Come il cielo di luglio
1.
Marianna
Bruno si perde nei suoi pensieri in riva al mare.
Pietro
Ripamonti decide di partire
Marianna
guardò la barca in
lontananza, ammirando le leggere increspature dell’acqua al
suo passaggio.
Sorrise appena, rapita da uno spettacolo di così grande
bellezza.
Aveva vent’anni, eppure la sua
ingenuità era rimasta tanto intatta da stupirsi per ogni
piccola cosa. Da un
fiore che sbocciava, alla bellezza del mare in tempesta, dalla
gentilezza dei
siciliani, alla grandezza di palazzo Ripamonti. Marianna aveva sempre
sognato
di poter sbirciare la vista da quegli enormi balconi, ma ovviamente era
un
sogno proibito. Quella era la casa del padrone assoluto, colui che
amministrava
l’enorme latifondo su cui si estendevano i campi e il piccolo
villaggio di
Santoro. Spesso sognava di visitare quella roccaforte fissa sulla
scogliera,
stagliata dai raggi lunari o da quelli mortiferi del tramonto.
Ricordava quanto alla mamma
sarebbe piaciuto abitare in quella casa sfarzosa e parte integrante
della
roccia. Si rattristò appena al pensiero della madre.
Marianna aveva perso Lucia da
quando aveva dodici anni e, nonostante fosse ormai passato un bel
po’ di tempo,
le mancava moltissimo. Assomigliarle come una goccia d’acqua
era stata una
prova ardua per Michele Bruno, suo padre. In quel periodo, le persone a
lei più
care erano perennemente turbate e scosse.
Probabilmente l’unica persona
inflessibile a quel cambiamento era stato Calogero, il suo padrino.
Abile
pescatore e amante dei paesaggi marini, Calogero Sabbati era la persona
più
tranquilla che Marianna avesse mai conosciuto. Spesso si chiedeva come
un uomo
così calmo e metodico avesse potuto sposare Pinuzza, donna
attiva e scattante.
Aveva almeno venticinque anni più di Marianna, ma era
sveglia e infaticabile.
Marianna adorava Tiziana, la loro
ultima figlia. I primi tre maschi erano andati via da Santoro in cerca
di
fortuna, sentendosi condannati a quella vita così misera.
Calogero non protestò
come fece spesso Pinuzza. Mentre quella sbraitava che servivano braccia
forti
per mandare avanti il latifondo Ripamonti, quelli la salutavano per
sempre
sull’uscio di casa.
Tiziana aveva sei anni meno di
Marianna, ma la sua indole era talmente dolce e comprensiva, quasi
malinconica,
da averla resa più matura di quanto si potesse sperare. Era
riflessiva e
obbediente, l’esatto opposto di Marianna, tanto da averla
invidiata spesso in
passato.
“Sei così irruente, Marianna.
Ti
invidio assai”, sospirava, giocherellando con i capelli
castani.
Marianna non aveva mai saputo
dire se la sua indipendenza fosse un pregio o un difetto. Lucia non
aveva fatto
che incoraggiare questo suo aspetto, ma Michele non fu altrettanto
d’accordo.
Temeva che nessuno avrebbe voluto sposare una donna indisciplinata e
dalla
lingua lunga.
Marianna inspirò appieno il vento
salmastro, chiudendo gli occhi e abbandonandosi alla sua morbida
carezza.
Adorava la Sicilia, l’isola in cui era nata. E anche se la
vita le aveva
riservato la fatica nei campi, non le importava. Per lei vivere era
già il più
bel miracolo che Dio potesse offrirle. Senza di esso, non avrebbe
potuto
assaporare l’affetto o la gioia, la felicità e il
miracoloso paesaggio marino.
Spesso il giardino primordiale che tanto la Bibbia descriveva lo
immaginava
proprio come la spiaggia di Santoro.
“Marianù!”,
chiamò una voce
conosciuta.
Marianna aguzzò la vista allo
sventolio di una mano. Calogero stava appena rientrando nel ristretto
porto del
paese, le braccia ancora vigorose che smorzavano l’acqua con
un remo. Il
vecchio legò la barchetta con la robusta corda, per poi
uscirvi con un agile
salto.
Marianna si alzò in piedi e gli
andò incontro, sorridendo gentilmente. “Ciao,
Calogero”, salutò gaia, le mani
incrociate sul petto.
Il vento le scostò impetuoso i
folti capelli ricci e scuri, coprendogli la visuale.
Ridacchiò appena e li
trattenne con entrambe le mani.
Calogero sorrise, sospirando
appena. Marianna sapeva a cosa stava pensando, ma non osava chiedergli
niente
per la paura che confermasse i suoi sospetti. Non voleva sentirsi
ripetere nuovamente quanto fosse simile a sua
madre. “Che stavi facendo, Marianù?”,
chiese allora il vecchio, avvicinandosi e
circondandole le spalle con un braccio.
Marianna fece una smorfia
annoiata, guidata dallo stanco dondolio di Calogero verso le modeste
casupole
di Santoro. “Niente di che, guardavo semplicemente il
mare”
Calogero scosse la testa,
divertito. “Quando tu guardi il mare, pensi. E in questo
periodo stai pensando
troppo, Marianna”
“Almeno dimostro di essere un
essere pensante”, ribatté prontamente la ragazza,
salutando con la mano una
persona di sua conoscenza.
“Come è andato il
lavoro?”,
chiese Calogero, accigliato.
Marianna si strinse nelle spalle,
questa volta cupa e imbronciata. “Solito. Noioso e faticoso,
ma meglio che
niente”
Il vecchio sospirò. Sapeva che
cosa intendesse dire la sua protetta. “Questa è la
nostra vita, picciridda.
Abituati”
Marianna non replicò.
* * *
Michele Bruno stava aspettando
impazientemente il ritorno della figlia a casa. Non gli aggradava molto
il fatto
che scorrazzasse libera e sola in paese, i tempi erano troppo brutti.
Ormai
nemmeno l’isolato villaggio di Santoro era più un
posto sicuro per una donna.
Lì si conoscevano tutti, il paese era piccolo come un
quartiere. Ma non gli
piaceva. Men che meno da quando aveva saputo chi
sarebbe arrivato di lì a poco.
Si stava così bene senza di loro.
Da quando don Stefano Ripamonti era morto, nessuno aveva più
sopportato
angherie e soprusi nei dintorni. Tutti lavoravano tranquillamente nei
latifondi, comandati e pagati da un datore invisibile. E adesso quella
bolla di
tranquillità si stava infrangendo del tutto.
Il giovane Ripamonti sarebbe
presto giunto in paese, mantenuti e comandanti al seguito. Michele
ricordava
bene l’odio che aveva sempre covato per
quell’insano Stefano Ripamonti, uomo
crudele e senza scrupoli. Chissà perché,
immaginava il figlio dello stesso
stampo. Il che non era affatto un bene.
Sospirò, passandosi una mano
sugli occhi stanchi e affaticati. Gli mancava terribilmente Lucia, sua
moglie.
Lei era tutto ciò che aveva potuto avere dalla vita. Era
dolce, gentile, onesta
e obbediente. La sua bellezza era riuscito ad incantarlo giorno per
giorno,
come un adolescente innamorato. Gli aveva donato un maschietto,
purtroppo
presto stroncato da una polmonite a tre anni. Poi era arrivata lei. Non
avrebbe
mai permesso che a Marianna, la sua unica figlia, accadesse qualcosa.
La amava
con tutta l’anima. E poi, era così simile a
Lucia…
“Michele? Michele!”. La voce
di
Pinuzza risuonò improvvisamente nella catapecchia,
accompagnata da picchi sulla
porta.
“Vieni, Pinuzza, vieni!”,
urlò
Michele, raddrizzandosi immediatamente sulla sedia.
Pinuzza apparve in tutta la sua
improvvisa vitalità, i capelli ormai grigi decisamente
sconvolti. Michele si
accigliò nel vedere la preoccupazione della moglie del suo
migliore amico
dipinta negli occhi scuri. Gli giunse alla mente solo una cosa. Lei
sapeva.
“Chi te l’ha
detto?”, domandò
semplicemente, facendo un cenno allo sgabello di fronte a lui.
Pinuzza colse l’invito. Si sedette
immediatamente di fronte a lui, ravvivandosi i capelli per sistemarli
il meglio
possibile. “Me lo ha detto stamattina Carmela, quella che
vive vicino alla
spiaggia. Dice che è questione di un giorno”.
Pinuzza deglutì a forza,
seriamente allarmata. Quella notizia piaceva quanto a lui.
“Sai come si chiama?”, si
informò
Michele, pensieroso.
Pinuzza annuì, facendo una
smorfia. “Pietro. Si chiama Pietro. Avrà il nome
di un apostolo, ma sicuramente
come il padre è! Cattivo sangue non mente!”,
esclamò infervorata.
Michele assentì, completamente
concorde. “Già. Un giorno…
chissà com’è il figlio del
padrone”
Pinuzza sospirò, gli occhi
improvvisamente fissi sul tavolo tarlato che li divideva.
“Dicono che è davvero
bello, ma non è né sposato né promesso
a qualcuno. Ha appena preso le redini
delle rendite di famiglia, il padre è morto da poco. Mi
hanno anche riferito
che sia solo come un cane: la madre è morta quando era un
bambino, il fratello
si è rotto l’osso del collo cadendo da cavallo e
la sorella è morta di parto.
Dio, speriamo che la sfortuna della sua famiglia ricaddi anche su di
lui!”
Michele le lanciò un’occhiata
severa da sotto le lunghe ciglia. “Dio non voglia, Pinuzza!
Magari questo
Pietro Ripamonti è diverso dal padre, magari più
buono. Non dico per aumentarci
la paga, ma perlomeno per lasciarci in pace. La morte non si augura a
nessuno,
questo la mia Lucia diceva sempre”
Entrambi si rabbuiarono al
ricordo di Lucia.
“Hai ragione”,
sussurrò Pinuzza,
le mani nodose che torturavano insistentemente il grembiule.
“Speriamo in bene”
“Abbiamo un giorno di preghiera,
Pinuzza. Speriamo che sia un giovane buono e magnanimo”,
ribadì Michele.
Si congedarono così, con poche
parole, la morte nel cuore.
* * *
“Solo mio padre poteva avere un
latifondo in un posto dimenticato da Dio”. Pietro Ripamonti
sbuffò
rumorosamente alla vista del documento che il notaio gli aveva
consegnato.
Lamanna lo osservava attentamente
al di sopra dei sottili occhiali, concentrato sulle espressioni
facciali
dell’uomo.
Un nuovo sospiro irritato gli
fece sospendere il respiro. Studiò con attenzione i suoi
lineamenti dritti e
spigolosi. Le sopracciglia folte e arcuate erano crucciate per
l’attenzione e
gli occhi nocciola, risaltati innaturalmente dalle braci morenti nel
caminetto,
scorrevano alla lunga sul foglio. Era bello Pietro Ripamonti. Bello
quanto
terribile. D’altronde, era figlio di suo padre. Lamanna
sorrise tra sé e sé per
la sua sciocca battuta.
Pietro lo notò e gli lanciò
un’occhiata talmente astiosa da ammutolirlo. “A me
sinceramente non diverte,
Lamanna. Andare a Santoro è una grande scocciatura”
“Non è poi molto lontano da
Palermo, signore”, ribadì il notaio, leggermente
risentito dal tono maleducato
del giovane. “Il mio è solo un consiglio. Vostro
padre è da secoli che non si
recava lì, nemmeno per un breve controllo. È bene
fermarsi qualche mese anche
solo per vedere l’andazzo dei contadini e del lavoro.
Ultimamente le rendite
sono calate”
“Questo è vero”,
concordò Pietro,
le labbra piene strette in una smorfia.
Lamanna attese pazientemente che
Pietro uscisse dai suoi pensieri, sicuro che avrebbe ceduto. Le
statistiche non
potevano mentire.
L’enorme sibilo glielo
confermò.
“Non mi resta che andarci, allora”,
mugugnò Pietro, rilassandosi completamente
contro lo schienale della sedia.
“Scelta saggia, signore. Vedrete
che non vi annoierete. Le bellezze locali sono un vero
portento”, cercò di
consolarlo Lamanna, gli occhi scintillanti. Le poche volte che era
stato a
Santoro per conto di don Ripamonti, non aveva di certo sdegnato la
vista di
bellissime e provocanti fanciulle.
Pietro sollevò le sopracciglia,
scettico. “Si, come no. Tutte contadine analfabete e prive di
sensualità.
Quelle non fanno che darla a tutti, credetemi”
Il notaio sobbalzò a così
poco
tatto ed arrossì violentemente non appena
incrociò lo sguardo divertito di
Pietro Ripamonti. Si schiarì la gola, cercando di
dissimulare l’imbarazzo
crescente. “Quando avete intenzione di partire?”,
domandò.
Pietro ghignò, scettico.
“Immediatamente”
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Tutta
la vicenda è ambientata nella Sicilia dopo
l’unificazione di
Italia.
Il
villaggio di Santoro è immaginario. Ogni singolo personaggio
e ogni
avvenimento, eccetto quelli storici, è frutto della mia
fantasia.
Sono
contenute alcune parole in dialetto siciliano, penso di facile
comprensibilità a tutti.
Spero
che questa storia vi piaccia come è piaciuto a me scriverla.
Mi
sono affezionata tantissimo ai miei personaggi, ai paesaggi immaginari
di
Santoro e al calore della Sicilia. Non sono mai stata in questa
magnifica regione,
ma conto che un giorno riuscirò a visitarla.
Se
questi personaggi riusciranno ad entrarvi nel cuore, saprò
di essere
riuscita a descriverli e a renderli umani a tutti gli effetti.
So
che la sezione “Originali” non è molto
frequentata, quindi sarò
felicissima di ricevere alcuni commenti,anche di critica costruttiva.
Non
temete, altrimenti la cestino, non c’è problema!
Se
volete seguirmi in questo viaggio denso e tortuoso di sentimenti,
aspetto un vostro commento e la vostra presenza nel prossimo capitolo!
Un
abbraccio e un bacio a tutti!
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