Un
paio di precisazioni prima di iniziare. Bisogna specificare che io non sono mai stato un grande fan di Naruto, e dubito
fortemente che lo sarò mai. Questa fanfiction è stata scritta come regalo per la
celeberrima Valy_Chan (nemmeno lei è una fan di Naruto, ma tralasciamo xD).
Fatto sta che mi sono ritrovato tra le mani una coppia sconosciuta di un fandom
quasi sconosciuto, quindi perdonate eventuali imprecisioni, errori o eresie.
L’accostamentro
“Triste” e “Commedia”, poi, non è purtroppo uno scherzo. Inizialmente avevo
un’idea per lo sviluppo della fanfiction, poi scartata per un’altra meno
tragica xD Certo, fingerò sempre di essere stato ispirato durante una notte
insonne e che il cambio di stile sia voluto e che simboleggi qualcosa di molto
arcano...
Già
che ci sono, visto che è ancora il 24, auguri di nuovo, Valy!
A Matter of Priorities
La luce soffusa delle lampade colorate disegnava
nell’oscurità della stanza le sue scaglie rosse e gialle, filtrando attraverso
le fessure della vecchia porta di vimini. Illuminate in modo irregolare, le
pareti erano coperte di ombre che apparivano e sparivano in modo imprevedibile;
Shikamaru si sforzò di non guardarle. Ogni volta che apriva gli occhi, quelle
parevano prendere forme umane, rendendo l’intera stanza un macabro teatro delle
vicende degli ultimi giorni.
Qualche ora prima, con i loro sguardi compassionevoli e i
loro sorrisi ipocriti, i medici gli avevano consigliato di riposare. Come
potevano aspettarsi che dormisse, dopo quello che era successo? Nel sonno, le
luci diventavano chiazze di sangue, e il vociare della gente sulle strade si
trasformava in un continuo lamento agonizzante.
Per un momento odiò il villaggio intero. Odiò tutta quella
gente là fuori, che ballava e festeggiava come se nulla fosse successo, ignara
delle vite perdute e del sangue versato senza motivo. Odiò Tsunade, per aver organizzato
la festa del villaggio come ogni anno, incurante di tutto.
Effettivamente, aveva sempre odiato quella festa, fin dalla
sua infanzia. Non era mai riuscito a capireper quale motivo bisognasse
rallegrarsi della fondazione del villaggio, un evento risalente a millenni
prima. Solitamente passava quell’anniversario fuori dal villaggio, sulle
colline spazzate dal vento. Là le grida della gente erano solo un mormorio
lontano, quasi sovrastato dal canto dei grilli che riempiva l’aria primaverile.
Là, da solo o insieme a Choji, aveva sempre osservato da lontano le luci del
villaggio. Era il suo personale modo di celebrare quel giorno, o forse solo
un’occasione per dimenticare la vita di tutti i giorni e trovare un po’ di
pace.
Ma non questa volta. Questa volta non poteva fuggire dal
rumore di quella festa immotivata, rinchiuso in una squallida stanza in attesa
che le sue ferite guarissero.
E le circostanze non potevano essere peggiori. Cosa aveva la
gente da festeggiare, quando lui e i suoi compagni erano stati abbandonati dal
nemico in punto di morte, a dimostrazione di una schiacciante inferiorità? Che
senso aveva celebrare la nascita di un villaggio che aveva appena palesato al
mondo una preoccupante debolezza?
Choji e Neji erano quasi morti, dopo aver deciso di
sacrificarsi per la causa.
Naruto aveva
riportato gravi ferite e aveva dimostrato una totale impotenza nei confronti
dell’avversario.
Quanto a Kiba, non era stato in grado di fare nulla fino
all’arrivo dei rinforzi da Sunagakure. Esattamente come lui.
Non erano valse nulla le sue strategie, nè la sua capacità
di improvvisazione; quella donna del Villaggio del Suono aveva risposto a ogni
sua tecnica. Se Temari non fosse arrivata poco prima della fine, gli riusciva
difficile immaginare un qualsiasi modo in cui sarebbe sopravvissuto.
La cosa peggiore era la consapevolezza di essere la causa di
tutto questo. Era stato lui a segnare la rovina di Konoha, per giunta alla sua
prima missione come Chunin. Lui aveva scelto quali Genin prendere con sè, lui
aveva deciso la strategia da adottare e assegnato le posizioni, e su di lui
ricadeva quel devastante fallimento.
Si rigirò ancora una volta sul letto, fissando la scacchiera
da Shogi appoggiata sul comodino, i pezzi bianchi e neri sparsi in maniera
confusa sulle caselle. Nella vita reale le cose erano più difficili che nelle
sue partite domenicali con Asuma. Una mossa sbagliata portava alla morte, e i
pezzi rimossi dal gioco non tornavano mai, nemmeno nelle giocate successive. Questa volta erano sopravvissuti tutti, per
una pura casualità. Ma la prossima? Probabilmente non ci sarebbe stata una
prossima. Avrebbe dato le dimissioni appena si fosse rimesso in forze, e allora
si sarebbe concentrato solo sui giochi, rifiutandosi di mettere in campo vite
umane.
Asuma ne sarebbe stato deluso, questo era certo. Non era il
solo, tra i Jonin, ad aspettarsi grandi cose da lui. Spesso lo aveva sentito
parlare con Kurenai, quando credevano di essere soli; a quanto pareva, era
supposizione comune che sarebbe stato presto invitato a far parte dei 12
guardiani del Daimyo della terra del Fuoco, o che in ogni caso arrivasse presto
al grado di Jonin e alla creazione di un nono team di shinobi.
Ma non sarebbero stati solamente loro a commentare la
notizia. Avrebbe dovuto affrontare infiniti discorsi patriottici imbevuti di
luoghi comuni da parte di Naruto, sguardi di gelida disapprovazione da Neji,
inutile compassione da Hinata. Per finire, Ino avrebbe arricchito la storia di
particolari imbarazzanti per renderla più appetibile alle anziane signore di
Konoha...
“Senza contare che, da persona sana di mente, io ti darei
del codardo.”
Shikamaru si voltò di scatto, mentre il la porta si apriva
inondando la stanza di luce rossastra. Temari era sulla soglia, con un sorriso
smagliante che prometteva solo una decina di minuti di insulti vari.
“Non sapevo avessi l’abitudine di parlare da solo, Nara”
disse avanzando minacciosamente attraverso l’ingresso. “Beh, effettivamente non
sapevo nemmeno che ti piacesse spiare Asuma e Kurenai di notte...”
Shikamaru si limitò a fissarla interdetto, indeciso se
rispondere o no alla provocazione. Alla fine, si girò nuovamente verso la
scacchiera.
“Kankuro diceva che sareste partiti prima della festa, per
evitare di trattenervi troppo a lungo” le ricordò con voce atona, nel tentativo
di cambiare discorso.
Senza aspettare un invito, Temari si sedette sulla poltrona
accanto al letto e lo guardò con aria interrogativa.
“Quello che mio fratello pensa sia opportuno non mi
riguarda. Tsunade ci deve un po’ di ospitalità, dopotutto.”
“Allora perché non...”
“... Vado a festeggiare?” Temari concluse ridendo la frase
di Shikamaru. “Sono stata lì fuori per ore, e ti assicuro che non ti stai
perdendo nulla.”
Shikamaru la osservò per qualche istante, incerto su come
rispondere. Effettivamente, non sembrava proprio il tipo da festeggiamenti
immotivati. Si domandò se non avesse ragione Choji, nel sostenere che spesso
lui e Temari si comportassero in modo identico.
“E così vuoi mollare tutto solo perché hai fallito una missione?”
riprese lei, visibilmente infastidita dal silenzio di Shikamaru.
“Non è solo questo. I miei compagni potevano morire!
Potevano morire tutti per colpa mia! Non so nemmeno se riuscirò a guardarli di
nuovo in faccia... Come ci si può aspettare che io riesca a COMANDARLI?”
“Capisco...” disse Temari, abbassando lo sguardo con
espressione imbarazzata. “Scusa, non avrei dovuto darti del codardo. Deve
essere difficile per te affrontare la situazione.”
Shikamaru le guardò il volto. Poi guardò le dita serrate
della sua mano destra.
Ci vollero solo pochi secondi perché capisse che qualcosa
non andava. Non furono comunque abbastanza.
Ebbe solo la fugace visione di una macchia gialla e viola
che si avvicinava, poi il pugno guantato lo colpì alla bocca dello stomaco. Con
il respiro mozzato e la vista annebbiata dal colpo, si preparò spiritualmente
alla tempesta in arrivo.
“IDIOTA! Sei solo un idiota! Ti aspettavi DAVVERO che la
gente ti compatisse per il tuo stupido fallimento? Che razza di uomo
rinuncerebbe al suo futuro per una cosa così stupida? Ah, ma io so cosa
pensavi! Pensavi che ce l’avresti fatta fin da subito, che la tua famosa
intelligenza superiore ti avrebbe fatto ottenere il successo senza perdite! La
gente normale nella tua situazione starebbe cercando di rimediare, non starebbe
qui a compatirsi! Ho visto persone nel mio villaggio che per errore hanno
mandato al massacro tutti i loro uomini, e hanno comunque affrontato la cosa in
modo più virile di te!”
Shikamaru si risistemò sul letto, massaggiandosi lo stomaco.
“Io sarò anche uno strano tipo d’uomo, ma non ho nemmeno mai
visto una ragazza colpire un ferito senza motivo...” iniziò rivolgendole uno
sguardo torvo. “Spiegami cosa dovrei fare, dato che sembri essere esperta in
materia. Sarà davvero una passeggiata uscire come se niente fosse. Oh, ho
un’idea; potrei andare da Choji e Naruto e dire ‘Ho sentito che siete quasi
morti. Ma pazienza, affidatemi di nuovo le vostre vite, che magari questa volta
ci riesco’. Potrebbe andare bene. Potrebbero rimanere solo feriti gravemente!”
Temari lo guardò scuotendo la testa, come chi ha a che fare
con un pazzo e decide di assecondarlo per non creare problemi. Poi si alzò e si
incamminò verso la porta.
“Se hai finito di farneticare, io vado a prendere una
boccata d’aria che non sappia di muffa o della grigliata mista di Tsunade.
Uscire un attimo farebbe bene anche a te, non mi sembri particolarmente
‘ferito’”
“I medici mi hanno detto di aspettare per un altro giorno...”
Temari fece un sorriso inquietante.
“Hai più paura dei medici o di un altro pugno? Così, per
curiosità...”
Senza nemmeno rispondere, Shikamaru si trascinò a fatica
fuori dal letto. In quelle condizioni, il suo addome gli diceva che non sarebbe
stato saggio discutere ancora.
Raggiunta la soglia sulle gambe ancora incerte, si stupì di
vedere Temari pronta a sostenerlo, con un’espressione totalmente diversa
disegnata sul volto. Sembrava che, dopo tutto, perfino lei fosse dispiaciuta
dalla situazione. Aveva un modo tutto suo di farlo, ma probabilmente stava solo
cercando di fargli dimenticare tutta la vicenda.
Fuori dalla casa, il villaggio era meno disastroso di quanto si sarebbe aspettato. La
gente aveva cominciato a ritirarsi nelle proprie stanze, lasciando solo alcuni
giovani ninja a festeggiare attorno al grande falò. Gran parte delle lampade di
carta poste sui muri di argilla si stava spegnendo, e di alcune non rimanevano
che gli involucri bui.
Come predetto da Temari, l’aria era ancora satura dell’odore
della carne arrostita, nonostante l’unica traccia rimanente fossero le fredde
ossa spolpate sparse davanti al posto di Choji. Dimenticata l’atmosfera chiusa
e irrespirabile della sua stanza, Shikamaru si sentì immediatamente meglio.
Proseguirono verso l’entrata del villaggio, lontano dagli
ultimi canti stonati di chi durante la serata aveva esagerato un po’ con il
sake.
Mentre Temari avanzava sicura attraverso l’erba alta,
Shikamaru capì improvvisamente dove lo stava portando. Mancavano ancora parecchi
metri, ma non poteva sbagliarsi; avrebbe riconosciuto quel posto anche ad occhi
chiusi. Lo stesso luogo, la stessa
collina dove ogni anno aveva trascorso quella notte, disegnava il suo profilo
scuro contro il cielo stellato.
Il suo cervello iniziò a porsi domande, ma alla fine decise
che non importava. Che fosse stato Choji a descriverle quel posto o che fosse
una pura e semplice coincidenza, non gli importava particolarmente. Percepiva a
stento il dolore delle ferite, mentre raggiungeva la sommità della collina e si
abbandonava con la schiena contro il fusto nodoso di una quercia.
Dopo qualche secondo, apparve davanti a lui Temari,
illuminata solamente dalla luce della luna, perfettamente visibile nel cielo
limpido. Fece correre lo sguardo sui suoi capelli mossi dal vento, sui suoi
occhi così luminosi e profondi, soffermandosi poi con particolare interesse sul
seno fasciato strettamente nel kimono e alle lunghe gambe scoperte. Per un
attimo, gli sembrò che niente al mondo potesse interrompere quel momento.
“Se hai finito di guardarmi in quel modo, direi che possiamo
tornare indietro, sono stanca”
In un attimo, il momento fu interrotto. Shikamaru la guardò
incredulo per qualche istante, poi notò il sorriso perfettamente consapevole
che si stava allargando sul suo viso.
“Sarei rimasta fuori un po’ di più... Ma non possiamo
rischiare che Konoha venga attaccata mentre siamo qui fuori, sarebbe tutta
colpa nostra. E poi Gaara sarebbe molto deluso del mio fallimento, dovrei
sicuramente dare le dimissioni”
Ancora immobile tra le spesse radici contorte, Shikamaru
sentì sorgere nella sua mente un orrendo dubbio.
“Tu... Avevi in mente di farmi questo fin dall’inizio?”
“... Certo, forse
qualcuno potrebbe convincermi a rimanere. Ma come potresti COMANDARE qualcuno?
Di certo non ne saresti in grado, è già tanto se riesci a guardarmi negli
occhi!” Temari continuò a infierire, ignorando la domanda.
Un ricatto. Quello era un puro e semplice ricatto! Shikamaru
non riusciva a crederci. Era inconcepibile, era troppo perfino per lei.
“Forse...” iniziò, simulando indifferenza con pessimi
risultati. “... Forse dovresti rimanere qui un’altro po’”
Temari lo guardò divertita, rinunciando a qualsiasi
tentativo di nascondere il sorriso. Appoggiò una mano su un fianco e si chinò
in avanti.
“E...?”
Shikamaru sbuffò. Come previsto, si aspettava ancora
qualcosa. Inspirò profondamente e fece un rapido ripasso delle sue priorità.
Con lei davanti, prendere una decisione fu più facile di quanto si sarebbe
aspettato.
“... E non darò le dimissioni. Non ancora, almeno.”
Mentre Temari si sedeva accanto a lui con una risata,
Shikamaru non potè fare a meno di sorridere. In un modo o nell’altro, era
riuscita nel suo intento. A un tratto, si era sentito come se un macigno fosse
appena stato spostato dal suo petto, e soltanto ora potesse ricominciare a
respirare liberamente.
Si voltò verso Temari
e la guardò negli occhi, accorgendosi improvvisamente di essersi messo a ridere
insieme a lei. Senza nemmeno pensare a quello che stava facendo, premette le
labbra contro le sue.
Il bacio durò solo pochi secondi, poi Shikamaru si scostò
per osservare la reazione. Rimase immobile per un attimo, sicuro che il pugno
di Temari avrebbe presto coperto interamente la sua visuale. Chiuse gli occhi.
Quando li riaprì, la vide a pochi centimetri da lui, con un
sopracciglio alzato e un sorriso smagliante.
“Spero che spiando Asuma tu abbia imparato qualcosina di
più, Nara...” la udì sussurrare, prima di essere spinto a terra e baciato
nuovamente. “Questa è una missione che non fallirai.”