Questa
ff veda la luce dopo un lungo e doloroso travaglio, ho deciso di
postarla prima di continuare a cambiarla per la centessima volta quindi
scusate eventuali errori e buona lettura.
1.Risveglio e caos.
Un dolore lancinante al fianco mi riporta alla realtà.
Non ho abbastanza forza, non riesco a percepire nulla oltre al mio
stesso lento respiro, vorrei urlare, ma non riesco ad emettere neanche
un lieve gemito di dolore.
Mi ritornano alla mente i tuoi occhi verdi, quando mi erano mancati, il
tuo volto si forma lentamente sotto le mie palpebre chiuse.
Abbiamo litigato, tu avevi paura che mi succedesse qualcosa, che mi
mettessi nei guai, tu ti preoccupi sempre per la mia sicurezza e mai
per la tua, così ho fatto di testa mia peccato che tu abbia avuto
ragione, per l’ennesima volta.
Lentamente il mondo intorno a me prende forma, ora c’è altro a cui
pensare che hai tuoi occhi, con lenti e dolorosi movimenti della mano
riesco a tastare intorno a me.
Terreno, un ramo e sassi, sono in un bosco, perché sono in un bosco?
Annuso l’aria, c’è odore di bagnato, ma la terra è asciutta al tatto
quindi non devo essere lontana da una fonte d’acqua. Ok ora so d’essere
ancora viva, che sono sdraiata in un bosco e che non sono lontana da
una fonte d’acqua, bene! Se riesco ad alzarmi non morirò di sete mentre
aspetto i soccorsi.
Cerco lentamente di aprire gli occhi e per qualche secondo ci riesco:
peccato non essere riuscita a vedere nulla! Lo sforzo è stato enorme
cosi decido che mi sono meritata alcuni minuti, resto ferma e ascolto
il mondo intorno a me: ci sono i tipici rumori di un bosco, sento il
vento spostare le foglie ma non lo sento su di me, bene sono caduta in
un fosso!
Riprendo la mia lotta personale con i sensi è stavolta da brava
testarda che sono vinco.
Cerco di muovere lentamente i piedi, prima il sinistro poi il destro,
sento la terra e la breccia sgretolarsi sotto i miei stivaletti prima
di sbattere il piede destro contro qualcosa di solido, cerco di capire
cosa ho appena scoperto, lentamente con la mano cerco di tastarlo per
avere altre informazioni quando un suono insolito per il luogo si fa
prepotentemente sentire: la suoneria del mio cellulare!
La mia borsa è caduta poco lontana da me, almeno qualcosa di buono
finalmente!
Il movimento rapido, che faccio per afferrare la cinghia della borsa,
mi fa girare la testa talmente forte da costringermi a sdraiarmi e a
chiudere gli occhi nuovamente.
La suoneria continua inesorabile e mi spinge in qualche modo a non
arrendermi, come se fosse la tua voce ad incitarmi a fare meglio, a non
mollare.
Percorro la stoffa ruvida della mia tracolla, cerco di farmi guidare
dal rumore, dalla vibrazione e dall’immagine che la mia memoria produce
della borsa e del suo contenuto. Il cellulare è nella tasca davanti,
pratico per prenderlo senza dover mostrare ad occhi indiscreti
“materiale da lavoro”, l’unico elemento normale che mi collega alle
ragazze della mia età. In quei pochi centimetri di stoffa c’è quella
parte di mondo dove tu non puoi entrare, dove sono solo una donna come
altre, che riempi di cianfrusaglie la sua borsa.
Finalmente le mie dita sfiorano la plastica dura del cellulare, lo
afferro saldamente estraendolo dalla borsa, che resta abbandonata sul
mio stomaco, ma appena l’oggetto tanto desiderato è libero il frastuono
che produce, che tu definisci musica, smette, so che è per breve tu non
ti arrendi facilmente proprio come me e questione d’attimi, infatti,
non riesco neanche ad abituarmi al silenzio che la tua suoneria
personalizzata torna a fendere l’aria. Un sorriso si allarga sul mio
viso, porto con fatica l’apparecchio all’orecchio subito dopo averlo
fatto scattare.
– Alice?
Il tuo tono preoccupato fa allargare di più il mio sorriso.
– Dean!
– Non ti azzardare mai più a non rispondere, mi hai fatto prendere un
infarto!
Sei arrabbiato ed hai ragione ma sono senza forze.
– Dean ho bisogno del tuo aiuto.
Riesco a finire la frase con un tono decente.
– Dove sei? Che succede?
– Dean; - pausa, un silenzio che a te sembreranno ore, sei già scattato
sull’attenti da bravo soldatino, aspetti un ordine? Bene non ti farò
attendere ancora per molto. –Dean sono in un fosso in una foresta e
sono ferita.
– Arrivo piccola!
La telefonata s’interrompe, resto a fissare il display che lentamente
si spegne.
Odio quando mi chiami piccola ma in queste occasioni mi trasmette quel
senso di protezione che non ho mai avuto da nessuno, che mai nessuno
oltre a te è riuscito a darmi.
Lo spettacolo sopra di me mi lascia per un attimo senza fiato
estraniandomi dalla realtà: un cielo blu scuro carico di luci formate
da miriadi di stelle lotta per farsi ammirare tra le foglie degli
alberi che il leggero vento sposta divertendosi a creare per me nuovi
scenari. Stelle cosi numerose e luminose non le avevo mai ammirate, non
avevo mai visto qualcosa brillare cosi, a parte quelle due stupende
gemme verdi che ti ritrovi per occhi dopo il nostro primo bacio.
Ho cercato con tutta me stessa di calpestare, stracciare, lacerare,
impacchettare tutto di quella sera, di quella scena che mi tortura.
Una serata come tante, mi ripeto da giorni, cerco di convincermi che
sia la verità ma non lo è:
Una serata non è come tante se è l’unica dove non si puliscono armi.
Non è come tante se non parliamo di mostri.
Non è come tante se non bevi qualcosa d’alcolico.
Non è come tante se non guardi le altre.
Non è come tante se non ci provi con la cameriera che ti sta in pratica
mangiando con gli occhi.
Non è come tante se mi ritrovo schiacciata contro il muro, con il tuo
corpo premuto al mio, le tue labbra sulle mie. Forse saremo ancora lì
se i tuoi occhi non si fossero aperti su di me, travolgendomi e
abbagliandomi come un faro nella nebbia, se quelle tue iridi non mi
avessero talmente disarmato da farmi paura e farmi scappare via. Ma da
allora il tempo è passato ed ora siamo di nuovo quelli di prima, quelli
prima di quel bacio.
Le nostre strade si sono separate, tu hai il tuo Sammy a cui badare e
io so cavarmela da sola ormai da tempo, ma abbiamo ripreso l’abitudine
di telefonarci, ringraziando il cielo perché questo ora potrebbe
salvarmi la vita.
Ora che faccio?
Non sono la tipa che riesce a star ferma a lungo, il fianco mi duole e
perdo sangue, chissà quando tempo ci metterai a trovarmi, so che stai
spingendo al massimo la tua piccola, ma ci sono dei limiti che neanche
lei può superare.
La testa duole al solo pensiero di alzarmi, ma rimanere qui è un
pensiero troppo assurdo.
Con le dite traccio un percorso dal mio fianco all’esterno, cerco di
avere un respiro regolare e di concentrarmi su questo e non sul dolore
lancinante al fianco; dopo essere riuscita a toccare il bordo esterno,
per mia fortuna questo fosso non è molto alto, trattengo il respiro e
senza pensarci troppo mi alzo ritrovandomi in posizione seduta. Il
dolore è indescrivibile, lo sforzo è stato sfiancante, devo stringere i
denti e radunare quel poco di forze che ho per restare cosi: immobile,
in un fosse, in una foresta sperduta aspettato te.
Una lacrima, seguita da molte altre, mi riga involontariamente il
volto, il pensiero che tu mi trovi cosi mi fa arrabbiare, a nessun
cacciatore piace mostrare le proprie debolezze, nemmeno ad un collega,
nemmeno all’uomo che ami e io non sono da meno, una volta sicura di non
cadere mi pulisco con un gesto secco le guance.
Mi guardo a torno e il quadro di quello che è successo mi è più chiaro:
ad una decina di metri da me piccoli falò, o quello che ne resta, sono
i resti della mia caccia in quei roghi sei vampiri hanno trovato la
morte prima che l’ultimo di loro mi colpisse ad un fianco.
Che serva da lezioni a tutti: Alice non sbaglia mai, Alice se la cava
da sola e salvare membri della propria famiglia non è prerogativa dei
Winchester.
Ora so dove sono e come andar via da qui, alle mie spalle c’è un fiume
con una piccola cascata, seguendola potrei arrivare ad una stradina che
porta allo spiazzo dove ho lasciato l’auto. Con calma, molta calma,
pazienza e molta forza di volontà esco dal mio nascondiglio le gambe
non mi reggono, di questo sono sicuro ed evito anche di provarci, con
la stessa andatura e grazia mi muovo come durante gli allenamenti
militari, svolti decine di volte in tua compagnia, fino tronco
dell’albero che prima giocava con le stelle e mi appoggio.
Recupero nuovamente il cellulare, per mia fortuna anche stavolta la
tracolla a retto, e il display mi fa notare che sono passati solo
quaranta minuti dalla tua chiamata; perfetto a me sono sembrate solo
quaranta ore!
Faccio partire la chiamata, ho bisogno di sentire la tua voce, mi da
forza.
– Ho il tuo segnale Gps, sto arrivando piccola, tieni duro!
– Come sempre Dean, tu però arriva tutto intero non so che farmene di
un soccorritore mal ridotto!
– Faccio del mio meglio! Tra quindici minuti sono da te.
– Tranquillo ti aspetto qui, chiamami quando sei nei paraggi.
– Tieni duro!
– A dopo.
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