanti le hanno sfiorato il viso, Alice
è rimasta folgorata.
Reneesme è l’esatta antitesi del suo dono.
Mentre Alice vede il futuro, lei racconta il passato.
E, poiché il passato di Alice era buio ed inconsistente
nella sua mente, per lo più legato ad esperienze dolorose
che, con naturale meccanismo di difesa, il suo cervello aveva
rifiutato, anche il primissimo contatto tra loro due è stato
dello stesso tipo.
Dolore.
In pochi secondi, Reneesme le ha raccontato mesi di sofferenze da umana
di cui Alice non aveva più memoria evocando nella mente di
quest’ultima dei ricordi che la sola Alice aveva sepolti nel
recessi della sua mente.
Poi, più nulla.
Secondo Jasper, la bambina ha avvertito la necessità di
condividere queste memorie dolorose, a lei sconosciute, con Alice ma,
avendo percepito con chiarezza il disagio di quest’ultima ha
come “scelto” di non arrecarle ulteriore sofferenza.
E adesso Alice gravita intorno a lei timorosa, eppur affamata, di
ulteriori ricordi.
Le voci dal giardino dove quasi l’intera famiglia sta
provvedendo a divertire mia figlia con ogni sorta di intrattenimento
capitanata da Emmett, mi raggiungono nuovamente, attutite dal vetro
della finestra della mia camera da letto.
«Piccola tigre, se tiri ancora un po’, zio Emmett
diventerà calvo…». In risposta alle
parole dello zio, Reneesme alza trionfante una ciocca di capelli venuta
via nelle sue manine, mostrandola allo zio Jasper, il suo maestro di
strategie.
«Brava, tesoro. Ben fatto. Colpire sempre nei punti deboli
…»
Emmett ringhia a suo fratello e la piccola gli assesta un pugnetto sul
naso.
Guai a chi le tocca zio Jasper.
Le labbra mi si distendono automaticamente in un sorriso triste,
mentre, con la fronte appoggiata al vetro, non riesco a distogliere gli
occhi dai riccioletti color rame di mia figlia che le sfiorano
già quasi le spalle.
Una crescita straordinaria.
E inquietante.
Un mese di vita e mia figlia sembra averne dieci.
Distolgo lo sguardo e mi giro verso l’interno della camera,
lanciando una lunga occhiata all’intera stanza.
Una camera che mi ha ospitato per pochi, intensissimi mesi. Mesi in cui
la mia vita è radicalmente cambiata.
Gli occhi si fermano sulla porta, quindi alla sua destra, dove tre
valige sono state sistemate con cura, in attesa di essere trasportate
in auto.
Il mio beauty è ancora sul letto, aperto.
Tiro un sospiro e con una scrollata di spalle decido che è
ora di chiudere anche questa ultima borsa.
Ci attende un lungo viaggio.
«Starà bene, vedrai. Rosalie si
prenderà cura di lei»
«Lo so» rispondo, lo sguardo perso sul paesaggio
che sfila via veloce al lato del mio viso, la fronte inclinata sul
vetro del finestrino della Volvo.
«E Jasper la difenderebbe a costo della vita»
continua Edward a voce bassissima.
«Lo so» la mia voce, ancora priva di espressione.
«Carlisle ci terrà informati su ogni
minimo cambiamento» prosegue lui.
«So anche questo» nella mia voce una traccia di
preoccupazione. Sospiro e chiudo gli occhi.
Sento le sue dita gelide avvolgere le mie, abbandonate, inermi, sul mio
grembo. Le stringe dolcemente.
«Bella, se vuoi possiamo aspettare. Torniamo indietro anche
subito, se lo desideri» La voce di Edward è tesa.
Sorrido leggermente, restando nascosta dietro alle mie palpebre chiuse.
«Non ci penso nemmeno. Abbiamo già perso troppo
tempo» riapro gli occhi e mi volto nella sua direzione.
E’ concentrato sulla guida.
E questo non è da lui.
«Non devi essere preoccupato» aggiungo con voce
dolce.
Resta immobile per qualche secondo, poi le mani si rilassano sul
volante:«Lo so» emette un breve sospiro.
«A che ora arriveremo?» gli chiedo, decidendo di
cambiare discorso.
«Fra un’ora saremo all’aeroporto. Sei ore
di viaggio in tutto. Faremo solo una breve sosta per scalo a Vancouver
e poi saremo a destinazione. L’Alaska, in fondo, non
è in capo al mondo» conclude mesto.
«Lo dici per rassicurare me o te stesso?» gli
chiedo inarcando un sopracciglio.
«Entrambi» risponde dopo un attimo di incertezza,
con la voce tranquilla, ma roca.
Passano un paio di minuti in cui restiamo entrambi in silenzio, persi
nei rispettivi pensieri.
Edward continua a guidare con una mano sola, mentre con
l’altra mi accarezza le dita, con dolcezza.
Richiudo gli occhi e reclino il capo sul poggiatesta.
Ho bisogno di un po’ di tempo per me stessa, per elaborare la
tristezza e l’ansia che si sono impossessate di me
nell’istante in cui ho posato un ultimo bacio sulla fronte di
mia figlia e ho lasciato che Jasper l’accogliesse tra le sue
braccia.
I suoi occhi, nocciola
come i miei …
Come può una bimba così piccola aver capito cosa
stava succedendo? Come può essere stato il suo sguardo
così serio, così comprensivo?
Quando è venuto il turno di Edward di salutarla, gli si
è aggrappata con le braccine al collo, stringendolo forte.
Lui le ha sussurrato qualcosa con il capo inclinato al lato del suo
orecchio e lei s’è scostata un pò,
posandogli le manine ai lati del viso.
Edward s’è irrigidito per un momento, e poi ha
sorriso.
Chissà cosa si sono detti … lei con le sue
immagini, lui con le sue parole.
«Edward?» sussurro piano, interrompendo il silenzio
nell’abitacolo.
«Mmm?»
«Pensi … » sospiro «pensi che
le mancheremo troppo?» domando sforzandomi di mantenere ferma
la voce.
Il ronzio soffuso del motore è l’unico suono tra
noi per quasi un minuto intero.
«Certo che le mancheremo, Bella. Siamo i suoi
genitori» risponde calmo «Ma sa che torneremo
presto e che l’abbiamo lasciata a malincuore. Lei
…» prende un breve respiro «si fida di
noi. E … di me».
Volto il capo verso di lui e lo fisso attentamente:«Cosa ti
ha “detto”?»
Le sue labbra si piegano in un accenno di sorriso:«Non so
come sia possibile, ma è come se sapesse che sta per
accadere qualcosa di importante, in cui io avrò un ruolo
cruciale».
Stringe un po’ la presa sulle mie dita:«Ha evocato
nella sua mente il primo giorno in cui ci siamo conosciuti, la nostra
lezione di biologia» con un gesto rapido si porta la mia mano
alle labbra.
Assorbo queste informazioni con avidità.
Edward può leggerle nella mente e lei comunica le sue
emozioni evocando dei ricordi per ognuno di noi.
Per tutti.
Ma non per me.
Carlisle ha addotto diverse possibili spiegazioni per questa eccezione,
ma quella che a me sembra essere la più valida è
che si tratti dello stesso, oscuro meccanismo che preclude la mia mente
ad Edward.
La mia cara, vecchia
anomalia … Reneesme non ha mai mostrato
fastidio o irritazione a riguardo. Gioca tranquilla con me
più che con gli altri e, anche se spesso ha poggiato le mani
sul mio viso, non ho mai avuto l’impressione che fosse per
mostrarmi qualcosa.
«Quel giorno per te non è stato un bel
giorno» rifletto ad alta voce «volevi
…» mi blocco imbarazzata «non
è stato un giorno facile» concludo in un sussurro.
«E’ vero. Ma è il giorno in cui la mia
vita è cambiata per sempre. E’ il giorno in cui
sono rinato» mormora sereno e si volta verso di me
abbagliandomi con un sorriso luminoso «la strada per il
paradiso è in salita. Percorrerla non è mai
semplice».
Gli sorrido di rimando.
E mi domando quanto sarà difficile per me percorrere il mio
personale sentiero per la felicità.
Sarà doloroso, lo so. Ma quanto?
Sospiro sommessamente. Non voglio mostrargli alcuna titubanza. Ho tutto
il viaggio per cercare di tranquillizzare il mio animo e prepararmi al
momento cui anelo da quando l’ho conosciuto.
E ormai, è questione di ore.
EDWARD
Il suo respiro è regolare, profondo.
Il suo seno si alza e si abbassa lentamente tendendo la stoffa della
camicetta, sotto la spinta dei polmoni e il suo viso è
sereno, disteso nel sonno che l’ha accolta dopo appena
un’ora dal decollo.
La testa reclinata sulla mia spalla, lascio che il suo respiro mi
solletichi la mascella e la porzione di pelle tra il collo e la maglia
in una dolcissima carezza.
Ripenso in un lampo a tutte le volte che l’ho osservata
dormire, momenti di cui ho avuto la fortuna di poter godere quasi ogni
notte da quando Bella è entrata nella mia vita.
Mi mancheranno,
penso con una punta di rammarico.
Faccio un segno con la mano per richiamare l’attenzione della
hostess che si avvicina rapidamente ai nostri posti.
«Mi porterebbe un cuscino, per cortesia?» le chiedo
lanciando un’occhiata a Bella, profondamente addormentata al
mio fianco.
La ragazza annuisce e dopo un minuto ritorna e mi porge un cuscino
piccolo e quadrato, defilandosi subito dopo con un accenno di sorriso
sulle labbra.
Con delicatezza, posiziono il cuscino giusto di lato al suo capo e
lentamente lo faccio scivolare sotto, al posto della mia spalla. Bella
mugola nel sonno, ma non si sveglia.
Le accarezzo lievemente la guancia e le sistemo una ciocca di capelli
allontanandogliela dal viso.
«Edward …» mormora nel sonno,
strofinando la testa sul cuscino.
Sorrido.
Parla di nuovo mentre dorme, da quando è nata Reneesme.
«Resta, non andare …» continua il suo
inconscio discorso.
Avvicino le labbra al suo orecchio e comincio ad intonare la sua ninna
nanna.
Il cipiglio della sua fronte si distende immediatamente e un sorriso
affiora soddisfatto sulle labbra.
«Reneesme …» sussurra serena il nome di
nostra figlia, probabilmente rievocando un ricordo piacevole.
La sua ninna nanna è diventata anche la musica preferita di
nostra figlia. Più volte al giorno, Reneesme mi chiede di
cantargliela, posizionando le manine sul mio viso e sommergendomi dei
ricordi in cui facevo lo stesso per la sua mamma.
Quando ho tentato di comporre un’altra melodia esclusivamente
per lei, ha mostrato il suo disappunto con un musetto delizioso, mi ha
tirato per la camicia verso di sé e ha riproposto nella sua
e nella mia mente altri ricordi con la vecchia nenia. Pazientemente.
Come se dovesse ripetere ad un bambino un po’ duro
l’ennesima, ovvia spiegazione.
Bella si agita un po’ nel suo posto e il cuscino scivola
leggermente verso il basso. Con un veloce movimento lo riposiziono
sotto la sua testa e lo fermo dal mio lato con la mia spalla.
Con gli occhi fissi sul su viso, registro i cambiamenti visibili e non
che la nostra nuova situazione ha portato nelle nostre vite.
E’ incredibile quanto Bella sia sempre la stessa eppure sia
notevolmente cambiata.
Esteriormente è identica.
La sua pelle è sempre liscia e vellutata, il viso un
po’ più smagrito e con ancora i segni della
recente, ultima disavventura che ha concluso la sua eccezionale
gravidanza.
Prima del parto avevamo fatto in modo di supportarla con un surplus di
“nutrimento”che aveva reso Reneesme particolarmente
forte. Subito dopo l’anestesia totale, la piccola ha avuto
una reazione imprevista e, spaventata, ha cominciato a farsi strada da
sola attraverso il corpo di Bella.
Rottura
dell’utero ed emorragia interna.
Quando il suo cuore s’è fermato per shock
circolatorio, le mie labbra erano già poggiate sul suo
collo, i miei denti pronti per affondare nella sua giugulare.
Poi, con un sussulto, il suo cuore ha ripreso a battere.
Carlisle ha estratto Reneesme dal suo ventre martoriato e ha assistito
Bella con rapidità e competenza, mentre io mi tormentavo tra
il desiderio di morderla e la volontà di rispettare la
promessa che le avevo fatto di non trasformarla se non in caso di
assoluta necessità.
Lentamente, i suoi parametri vitali si sono stabilizzati. Ma, svanito
l’effetto del’anestesia, lei non
s’è svegliata.
Coma.
Bella è stata in coma per una settimana.
La settimana più lunga di tutta la mia eternità.
In condizioni così insolite, Carlisle mi aveva suggerito di
attendere e di non cedere alla tentazione di morderla. Non potevamo
prevedere la reazione del suo cervello, che con la trasformazione si
sarebbe congelato in questo oscuro stato di limbo, perennemente in
bilico tra la vita e la morte.
Sarebbe potuto essere un limbo eterno.
Ogni singolo secondo di quella infinita settimana, i miei occhi sono
rimasti incollati al viso di mia moglie, i miei sensi tesi a cogliere
anche la più impercettibile delle variazioni del suo corpo.
Sapevo che la piccola stava bene, che Bella era nelle più
che ottime mani di Carlisle, ma non sarei riuscito a staccarmi da lei
per nulla al mondo.
Poi, una sera, le dita della sua mano destra si sono mosse e dopo un
minuto ha aperto gli occhi, ritornando da me.
E, come un richiamo tanto potente quanto silenzioso, in quello stesso
momento Reneesme ha preso a dibattersi tra le braccia di Rosalie al
piano terra, sbracciandosi per indicare la via per il piano superiore
e, di lì, per la stanza mia e di sua madre.
Solo una volta che Rose l’ha condotta lì, lei si
è calmata.
E dal momento in cui Bella l’ha tenuta tra le braccia, in
assoluto quello è stato eletto a luogo prediletto dalla
bambina.
Se anche interagiva con gli altri componenti della famiglia, Reneesme
doveva essere sicura che la madre fosse nei paraggi.
Nella sua mente, la bambina ha mostrato sempre una sorta di
… senso di protezione nei confronti di Bella, comprendendo
pienamente la differenza esistente tra lei ed il resto della famiglia.
Scegliendo di non turbarla con i ricordi legati alla sua vita di umana,
ma evocandoli ugualmente e inconsciamente nella sua mente.
E, dunque, a tratti ho “spiato” la vita di mia
moglie a Phoenix, alcuni suoi ricordi di bambina, le lezioni di danza
con sua madre, la torta con le mele della nonna Swan, i castelli di
sabbia a La Push …
Fino a quando Reneesme semplicemente ha scelto di non pensarci
più. Almeno di non farlo più in mia presenza.
Decisamente, una bimba
molto perspicace … penso mentre un sorriso
affiora sulle mie labbra.
La voce metallica del pilota ci annuncia che siamo prossimi
all’atterraggio a Vancouver e con delicatezza allaccio la
cintura di sicurezza intorno alla vita di Bella.
Si muove un po’, ma non si sveglia.
E’ come se il suo corpo avesse finalmente deciso di prendersi
il suo riposo, come se la sua mente avesse scelto di abbandonare il
controllo ferreo sul resto del suo organismo e Bella si stesse
rilassando solo ed esclusivamente in questo momento.
E’ dal momento in cui s’è svegliata dal
coma che attende a tutte le necessità di Reneesme con
dedizione infaticabile, o meglio, a quasi tutte le sue
necessità.
La piccola predilige la nostra alimentazione.
Ma non ha mai voluto nutrirsi in presenza di sua madre,
bensì solo con me. Con me e nessun altro.
Questo, unito a tanti altri piccoli dettagli ha consolidato in me la
certezza che Reneeme sia dotata di una eccezionale
sensibilità e che abbia sviluppato un naturale istinto di
protezione nei riguardi di sua madre. Infatti, in sua presenza, cerca
di non mostrare mai le sue “differenze” da lei.
Non appena i motori dell’aereo si spengono, Bella si sveglia.
«Ehi, bentornata» sorrido al suo sguardo confuso,
gli occhi ancora un po’ lucidi per il sonno, mentre lancia
un’occhiata veloce dinnanzi a sé e poi
fuori dal finestrino alla sua sinistra.
Si raddrizza con una smorfia sul viso ed il cuscino scivola in mezzo a
noi.
«Oh. Siamo già arrivati?» chiede, e la
sua voce è ancora un po’ arrochita.
«E’ solo la prima tappa, appena saremo sul volo per
l’Alaska potrai riposare un po’ di
più» le sussurro piano, consapevole della sua
necessità di riprendere contatto con la realtà
lentamente.
Acciglia la fronte osservando l’affaccendarsi rapido di tutti
i passeggeri che raccolgono i propri bagagli a mano e che si affrettano
verso l’uscita. Pasticcia con la fibbia della cintura di
sicurezza, fino a strattonarla con gesto stizzito.
L’aiuto, slacciandole la cintura con calma
:«Aspettiamo che scendano tutti» mormoro.
Annuisce e la sua fronte si distende.
Bella è tesa.
Benché cerchi di mostrarsi serena, il suo cuore non mente e
nemmeno i suoi occhi.
Non che abbia tentennamenti, no. Ma è in uno stato
d’ansia subliminare dal momento in cui, tre giorni prima,
mentre le porgevo il piatto con la colazione, mi ha fissato dritto
negli occhi e con fermezza ha pronunciato una frase che mi ha fatto
balzare via il cuore dal petto:«Credo che sia il momento di
partire per l’Alaska» ha detto in un soffio.
L’Alaska è stata un’idea sua e di Jasper.
Bella è terrorizzata dall’eventualità
di poter fare del male a qualcuno, prima fra tutti a nostra figlia, per
metà umana. Allontanarsi da ognuno, prima della sua
trasformazione, le è parsa la scelta migliore, seppur la
più sofferta.
Jasper, consapevole dell’instabilità dei neonati,
s’è detto subito d’accordo, sebbene sia
incerto della reale reazione di Bella, comunque predisposta ad una
trasformazione volontaria.
Inoltre, preferendo avere qui tutti i componenti della famiglia a
sorvegliare Reneesme, era necessario comunque essere in un
posto abbastanza isolato, ma nello stesso tempo a
“portata” di orecchio di qualcuno che avrebbe
potuto aiutarci in caso di necessità.
I vampiri di Denali sono stati più che felici di saperci a
poca distanza da loro, e hanno subito espresso la loro più
completa disponibilità in caso di bisogno.
Ovviamente, confido nel fatto che non si renderà necessario.
Bella ed io risiederemo in un cottage molto isolato, difficile da
raggiungere per qualsiasi essere umano.
In una delle nostre valige, ho provveduto a sistemare viveri e
nutrimento per un paio di mesi, senza mettere al corrente Bella di
questa mia iniziativa.
L’ultima cosa che voglio è affrettare questo passo
così importante per lei.
Un passo che la porterà a superare un limite dal quale non
potrà più retrocedere. E voglio che lei abbia
tutto il tempo che ritiene necessario prima di procedere.
In una borsa speciale, ho sistemato della morfina.
Deglutisco al pensiero di quello che l’attende.
E darei un braccio se solo potessi prendere la sua imminente sofferenza
su di me.
Ma sarò lì con lei e non la lascerò
mai sola.
L’attesa per il volo successivo non è molto lunga,
e non appena mettiamo piede fuori dall’aereo Bella comincia
ad armeggiare con la sua borsa. Trova il cellulare e mi osserva di
sottecchi, spiando la mia reazione. Sorrido sommessamente e la libero
del suo bagaglio a mano, mentre lei si affretta a comporre il numero di
casa dal suo cellulare.
Dopo due squilli risponde Carlisle. Nonostante il trambusto intorno a
noi sento chiaramente la voce pacata di mio padre che aggiorna Bella
sulle condizioni di Reneesme.
“Sì,
ha mangiato... No, non si è addormentata nemmeno per un
pisolino... In questo momento gioca alla bambole con Alice... No, non
ha pianto quando vi siete allontanati... Le misurazioni di altezza e
circonferenza cranica le faremo alle sette di sera, come al
solito… Certo che vi terremo informati anche per ogni minimo
dettaglio…” Le parole di Carlisle non
sono beffarde e non c’è traccia di
ilarità nella sua voce. Risponde con pazienza e gentilezza
alle domande ansiose di Bella, il cui tono diviene via via
più sereno.
Quando si salutano e lei ripone il suo cellulare in borsa, la sto
fissando senza nemmeno rendermene conto.
Mi lancia uno sguardo di scuse ma, scuotendo il capo, mi avvicino a lei
per accarezzarle una guancia:«Bella, non devi scusarti se sei
in pena per Reneesme. E’ normale, e ti avrei chiesto io
stesso di telefonare. Anzi, chiameremo non appena arriveremo al
cottage, giusto per sicurezza» e le strizzo
l’occhio, mentre le sue labbra si distendono in un sorriso
riconoscente.
Il resto del viaggio prosegue molto più agevolmente.
L’aereo è più grande e Bella sprofonda
nei sedili di prima classe con un sospiro di sollievo. Dopo
mezz’ora dal decollo si addormenta di nuovo. La cosa non mi
stupisce. Il corpo umano tende a risentire molto più degli
stress emotivi che non di quelli fisici. E per Bella, lasciare nostra
figlia, rappresenta un dolore immenso.
Al nostro arrivo, dopo aver ritirato i nostri bagagli, mezza intontita,
si lascia trascinare da me verso un Cherokee, l’auto in cui
Eleazar ci sta attendendo. Lo saluto
rapidamente e lei gli lancia un sorriso tirato. La faccio accomodare
sui sedili posteriori e mi sistemo al suo fianco:«Tesoro, ti
senti bene?» non riesco a fare a meno di chiederle, cercando
di mascherare la mia apprensione.
Annuisce :«Sì. E’ solo che mi sento un
po’ stanca, non so spiegarmelo nemmeno io
…» mormora confusa.
«E’ del tutto naturale Bella» interviene
allora Eleazar girandosi verso di noi, un braccio dietro il poggiatesta
del sedile del passeggero «il clima qui è molto
più rigido e l’organismo tende al risparmio
energetico. Per questo il tuo cervello è intorpidito. Ci
farai presto l’abitudine. Hai fatto bene a coprirti
così» e con un sorriso avvia il motore per
immettersi rapidamente nel traffico. Bella lancia uno sguardo incerto
al pesante giaccone che le ho fatto indossare e alla sciarpa con il
cappello che le ho infilato mentre ancora era nel dormiveglia, un
momento prima di scendere dall’aereo, ma poi poggia il capo
sulla mia spalla voltando il viso verso il finestrino.
Con un braccio sulle spalle di mia moglie, discorro con Eleazar a voce,
per non escludere Bella dalla conversazione, ma lei resta con lo
sguardo fisso alla sua destra.
Lo informo sul occupazioni e progetti della famiglia. Lui mi aggiorna
sul resto del clan di Denali.
Man mano le mie risposte divengono più scarne, fino a
trasformarsi in monosillabi, mentre non faccio nemmeno più
finta di osservare davanti a me, e mi giro completamente con il busto
verso la nuca di mia moglie:«Bella … »
Non si volta, non mi ha sentito.
Con una mano le sfioro i capelli e lei sussulta:«Ehi
… siamo quasi arrivati» le dico a voce bassa,
constatando, non senza una punta di inquietudine, quanto sia tesa.
Aggrotto le sopracciglia, mentre lei deglutisce e si volta nuovamente
con gli occhi sul finestrino.
“Edward, non
preoccuparti. Dalle tempo. E’ la scelta migliore”
faccio un cenno in direzione di Eleazar, ringraziandolo per il suo
pensiero gentile, ma la mente è ferma sugli occhi lucidi di
mia moglie.
E’ preoccupata,
penso. E automaticamente ritorno alla valigia con i viveri che ho
portato con noi.
L’arrivo al cottage è di lì a pochi
minuti. Eleazar si propone di aiutarmi con i bagagli mentre io apro la
porta di casa con un movimento fulmineo e ritorno all’auto
mentre Bella sta aprendo la portiera dal suo lato. La sera è
molto fredda e cerco di coprirla con il mio corpo mentre saliamo i
pochi gradini che ci separano dall’ingresso.
Una volta dentro, Bella comincia a guardarsi intorno.
In
The Arms Of an Angel – Sarah McLaughlin
Kate ha provveduto a riscaldare l’ambiente prima che
arrivassimo, e nel piccolo salotto un fuoco scoppietta nel camino.
Eleazar si congeda rapidamente augurandomi buona fortuna a mente e
Bella lo saluta distratta, mentre si toglie giaccone, sciarpa e
cappello posandoli su una poltrona.
E’ ancora ferma nel mezzo del salotto, quando ritorno da lei
dopo aver portato le nostre valigie al piano superiore.
«E’ carino qui» mormora a voce bassa,
dandomi le spalle e fissando il fuoco.
Mi avvicino a passo umano, e da dietro le cingo la vita, poggiando il
mio mento sulla sua spalla:«Sì, è
vero»
Ruota il corpo tra le mie braccia e si porta con il viso di fronte al
mio viso, allacciando le mani dietro al mio collo.
Si alza sulle punte e mi bacia delicatamente sulle labbra.
Quando si discosta, mi osserva intensamente ed io di rimando.
«Sei molto stanca. Perché non vai su a
rinfrescarti un po’? Io preparo la cena, intanto»
le suggerisco con tono dolce.
«Ok. Non ci metterò molto» e con un
sorriso, esce dalla stanza per dirigersi in camera da letto.
Con rapidità apparecchio il tavolo in soggiorno,
lì dove il calore del camino è più
intenso e preparo un’omelette.
Dopo che l’acqua della doccia smette di scorrere, porto il
piatto in tavola con il pane riscaldato in forno e una bottiglia di
vino rosso.
Ma trascorrono dieci minuti e Bella non scende.
Decido di salire e, fuori dalla porta della camera da letto, resto in
ascolto.
Silenzio.
Busso leggermente :«Bella, è tutto ok? Posso
entrare?» e faccio capolino dalla porta.
Bella è distesa sul letto, in accappatoio e dorme
profondamente.
Mi avvicino silenziosamente e osservo i suoi capelli scompigliati sul
cuscino, il suo viso disteso e sereno nel sonno.
Con leggerezza, tento di toglierle l’accappatoio umido e di
farle indossare qualcosa di asciutto, ma subito lei si sveglia.
Sbatte le palpebre un paio di volte e si guarda intorno incerta, non
riconoscendo la stanza in cui si trova.
Poi riposa gli occhi su di me:«Mi … mi sono
addormentata» sussurra «scusami».
Mi siedo sul letto al suo fianco e le sfioro una
guancia:«Tranquilla, fa niente. Devi mettere qualcosa di
asciutto, però. Altrimenti ti ammalerai» mormoro
piano.
«Credo che tu abbia ragione» dice dopo un attimo
«faccio subito e poi scendo» e si alza dal letto
avvicinandosi alle valigie.
Rovista un po’ al loro interno e poi si blocca.
«Cos’è questo?» dice, alzando
la borsa speciale, piccola, nera e imbottita.
La raggiungo e mi posiziono al suo fianco:«Morfina»
dico.
Riporta lo sguardo per una frazione di secondo sulla borsa e poi me la
porge, con gli occhi bassi, senza dir nulla.
Afferro la borsetta e lei si allontana da me verso la sua valigia,
riprendendo a rovistarci dentro. Seguo il suo movimento solo con lo
sguardo, la borsa ancora fra le mani.
«Bella, è solo una precauzione. Non è
detto che la useremo» sottolineo, cercando di rassicurarla.
Ferma le mani ai lati della valigia e abbassa la testa:«Lo so
che è … sciocco da parte mia, ma … io
non voglio che tu me la somministri» sussurra in un alito di
voce.
Mi porto di fronte a lei e le spingo il mento in su
delicatamente:«Bella, puoi cambiare idea in qualunque
momento. Io non ti farò nessuna pressione. Non hai firmato
un contratto che dica che devi trasformarti per forza.
Aspetteremo» concludo e le mie parole sono accorate. Sento
l’urgenza premere nel mio petto e mi devo trattenere per non
stringere le mani sul suo corpo, gesto automatico che accompagna il mio
fervore.
Mi guarda confusa prima in un occhio, poi nell’altro.
«Stringimi» mormora «Stringimi,
Edward» ripete, le braccia lungo i suoi fianchi.
Assecondo la sua richiesta immediatamente, eco del mio bisogno di lei.
Restiamo così, fermi, abbracciati, senza dir nulla.
«Io … vorrei che l’ultima cosa che
ricordo sia tu, non un ago» mormora roca, poi porta il capo
all’indietro per cercare i miei occhi «non mi
importa del dopo … se ce l’avete fatta tutti,
posso farcela anche io» e il cuore mi si stringe in una morsa
guardandola in quegli occhi enormi e sinceri.
Annuisco con un unico cenno del capo.
Poggia la testa sul mio petto e ondeggia piano sui suoi piedi, come se
stesse ballando una danza lenta, stringendomi con tutta la sua forza.
«Non voglio più aspettare» mormora
contro la mia maglia ed il mio respiro si blocca.
«Qui, qui è il posto dove voglio essere per tutto
il resto della mia esistenza. Nelle tue braccia. Nelle braccia di un
angelo» continua mentre i miei occhi si chiudono alle sue
parole.
«Sei sicura, Bella?» sussurro con la voce
più bassa che abbia mai avuto in tutta la mia vita.
«Sì. Sono pronta» alita contro il mio
petto e poi rialza il capo a guardarmi.
Riapro gli occhi per immergermi nei suoi, dolcissimi, nocciola, vivi.
«Saranno le mie labbra l’ultima cosa che
ricorderai. Te lo prometto, amore mio».
E mentre le sue palpebre si abbassano, con una carezza percorro la
lunghezza del suo collo, scostandole i capelli e lasciando che lo
reclini verso la mia spalla.
Con un unico movimento, scendo sulla sua pelle, la respiro, sfiorandola
appena con le labbra.
Trovo il punto in cui il suo sangue pompa furioso e chiudo gli occhi a
mia volta.
E, dopo un attimo, la mordo.
FINE
NOTA
DELL’AUTRICE:
Non sono brava in queste
cose, non lo sono mai stata.
Per questo
cercherò di non dilungarmi più del necessario.
Ho scoperto di voler
scrivere per caso, quando, bloccata in casa (o meglio a letto) per
problemi con la mia seconda gravidanza, sono incappata su Efp.
Da quando ho cominciato a
farlo non mi sono più fermata. Più di una
passione, parlerei di necessità.
Come dice una carissima
persona che ho apprezzato da subito, “scrivere è
come respirare”. Cara Mirya, lo è davvero. Grazie
per le nostre chiacchierate “filosofiche”per aver
dedicato parte del tuo prezioso tempo (ancor più prezioso
perché sei una super mamma!) alla lettura della mia storia,
per avermi espresso la tua opinione in maniera schietta, ma sempre
corretta e gentile. Grazie per essere riuscita ad arrivare fino a qui.
Questa storia si
conclude. Non posso negarvi che digitare quelle quattro lettere mi sia
costato in maniera indicibile e la parola “Fine” ha
faticato enormemente a trovare la sua strada dal mio cuore al monitor
del mio pc.
Vorrei ringraziarvi.
Tutti.
Chi mi segue fin
dall’inizio, chi ha cominciato a farlo solo da poco, chi mi
ha sempre recensito, chi l’ha fatto di rado, chi non
l’ha mai fatto ma ha solo letto.
Per questi ultimi mi
auguro sempre che il tempo sia stato loro nemico ma che, intimamente,
abbiano trovato questa fan fiction di loro gradimento.
Ringrazio gli amici di
facebook e coloro che mi seguono tutti i giorni su twitter.
Nonostante abbia lasciato
alcune dediche ad
personam per certi capitoli, ne avrei voluto scrivere in
numero sufficiente per potervi regalare un capitolo a testa. E nel
timore di dimenticare qualcuno non vi citerò singolarmente,
eccetto che per due persone. Il mio rapporto con loro ha bucato lo
schermo ed il tempo che trascorro su Efp. Spero che nessuno se ne abbia
a male se spendo due parole per loro.
Francesca,
sei la lettrice ideale. Sempre acuta, sensibile. Non hai mai
dimenticato di esprimere il tuo gradimento nemmeno per un capitolo.
Mai.
Ed ogni volta che
l’hai fatto, hai avuto sempre una parola di conforto e di
lode per me. L’ho apprezzato più di quanto possa
esprimere in questa sede.
Oltre alla tua spiccata
sensibilità, apprezzo molto anche la tua lealtà,
una dote che molto di rado ho riscontrato nelle persone di mia
conoscenza.
Camilla.
Parole semplici da dirti non bastano e non sarebbero mai sufficienti.
Poche, pochissime volte ho trovato una tale affinità
d’animo con un’altra persona, come è
successo con te.
La nostra reciproca
“psicoterapia” quotidiana è ormai parte
integrante delle mie giornate e di questo non sarò mai
abbastanza grata ad Efp che mi ha dato modo di conoscere una persona
speciale come te. I love you, baby.
Questa storia, iniziata
per gioco si è arricchita volta per volta di emozioni, di
riflessioni, di sensazioni che parlano di me e che spero vi abbiano
mostrato un piccolo scorcio del mio intimo. Anche solo attraverso una
canzone che vi ho linkato o una situazione che vi ho descritto.
Se sono arrivata fino a
qui oggi, lo devo a voi tutti, lettori, ma in particolare a queste due
ragazze, Francesca e Camilla.
A loro, è
dedicata “In the arms of the angel”
Grazie.
M.Luisa
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