Questo
racconto è uno spin-off della fan fiction
“Croco”
di Valy-chan,
raggiungibile a questo
indirizzo: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=410168&i=1.
Dopo le pressanti richieste dell’autrice sopracitata, ho
deciso di creare questa nuova versione della sua storia, che riprende
le vicende del lungo periodo in cui Aeris affronta un viaggio in Cina,
svanendo dalle vite dei personaggi principali.
Ovviamente vi invito a
leggere “Croco”, prima di questa, a causa di chiare
esigenze di trama (alcuni avvenimenti potrebbero risultare un
po’ ostici a coloro che non hanno letto l’originale
xD).
Dedico questa fan
fiction a Valy, un’amica speciale che con la sua
simpatia e
la sua saggezza ha illuminato parecchie mie giornate (a proposito, buon
compleanno,
Madre!)
Vi auguro una buona
lettura!
A place to
call Home
Quando apre gli occhi,
è già mattina.
La luce filtra
attraverso le ampie finestre, e la sveglia di colpo, violentemente.
E’ un risveglio brusco, che la lascia un po’
stordita per parecchi minuti, durante i quali la sua mente rielabora
gli avvenimenti degli ultimi giorni. Il viaggio in aereo, la
conversazione nell’appartamento di Lollard Street, una serata
passata con Zack e gli altri al Croco.
“E quindi,
in realtà, siamo tutti collegati telepaticamente dal nostro
cervello!” dice Zack, vuotando per l’ennesima volta
il bicchierino di cherry. Aeris ha perso il conto del numero di
bicchieri che il ragazzo ha bevuto, ma gli basta guardarlo in viso per
capire che ancora una volta ha esagerato col bere. Sospira e intercetta
lo sguardo di Tifa, che si è allontanata un momento per
servire altri due clienti al bancone.
“Quindi…
i nostri pensieri sono energia?” ripete incerto Cloud, tra un
risolino e l’altro, non meno brillo dell’altro.
“Siamo sulla
stessa lunghezza d’onda, biondo!” ammicca Zack,
poggiando il bicchiere sul tavolo di legno.
“E
perché i pensieri non sono sfruttati come fonte di energia
alternativa, allora?” chiede l’altro, un
po’ confuso dall’alcol.
Zack sogghigna, mentre
con una mano fa cenno a Tifa di unirsi a loro. “Aaah, ed
è questo il punto!” esclama poi, alzando la voce e
facendo voltare gran parte degli uomini nel locale. “Ho
ragione di credere che sia tutta una cospirazione messa su per bene
da… da qualcuno di cui non ricordo il
nome…” si ferma, incerto, e Aeris sospira di
nuovo. Non è la prima volta che Zack menziona gigantesche
cospirazioni, da ubriaco.
“Di che si
parla?” chiede Tifa, che si è liberata dalle
attenzioni dei due uomini al bancone e che occupa il posto accanto a
lei.
Cloud scoppia a
ridere, seguito a ruota da Zack. “Difficile da
spiegare!” esclama quest’ultimo, osservando il
bicchiere vuoto poggiato sul tavolino di legno. “Lo
riempiresti?” le chiede poi, mettendoglielo davanti al naso.
Lei ci pensa su per
qualche secondo, poi gli risponde di no. “Hai già
bevuto abbastanza per oggi. E lo stesso vale per te!”
risponde, indicando Cloud.
“Naaah, ci
tagli i fondi?” si lamenta Zack, ma la ragazza si
è di nuovo allontanata, chiamata da un gruppo chiassoso sul
fondo del locale.
“Non vorrei
essere nei vostri panni domattina, ragazzi!” sospira la
ragazza, sorridendo.
“Neanche io,
in verità!” risponde Zack, e tutti e tre scoppiano
a ridere, mentre Aeris si augura che serate del genere possano non
finire mai.
La mattina dopo, ha
fatto le valigie e se n’è andata.
Suona la sveglia.
Probabilmente si è riaddormentata senza nemmeno
accorgersene. Apre gli occhi, il display luminoso segna le otto e
quarantacinque. Sbadiglia un’ultima volta, si alza dal letto
e osserva il nuovo giorno dalla finestra della camera
d’albergo.
Nemmeno
un’ora dopo, ascolta il rumore dei suoi passi confondersi con
quello di altre migliaia di turisti nella stazione centrale di Pechino.
Probabilmente è in anticipo, ma non importa,
perché a lei non è mai pesato aspettare. Tiene il
biglietto per il treno che ha comprato tra le mani, e lo osserva
attentamente. Il tizio al bancone le ha detto che il treno
partirà alle dieci e trenta, e con un sorriso cordiale le ha
consigliato di prendere un posto accanto al finestrino.
Si sente meglio se
ripensa al sorriso del ragazzo, e si rilassa. Il suo non è
stato un sonno ristoratore, e sente ancora sulle spalle il senso di
colpa per la fuga improvvisata di pochi giorni prima.
D’un tratto,
si sente stanca, nonostante abbia dormito quasi otto ore, e si
ripromette di riposarsi un po’ una volta salita sul treno. Ma
sa già che non lo farà, perché nulla
è più burrascoso per l’anima di un
nuovo viaggio, e sente che anche quella volta si ritroverà
persa tra mille pensieri.
E invece, è
ormai pomeriggio inoltrato quando Aeris si sveglia dal suo letargo. Il
paesaggio è rurale, adesso, e grandi campi coltivati si
alternano a ettari di foreste incolte.
Legge il nome della
destinazione sul biglietto, e sorride. Ha fatto la cosa giusta, lo sa,
e questo pensiero aiuta a farla sentire meglio. I colori accesi del
tramonto tingono i sedili vuoti davanti a lei, mentre fuori dal
finestrino la linea dell’orizzonte è
già infuocata.
Non si è
ancora abituata al fuso orario. Nonostante la scorsa notte abbia
dormito normalmente, al sopraggiungere della sera stavolta non ha
sonno, a differenza del pomeriggio appena trascorso. Per la prima volta
accende il cellulare, che ha riposto in una tasca interna dello zaino
quasi tre giorni prima.
Tredici chiamate
ricevute, tutte da parte di Cloud. Sospira.
Per un momento si
chiede come mai Zack non abbia provato a contattarla, poi si dice che
è meglio così. Ed è in quel momento
che la porta dello scompartimento, chiusa da quasi tutto il giorno, si
apre cigolando.
Aeris alza lo sguardo,
curiosa, perché non ha ancora visto nessuno da quando
è salita sul treno, ed oltre allo stridere dei binari finora
ha udito solo la voce dei suoi pensieri.
La ragazza sulla porta
adesso è entrata, e salutandola cordialmente le si
è seduta davanti. Ha lo sguardo perso nel vuoto, mentre
guarda fuori dal finestrino il paesaggio immerso
nell’oscurità. Saltuariamente getta
un’occhiata al suo orologio, o al cellulare, per essere
sicura che nessuno l’abbia contattata.
“Sai quanto
manca alla prossima fermata?” le chiede dopo un
po’, mentre il treno attraversa una fitta area boscosa.
Aeris si riprende dal
suo torpore e la osserva. Le ha dato del tu, pur mantenendo un tono
molto cordiale.
“Non di
preciso…” afferma in risposta, cercando di
rammentare l’itinerario “Mi sembra di ricordare che
ci sia una sola tappa durante la notte, intorno alle
tre…”
“Grandioso!”
esclama lei, contrariata. “Beh, immagino che
l’unica cosa che io possa fare sia aspettare. A proposito,
sono Cissnei” continua, sorridendo e porgendole la mano.
“Io sono
Aeris.” Risponde alla stretta di mano, e le ricambia il
sorriso.
E’ piacevole
parlare con Cissnei, rende il suo viaggio più vario. La
ragazza è divertente e amabile, e le offre di andare a
prendere qualcosa al vagone ristorante, per conoscersi meglio.
Aeris accetta.
Entrambe lasciano le proprie borse all’interno dello
scompartimento, prelevando soltanto pochi effetti personali.
I vagoni sono deserti,
nonostante non sia ancora notte fonda.
“Allora”
dice Cissnei, rompendo il silenzio davanti ad una tazza di
caffè. “Che ci fai in questo treno? Da queste
parti non c’è niente che attiri i turisti, a parte
il fascino della vita bucolica” si interrompe, portando la
tazza alle labbra e sorseggiando.
“Beh,
l’agricoltura non fa proprio parte dei miei
interessi” le risponde Aeris, sorridendo. “E so che
è… strano vedere turisti qui intorno, ma amo da
sempre la Cina, e ritengo che non esista solo Pechino, o la Grande
Muraglia. E poi… ho solo bisogno di un po’ di pace
e tranquillità, e forse una metropoli non è
proprio l’ideale per una vacanza…”
“Sono
d’accordo!” approva Cissnei, poggiando il
caffè sul tavolino davanti a lei. “Amo la Cina.
E’ così… eterna. Non sono nata qui, ma
ci lavoro da anni, è come… come la mia seconda
casa. La mia vera casa. Okay, è una cosa stupida da
dire,” afferma poi in fretta
“però…”
“Va tutto
bene…” risponde Aeris “In un certo
senso, capisco cosa vuoi dire”.
La ragazza volge lo
sguardo verso la nera notte aldilà del finestrino,
perdendosi tra le fronde degli alberi appena visibili
nell’oscurità. Aeris fa lo stesso, e le sembra
quasi di riuscire a capire quello che Cissnei ha detto, e di
riconoscere in quel mondo così oscuro, invisibile, ma pur
sempre presente, la sua nuova casa.
“Sai, una
volta ho letto su un libro che tutti cercano un posto dove tornare. Un
posto speciale, capace di... beh, parlarti. Che non sia casa tua, ma
che per te abbia lo stesso valore. Per me la Cina è questo,
e io la amo moltissimo” afferma Cissnei, dopo un
po’, mentre il volto della luna illumina saltuariamente le
radure che attraversano. “Goditi questo viaggio, sul serio.
Goditi persino questa lunghissima marcia in treno, perché i
viaggi servono a dare più significato alla meta. E
soprattutto, per renderlo ancor più
memorabile…” afferma solennemente lei, facendo una
pausa per dare più pathos “evita di bere questo
caffè, è una brodaglia orrenda!”
“Lo
terrò a mente” esclama Aeris, ed entrambe
scoppiano a ridere, mentre il treno continua la sua corsa nella lunga
notte.
Quando mezzanotte
è ormai passata da più di due ore, uno speaker
annuncia la prossima fermata. Cissnei si riscuote dai suoi pensieri, e
controlla nuovamente il cellulare per appurare che ora sia. Le due e
diciassette.
“Bene...
credo che io debba iniziare a prepararmi!” esclama, alzandosi
e recuperando la sua valigetta dal vano bagagli.
“Che farai
una volta scesa?” chiede Aeris, mentre si alza e le
dà una mano a scendere il bagaglio.
“Beh, ho un
paio di amici che mi aspettano... credo ci tratterremo qualche giorno
qui, e poi andremo nuovamente verso est in treno. Il tempo di sbrigare
un paio di affari qui intorno!” risponde Cissnei,
controllando che tutte le cerniere siano chiuse.
Il treno, lentamente,
arresta la sua corsa.
“Mi ha fatto
piacere conoscerti” le dice Cissnei, sincera, cordiale,
amichevole. “Abbiamo passato un’ottima serata,
no?”
“Già”
continua Aeris, sorridendo. “Ti ringrazio”.
“Figurati,
sono io a doverti ringraziare!” risponde lei, facendole
l’occhiolino. “E ricorda quello che ti ho detto sul
viaggio, davvero. Mi farebbe piacere riuscire a pensare che almeno tu
ti stia godendo una bella vacanza tranquilla e in armonia con te
stessa! E anzi,” continua lei, rovistando
all’interno della sua borsa ed estraendo un foglio di carta.
“tieni! E’ il mio numero di cellulare. Fammi uno
squillo ogni tanto, eh?”
“D’accordo”
sorride Aeris, afferrando il biglietto dalle mani dell’altra.
“Ci
conto!” esclama la ragazza, mentre, con lo zaino in spalla,
la saluta un’ultima volta e sparisce dalla sua vista.
Sorge il giorno, ed
osserva l’alba che si rispecchia sugli altipiani asiatici. Il
paesaggio è immobile, dopo che la brezza notturna ha smesso
di muovere le fronde degli alberi lontani. Il treno, da quando
è scesa Cissnei, non si è mai fermato.
Le vibra il cellulare,
nella tasca interna della borsa. Lo sente per via del silenzio quasi
innaturale che, nonostante l’avanzata del treno, pervade quei
binari. Come ha immaginato, ancora una volta è Cloud che
cerca di contattarla. Respira forte, e lascia la tensione degli ultimi
giorni defluire da sé. Lascia che il cellulare vibri a
vuoto, per venti, trenta, quaranta secondi. Quando non sente
più il fastidioso ronzio, si rilassa.
Manca poco al suo
arrivo, per fortuna. Da quando l’altra ragazza se ne
è andata riesce a malapena a sopportare di restare seduta
lì dentro.
Sotto il sole
splendente della mattinata inoltrata, anche lei, finalmente, scende dal
treno. Osserva soddisfatta la meta del suo lungo viaggio, che
tanto le è parsa distante durante quelle ultime ore ma che
in quel momento è lì, inequivocabilmente.
Un borgo come tanti
sperduto tra gli altipiani della Cina centrale. La chimera che
sarà la sua oasi.
Ha lasciato le valigie
nella camera che ha prenotato diversi giorni prima, ed è
subito già uscita nuovamente all’aria aperta,
lasciando la locanda presso la quale alloggia. Quest’ultima
è situata in una strada laterale da cui è
possibile arrivare alla piazza principale del luogo. L’aria
qui sembra pulita e fresca, ed Aeris non fa a meno di pensare di come,
probabilmente, appena fuori dal paese le colline possano essere piene
di bellissimi fiori.
Cammina senza una meta
precisa, la macchina fotografica pronta in mano; ne possiede una
piuttosto vecchia e malandata, con il rullino, che usava ai tempi del
liceo ma che ancora adesso funziona dignitosamente: e con questa in
mano, osservandosi intorno, con quella sua aria svampita che tante
volte Zack gli ha fatto notare, fotografa ciò che le sembra
degno di essere ricordato. Il sole è alto nel cielo ed
è sicura che le foto, con tutta quella luce, saranno
splendide.
Verso mezzogiorno
entra in un locale un po’ fuori mano, nella parte orientale
del centro abitato, costeggiato da alcuni alberi radi, che sono il
principio di un grande bosco che si estende per le colline ad ovest,
con l’intenzione di pranzare. Ed è nel momento in
cui si siede che sente il cellulare vibrare nuovamente
all’interno della borsa. Come al solito, immagina che sia
Cloud, ma questa volta rimane molto stupita nel constatare che il nome
che lampeggia sul display è un altro, che ha memorizzato
soltanto recentemente.
“Cissnei?”
domanda, accettando la chiamata della ragazza.
“Aeris! Come
stai?” chiede quella, con il suo tono di voce amichevole e
caloroso.
“Bene,
grazie!” risponde lei, felice di sentirla. “Sono
arrivata da qualche ora, è tutto… magnifico,
qui!”
“Ne sono
felice” afferma l’altra, in risposta. “E
sai una cosa? Credo proprio che stasera sarò da quelle
parti!”
“Davvero?”
chiede Aeris, incredula, trovandosi a sorridere.
“Sì!
Ho incontrato alcuni… colleghi, diciamo, ed è
saltato fuori che abbiamo qualche lavoro da sbrigare anche
lì. Quindi, se non hai altri impegni, pensavo che potremmo
incontrarci e passare un po’ di tempo tutti insieme. Gli ho
parlato di te e sembrano così impazienti di
conoscerti.”
“Certo, sono
libera, e mi fa davvero piacere rivederti!” esclama Aeris,
sincera, sempre più sicura sul fatto che il viaggio sia
stato la scelta giusta.
“Ottimo!”
esclama Cissnei. “Allora a stasera!”
“A
stasera!” ripete Aeris, chiudendo la conversazione e
rimanendo di nuovo sola con i suoi pensieri.
Nel pomeriggio non ha
sonno, nonostante non abbia dormito per tutta la notte. Chiude le
imposte delle finestre, lacerando la luce del sole che, violenta,
inonda la camera di luce. Si siede sul letto, tra le valigie che
attendono ancora di essere disfatte, a rimuginare. Quasi
automaticamente, ripensa a quella sera il cui pensiero aveva
accompagnato il risveglio del giorno precedente.
Intorno alle due del
mattino, il Croco ha già chiuso, e loro quattro sono gli
unici ancora all’interno del locale. Tifa sta lavando alcuni
bicchieri usati dai clienti della serata, e lei si offre di aiutarla,
indossando un paio di guanti e prendendo un paio di stoviglie in mano.
“Davvero,
non ce n’è bisogno!” esclama Tifa,
cercando di dissuaderla, ma ormai Aeris le è accanto.
“Per
carità, lascia che io ti aiuti!” la implora,
immergendo dei bicchieri nell’acqua. “Se sto un
altro minuto con quei due, io... divento matta”. Indica
l’unico punto del locale da cui, nonostante l’ora,
provengono ancora schiamazzi e continue risate.
“Stavolta
hanno proprio esagerato, quei due ubriaconi!” esclama Tifa, a
metà tra il divertito e il preoccupato.
“Già…”
concorda, asciugando un bicchiere che l’altra le porgeva.
Trascorre qualche
minuto di silenzio, interrotto ogni tanto dalle larghe risate dei due e
dalle loro vane parole.
“Tifa?”
dice Aeris infine, titubante. “Posso chiederti una
cosa?”
“Mmm…”
risponde la ragazza, pensierosa. “Credo di
sì”.
“E’
una domanda… piuttosto personale.”
“Beh…
siamo amiche, giusto?” risponde alla sua affermazione,
sorridendo.
“Come fai ad
essere sicura che Cloud… beh, ti ami veramente?”
chiede Aeris, a disagio per la domanda probabilmente inopportuna.
“Sai forse
qualcosa che io non so?” scherza Tifa con un sorriso
sarcastico.
“Uh, no, non
in quel sens…!”
“Tranquilla!”
la interrompe, sorridendo. “Ho capito cosa intendi. E credo
anche di sapere a cosa in realtà ti riferisci.”
Aeris non risponde a
questa affermazione, e abbassa lo sguardo, imbarazzata. E’
troppo codarda per rivelare l’altra parte di una
verità più grande. Ma forse, non è
solo questione di vigliaccheria.
“La
risposta, per quanto scontata, è semplice.”
Afferma l’altra. “Ed è riassumibile in
tre parole: Non lo so. Credo che qualunque sentimento – e, in
particolare, l’amore – sia basato unicamente sulla
fiducia. Nessuno può realmente comprendere nessun altro, al
di fuori di se stesso. Quindi tutto quello che facciamo è
sperare nelle altre persone, grazie alla fiducia che riponiamo in esse.
Se la mettiamo così, l’amore è
essenzialmente basato sulla speranza. Forse è un
po’ scontato, ma la penso così. In base a questo
ragionamento, non ho idea se il sentimento di Cloud sia sincero o no,
come del resto lui non sa se lo sia il mio o meno. Sei
d’accordo?”
Aeris non risponde
subito, ed alza lo sguardo sui due ragazzi che, ignari della loro
conversazione, si godono ancora l’allegra serata. E poi,
improvvisamente, senza che se ne accorga, è di nuovo nella
sua camera alla locanda. Il buio adesso rende indistinguibile qualunque
cosa. Ma d’altronde, il buio di quella stanza è
fittizio poiché creato dall’uomo,
perché, dopotutto, anche la più nera notte ha le
sue stelle che illuminano il cammino.
In questo borgo di
periferia il crepuscolo tinge le case e le staccionate di un violento
arancio. L’aria è già più
frizzante rispetto al mattino, e Aeris, prima di uscire dalla camera,
si è cambiata indossando qualcosa di lievemente
più pesante.
Cissnei le ha mandato
un messaggio dicendo che il suo arrivo è previsto per le
sette e trenta. Sono già le sette e venti, e dunque percorre
a ritroso la strada che ha attraversato quel mattino per arrivare al
paese. Adesso il paesaggio è più vuoto ed
essenziale, rispetto al mattino, e ciò lo rende in maggior
misura rurale, e ne sottolinea la diversità rispetto al
resto del mondo in cui Aeris finora ha vissuto.
Immersa in questi
pensieri, neanche s’accorge di varcare le soglie della
stazione.
All’improvviso
una voce la chiama dall’altro lato dell’edificio, e
lei, in attesa su uno dei sedili, alza lo sguardo. La stazione
è quasi deserta, a quell’ora, nonostante non
brulichi di turisti nemmeno al mattino. Posa lo sguardo, un
po’ assente, su diverse persone, prima di notare la mano
alzata di Cissnei che le fa segno di avvicinarsi.
Quando ormai si trova
a pochi passi di distanza dalla ragazza, si accorge che non
è venuta da sola. E’ in compagnia di due ragazzi,
entrambi, seppur probabilmente di poco, più grandi di lei.
“Aeris!”
esclama, salutandola calorosamente con un abbraccio.
“Ciao,
Cissnei” fa lei, rispondendo all’abbraccio, come se
stesse rivedendo una cara amica d’infanzia. “Come
è andato il viaggio?”
“Uh, non
male” risponde l’altra, sciogliendo
l’abbraccio e indicando i due alle sue spalle.
“Questi sono due miei colleghi e amici: Reno,” e il
più giovane dei due la saluta calorosamente, stringendole la
mano, “e Tseng.” L’altro le fa un cenno
con la testa, senza parlare, limitandosi ad osservarla.
“Piacere”
risponde Aeris, sorridendo ad entrambi.
“Piacere
nostro!” risponde allegro Reno. “Cissnei aveva
ragione, sei davvero una bella figl…!”
“Come?”
“Ehm.”
Afferma lui, imbarazzato. “Niente!”
Cissnei ride, dandogli
una pacca sulla spalla. “Scusalo, non sa
trattenersi!”
“Uh, non
c’è problema, tranquilla!”
Adesso anche Reno
ride, insieme alle altre due. Tseng, d’altra parte, osserva
la scena interessato e forse al tempo stesso anche stizzito, abbozzando
un sorriso sardonico e indecifrabile.
L’affermazione
di Reno, nonostante da una parte probabilmente sia stata inappropriata,
dall’altra è riuscita a favorire la conversazione
all’interno del gruppo. Il sole è ormai sparito
dietro la massiccia muraglia di monti ad ovest, ma non importa,
perché i quattro vagabondano già da un pezzo per
le vie fiocamente illuminate del paese. Tseng e Reno sono rimasti
indietro, e parlano a bassa voce tra di loro con
un’espressione seria in volto, mentre Cissnei ed Aeris
camminano pochi metri più avanti, confabulando e
aggiornandosi a vicenda sulla giornata appena trascorsa.
“Allora”
esclama Aeris, tutto d’un tratto. “Che sai dirmi su
quei due tizi là dietro?” domanda, facendo cenno
con la testa alle sue spalle.
“Uhm.”
Comincia Cissnei, pensierosa. “Credo siano due maniaci
sessuali, faremo meglio a chiamare la polizia!”
Aeris non riesce a
restare seria, e una risata le affiora sulle labbra, latitante, che si
disperde per l’aria fresca della sera crescente.
“No, sul
serio!” riprende poi, proseguendo. “Sembrano
simpatici, vorrei sapere di più sul loro conto.”
“Beh,
suppongo tu abbia già capito che tipo è
Reno!” afferma Cissnei, gettando un’occhiata alle
sue spalle. “Essere così sfrontato per lui
è una dote, suppongo. Dopotutto, gli viene
naturale!”
“L’ho
notato anch’io. E di Tseng, invece?”
“Oh,
tranquilla, anche lui è un gran simpaticone!”
scherza quella, sarcastica. Poi torna seria, puntando lo sguardo verso
la strada semideserta davanti a loro. “Tuttavia, sono
entrambi miei amici da… beh, ho semplicemente perso il
conto. In verità, era da un bel po’ che non li
vedevo, ma adesso… eccoci di nuovo qui tutti insieme. E la
cosa strana è che, nonostante sembra siano passati secoli,
tutto tra noi è rimasto pressoché invariato. E di
questo, ne sono felice.”
Immersa nei suoi
pensieri, Aeris non la ascolta più. Osserva distrattamente i
due ragazzi dietro di loro, e posa senza volerlo lo sguardo su Tseng,
che ascolta senza commentare le parole che Reno elucubra senza posa,
pronunciando qualche sillaba ogni tanto come risposta. Ripensa a Zack,
a Cloud ed anche a Tifa, e, confusa e d’un tratto intristita,
si chiede se senta davvero la loro mancanza.
Quello che le fa
più male è che dentro di sé conosce
già la risposta.
Cissnei e gli altri
sono già stati altre volte in quel paese, ma per Aeris
questa è la prima, e dunque lascia che siano gli altri a
decidere dove andare. Entrano in un locale situato in una strada
secondaria, un po’ piccolo e affollato, e prendono posto in
un tavolo rotondo.
“Sembrate
conoscere questi luoghi come le vostre tasche” afferma Aeris,
che ha osservato i tre per gran parte della loro camminata.
“Più
che altro, dopo tanti anni passati da queste parti, ormai la gente ci
tratta come se fossimo di casa!” risponde Reno, bevendo il
suo gin. “Oltretutto, il nostro Tseng è cresciuto
da queste parti.”
“Davvero?”
chiede la ragazza, incuriosita, rivolgendosi direttamente a lui.
L’uomo
osserva il suo drink dall’alto, ammirando la trasparenza del
liquido incolore. Poi alza lo sguardo, osservandola attentamente
così come aveva fatto durante la loro presentazione.
“Sì”
risponde infine, tornando a posare il suo sguardo sul liquore.
“Ho passato parecchi anni della mia infanzia tra queste
colline. Mio padre era americano, ma mia madre viveva da queste parti.
E’ naturale che la gente conosca me e i miei
colleghi.”
“E
dopotutto, qui la gente è davvero simpatica, anche se ha
qualche rotella fuori posto!” esclama Reno, incrociando le
braccia dietro la testa. “Abbiamo la vecchia matta che parla
ai suoi gatti, il tizio che urla durante il cuore della notte ed anche
uno che è convinto che tutti gli aggettivi finiscano in
istico.”
“Davvero
inquietante, quest’ultimo” annuisce Cissnei, seria.
“L’unica
cosa davvero inquietante di quell’uomo sono i suoi pseudo
romanzi” taglia corto Tseng, prendendo tra le mani il
bicchiere poggiato davanti a lui.
“Uh, hai
ragione, sono orrendi!” asserisce Reno, assumendo
un’espressione sdegnata. “Per non parlare delle sue
raccolte di poesie... quando me le ha recitate stavo per strozzarmi con
la mia stessa saliva!”
“Suvvia, non
saranno poi così male!” gli risponde Aeris, un
po’ divertita un po’ confusa dalle loro parole.
“Semplicemente
molto peggio” aggiunge Tseng, lapidario.
Reno fruga nelle sue
tasche, improvvisamente, e ne trae fuori un foglietto di carta
stropicciato e lacerato in più punti, che ricompone
malamente davanti ai loro occhi.
“Guarda!”
esclama poi, mettendoglielo sotto il naso. “Un suo estratto.
Lo tengo sempre con me, nel caso mi senta triste e mi voglia tirare un
po’ su di morale.”
Prende il biglietto
che il ragazzo le porge, curiosa e al tempo stesso scettica. La
calligrafia è in alcuni tratti fitta e serrata, in altri
larga e infantile: ma nonostante ciò, la gran parte del
testo rimane comunque illeggibile.
“Mmm…”
riflette pensierosa, dopo vari tentativi di traduzione. “Che
cos’è esattamente un fodero pebistico?”
“Ah, sono
felice che tu l’abbia chiesto!” le risponde
Cissnei, ridendo. “Questo è stato argomento di
numerosi nostri dibattiti!”
“Dibattiti
inutili e che non hanno prodotto alcun risultato,
aggiungerei.”
“Oh,
silenzio, Tseng!” lo zittisce Reno. “E’
come studiare letteratura, solo che in più ci si
diverte!”
La conversazione tra
loro è svelta, semplice, diretta. Continuano così
per gran parte della serata, alternando le loro chiacchiere ai
bicchierini posati sul tavolo polveroso del locale. Ad Aeris tornano in
mente decine di serate passate in questo modo, trascorse intorno al
tavolo di un locale a migliaia di chilometri da lì, insieme
a coloro che ha lasciato appena pochi giorni prima ma che le appaiono
già anche fin troppo distanti. E’ ancora una volta
preda dei suoi pensieri, che le riportano alla mente diverse serate al
Croco passate in compagnia di Zack e degli altri. Tiene lo sguardo
chino, osservando il ghiaccio galleggiare all’interno del suo
cocktail: ed è tanto concentrata da non accorgersi nemmeno
che qualcuno, nel momento stesso in cui lei ha abbassato lo sguardo, ha
cominciato a fissarla.
D’un tratto,
intorno alla mezzanotte, sente distintamente il ronzio del cellulare
all’interno della borsa. Sospira, quando, non
appena lo prendi in mano, vede che il numero è lo stesso che
da giorni la perseguita assiduamente.
Al tavolo, in questo
momento, è da sola: i ragazzi sono andati a fumare una
sigaretta, mentre Cissnei s’è alzata qualche
minuto prima per andare in bagno. Osserva il display illuminato, e, per
la prima volta da quando ha raggiunto la meta del suo viaggio, si sente
improvvisamente distrutta, come se riesca solo adesso a sentire la
fatica accumulata durante tutti i giorni precedenti.
Se prima ha solo
ponderato sulle serate al Croco, adesso ne prova addirittura la
mancanza.
La voce del ragazzo
è pacata come sempre, tuttavia le sembra di cogliere una
vena di sorpresa nel suo tono, come se ormai, dopo giorni di tentativi,
non si aspetti più davvero una risposta.
“Ciao”
dice Cloud, in un sussurro appena udibile attraverso il cellulare.
Aeris risponde al
saluto, atona, dirigendosi verso l’uscita del locale per
avere più tranquillità.
“Non hai
risposto alle mie chiamate” afferma lui, senza aspettarsi
nessuna particolare risposta.
“Supponevo
non ci fosse nulla da dire.”
“Non
è così, e tu lo sai.”
Aspetta in silenzio
cosa l’uomo abbia da dichiarare, e si pente già di
aver risposto alla sua chiamata. Inspira l’aria notturna e,
osservando le stelle ben visibili in cielo, si ricorda che questa
è la sua prima notte circondata da quelle colline.
“Non hai
più voluto parlare da quella sera, e hai smesso di venire al
Croco. All’inizio pensavo mi stessi evitando, ma poi ho
saputo da Zack che lo avevi mollato e che te ne eri andata, senza
nessun preavviso!”
Sa che ha sbagliato, e
che se il gruppo che si riuniva al Croco è stato spezzato
è solamente colpa sua. Non ha bisogno che Cloud la
aggredisca con le sue parole di biasimo, e le riporti alla mente gli
avvenimenti che sono stati protagonisti dei suoi ultimi giorni insieme
a loro. Ha deciso di andarsene per tagliare momentaneamente i contatti,
e comprende che rispondendo alla chiamata ha fatto un enorme sbaglio.
La maschera dietro
alla quale s’annidava l’inquietudine di Cloud
è caduta, e il suo tono s’è fatto
accusatorio e agitato. “Perché non dici
niente?!”
“L’ho
già detto che non ho nulla da dire.”
“E allora
perché hai risposto alla mia chiamata, questa
volta?” chiede lui, cercando di comprendere qualcosa che
nemmeno Aeris capisce fino in fondo.
Pochi minuti dopo,
lascia che il cellulare scivoli nelle profondità della sua
borsa, mentre si biasima per la deliberazione avventata che ha avuto
come esito quella sgradevole conversazione con Cloud.
“Credevo
fossi rimasta dentro con Cissnei” dice qualcuno alle sue
spalle. Si volta, sorpresa, e vede Tseng dietro di lei, appena sedutosi
in una panchina al di fuori del locale, che la osserva, incuriosito.
“Ho dovuto
rispondere a una telefonata” risponde lei, per giustificarsi,
forse in un tono più scortese di quello che si sarebbe
aspettata. “E Reno?”
“Ha bevuto
un bel po’ di bicchierini ed ha incontrato un paio di ragazze
un po’... beh, di facili costumi. Credo che non lo rivedremo
almeno fino a domani mattina.”
“Ma lui e
Cissnei non…?” comincia Cissnei, confusa.
“Lo credevo
anch’io, in realtà, ma a quanto pare mi
sbagliavo” la interrompe lui.
“Oh”
esclama sottovoce Aeris, sorpresa.
Trascorrono alcuni
minuti senza che nessuno dei due dica nulla. Tseng tira fuori il suo
palmare e vi annota qualcosa, serio e pensieroso, ed Aeris, dopo un
po’, comincia a fissarlo, divertita dalla sua espressione
corrucciata.
“Che stai
guardando?” chiede lui, alzando lo sguardo.
“Niente!”
si affretta a rispondere lei, sedendogli accanto.
Da quel
“Niente”, pronunciato senza riflettere e con la
spontaneità che la contraddistingue, Aeris ha cominciato una
strana conversazione con l’uomo che le è seduto a
fianco. Tseng non parla molto, ed anzi, lascia che sia lei ad
esprimersi per prima su ogni cosa, ma ha un modo di parlare breve e
pungente che la incuriosisce sempre di più, e che la spinge
a scavare maggiormente in ogni sua parola e in ogni suo pensiero.
“Mmm…
e quindi tu sei cresciuto qui?” chiede, riprendendo il
discorso che era stato affrontato ore prima all’interno del
locale.
“Sì,
ma non con i miei genitori. Ho vissuto presso mia zia per tutti gli
anni in cui mi sono trovato da queste parti.”
“Davvero? E
i tuoi dov’erano?”
“In America,
per lavoro” risponde Tseng. Quest’ultimo,
nonostante la reticenza iniziale, è finito per sviluppare
un’insolita simpatia nei confronti di Aeris, e si dimostra
molto più propenso a parlare rispetto a poche ore prima.
“E come hai
conosciuto Cissnei e Reno?”
Sul volto di Tseng
appare un sorriso strano, enigmatico, mentre guarda il paese che, ormai
immerso nell’oscurità, dorme pacifico sotto le
stelle. “E’ una storia un po’…
bizzarra, in realtà.”
“Le storie
bizzarre sono quelle migliori” risponde Aeris, sorridendo.
“Bene, tutto
iniziò quando mia Zia Polly…”
“Polly?”
“Sì,
Polly! Qualche problema?” chiede Tseng.
“Uh, no, vai
avanti.”
“Dicevo,”
continua Tseng. “che mia Zia Polly…”
“Mppf.”
“Cos’è
che ti fa ridere di preciso?”
“Oh,
niente!” risponde Aeris, seria e solenne.
“Hai qualche
problema con mia Zia Polly?”
“Noooo.”
“Eppure ridi
ogni volta che la nomino.”
“Ma nemmeno
la conosco, non farei mai una cosa del genere!”
Tseng solleva un
sopracciglio in risposta, mentre sul suo viso si schiude un leggero
riso che incurva gli angoli della sua bocca. Non è un tipo
facile con cui la gente solitamente va d’accordo, ma sono
bastate poche parole di quella ragazza per far sì che
qualcosa nei suoi confronti cambiasse. Abbandona il discorso precedente
e si alza in piedi, guardandola.
“Facciamo un
giro? Le colline sono ancora più belle, durante la
notte.”
Ancora prima che
risponda, lo vede nei suoi occhi, sa già che
accetterà.
Appena fuori dal
centro abitato, quando le luci dei lampioni diventano solo fari
lontani, solo le stelle rischiarano la via delimitata da una vecchia
staccionata polverosa. Camminano uno di fianco all’altra, in
silenzio, e ad Aeris sembra che siano passati anni dalla telefonata di
appena un’ora prima di Cloud.
“Non mi hai
ancora detto come hai conosciuto Cissnei e Reno” decreta la
ragazza all’improvviso.
Tseng sorride di
nuovo, ripensando alla conversazione di pochi minuti prima.
“E’ importante saperlo?”
“Hai detto
che era una storia bizzarra” risponde Aeris, senza replicare
direttamente alla domanda.
“E lo
è, infatti!” afferma Tseng, abbandonando il
sentiero e calpestando l’erba fresca rischiarata dalla volta
celeste.
“E allora
perché non è importante?” chiede,
scavalcando la staccionata e seguendolo. Indossa dei sandali, e gli
steli d’erba le solleticano le caviglie nude mentre cammina.
Tseng non risponde a
questa sua ultima domanda. “Ti basti sapere che la prima
volta che ho parlato con Reno è stata anche la prima volta
in cui ho mandato qualcuno all’ospedale”.
Sorridendo, Aeris
decide di non indagare oltre.
Dopo qualche minuto,
Tseng prende nuovamente la parola.
“Allora…” esordisce, continuando ad
avanzare per la radura. “Che cosa ti ha portato in questa
parte sperduta della Cina?”
“Sai che
circa 24 ore fa Cissnei mi ha fatto la stessa domanda?” gli
sorride la ragazza.
“E tu cosa
le hai risposto?”
“Che dovevo
staccare un po’ la spina, e che amo da sempre questa nazione,
quindi diciamo che la scelta della meta è stata
automatica” risponde lei, con sincerità.
“La Cina ha sempre avuto uno spazio speciale nella mia
immaginazione. L’ho sognata tante volte, e ho immaginato per
anni come potesse essere nella realtà, al di fuori dai miei
pensieri. Eppure sono sempre stata in errore, perché non
potevo neppure immaginare che in verità fosse
così meravigliosa, ancor più di come
l’avessi ricreata nella mia mente. Da quando sono arrivata
qui, tutto il caos che avevo creato intorno a me è come
sparito. Chissà se mi sarei sentita lo stesso
così, se avessi preso un qualunque altro treno diretto per
chissà dove. Non avrei incontrato Cissnei, e, sicuramente,
non sarei stata qui, a quest’ora della notte, in mezzo a
questa radura…”
Lascia che le sue
parole si perdano nella sottile brezza notturna che soffia
instancabile, continuando a camminare senza una precisa meta, seguendo
i passi di Tseng, un paio di metri avanti a lei. Fa alcuni lunghi passi
per raggiungerlo e gli si mette a fianco, ma inciampa su una radice e
cade, svanendo per pochi secondi tra i lunghi fili d’erba,
prima di rialzarsi, ridendo.
“Ti sei
fatta male?” chiede Tseng, serio.
“Naah!”
risponde la ragazza, rimettendosi in piedi. “Anzi, adesso mi
sento più sveglia!”
“Se lo dici
tu.”
Entrambi si
fermano sotto l’albero dalle radici nodose nelle quali Aeris
è inciampata, l’unico che si staglia
all’orizzonte della radura.
“E
tu?” Aeris riprende il discorso di pochi minuti prima,
facendogli una domanda. “Che mi dici di te? Che
cos’è per te la Cina?”
Tseng ci pensa un
po’, forse perché non sa nemmeno cosa rispondere
ad una domanda così ampia, forse per trovare le parole
giuste per esprimere il suo sentimento. Poi pronuncia appena poche
parole ermetiche. “Un po’ quello che è
per tutti. Solamente un’illusione pretenziosa.”
“Eh?”
“Un giorno
ti spiegherò cosa vuol dire.”
E mentre riflette
sulle parole dell’uomo, lo sente avvicinarsi al suo viso, e
posare le labbra sulle sue, improvvisamente.
Restano sotto
quell’albero per parecchio tempo, tanto che nel cielo
appaiono già i primi segni dell’aurora. Sono
seduti sull’erba umida di rugiada, osservando la linea
dell’orizzonte dove, appena visibili, si innalzano gli
altipiani antistanti al Tibet.
Aeris, senza
accorgersene, ha calpestato un fiore. D’un tratto lo trova,
spezzato, accanto a lei, e ne osserva la bellezza appassita con occhio
critico e nostalgico. Nonostante sia parecchio rovinato, ne riconosce
la specie. E’ buffo pensare a come, nonostante sia a mezzo
mondo di distanza, il nome di quel fiore continui a perseguitarla.
Lascia che il Croco le scivoli dalle dita e si adagi sulla terra dalla
quale proviene, prima che una folata di vento lo trascini nuovamente
via con sé.
A metà
mattina, quando il sole è già alto nel cielo, si
sveglia tra le braccia dell’uomo nella sua camera alla
locanda. Sorride: nonostante non abbia dormito molto, si sente
tremendamente in forma. Tseng sta ancora dormendo profondamente, con il
viso sepolto sul cuscino: lo chiama dolcemente, scrollandolo, ma lui
non da’ segno di volersi svegliare.
Rimane ancora a letto,
a fissare le sue palpebre chiuse, aspettando il momento in cui si
dischiuderanno per guardarla.
“Sei al
corrente del fatto che quando sono tornata dal bagno, tu non
c’eri?” chiede Cissnei, un po’ scocciata,
quando la vede arrivare trafelata a causa della corsa che ha fatto per
le vie della città, per arrivare in tempo
all’appuntamento che si erano date il giorno prima.
“Lo
immaginavo” risponde Aeris, sorridendo.
“Scusami.”
“Oh, non
scusarti, tranquilla!” esclama l’altra, in
risposta. “Mi hai dato la scusa per cercare Reno e quelle sue
due puttane.”
“Cavolo, non
sapevo conoscessi un simile linguaggio!” la canzona Aeris.
“Conosco
campi semantici da utilizzare in occasioni diverse, a seconda della
situazione” le risponde Cissnei, facendole
l’occhiolino. “Ma comunque, dove sei
stata?”
La ragazza le racconta
tutto, col sorriso sulle labbra, sulla notte che ha passato in
compagnia di Tseng; e Cissnei le sorride, comprensiva così
come solo le vere amiche sanno esserlo.
“Però”
le risponde colpita, alla fine. “Avevi proprio un buon motivo
per andartene!”
“Via, non
era quello il mio intento!” risponde ovvia Aeris, cercando di
difendersi dalle accuse dell’altra.
“Oh, ma non
puoi negare che non ti faccia piacere che sia andata
così!” risponde lei, ed entrambe scoppiano a
ridere, facendo voltare gran parte della gente presente in piazza.
La sera dello stesso
giorno si riuniscono nuovamente nel locale del giorno precedente.
Questa volta è Aeris che parla per la maggior parte del
tempo, sotto le pressanti richieste degli altri tre. Racconta della sua
vita, del suo lavoro, della sua infanzia, e tutti la ascoltano
affascinati, interrompendola saltuariamente per fare qualche commento
divertente.
“Sei una
ragazza davvero straordinaria, Aeris!” esclama Reno, alla
fine, levando il bicchiere come se volesse brindare alla sua salute e
tracannandolo tutto in un sorso.
“Beh…
grazie” risponde lei, imbarazzata per il complimento.
“No, dico
sul serio!” esclama lui, sorridendole. “Hai idea di
quante volte avevo visto Tseng sorridere prima di oggi?”
domanda lui, indicando l’espressione rilassata sul viso
dell’altro uomo. “Sono così poco
abituato a vederlo così che se non lo conoscessi bene
penserei fosse un’altra persona, tanto appare
diverso!”
“Suvvia, non
è vero!” gli risponde Tseng, ma non può
negare che in quel momento gli angoli della sua bocca si siano
incurvati in un sorriso.
“Come no,
fai così tanti sorrisi che sembri ritardato!” urla
Reno, dopo aver riempito nuovamente il bicchiere di gin tonic.
“Ricorda che
è l’alcool a parlare, non lui” gli
soffia nell’orecchio Cissnei, ma vedendo la sua espressione
accigliata, si affretta ad aggiungere: “Almeno non fargli
troppo male!”
Dopo
un’altra notte passata insieme, questa volta sono svegli
già all’alba. Fanno colazione insieme,
passeggiando per le vie del borgo: non incrociano Cissnei né
tantomeno Reno, e dunque trascorrono gran parte della giornata sotto le
fronde ombrose dell’albero che sorge solitario in mezzo alla
radura poco distante dal borgo.
Per entrambi sembra
che siano i giorni più belli della loro vita.
Aeris si meraviglia di
come, uno dopo l’altro, i giorni passino senza sosta al
paese, come pagine di un libro sfogliate velocemente. Prima che riesca
a rendersene conto, il locale sulla strada secondaria della prima sera
diventa un punto fisso d’incontro tra i quattro amici, che
ogni giorno al calar del sole si riuniscono davanti alla sua insegna
luminosa. Per Cissnei, Reno e Tseng, Aeris è ormai parte
integrante del loro gruppo, e allo stesso modo, nella mente di Aeris, i
ricordi confusi delle serate al Croco lasciano il posto a quelli
più recenti trascorsi con i suoi nuovi amici.
E poi, in una sera
come tante, a due settimane dal suo arrivo, con il treno della sera
giunge una novità nella routine della vacanza. E mentre
Aeris si dirige in compagnia di Tseng al solito bar, si trova davanti
agli occhi il volto grave di un ragazzo biondo a cui non ha
più risposto durante le ultime due settimane.
Tseng se
n’è andato via prima che potesse spiegargli
qualunque cosa. Adesso Aeris cammina al fianco di Cloud, in silenzio,
irata, afflitta e al tempo stesso delusa. Il ragazzo non le parla,
nonostante abbia viaggiato migliaia di chilometri per raggiungerla, e
si limita a lanciarle qualche occhiata alla luce dei lampioni che
rischiarano il loro cammino.
“Perché
sei venuto?” chiede lei, lo sguardo chino.
“Non hai
più risposto alle mie telefonate. Di nuovo.”
“E’
stato uno sbaglio risponderti quella sera, non avrei dovuto.”
“Lascia
che…”
“No!”
lo interrompe Aeris. “C’è un motivo per
cui me ne sono andata. Non ti è mai venuto in mente, che
volessi solamente stare da sola?”
Cloud borbotta
sottovoce, scocciato. “Ho visto come stai da sola.”
esclama poi, indicando le loro spalle, nel punto in cui Tseng era
sparito poco prima nell’oscurità.
“Lui non
c’entra niente con questa storia” afferma irata la
ragazza. “E neanche tu, a dire la verità! Non
pensi a Tifa, e al male che le stai procurando?”
“Ecco il bue
che dice cornuto all’asino!” ribatte
l’altro, furibondo.
“Sei stato
tu a baciarmi quella sera, non è la stessa cosa!”
risponde Aeris, mettendosi una mano sugli occhi, e ascoltando il
pulsare della sua testa dolorante.
“No, invece
E’ la stessa cosa. Tu hai lasciato Zack, io ho lasciato Tifa.
E se non l’hai lasciato per me, allora dimmi tu che cosa
speravi di ottenere!”
“Volevo solo
staccare per un po’ la spina!”
“E nel farlo
ti sei resa tale e quale a me!” la redarguisce lui, con la
voce venata di biasimo. “Non puoi accusarmi di essere stato
egoista nei confronti di Tifa, perché hai fatto la stessa
cosa a Zack. Entrambi hanno sofferto a causa nostra, e questa
è una verità innegabile.”
E d’un
tratto, senza nessun preavviso, pressata dalla verità dietro
le sue parole, scoppia in lacrime.
Si sono fermati
entrambi in una piazzale poco illuminato, sedendosi su una panchina.
Cloud l’ha stretta a sé, cercando di consolarla,
ma riesce ancora a sentire i suoi singhiozzi spezzati e aspri, e
capisce di dover dire qualcosa, e comincia a cercare le parole adatta
per scusarsi. Tuttavia, inaspettatamente, è lei la prima a
parlare.
“M-mi
dispiace…” comincia a sussurrare, con la voce
rotta dal pianto. “M-mi dispiace sul
serio…!”
Le sue parole sono
flebili, colme di angoscia, amare.
Cloud le ha
già perdonato ogni cosa e la stringe a sé ancora
più forte, cercando invano di consolarla.
“Hai
ragione” dice Aeris poco dopo, con gli occhi gonfi, guardando
davanti a sé con lo sguardo spento. “Sono stata
così… stupida, ed egoista…”
Cloud la osserva in
silenzio, confuso e desolato dalle reazioni della ragazza.
“Non voglio
più incontrare gli altri. Non… non ci
riuscirei…”
“Ma...!”
“No!”
lo interrompe lei, implorante. “Ti prego.”
“Ma
è la tua casa.”
Non risponde,
affranta. Lascia vagare lo sguardo tra le colline verdeggianti di quel
luogo che ha imparato ad amare, durante i giorni in cui vi ha vissuto:
e poi, quasi per caso, il suo sguardo si posa sull’albero
nodoso su cui aveva inciampato durante la prima notte che aveva passato
con Tseng.
“Non credo
che lo sia più” mormora tra sé, in un
sussurro appena udibile nell’aria.
“Come?”
“Nel momento
stesso in cui l’ho lasciata, quella ha smesso di essere la
mia casa” ripete, più forte, e in
quell’istante capisce cosa Cissnei volesse dire durante la
loro prima conversazione in treno. Si scioglie dall’abbraccio
dell’uomo e si alza in piedi, lasciando a larghi passi la
piazza; Cloud la chiama a gran voce chiedendole di restare, ma
è troppo tardi, e, probabilmente, dentro di sé
pensa già che il cercare di trattenerla è stata
una delle poche imprese in cui ha sempre fallito.
I campi che circondano
il paese odorano ancora di pioggia, dopo l’acquazzone di
qualche ora prima. Oltrepassa la staccionata con un salto, e come
quella sera di un paio di settimane prima cammina sull’erba
alta della radura, osservando il punto in cui l’orizzonte
tratteggia un albero sottile alla luce della luna.
Lui è
lì, come aveva immaginato, seduto con la schiena poggiata al
tronco, intento ad osservare le fitte fronde sotto le quali si
è rifugiato. Gli si avvicina, lentamente, evitando le radici
che sporgono dal terreno, sulle quali una volta è
già caduta. Poggia una mano sull’albero, mentre
con l’altra gli sfiora una spalla, delicatamente.
Tseng si volta verso
di lei, apatico, senza dire nessuna parola. Ed è in quel
momento, sotto la luce della luna calante alta in cielo, che Aeris
decide di parlargli, una volta per tutte.
“Non sono
stata del tutto onesta, con te, in verità”
esordisce, la voce tremante. “Ho sempre evitato di parlare,
in un modo o nell’altro, delle condizioni che mi hanno
portato ad arrivare in Cina. Non perché credevo che fossero
poco importanti, ma perché… beh, pensavo che fino
a quando avrei potuto metterle da parte, questa magnifica vacanza
sarebbe continuata. Ero disposta a tutto pur di eliminare dalla mia
mente il pensiero del mio ritorno, e così ho cercato di
creare qualcosa di nuovo, di ricominciare, e di creare
un’illusione. Ma è giusto che tu sappia tutto,
adesso, e che conosca l’identità di
quell’uomo.”
Si interrompe,
cercando di trovare le parole giuste, sperando in un suo sguardo che
però non arriva.
“Sai, credo
di aver capito perché, quella sera, mi rispondesti in quel
modo, quando chiesi cosa fosse la Cina per te. Ed era la
verità, perché mai come adesso mi accorgo di come
avessi mal interpretato la sua vera natura, e di come tu, suppongo,
avessi cercato di indirizzarmi nella giusta strada. E’ per
questo che sento il dovere di rivelarti gli avvenimenti che mi hanno
portato qui.
Quell’uomo
si chiama Cloud Strife, ed è… beh, il migliore
amico del mio ex-ragazzo, Zack. Lo conobbi una sera, in un locale
chiamato Croco, dove io, Cloud, la sua ragazza e Zack ci incontravamo
spesso. Per la verità, infatti, il locale era di
proprietà della ragazza di Cloud, Tifa. Stavamo spesso
lì, e ridevamo, discutevamo... erano serate meravigliose, un
po’ come quelle che abbiamo passato noi quattro
giù al paese. Ma... c’è una sera che da
quando sono qui continua a perseguitarmi, ed è quella in cui
decisi di andarmene da quel luogo. Sia Zack che Cloud avevano bevuto
molto, e poiché Tifa doveva rimanere al locale anche dopo la
chiusura, mi chiese se potessi accompagnare entrambi a casa ed
assicurarmi che stessero bene. Accettai e accompagnai per primo Zack,
poiché era quello che abitava più vicino. Io e
Cloud rimanemmo soli. In quel momento, lui... beh, mi baciò,
e approfittò del momento per dirmi che non amava
più Tifa, e che voleva stare con me, nonostante fossi la
ragazza di Zack. E’ stato per questo che il giorno dopo sono
partita con il primo volo che ho trovato per la Cina, decidendo di
fuggire.”
Conclude il suo
discorso, e adesso, implorante, gli si mette accanto, sperando che si
degni di guardarla, e che la perdoni, nonostante i suoi continui
sbagli. E lui, incredibilmente,volge il viso verso di lei; ma non vi
è traccia di alcun perdono nei suoi occhi, solo di una
profonda tristezza.
“Quando
pronunciai quella frase, due settimane fa” esordisce, con un
sospiro stanco. “fu soprattutto per me stesso. Questo
perché la Cina, dopotutto, è solamente la mia
unica e personale illusione.”
“Che intendi
dire?” domanda lei, confusa dalle sue parole.
“Intendo
dire” comincia Tseng, affranto, “Che domani me ne
andrò da qui”. Ho ricevuto un nuovo incarico che
mi porterà lontano per due, tre mesi… forse anche
di più. Io e gli altri partiamo domani
all’alba.”
Aeris si stringe forte
al suo braccio, mentre sente le lacrime ricominciare a cadere dalle
guance.
“Sapevo di
dover partire di nuovo da un po’,” continua
l’uomo, amareggiato dalle sue stesse parole, “ma ho
continuato a fare finta di nulla. Non sei stata l’unica a
sbagliare.”
Aeris non
può permettere che accada qualcosa del genere. Lo stringe
con più forza, cercando di trovare una soluzione alle sue
parole gravi.
“Ma ti
aspetterò… non significa per forza
che…!”
“No”
la interrompe lui. “Non puoi restare per tutta la vita qui. E
hai parecchi conti in sospeso con diverse persone, nella tua vera casa.
Addio, Aeris.”
Tseng si scioglie dal
suo abbraccio, e a larghi passi, senza neppure voltarsi indietro,
abbandona la radura. La ragazza non prova nemmeno a fermarlo. Ha
imparato a conoscerlo e sa che è testardo, ostinato e
risoluto, proprio come lei.
Epilogo
E infine si ritrova in
terre a lui sconosciute e che ha sempre pensato sarebbero rimaste tali.
La neve fiocca in grandi quantità dal cielo, e la guglie
della grande città gotica spariscono nel mare di nebbia in
cui è immerso gran parte del territorio, in quel momento.
Indossa un cappotto lungo e nero, che lo scherma dalle fredde sferzate
di vento: non ne ricorda di così potenti, nemmeno durante
gli inverni passati al paese, in Cina, camminando a capo chino per
evitare i soffi gelidi di neve sul viso. Tiene un foglio di carta in
mano, contuso e stracciato in più punti, su cui è
annotato un indirizzo che guarda spasmodicamente, mentre avanza lungo
il marciapiede e controlla ad ogni incrocio il nome delle vie.
Finalmente, dopo
parecchi minuti di marcia, trova il luogo che cerca, semisepolto dalla
grande quantità di neve caduta durante la notte; lascia
cigolare la cancellata di ferro e la richiude alle proprie spalle. Il
tonfo, attutito dalla neve, è a malapena udibile.
Arranca faticosamente
attraverso il candore della neve che si sgretola sotto i suoi passi,
facendolo sprofondare di pochi centimetri ad ogni movimento,
finché non raggiunge l’agognata meta di un viaggio
che si è perpetrato attraverso migliaia di chilometri e che
è finalmente giunge a termine.
Davanti ai suoi occhi,
sepolta in buona parte dalla neve, c’è
l’effigie di pietra con il suo nome impresso sopra.
Aeris Gainsborough.
Si abbassa al livello
dell’epitaffio, in modo tale da poter scostare con la mano la
neve che impedisce di vedere parzialmente il nome impresso sulla
lapide. C’è un vaso di fiori accanto alla lapide,
che, per ironia della sorte o forse solo a causa della stagione,
è vuoto.
Non dice nulla per
tutto il tempo in cui rimane ad osservare i caratteri sulla pietra,
vagando col pensiero nel passato, durante le due settimane in cui
è vissuto al suo fianco ed ha imparato ad amarla.
Ripensa al loro tormentato addio avvenuto in quella notte di molti mesi
prima e si rammarica di non essersi voltato nemmeno una volta, mentre
si allontanava dalla radura, per imprimere la sua immagine
all’interno della mente, al fine di conservarla per sempre.
Non può
vivere di rimpianti: ma se c’è una cosa che ha
imparato da Aeris durante quell’ultima notte, è
che non è giusto lasciare questioni in sospeso, affidandole
all’eternità. La sua visita alla tomba
è un’occasione per chiudere il cerchio, per
riporlo nella sua mente e continuare a vivere.
Il cellulare squilla
all’interno della sua giacca; e mentre fruga nelle tasca
interna con decisione, lascia un ultimo sorriso alla tomba semisepolta,
prima di alzarsi e darle le spalle per sempre.
FINE
Okay, è un
po’ insensato come finale, ma facciamo finta che sia qualcosa voluto da me per mobilitare le vostre menti e non lasciare tutto
scontato (lo so che non me la cavo con così poco, ma devo
provarci xD).
E’ stata
un’esperienza interessante, dopotutto, ed anche
un’occasione per cambiare stile e variare un po’.
Ed anche per far sapere a coloro che un tempo mi
seguivano su efp che
non sono morto XD.
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