Mistero di capodanno
Personaggi
Bartimeus Kalops: banchiere.
Katriona Kalops: moglie di Bartimeus.
Diana Kalops: figlia di Bartimeus e Katriona.
Percival Dum: sceriffo di Aglarian.
Philip Percy Solder: socio di messer Kalops.
Gill Barder: direttore della banca di Aglarian.
Clem Hardfist Moriarty: cassiere della banca di Aglarian.
Lord Bailey Windström: gentiluomo di Elosbrand.
Beltzin: maggiordomo di Lord Bailey.
Blackwind: celebre ladro.
Prologo
Il timido sole di un’alba gelida fece capolino dall’orizzonte,
avvampando di bianchissima luce i campi brinati. Sulla strada deserta
solo una lussuosa carrozza avanzava lentamente, seguita da due cavalli
impastoiati, senza cavaliere. In lontananza, il tenue luccichio del
mare lontano si perdeva ai confini dell’inverno mentre tremuli
cinguettii provenivano dai boschi vicini. Un cielo insolitamente sereno
osservava glaciale i miseri sforzi dei mortali che lottavano
strenuamente contro la morsa della stagione.
Dentro la carrozza, due figure intabarrate nei mantelli, sedevano sui
morbidi divani. Una guardava fuori, da uno spiraglio appena aperto
negli scuri mentre l’altra pareva dormire placidamente.
«Bene, principale, pare che la meta si avvicini. Dovremmo arrivare ad
Aglarian nel giro di un paio d’ore».
Sotto il cappuccio dell’altra figura un occhio che, se non fosse stato
velato dal sonno, avrebbe dovuto essere di un verde profondo, si aprì.
«Ma che ore sono?».
«Il sole sbuca ora dall’orizzonte …».
Dal cappuccio emerse un prolungato sbadiglio.
«Mi svegli all’alba per questo?».
«Avanti, principale, non essere così pigro! Oggi è una giornata
stupenda».
«Mi fido di te. Non c’è bisogno che io verifichi. Poi mi racconti, quel
che mi sono perso … quando arriviamo».
Si tirò il cappuccio sugli occhi e si accoccolò meglio sul divano,
riprendendo a dormire. Il suo compagno gli lanciò un’occhiata
disgustata, poi tornò a guardare il panorama, spalancando gli scuri.
«Beltzin, ti venga un accidente! Mi vuoi assiderare?».
«Aria pura, caro mio, mica quei miasmi cittadini …».
«Il cielo ti fulmini. Fa freddo!». Nel dir questo si strinse ancor più
nel mantello.
«Ti sta bene, così impari a trascinarmi in questo miserabile borgo
minerario».
«Innanzitutto, se fossi stato tu a chiamarmi, sarei partito allo stesso
modo, in secondo luogo sei il mio maggiordomo e fai quel che ti dico».
«Primo, io non sarei mai vissuto in un simile buco. Almeno avresti
fatto un viaggio in un bel posto. Secondo, vergognati a trattare così i
tuoi dipendenti. Ma poi chi diavolo è questo tizio?».
Dal cappuccio fuoriuscì un sospiro rassegnato e l’uomo si rizzò a
sedere.
«Bartimeus? Ti piacerà, vedrai. L’ho conosciuto anni or sono, quando
muovevo i miei primi passi a Elosbrand e Blackwind era ancora là da
venire. È un uomo maledettamente in gamba, intelligente e generoso.
Solo, mi chiedo quale sia il problema che Katriona intende sottopormi.
Da quel che capisco c'è qualcosa che la turba».
«Mi stai dicendo che non è stato lui a invitarti?».
«A dire la verità, è stata sua moglie a scrivermi. E il tono della sua
lettera mi fa temere che ci siano difficoltà».
«Sarebbe a dire che andiamo in caccia di guai?».
«Non proprio. Qualcosa non deve andare nel verso giusto ma, per quanto
ne so, Bartimeus e sua moglie godono di ottima salute e la loro bambina
dovrebbe ormai essere una bella ragazza».
«Forse hanno problemi negli affari».
«Scherzi? Il mio amico è diventato il principale banchiere della
regione. Mi risulta che viva in una splendida villa poco fuori città».
«Non chiamare città quello sputo di paese. Ci sono passato qualche anno
fa ed è di uno squallore impressionante».
La figura avvolta nel mantello sbuffò d'impazienza.
«Ti ricordo che è il principale centro minerario della regione».
«Esatto! Un nido di talpe. Buchi dappertutto, polvere, sporcizia».
«E ferro, e oro».
«Come tu mi insegni, caro principale, il modo migliore di procurarsi
l’oro non è scavare».
«Mi fai venire i rimorsi. Se penso che quando ti ho assunto eri un così
bravo ragazzo …».
«Già, bravo, onesto e di sano appetito».
Un ordine perentorio fece arrestare la carrozza e i due viaggiatori
scesero per sgranchirsi le gambe e consumare una ricca colazione.
Vecchi amici
Il centro minerario di Aglarian era un popoloso villaggio in rapida
espansione, certamente destinato a diventare presto una piccola città.
Da quando, oltre alle ricchissime miniere di ferro, sulle colline
settentrionali era stato trovato anche l’oro, non passava giorno che
nuovi coloni giungessero in paese in cerca di fortuna. Anche quella
mattina erano arrivati un paio di carri alquanto male in arnese che non
suscitarono il minimo interesse nei cittadini industriosi. Fece rumore,
invece, l'arrivo di un'elegante carrozza con due gentiluomini a bordo.
Quando il cocchio si arrestò nella piazza principale del paese, una
piccola folla si era già radunata per vedere chi mai fossero i nuovi
arrivati.
Un mormorio accolse il primo a scendere dalla carrozza, un uomo biondo,
alto ed elegante, vestito con una livrea impeccabile, decisamente più
preziosa del miglior abito della stragrande maggioranza dei buoni
cittadini di quel borgo. Il mormorio aumentò di volume quando anche
l'altro gentiluomo uscì dallo sportello adornato da un elegante
monogramma costituito dalle lettere B e W intrecciate. Quest'ultimo
individuo era di altezza media, vestito con un'elegantissima guarnacca
azzurra sulla quale era drappeggiato un candido mantello di morbida
lana, orlato di pelliccia e fermato da una spilla d'oro tempestata di
pietre preziose. Un cappello a tesa larga, adornato da una splendida
piuma rossa, gli copriva i capelli corvini e teneva in ombra parte del
volto. Portava un elegante bastone da passeggio dal manico d'avorio,
del quale non pareva avere assolutamente bisogno, tanto elegante e
disinvolto era il suo incedere.
Lo sceriffo del paese si avvicinò ai due nuovi arrivati con un pizzico
di titubanza.
«Buongiorno messeri, sono lo sceriffo Percival Dump, con chi ho l'onore
di parlare?».
Lo straniero alto guardò con studiata sufficienza l'interlocutore.
«Questo gentiluomo è lord Bailey Windström e io sono Beltzin, il suo
maggiordomo. Siamo attesi da messer Kalops».
La folla si disperse rapidamente ma non abbastanza perché ai due
viaggiatori non giungessero evidenti mugugni fra i quali si distingueva
soprattutto la parola “strozzino”.
«Se gli sguardi potessero uccidere, saremmo già belli stecchiti, te ne
sei accorto?». Mormorò Beltzin all'azzimato damerino che stava
salutando lo sceriffo con un elegante inchino.
«Non capisco». Sussurrò lord Bailey, «Si comportano come se avessimo
nominato il diavolo».
Lo sceriffo rispose piuttosto rigidamente al saluto e, accampando
improrogabili impegni, si allontanò a passo svelto.
«Ho l’impressione che i guai arriveranno anche prima del previsto».
Beltzin appariva decisamente perplesso. I suoi occhi acuti osservavano
attentamente le espressioni dei paesani e l’ostilità gli apparve
evidente.
«Il tuo amico non gode di gran popolarità, temo».
«Raccogli tutte le informazioni che puoi. Gira tutte le osterie, i
mercati, le piazze. Tutto quanto si dice su Bartimeus e la sua
famiglia».
Beltzin lo squadrò con aria scettica.
«Ti costerà, principale».
«Non m’interessa. Datti da fare».
Il maggiordomo sospirò e intascò la capace borsa di monete che lord
Bailey gli porgeva.
«E tu che fai?».
«Vado da Bartimeus sperando di capirci qualcosa».
Beltzin fece per allontanarsi, poi ci ripensò e tornò dall’afflitto
gentiluomo.
«Dubito che sia saggio abitare dal tuo amico».
«Forse hai ragione. Trova una stanza o, meglio, un appartamento da
qualche parte. La faccenda mi pare seria».
«Limiti di spesa?».
«Nessuno. In ogni caso è meglio ingraziarsi più gente possibile». Il
volto del giovane lord era nuvoloso, a dispetto del suo carattere
gioviale. Era decisamente preoccupato e Beltzin sapeva bene che questo
raramente accadeva senza un valido motivo.
«Perfetto». Aveva la tentazione di stringere la mano al suo principale
cui era vincolato più da sincera amicizia che da rapporti di lavoro ma
temette di attirare troppa attenzione con un gesto che sarebbe potuto
apparire addirittura scandaloso.
«Ci vediamo qui a mezzogiorno».
«Dubito di portarti molte notizie in tre ore».
«Porta quel che puoi. A dopo, amico mio».
Il gentiluomo si voltò e liberò il suo cavallo dalla carrozza. Diede
ordine al cocchiere di provvedere agli animali e montò in sella, deciso
a percorrere rapidamente la strada che conduceva alla villa di
Bartimeus. Aveva percorso pochi metri che vide un gruppetto di persone
uscire da un edificio dall’aria severa.
«Bartimeus!».
Un uomo alto e magro, dal profilo aquilino, vestito austeramente con
una vecchia gamurra grigia, si staccò dagli altri aguzzando lo sguardo.
«Lord Bailey?».
Il giovane balzò giù di sella, per correre a salutare il banchiere.
«Sono io, Bartimeus! Come stai amico mio?».
L'uomo tese la mano con un certo sussiego. Il viso era atteggiato a un
sorriso di circostanza.
«Sono veramente lieto di rivederti. Come mai da queste parti?».
Il gentiluomo comprese immediatamente che i suoi sospetti erano
fondati. L’iniziativa di chiamarlo era partita dalla moglie del suo
amico e lui non doveva saperne nulla.
«Sono qui per affari e ho pensato di passare a salutarti».
«Sei veramente gentile, potresti passare da me … diciamo domani
pomeriggio, subito dopo pranzo perché poi ho alcuni appuntamenti, sai
sono davvero molto impegnato. Ora lascia che ti presenti i miei
collaboratori, signori questo è lord Bailey Windström, un ricco
gentiluomo di Elosbrand».
«Onorato di conoscervi milord». Disse un ometto smilzo dalla fulva
chioma ricciuta. «Sono Gill Barder, il direttore della banca di
proprietà di messer Kalops».
«E io sono Clem Hardfist Moriarty, il capo cassiere». Questi era un
nano di corporatura estremamente massiccia, il cui volto era
seminascosto da una monumentale barba elaboratamente arricciata che
compensava l’assoluta calvizie del capo.
«E io sono Philip Percy Solder, socio di messer Kalops». Un individuo
alto, sulla trentina, dai bei lineamenti e gli abiti ricercati accennò
un rigido inchino.
«Piacere, piacere, piacere». Lord Bailey salutò distrattamente i tre
personaggi, senza mai distogliere lo sguardo dall’amico che, invece,
pareva assai interessato dall’elegante opulenza sfoggiata dal
gentiluomo.
«Ora devo andare, abbiamo alcuni crediti da riscuotere. Ti aspetto
domani, subito dopo pranzo. Se vuoi, passa a salutare Katriona.
Dovrebbe essere al magazzino in fondo alla strada a controllare i conti
dei balzelli dei nostri mezzadri».
«A domani».
Lord Bailey rimase immobile, fissando incredulo il suo amico che si
allontanava parlando fittamente con i suoi compagni. Aveva immaginato
molto diverso quel primo incontro dopo tanti anni.
«Ciao, vedo che l’hai già incontrato».
La voce di contralto che proveniva dalle sue spalle suonava rotta
dall’emozione. Katriona era comparsa subito dopo che il marito aveva
girato l’angolo della strada, come se avesse atteso esattamente quel
momento.
Lord Bailey era allibito ma salutò con affetto la cara amica di un
tempo che, d’improvviso, gli era apparso terribilmente lontano.
«Ciao, Kat. Sei splendida, come sempre! Non posso dire lo stesso di tuo
marito. Ma cosa sta succedendo? Bartimeus così freddo … non lo
riconosco più».
Lord Bailey non era stato del tutto sincero. La donna di fronte a lui,
sebbene dovesse essere stata assai bella, appariva trascurata e portava
evidenti i segni dell’età. Vestiva semplicemente, come il marito, senza
la minima frivolezza né un gioiello. I capelli color dell’oro erano
striati di grigio. Un’ombra di tristezza le velava lo sguardo.
«Ci sei rimasto male, vero?».
«Male è dir poco. Ma com’è possibile?».
«Ormai sono anni che non è più lui».
Il giovane prese sottobraccio la dama e continuò a parlare sottovoce.
«Facciamo due passi, raccontami tutto, Kat».
«C'è poco da raccontare. Vive per i suoi affari e crede che questo sia
il suo dovere anche verso di noi. Figurati che, quando Diana ha
compiuto dodici anni, le ha regalato un deposito in banca. Povera
piccola, ha pianto per una settimana. Sai che la obbliga a dargli del
voi e chiamarlo signor padre?».
La costernazione di lord Bailey, se possibile, aumentò dell'altro.
«Com’è stato possibile? Kat, tuo marito era un uomo disinteressato e
generoso, aveva un’adorazione per te e Diana. Non riesco a capire».
«Non lo so. A furia di frequentare uomini d’affari, facoltosi avaracci
e di accumulare ricchezza, è diventato così. Ormai è un banchiere e gli
affari sono il suo solo interesse. Pensa che ha deciso di fidanzare
Diana a un orribile lord pieno di terre e spocchia. Lei ne è
disgustata. Sono anni che non sorride più. Mi dispiace ma io devo
proteggerla a qualsiasi costo».
«Proverò a parlargli».
«Perderai tempo. Credi che non ci abbia provato in questi anni? Non
vuol sentire ragioni. Non vede altro che bilanci e profitti. Questa è
la sua vita, ormai».
Il giovane si fermò per guardare negli occhi l'amica.
«Deve esserci un modo. Kat, perché mi hai chiamato? Come vi posso
aiutare?».
«Portaci via di qui».
«Cosa?». Il volto di lord Bailey divenne terreo.
«Portaci lontano, a Aglagond o a Krünhand. Dove mia figlia ed io si
possa tornare a vivere. Dove lo possiamo dimenticare. Lo odio!».
«Katriona! Sai benissimo che non è vero. Tu non puoi odiarlo».
«Forse no. Ma se resto qui finirò per fare una sciocchezza. Portaci
via, ti prego».
«Come puoi pensare di abbandonarlo?».
«Lui ci ha già abbandonate».
Passeggiando, erano usciti dal borgo e avevano raggiunto un'edicola
diroccata che probabilmente aveva contenuto un'icona di Telgëa, la dea
dell'agricoltura adorata in quei paraggi, almeno fin quando le attività
minerarie non avevano soppiantato quelle agricole.
Il gentiluomo sedette su un grosso masso al margine della strada.
«Io … Kat, non posso! Non posso tradire così Bartimeus!».
«Lui ha tradito noi. E te. E se stesso».
«Deve esserci un’altra soluzione».
«Non c’è. Sapessi quante notti insonni ho speso a cercare un sistema
per farlo tornare quello che era. Non c’è modo. Se avessi visto anche
solo un barlume di speranza, avrei fatto qualsiasi cosa per aiutarlo.
Ma non c’è nulla da fare. Lui ormai è solo una macchina per far soldi».
«Ascolta, Kat, dammi qualche giorno di tempo. Fammi cercare un modo. Se
non lo troverò vi porterò via di qui, te lo prometto».
La donna lo guardò attraverso le lacrime.
«L’anno termina fra sei giorni. Aspetterò fino ad allora. Il primo
giorno del prossimo anno, se lui non sarà cambiato completamente, io
partirò di qui e porterò via mia figlia».
«Va bene, Kat. Farò di tutto per farlo tornare quel che era».
La vide allontanarsi fiera ed eretta. Eppure doveva soffrire
terribilmente. Ricordò quanto fossero innamorati i suoi amici e come
Bartimeus si beasse a giocare con la bimba. Si sentì sopraffare
dall’angoscia.
Come può cambiare in fretta il cuore
di un uomo!
Sospirò e sedette di nuovo sulla roccia. Aveva bisogno di pensare. E
capire.
Mezzogiorno era già passato quando lord Bailey si rese conto di essere
in ritardo. Balzò in piedi e montò in sella, per tornare al galoppo in
paese. Beltzin lo attendeva con un’espressione burrascosa sul volto.
«Ascoltami bene, principale. Il tuo caro amico Bartimeus è un emerito
figlio di un cane. Qui lo detestano tutti».
«Purtroppo lo so». La voce di lord Bailey era estremamente avvilita.
«Io non so cosa siamo venuti a fare in questo buco di paese. È uno
strozzino della peggior specie, avaro, insensibile. Pensa che tutte le
volte che scrocca una cena a qualcuno, dà la serata libera alla servitù
e la defalca dallo stipendio. È capace di tutto pur di arricchirsi.
Rigido e intransigente, specialmente con quelle povere creature di sua
moglie e sua figlia che sono obbligate a dargli sempre del voi.
Oltretutto le fa vivere come due miserabili. Pensa solo ad accumulare
oro. Sarebbe una vittima perfetta per Blackwind».
Un’ombra passò sul bel volto del gentiluomo. Era vero. Come era vero
che lui era Blackwind, il celebre bandito che aveva più volte derubato
e beffato gente spaventosamente simile a quel che Bartimeus era
diventato. Le implicazioni di tutto ciò lo turbavano più di quanto non
fosse disposto ad ammettere con se stesso.
«Non potrei farlo. Per me era quasi un fratello».
«Bene. Allora sappi che tuo fratello è un emerito figlio di puttana».
In altri momenti, lord Bailey avrebbe riso davanti all’insolenza del
maggiordomo. Invece parve non averlo nemmeno ascoltato.
«Ascolta, Beltzin, io devo fare qualcosa».
«Certamente, rimonta in carrozza e torniamocene a casa, facciamo ancora
in tempo per la festa di fine anno al Senato».
Beltzin cominciava ad agitarsi. Quando il suo principale si metteva in
testa certe idee, lui finiva regolarmente per andarci di mezzo. D’altra
parte, non aveva mai avuto serie ragioni di lamentarsene, visto che
finiva sempre per guadagnarci lautamente. Ma quella volta non c’erano
guadagni in vista. Solo noie.
«Non dire assurdità. Comincio ad avere un’idea». Gli occhi profondi
studiarono l’espressione ombrosa del maggiordomo.
«Non mi piace quando mi guardi così».
«Ascoltami bene, dobbiamo mettere in scena una piccola commedia di fine
anno».
«Scordatene. Ho altri programmi».
«Annullali. Tu sarai il regista e io l’impresario. Dobbiamo reclutare
una decina di comparse e studiare qualche colpo di teatro. Ho bisogno
del tuo aiuto».
«Quanto?». In realtà il maggiordomo non si sarebbe perso quell’impresa
per nessuna ragione al mondo ma avrebbe preferito affrontare la tortura
piuttosto di ammetterlo davanti al gentiluomo.
«Mille».
«Cinquemila».
«Duemila, non una moneta di più».
«Allora arrangiati». Beltzin adorava quelle contrattazioni.
«Mi lasceresti in un simile guaio?».
«Non mi piace lavorare per un avaro».
«Duemilacinquecento più le spese».
«Ora cominciamo a ragionare».
Festa di Fine Anno
Sonno.
La cena offerta dal giovane gentiluomo si era protratta fino a tardi,
tanto che Katriona e Diana erano state riaccompagnate a casa a un’ora
più consona a delle dame di specchiata rispettabilità. Nonostante gli
sforzi di lord Bailey, quella sera l’allegria non era riuscita a
sbocciare. La rigida etichetta che Bartimeus usava rispettare in quelle
occasioni rendeva tutto innaturale. E le due donne parevano risentirne
particolarmente.
Il banchiere sapeva che non erano felici ma era fermamente convinto
che, in futuro, lo avrebbero ringraziato di quanto faceva per loro, in
particolare Diana. Erano diventate le dame più ricche di quelle
contrade e i maggiorenti avrebbero fatto carte false per la mano della
figlia di Bartimeus Kalops. Sì, decisamente, lo avrebbero dovuto
ringraziare.
Si era trattenuto fino a quell’ora tarda nella speranza di coinvolgere
il vecchio amico in qualche speculazione finanziaria ma i suoi sforzi
risultarono vani. Anzi, le chiacchiere di lord Bailey lo avevano
alquanto innervosito. Si era più volte chiesto come avesse fatto a
stringere quell’amicizia, anni prima.
Quell’indolente damerino aveva raccontato storie di fantasmi per tutta
la sera e il banchiere se le era sorbite tutte esclusivamente per
ingraziarsi quel potenziale facoltoso cliente. Ora però era stanco e
inquieto. Si sentiva strano, quella sera. Fra l’altro, aveva la
sensazione di avere bevuto forse troppo. Eppure era stato attento a non
esagerare.
Giunto al cancello della villa si sentì un po’ meglio. Finalmente la
serata era terminata e si sarebbe potuto rifugiare nel proprio letto.
Stava per suonare la campana quando gli sovvenne di aver dato la serata
libera alla servitù, come sempre quando cenava fuori, per risparmiare.
Estrasse la chiave e armeggiò un po’ con la serratura. Lentamente, in
lui cominciò a montare l’ansia. La chiave non funzionava.
Dalle sue labbra uscirono variopinte imprecazioni soffocate. Cercò di
forzare la toppa ma non concluse nulla. Scagliò al suolo la chiave con
una violenta bestemmia. Avrebbe dovuto attendere il rientro di qualcuno
dei servi. Forse fino all’alba. Maledì la sua abitudine di licenziare
la servitù quando usciva la sera. Sarebbe stato opportuno che almeno
uno rimanesse ad attenderlo. Pazienza per la paga, sarebbero stati
soldi ben spesi.
Si accoccolò sotto un albero, davanti al cancello, avvolgendosi bene
nel mantello. La serata, già rigida, stava diventando freddissima. Era
lì da una ventina di minuti, quando vide una figura avvicinarsi con
passo sicuro al cancello. Era un uomo più o meno della sua taglia, più
o meno vestito come lui. Più o meno. Gli abiti di quel tizio apparivano
nuovi e perfettamente in ordine. Bartimeus osservava un po’ stupito
quell’individuo che si stava avvicinando al cancello senza dar segno di
essersi accorto di lui. Il suo stupore si accrebbe quando il misterioso
figuro suonò con sicurezza la campana. E rimase paralizzato dalla
sorpresa quando vide emergere dall’ombra il portinaio che si affrettò
ad aprire e a far entrare quel tipo come se fosse stato uno di casa.
Dopo un attimo senza parole, Bartimeus si rialzò e corse al cancello.
«Ehi! Aprite! Sono io! Il padrone!».
Nessuno rispose alle sue invocazioni, eppure poteva vedere benissimo lo
sconosciuto che camminava verso il portone, scortato dal portinaio col
quale pareva chiacchierare amichevolmente. Per un attimo temette di
essersi sbagliato, che quella non fosse la sua casa e quello non fosse
il suo servo. Ma quella era assolutamente la sua casa. Lo stupore
lasciò il posto alla rabbia e Bartimeus si attaccò alla catena della
campana. Nulla. Per quanti sforzi facesse, la campana non si muoveva né
emetteva alcun suono.
«Ehi! Maledizione, aprite! Maledetti mangiapane a ufo, aprite!».
Il profondo silenzio della campagna fu l’unica risposta alle sue grida.
Intanto, l’estraneo aveva raggiunto e varcato il portone che si
richiuse alle sue spalle. Una rabbia sorda invase il banchiere. Come
poteva accadere una cosa del genere? Come poteva un perfetto
sconosciuto farla da padrone in casa sua? Un brivido lo scosse. Non
l’avrebbe permesso.
Si arrampicò con enorme fatica sul cancello e riuscì goffamente a
scavalcarlo. Quando, alla fine, ricadde sull’erba del parco, si sentì
terribilmente stanco. La testa gli girava vorticosamente. Il vento gli
turbinava nelle orecchie. Pure, si rialzò in piedi e avanzò fino al
portone. Lo trovò chiuso e la chiave non funzionava, esattamente come
era successo al cancello. Lo tempestò di pugni e urla. Invano.
«È un incubo. Certo. Ora mi sveglio e tutto scompare». Si sedette sui
gradini, sfinito. Chiuse gli occhi. Li riaprì. Nulla da fare. Non era
nel suo letto. Era ancora sul marmo gelido della scalinata. Rabbrividì.
La testa gli girava vorticosamente. Perché il cuore gli batteva così?
Si alzò tremante, non sapeva neppure se di freddo o di rabbia.
Si avvicinò a una finestra illuminata, maledicendo le pesanti sbarre
che lo tenevano tanto lontano dai vetri. Guardò dentro. Il cuore gli
fece male.
Lo sconosciuto, che aveva con lui una fastidiosa somiglianza, era
seduto al tavolo, tenendo sua figlia fra le braccia, mentre sua moglie
lo guardava con occhi adoranti.
Urlò ma nessun suono uscì dalle sue labbra livide.
Cadde seduto sul prato. Un’angoscia indescrivibile lo aveva pervaso.
Sua figlia. Ma Diana aveva ormai quindici anni. E quella dietro i vetri
della finestra era una bambina.
Ma perché quel misterioso individuo gli assomigliava tanto? E perché
stava cullando quella bambina?
Ma era la sua bambina. E non di quel tipo.
La sua.
Tutto si fece buio.
***
Freddo.
Cosa diavolo stava accadendo?
Aprì gli occhi e si sentì sollevare il cuore. Era stato un sogno. Era
ancora sotto l’albero, fuori del cancello di casa. Aveva sognato un
episodio di tanti anni prima. Tanti. Troppi. Da quando non faceva una
carezza a sua figlia? Frivolezze. Sua figlia avrebbe avuto una dote
sontuosa e avrebbe sposato un nobiluomo e condotto una vita da signora.
E allora lo avrebbe ringraziato. Le carezze non si portano in dote.
Però era freddo. E buio.
Si alzò faticosamente e raggiunse il cancello.
Tremava mentre inseriva la chiave nella toppa.
Si sentì esultare, quando la serratura si aprì senza difficoltà. Entrò
felice nel gelido giardino.
Il suo sguardo fu attratto da qualcosa che biancheggiava alla tremula
luce della luna. Una figura femminile. Ebbe un tuffo al cuore nel
riconoscere i capelli d’oro di sua moglie. Che ci faceva lì fuori,
avvolta da un elegante mantello che lui non le aveva mai comprato? La
chiamò ma la figura ammantata non parve udirlo. Un brivido gli percorse
la schiena.
Lo scalpiccio di un cavallo.
Un destriero nero arrivò al galoppo dall’interno del parco. Lo montava
un cavaliere dai ricchi abiti candidi, orlati di pelliccia, che si
fermò accanto a Katriona. La donna montò agilmente in sella,
accomodandosi di traverso e abbracciando il misterioso gentiluomo
biancovestito. Il cuore di Bartimeus parve spezzarsi e un dolore atroce
lo pervase quando il cavallo si allontanò al galoppo portandosi via la
sua sposa.
«Katriona!».
L’eco degli zoccoli si spense nel buio della notte. Anche la luce della
luna parve affievolirsi.
Il banchiere corse in casa, col cuore che pareva balzargli in gola a
ogni passo. Irruppe nella camera di sua moglie, trovandola deserta e
spoglia. Nulla di lei era rimasto. Neppure un biglietto d’addio.
Un gelo terribile lo avvolse.
Come un automa uscì dalla stanza e percorse il corridoio, fermandosi
davanti alla camera di sua figlia. Esitò un attimo, poi spalancò la
porta sulla stanza, anch’essa desolantemente vuota.
Corse giù dalle scale, spalancò il portone e si precipitò giù dalla
gradinata, nel parco, nel punto esatto dove aveva visto fuggire la sua
sposa. Si arrestò davanti a una lapide spoglia che biancheggiava
lugubre sotto la luna.
Bartimeus Kalops
Nessuno lo pianse perché troppi
piansero per lui.
Le ginocchia gli cedettero e tutto tornò buio.
***
Caldo.
Cos’era tutto quel baccano?
La luce del camino lo abbagliò. Intorno, voci chiassose e tanto rumore.
Era sulla poltrona, nel grande soggiorno, accanto al focolare. Il caldo
era soffocante. Si passò una mano sulla fronte madida di sudore. Sogno?
Realtà? Importava?
«Ragazzi, piano con quell’arazzo! E voi sbrigatevi col forziere!».
Si alzò stancamente, sorreggendosi alla poltrona. Lentamente, il suo
sguardo percorse la sala che un gruppo di tizi incappucciati stava
coscienziosamente svuotando, guidati da un elegante personaggio,
completamente paludato di nero.
«Oh, buonasera, messer Kalops!».
Lo sguardo apatico del banchiere si posò sul volto beffardo dell’uomo,
parzialmente coperto dalla tesa del cappello piumato.
«Chi … chi siete?».
La voce era atona, rauca. Lo sguardo perso nel vuoto.
«Mi chiamano Blackwind, messere». La voce dell’individuo vestito di
nero era limpida e ironicamente cortese.
«Tutto ciò … è opera vostra?».
Blackwind sorrise. Ma non c’era allegria nel suo sguardo.
«In parte. Ci avete messo molto del vostro, sapete? Diciamo che le …
sottrazioni sono tutte farina del mio sacco, che volete, sono la mia
specialità».
Lo sguardo inebetito del banchiere spaziò nuovamente nella sala sempre
più spoglia. Un sorriso amaro gli affiorò sulle labbra.
«Mi state svuotando la casa?».
«A che vi serve ormai?».
«A nulla. Ne convengo».
Il celebre ladro si tolse cerimoniosamente il cappello con un inchino
perfetto.
«Se permettete, allora, torno alle mie occupazioni». Si rimise il
cappello in testa e voltò le spalle a Bartimeus. Questi esitò un
attimo, poi gli corse dietro. Un impulso irrazionale lo guidava.
«Aspettate».
Blackwind si voltò lentamente.
«Sì?».
«Mia moglie … mia figlia … le avete prese voi?». Per la prima volta,
gli occhi del banchiere sorressero lo sguardo penetrante del ladro,
animati da un’assurda speranza. La voce di Blackwind suonò come una
frustata.
«Le avete perse voi, messere». Detto questo, l’uomo vestito di nero si
voltò allontanandosi. Bartimeus lo inseguì e lo costrinse a girarsi
verso di sé. Era tutto assurdo. Ma nella disperazione, anche le cose
assurde hanno un senso.
«Prendetevi tutto. La casa. Le mie ricchezze. Ma ridatemi la mia
famiglia».
«Vale tanto, per voi?».
Gli occhi stanchi e arrossati tornarono a fissare il suolo.
«Io … credo di sì». Lo sguardo si levò nuovamente per fissarsi
fermamente negli occhi del suo interlocutore. «Sì».
«Credete? Eppure i vostri affari hanno sempre la precedenza». C’era una
nota di beffarda amarezza nella voce del ladro.
«Era così. Ora … non più. Ora che non ho più nulla … non m’importa più
nulla di nulla. Solo loro hanno valore. Ridatemele, ve ne prego».
«Non è in mio potere rendervi ciò che avete perduto».
«V’imploro».
«Non dipende da me, messere. Solo da voi. Volete un’altra occasione?».
«Sì, ve ne sarò grato tutta la vita!».
Un sorriso, finalmente allegro, comparve sulle labbra del celebre
bandito. Come per magia, due coppe di vino comparvero nelle sue mani e
ne offrì una al disperato banchiere.
«E sia. Brindate con me, messer Bartimeus».
***
Luce.
L’alba. Era giorno. Le morbide coltri profumate gli comunicarono una
dolcezza infinita. Quello era il suo letto. Assurdamente sperò che
l’incubo fosse cessato.
Bartimeus scivolò esitante fuori dalle coltri e si avvicinò alla camera
di sua moglie. Quando spalancò la porta, Katriona scattò a sedere sul
letto, guardandolo con occhi ansiosi.
Lo sguardo di Bartimeus, da cupo che era, si fece radioso e balzò sulle
coperte ad abbracciare la moglie.
«Sei qui. Sei qui. Amore mio, sei qui». Bartimeus piangeva.
«Dove dovrei essere, sposo mio?». La voce rotta di pianto della moglie
suonò come un concerto d’arpe agli orecchi del banchiere.
«Mille miglia lontano da questo pezzo di cretino che non capiva che tu
e Diana siete la sua unica ricchezza. Ero un povero cieco, amore mio …
ma Diana? Dov’è?».
«Padre!». La ragazza entrò timidamente nella stanza, avvicinandosi al
letto.
«Bimba mia! Amore mio! Ma che bimba? Sei una donna, ora. E che donna!
Beato chi ti sposerà, angelo mio». Gli occhi grandi della fanciulla si
spalancarono stupiti.
«Non dovevate sceglierlo voi, padre?».
«No. No, piccina mia. E smettila di darmi del voi e chiamarmi padre.
Chiamami babbo, invece».
«Ma come? Come i plebei?». Diana non sapeva più cosa pensare.
«No. Come quelli che si amano davvero. E chi se ne frega
dell’etichetta!».
E, dopo tanti anni, Bartimeus Kalops rise.
Epilogo
La carrozza indugiava sulla strada mentre gli amici si salutavano con
tutt’altro calore di quando erano arrivati. Bartimeus Kalops,
finalmente vestito con eleganza, stava abbracciando con vigore un
imbarazzatissimo lord Bailey.
«Torna presto, amico mio, te ne prego».
«Lo spero, Bart. Eppure non mi sembravi entusiasta di rivedermi, quando
sono arrivato».
«Ero cieco, folle. Avresti dovuto andartene subito, invece … ti sono
grato, milord».
«Di cosa?». Il volto espressivo del giovane si atteggiò a divertito
stupore.
«Non so. So che tu c’entri qualcosa. So che mi hai salvato».
«Ora non esagerare».
«Io so che mi hai salvato. So
anche che dovrei gonfiarti di botte ma sono dannatamente felice che tu
… mi abbia organizzato la più incredibile festa di fine anno che si
possa immaginare».
«Quante storie per una cena». Gli occhi verdi del giovane lord erano
stranamente lucidi.
«… della quale io sono stato la portata principale. Non so come hai
fatto ma non mi basterebbe una vita per ringraziarti. Tutto ciò che ho
è tuo, amico mio».
«Tutto ciò che hai è tuo. Vedi di farne buon uso, d’ora in poi».
«Puoi contarci. Ti aspetto al più presto possibile».
Katriona aveva gli occhi arrossati quando abbracciò lord Bailey il
quale pareva, a sua volta, visibilmente emozionato.
«Sei stato incredibile. Ancora non riesco a crederci».
«Senza il tuo aiuto e quello di Diana non ci sarei mai riuscito».
«Senza di te io avrei perso mio marito e Diana suo padre».
«Bada a lui, Kat. Ha bisogno di te».
Il nobiluomo si staccò dall’abbraccio e alzò gli occhi verso il portone
della villa dei Kalops. La giovane Diana lo stava salutando con gli
occhi finalmente sorridenti. Le mandò un bacio, subito ricambiato, poi
salì sulla carrozza, dove il suo maggiordomo lo stava aspettando con un
ghigno sardonico dipinto sul viso. Quando il cocchio ebbe varcato il
cancello della villa, Beltzin ridacchiò.
«Senza il tuo aiuto non ci sarei mai
riuscito. Faccia di bronzo. E il mio aiuto?».
«Sei stato in gamba, devo riconoscerlo».
«Come avresti fatto senza di me? Guarda che non è stato per nulla
facile, sai?».
«Ti ricordo che il piano è tutto opera mia».
«Già. E come lo avresti realizzato, senza il mio impagabile aiuto?».
«Ora non esagerare. Cos’avresti fatto di tanto straordinario?».
«Chi ha trovato la bambina tanto simile a Diana da piccola? E la
lapide? Quella è stato un colpo di genio!».
«E chi ha sostituito le chiavi di Bartimeus, allora? E chi gli ha
drogato il vino per far sì che perdesse il senso della realtà? E la
doppia campana?».
«Ovvìa, per Blackwind è stata una sciocchezza. Piuttosto, io in quattro
giorni ti ho trovato tutti gli attori per la tua commediola. E non hai
idea di quanto mi sia costato!».
«Guarda che ho pagato io».
«Ma io parlavo del costo intellettuale, una fatica tutt’altro che
remunerata».
«Stai diventando avido. Finirai come Bartimeus».
«Può darsi, principale. Nel caso, ti prego vivamente di non provare a
fare a me lo scherzo che hai giocato a lui».
Note:
1) La storia è rispettosamente ispirata al meraviglioso racconto di C.
Dickens “A Christmas Carol”. Ovviamente, in un’ambientazione non
cristiana, il riferimento al Natale si perde e ho scelto il capodanno
in quanto allegoria di cambiamento e rinascita. Incipit vita nova.
2) Il Bartimeus in questione non è un djinn e non ha nulla a che vedere
con l’opera di Stroud, semmai è riconducibile a un personaggio e un
autore decisamente più antichi, il cieco di Gerico del Vangelo di S.
Marco.
3) Beltzin è un PG del mio carissimo amico Maurizio, cui dedico questo
racconto con gratitudine per le innumerevoli e meravigliose serate di
RPG (poco) e bischerate (tante) trascorse insieme.
|